Presupposti e limiti di una pronuncia di mero accertamento a fini risarcitori, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a.
25 Settembre 2022
Massima
Nell'ipotesi in cui il danno prospettato non derivi dai provvedimenti di cui si chiede l'annullamento ma direttamente dal prospettato contrasto con la Costituzione e/o con il diritto europeo della norma legislativa di cui i provvedimenti medesimi costituiscono applicazione, la dichiarazione di interesse alla decisione della causa nel merito ai fini meramente risarcitori, pur astrattamente idonea a sorreggere una pronuncia di mero accertamento ai sensi dell'art. dell'art. 34, comma 3, c.p.a. (in coerenza con quanto statuito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2022), non obbliga il Giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata (nel caso di specie avente ad oggetto l'art. 1 della legge regionale della Sicilia n. 12/2004), né sussiste l'obbligo per il Giudice di ultima istanza di sollevare la questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del TFUE qualora la medesima questione sia già stata scrutinata dalla Corte di giustizia, con una pronuncia che abbia chiaramente affermato la compatibilità con il diritto europeo. Il caso
La vicenda giudiziaria traeva origine dal diniego al rilascio (nel mese di luglio 2019) dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività di ottico all'interno di un centro commerciale del Comune di Siracusa, in applicazione dell'art. 1 della l. reg. Siciliana n. 12/2004, che subordina l'autorizzazione in questione al concorso di due condizioni: il rispetto del limite di popolazione di ottomila residenti e della distanza minima di 300 metri tra gli esercizi di ottico. Né, sempre secondo il Comune di Siracusa, vi sarebbero state le condizioni per il rilascio di un'autorizzazione “in deroga”, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 1 della l. reg. citata. L'operatore economico censurava tale diniego sia per la ritenuta incostituzionalità del “numero chiuso” così imposto dalla norma regionale per l'attività di ottico (contrastante, in tesi, anche con il diritto eurounitario), sia per l'eccesso di potere e il difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa l'Amministrazione nel negare il rilascio di un'autorizzazione “in deroga”. Nondimeno, al fine di superare l'ostacolo introdotto dalla norma regionale, il ricorrente, subito dopo la proposizione del ricorso, subentrava (mediante cessione onerosa del ramo di azienda) in un'autorizzazione già rilasciata a terzi, dietro un corrispettivo di 50.000 euro.
Il T.a.r. Sicilia - Catania, con sentenza n. 1811/2021, respingeva nel merito il ricorso, tra l'altro evidenziando che, con la pronuncia del 26 settembre 2013, resa nella causa C-539/11, la Corte di Giustizia aveva riconosciuto la compatibilità della normativa regionale in questione con il quadro dei principi eurounitari. Il ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana (CGARS). A fronte dell'avviso ex art. 73 c.p.a. reso nel giudizio di appello per la ritenuta improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (considerato che l'interessato esercitava ormai l'attività di ottico nel centro commerciale in questione in forza dell'autorizzazione rilasciata nel mese di ottobre 2019), l'appellante dichiarava di aver comunque interesse a una pronuncia di accertamento a fini risarcitori ex art. 34, c. 3, c.p.a., per ottenere una declaratoria di illegittimità costituzionale ovvero di incompatibilità con il diritto europeo del numero chiuso introdotto dall'art. 1 della l. reg. n. 12/2004 e con esse l'illegittimità derivata degli atti impugnati e il risarcimento del danno subito.
Il CGARS, pur riconoscendo che una siffatta dichiarazione era formalmente idonea a sorreggere una pronuncia di accertamento (in coerenza con quanto statuito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2022), rilevava tuttavia che, nel caso in esame, non era possibile sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata, non potendo essere ipotizzata una domanda risarcitoria per “illecito legislativo per violazione della Costituzione”.
Il Giudice di appello escludeva anche l'obbligo di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, in quanto già scrutinata e decisa con la citata sentenza della Corte di giustizia, nel senso della compatibilità con il Trattato del numero chiuso introdotto con la disciplina regionale suddetta. Pertanto, in considerazione dell'improcedibilità della domanda di annullamento originariamente proposta e della “infondatezza” dell'interesse risarcitorio prospettato, sia sub specie di responsabilità del legislatore per illecito costituzionale, sia sub specie di responsabilità del Legislatore per illecito eurounitario, il CGARS ha quindi riformato la sentenza di rigetto di primo grado, dichiarando “l'integrale improcedibilità del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti” e, contestualmente, l'inammissibilità dell'appello. Le questioni
Dopo aver rilevato che l'ottenimento (ancorché a titolo oneroso, mediante il subentro in un'autorizzazione già rilasciata a terzi) del bene della vita anelato, successivamente alla proposizione del ricorso, aveva definitivamente fatto venir meno l'utilità all'annullamento del diniego all'autorizzazione oggetto di impugnazione (con conseguente declaratoria dell'improcedibilità del ricorso), il CGARS affronta la questione dei presupposti formali e sostanziali della dichiarazione dell'interesse a una pronuncia di mero accertamento a fini risarcitori, nella peculiare ipotesi di un danno che (nella stessa prospettazione dell'appellante) è fatto derivare direttamente dalla prospettata illegittimità costituzionale e/o dalla ritenuta incompatibilità con il diritto europeo della norma regionale in base alla quale è stato adottato il provvedimento impugnato.
La questione sottesa alla pronuncia è dunque quella della possibilità, per il giudice di ultima istanza, di sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma legislativa, ovvero quella pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 TFUE, quando l'interesse alla pronuncia manifestato dal ricorrente ex art. 34, c. 3, c.p.a. postuli una fattispecie di responsabilità civile del legislatore per l'adozione di una norma incostituzionale e/o di una norma che si pone in contrasto con il diritto europeo. Le soluzioni giuridiche
Secondo il CGARS, ancorché la semplice dichiarazione manifestata dall'appellante nel corso del giudizio, priva cioè di specifiche allegazioni in ordine agli elementi costitutivi della (futura) domanda risarcitoria, possa ritenersi formalmente idonea a ottenere una pronuncia di accertamento a fini risarcitori, nondimeno, nel caso di specie, l'accertamento richiesto risulterebbe precluso dal preliminare rilievo dell'improponibilità della domanda di risarcimento del danno che si vorrebbe rivolgere contro il Legislatore.
Infatti, il «danno - derivante da una norma statale o regionale dichiarata incostituzionale – non sarebbe comunque qualificabile come “danno ingiusto” ai fini risarcitori» (cfr. § 22.). Tale esclusione di responsabilità del Legislatore si giustificherebbe, secondo il CGARS, con “l'insindacabilità dell'attività esplicativa di funzioni legislative, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di legge regionale, per violazione della potestà legislativa statale”. In tale fattispecie, quindi, dalla prerogativa dell'insindacabilità dei voti dati e delle opinioni espresse nell'esercizio delle proprie funzioni, sancito dall'art. 68 Cost. per i parlamentari e dall'art. 122, quarto comma, Cost. per i consiglieri regionali, si ricaverebbe l'impossibilità di configurare una responsabilità civile del Legislatore per illecito costituzionale interno. Di qui la sostanziale irrilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata dall'appellante, poiché, ad avviso del Collegio siciliano, anche qualora si giungesse a una declaratoria di incostituzionalità della norma regionale in questione, il ricorrente non potrebbe comunque agire per far valere una responsabilità civile dell'Ente per l'atto normativo dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale.
Diversamente, nell'ipotesi di lamentata violazione del diritto eurounitario da parte del Legislatore sarebbe invece astrattamente configurabile una “responsabilità dello Stato italiano” (affermata dalla Corte di giustizia già a partire dalla celebre sentenza Francovich del 19 novembre 1991, nelle cause riunite C-6/90 e C-9/90),venendo in considerazione “quella distinzione tra ordinamenti - con prevalenza di uno sull'altro - che costituisce il fondamento di tale ipotesi di responsabilità”, mancante invece nel caso di responsabilità del Legislatore per illecito “interno”. Il CGARS ha tuttavia escluso che ricorressero in concreto le condizioni per il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, dal momento che la questione della compatibilità del numero chiuso all'esercizio dell'attività di ottico introdotto dall'art. 1 della l. reg. n. 12/2004 con l'art. 49 del TFUE era già stata esaminata dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza del 26 settembre 2013 (causa C-539/11), che aveva evidenziato i limiti derivanti alla libertà di stabilimento derivanti alle esigenze di tutela della salute cui debbono rispondere anche i servizi di ottica. Di qui il rigetto nel merito della domanda di rinvio pregiudiziale. Osservazioni
All'indomani dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2022, il CGARS si cimenta nell'applicazione del disposto di cui all'art. 34, c, 3, c.p.a., in un caso di sopravvenuta carenza di interesse alla domanda di annullamento e di richiesta di accertamento a fini risarcitori nell'ambito di una fattispecie del tutto peculiare, poiché il danno lamentato dal ricorrente risulta prodotto non dai provvedimenti impugnati di cui era stato chiesto l'annullamento (nella fattispecie il diniego al rilascio di un'autorizzazione in deroga), bensì direttamente dalla norma legislativa sulla base della quale tali provvedimenti erano stati adottati dall'Amministrazione.
Quanto alla forma e ai tempi della dichiarazione dell'interesse risarcitorio ai fini della pronuncia di accertamento, la pronuncia si colloca nel solco tracciato dall'Adunanza plenaria, in quanto viene ritenuta sufficiente la dichiarazione resa nel corso del giudizio dopo all'avviso alle parti della causa di improcedibilità del ricorso ai sensi dall'art. 73 c.p.a., con la quale, a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta, l'appellante ha manifestato il proprio interesse affinché sia comunque accertata l'illegittimità da imputarsi direttamente alla norma legislativa applicata dall'Amministrazione.
Il peculiare oggetto dell'accertamento richiesto, che presuppone un giudizio di legittimità della norma demandato alle sedi giurisdizionali a ciò preposte (Corte costituzionale per il supposto contrasto con la Costituzione e Corte di Giustizia UE per il ritenuto contrasto con il diritto europeo) costringe il Giudicante a operare un preliminare vaglio di proponibilità della futura (quanto ipotetica) domanda risarcitoria per verificare la possibilità stessa di investire detti organi giurisdizionali, dovendo verificare quindi preliminarmente la “rilevanza” della questione di legittimità costituzionale prospettata, da un lato, e la sussistenza dell'obbligo di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, dall'altro.
Le conclusioni cui giunge il CGARS sono del tutto condivisibili nella parte in cui evidenzia l'impossibilità di investire la Corte di Giustizia per una richiesta di compatibilità con il TFUE che ha già formato di una precedente decisione della Corte medesima. Quanto, invece, alla ritenuta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata, il CGARS pone a fondamento della propria decisione di “infondatezza” della domanda l'impossibilità di configurare un danno da illecito costituzionale interno che si fonderebbe sia sulle prerogative di insindacabilità dei voti e delle opinioni espresse dei parlamentari e dei consiglieri regionali, sia sulle diversità di tale fattispecie rispetto a quella caratterizzata dalla prevalenza dell'ordinamento unionale su quello interno. Tali argomentazioni appaiono tuttavia rifarsi ad una giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23730; Cons. St., sez. V, 15 giugno 2021, n. 4642; Id., sez. V, 14 aprile 2015, n. 1862) che sembra superata dal più recente orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo cui, “a fronte di affermati diritti fondamentali, costituzionalmente protetti, non può escludersi il diritto di azione, anche se la lesione sia paventata come dipendente dall'esercizio asseritamente illegittimo di una potestà pubblica o dalla predisposizione, presentazione, o mancata modifica di un atto legislativo” (Cass. SSUU, 24 novembre2021, n. 36373). Né, del resto, l'esistenza della prerogativa per le opinioni espresse e i voti dati dei singoli componenti gli organi legislativi sembra costituire un insormontabile ostacolo logico-giuridico all'eventuale riconoscimento della responsabilità civile dell'ente (Stato e/o Regione) cui quelle decisioni vengano definitivamente imputate. |