Legittimazione ad agire a tutela degli interessi diffusi: Codacons e amministrazione straordinaria di Alitalia
29 Settembre 2022
Massima
L'interesse diffuso è una situazione giuridica autonoma che si trova allo stato fluido, “diffusa” tra più soggetti e, per questa ragione, “adespota”, cioè priva di un effettivo titolare, e può essere azionata in giudizio da un ente collettivo in capo al quale si riconosce la legittimazione ad agire per far valere un “interesse proprio”.
Il processo di differenziazione dell'interesse diffuso mediante l'attribuzione della sua titolarità ad un ente collettivo può avvenire mediante un riconoscimento legislativo espresso ovvero alla stregua di una previsione legislativa implicita (cd. doppio binario), la quale tuttavia richiede che l'ente sia comunque in possesso dei seguenti requisiti cumulativi tipizzati dalla giurisprudenza: i) il fine di tutelare tale interesse sia stabilito dallo statuto; ii) l'ente abbia una certa dose di rappresentatività ed una organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare tale interesse; iii) l'interesse diffuso abbia connotati di sostanziale “omogeneità” tra i soggetti che compongono la “comunità”. Il caso
Il giudizio di primo grado aveva ad oggetto il ricorso proposto dal Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons) e dall'Associazione utenti trasporto aereo marittimo e ferroviario che, quali enti collettivi, contestavano la legittimità dei provvedimenti con i quali a) si ammetteva Alitalia, in stato di insolvenza, alla procedura di amministrazione straordinaria, b) si nominavano i relativi commissari straordinari e c) si concedeva in favore della medesima Alitalia un finanziamento di seicento milioni di euro (c.d. prestito ponte).
Il Tar dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione ad agire degli enti collettivi e, impugnata la sentenza in appello, il Consiglio di Stato adito ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando, in particolare, l'assenza di correlazione tra l'interesse diffuso sotteso alla contestazione dei gravati provvedimenti di nomina dei commissari straordinari e di concessione del prestito ponte rispetto alle finalità specifiche stabilite negli statuti del Codacons e dell'Associazione utenti trasporto aereo marittimo e ferroviario. La questione
La questione riguarda l'individuazione delle condizioni per consentire la “giustiziabilità” dell'interesse diffuso, atteso che la principale difficoltà rispetto ad un siffatto interesse adespota, cioè privo di un effettivo titolare, è proprio quella di stabilire in che modo avvenga il processo di differenziazione ai fini dell'individuazione del soggetto che può proporre l'azione in giudizio.
Infatti, nel processo amministrativo soggettivo le condizioni dell'azione sono la legittimazione ad agire e l'interesse ad agire.
La legittimazione ad agire, in particolare, presuppone la dimostrazione dell'effettiva titolarità di una situazione giuridica di interesse legittimo (e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche di diritto soggettivo) e, dunque, di una posizione giuridica qualificata e differenziata. La qualificazione giuridica e la differenziazione non sono due criteri autonomi, atteso che l'unico criterio è quello della qualificazione giuridica imposto dall'operatività del principio di legalità. La differenziazione, dunque, è insita nella qualificazione nel senso che la norma assegna rilevanza all'interesse legittimo che si presenta in modo differenziato rispetto alla posizione di altri.
In relazione all'interesse diffuso, la costante giurisprudenza ha affermato che tale processo di differenziazione avvenga mediante il riconoscimento della legittimazione in capo ad enti collettivi: si assiste, in questo ambito, ad una sorta di mutazione genetica dell'interesse diffuso, che una volta “soggettivizzato” in capo all'ente esponenziale diventa un interesse del gruppo, dunque un interesse collettivo che costituisce una species dell'interesse legittimo.
La questione problematica riguarda, pertanto, i requisiti che deve possedere l'ente collettivo per essere legittimato, nel senso sopra descritto, a far valere in giudizio l'interesse diffuso di cui assume la lesione da parte dell'Amministrazione, tenuto conto che, a norma dell'art. 81 c.p.c., i casi di legittimazione straordinaria, ovvero quelli in cui un soggetto fa valere nel processo un diritto (o un interesse) altrui, sono ammessi nei soli casi previsti dalla legge. In altri termini, la sostituzione processuale rappresenta una deroga perché dissocia la titolarità dell'azione dalla titolarità della situazione sostanziale dedotta nel processo e, proprio per questo, è consentita solo in casi tipici. Le soluzioni giuridiche
Muovendo dal menzionato art. 81 c.p.c., un primo orientamento, rimasto minoritario, ritiene che quella dell'ente collettivo sia una forma di legittimazione ad agire sostitutiva, in quanto gli enti fanno valere in giudizio un “interesse di altri” e cioè della collettività cui si riferisce l'interesse diffuso. Ne consegue che tale legittimazione straordinaria dell'ente esponenziale sarebbe ammissibile solo in presenza di una previsione legislativa espressa, pena la violazione del divieto di sostituzione processuale stabilito dalla disposizione normativa citata.
Un secondo orientamento, seguito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritiene, invece, che gli enti fanno valere in giudizio un “interesse proprio”, rilevando che «la situazione giuridica azionata» è «propria» delle associazioni ed «è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni» (Cons. Stato, Ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6).
La sentenza qui annotata aderisce a questa seconda impostazione, ribadendo che il processo di differenziazione dell'interesse diffuso, mediante l'attribuzione della sua titolarità ad un ente collettivo, possa avvenire mediante il c.d. criterio del doppio binario:
- il primo e più agevole percorso è quello della legittimazione espressa, laddove è il legislatore che, in relazione ad un determinato ambito, riconosce espressamente all'ente collettivo la legittimazione ad agire in giudizio a tutela di quello specifico interesse diffuso;
- la seconda e più problematica ipotesi riguarda i casi in cui manchi una espressa previsione di legge, di modo che il riconoscimento della legittimazione ad agire in capo all'ente collettivo è implicita. Pertanto, la giurisprudenza amministrativa richiede, affinché possa ritenersi che l'ente faccia valere un “interesse proprio”, che ricorrano in modo cumulativo le seguenti condizioni: i) il fine di tutelare tale interesse deve essere stabilito dallo statuto; ii) l'ente abbia una certa dose di rappresentatività ed una organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare tale interesse; iii) l'interesse diffuso abbia connotati di sostanziale “omogeneità” tra i soggetti che compongono la “comunità” (Cons. Stato, Ad. plen., n. 6 del 2020, cit.).
In ultima analisi, quando si afferma che l'ente collettivo può agire a tutela di un interesse diffuso anche in mancanza di una previsione di legge perché sta facendo valere un “interesse proprio” e non di “altri”, lo si fa per escludere che occorra, ai sensi dell'art. 81 c.p.c., una espressa previsione di legge, ma non anche che si possa prescindere da una, sia pure implicita, base legale che richiede che l'ente sia comunque in possesso di determinati requisiti che sono quelli innanzi indicati tipizzati dalla giurisprudenza.
Nella fattispecie concreta, il Consiglio di Stato, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che le Associazioni ricorrenti fossero prive della legittimazione ad agire (oltre che dell'interesse ad agire). In particolare, acclarata la mancanza di un riconoscimento normativo espresso dalla legittimazione a ricorrere, il Collegio ha escluso la sussistenza anche di una base legale implicita stante la carenza dei requisiti tipizzati dalla giurisprudenza e, segnatamente, l'assenza del fine specifico stabilito nello statuto.
Infatti, con precipuo riferimento al Codacons, la sentenza ha evidenziato che l'azione proposta ha una duplice finalità.
La prima è quella di contestare la procedura di amministrazione straordinaria e la nomina dei commissari sul presupposto che tale nomina sia illegittima. Si tratta di uno scopo che non rientra tra quelli indicati nello statuto: non sussiste, infatti, alcuna specifica correlazione tra la nomina di organi di una società che si ritiene illegittima e le finalità statutarie, anche perché l'asserito beneficio per i consumatori prospettato nei motivi di appello è solo indiretto e, soprattutto, non dimostrato. Non vengono in rilievo, pertanto, attività idonee ad incidere sui consumatori intesi come parti deboli perché privi di adeguate informazioni.
La seconda finalità, perseguita con la contestazione del “prestito ponte”, è quella di tutelare la concorrenza ma con riguardo al divieto di aiuti di Stato. Tale divieto è finalizzato ad evitare di alterare il principio del pari trattamento tra imprese che operano nel mercato, evitando che l'assegnazione di finanziamenti possa incidere sul rispetto delle regole paritarie nei rapporti tra imprese. Si tratta, anche in questo caso, di un scopo non statutario, in quanto lo statuto prevede che l'Associazione possa agire per fare valere eventuali intese anticoncorrenziali che per il loro oggetto si risolverebbero in un pregiudizio per i “consumatori”, da intendersi in senso ampio come coloro che stipulano contratti attuativi di tali intese le quali devono ritenersi, per tale collegamento funzionale, nulle (Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994). La contestazione del prestito ponte è, invece, finalizzata a tutelare il mercato e le imprese che hanno interesse a che non operi nello stesso settore un'altra impresa che abbia un ingiusto vantaggio competitivo derivante dagli aiuti di Stato erogati. In definitiva, tale contestazione non è finalizzata a proteggere anche i consumatori, se non in modo indiretto ed eventuale.
Il Consiglio di Stato, pertanto, ha concluso che le Associazione appellanti hanno proposto un'azione non a tutela di un “interesse diffuso” che possa definirsi “proprio” - mancando sia una espressa previsione di legge sia i requisiti richiesti implicitamente dalla legge e tipizzati dalla giurisprudenza che dimostrano la sua effettiva sussistenza - ma a tutela di “interessi pubblici” che, essendo interessi di “altri”, presuppongono, ai sensi dell'art. 81 c.p.c., una espressa autorizzazione legislativa, che, nella specie, è assente. Osservazioni
L'esame della fattispecie concreta e delle soluzioni giuridiche sopra descritte consente di svolgere alcune osservazioni.
La questione problematica nasce dall'esigenza di garantire adeguata tutela ad interessi di notevole rilevanza, quali, ad esempio, l'ambiente, la concorrenza, il risparmio, che costituiscono situazioni giuridiche meta-individuali in quanto fruiti dalla collettività indifferenziata: ecco perché l'interesse diffuso nasce originariamente adespota, cioè senza un effettivo titolare.
Da qui la necessità di coniugare tale esigenza con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa e, segnatamente, con il requisito della legittimazione ad agire, che implica la dimostrazione della effettiva titolarità di un interesse qualificato che si differenzia dalla collettività indistinta.
Come si è detto, per il tramite dell'ente esponenziale si realizza la trasformazione dell'interesse diffuso in un interesse collettivo, attraverso un processo di soggettivizzazione dello stesso. In quest'ottica, l'ente esponenziale si fa portatore dell'interesse della categoria ed acquista la legittimazione ad agire a tutela di un interesse che non è più adespota ma che diventa “proprio”, cioè della categoria che rappresenta.
Tale approdo, se da un lato amplia e rafforza la tutela di interessi diffusi di grande rilevanza per la collettività, dall'altro agevola anche una proliferazione del contenzioso, ed è in quest'ottica che va interpretato l'orientamento giurisprudenziale più restrittivo (sebbene minoritario) volto a circoscrivere la legittimazione ad agire dell'ente collettivo ai soli casi in cui vi sia una norma che lo preveda espressamente.
Del resto, l'impostazione più restrittiva, al dichiarato fine di limitare l'incremento del contenzioso, è stata assunta anche da quella giurisprudenza che, sempre in relazione al Codacons, voleva escludere tout court la legittimazione di tale ente ad esperire l'azione di annullamento dinanzi al G.A. in quanto la legge prevede espressamente che il Codacons sia legittimato a proporre le sole azioni di inibitoria e risarcimento dinanzi al G.O, e non anche l'azione di annullamento. Detta prospettiva interpretativa è stata poi respinta dalla citata Adunanza Plenaria n. 6/2020, che ha avuto modo di precisare che, opinando in tal senso, si avrebbe una situazione soggettiva “monca”, perché non adeguatamente ed effettivamente tutelata con tutte le tecniche di tutela previste dall'ordinamento.
Nella sentenza in commento, il Collegio aderisce alla tesi estensiva del doppio binario sostenuta anche dall'Adunanza Plenaria, ma conferma la sentenza di inammissibilità per difetto di legittimazione pronunciata dal Tar facendo una rigorosa applicazione dei suesposti requisiti tipizzati dalla giurisprudenza, il cui possesso da parte dell'ente è necessario al fine di rinvenire in capo allo stesso la legittimazione ad agire.
Si tratta di una conclusione volta a contemperare le contrapposte esigenze, atteso che una dilatazione eccessiva del requisito della legittimazione, se può giustificarsi rispetto al procedimento amministrativo - in seno al quale la partecipazione assolve anche una funzione di collaborazione con l'Amministrazione – mal si concilia, invece, con il processo amministrativo, che per indicazioni costituzionali (artt. 103 e 113 Cost.) ha natura eminentemente soggettiva, salvo “contaminazioni” di natura oggettiva che sono eccezionalmente ammesse nei soli casi previsti dalla legge. |