Inappellabilità del decreto di rigetto di ricorso per decreto ingiuntivo
06 Ottobre 2022
Massima
Il decreto di rigetto di richiesta di decreto ingiuntivo, emanato in composizione monocratica dal TAR, è inappellabile.
Potendosi riproporre la domanda respinta, ex art. 640 c.p.c. cui la norma sul rito monitorio davanti al giudice amministrativo interamente rinvia, il provvedimento non è suscettibile di passare in cosa giudicata e neppure può essere impugnato. L'inesistenza di un rimedio impugnatorio implica che l'eventuale ricorso in appello debba respingersi con una pronuncia di non luogo a provvedere. Il caso
Il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana riguarda una richiesta di condanna della pubblica amministrazione mediante procedimento monitorio disciplinato dall'art 118 c.p.a.
A fronte del rigetto del decreto ingiuntivo disposto dal giudice di primo grado in composizione monocratica, il ricorrente decide di ripresentare l'istanza davanti al presidente dell'organo di appello, senza previa notifica alle altre parti.
La domanda viene respinta in rito, segnatamente con una pronuncia di non luogo a provvedere. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana rileva, infatti, che secondo il diritto vigente il rigetto davanti al giudice di primo grado prevede la possibilità di proporre per una seconda volta la domanda davanti al medesimo organo, ma non i rimedi impugnatori. La questione
La questione giuridica sottesa alla pronuncia in esame concerne l'impugnabilità del decreto di rigetto di un provvedimento di ingiunzione.
In particolare, si discute della possibilità di chiedere la riforma del rigetto emesso dal giudice di primo grado, così ripresentando l'istanza di condanna dell'amministrazione davanti al giudice di secondo grado.
È in gioco l'applicazione delle regole speciali del procedimento monitorio, che il Codice del processo amministrativo riprende, rinviandovi espressamente, dalle disposizioni processualcivilistiche. Le soluzioni giuridiche
Il Presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana muove dalla norma codicistica regolatoria del procedimento di ingiunzione per applicare le disposizioni del codice di procedura civile e rigettare l'appello con il quale si chiedeva la riforma del decreto monocratico del Tar che aveva a sua volta respinto la richiesta di decreto ingiuntivo.
L'art. 118 c.p.a. si limita infatti a individuare i presupposti (le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi a oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale), l'organo competente (cioè il presidente o un magistrato da lui delegato) del rito monitorio e la forma dell'eventuale opposizione al decreto ingiuntivo (ossia il ricorso), rinviando per tutto il resto della disciplina alle regole del codice di procedura civile, in particolare agli artt. 633 ss., contenuti nel Capo I del Titolo I del Libro IV.
La norma che nella specie viene in rilievo è l'art. 640, comma 3, c.p.c., il quale definisce un regime del tutto speciale, perché concernente un procedimento che si svolge senza contraddittorio e in maniera sommaria (attuandosi la cognizione piena solo nella seconda, ed eventuale, fase dell'opposizione ex art. 645 c.p.c.).
In base a tale articolo, il rigetto del ricorso per decreto ingiuntivo consente infatti la riproposizione della domanda anche in via ordinaria. Tale circostanza determina il carattere provvisorio della pronuncia di rigetto, dunque, la sua inidoneità a passare in giudicato e, di conseguenza, la sua inappellabilità.
Questa è la logica rintracciabile nel consolidato orientamento della giurisprudenza civile (v. tra altre Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9216; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19130; Cass. civ., sez. I, 9 dicembre 1993, n. 12138), che il giudice amministrativo fa proprio, discostandosi solo in punto di pronuncia emessa, che non è di inammissibilità, bensì di non luogo a provvedere, stante l'inesistenza del rimedio impugnatorio richiesto.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana a conforto della soluzione adottata aggiunge altro.
Ricorre in specie ai canoni di interpretazione sistematica e teleologica, ricordando innanzitutto che le funzioni monocratiche decisorie, come quella richiesta nel giudizio in esame, in quanto tassative, non possono desumersi in maniera implicita. In secondo luogo, segnala che non esistono previsioni normative che consentono di presentare un appello senza previa notifica alle altre parti. Infine, chiarisce che la riproposizione della domanda di ingiunzione non possa compiersi davanti all'organo di appello. Il giudice siciliano rammenta, infatti, che la previsione normativa, con la quale si consentiva l'attivazione del procedimento monitorio anche davanti al Consiglio di Stato (o al Cgars) fosse in ogni caso comunemente ritenuta una svista del legislatore, tanto da non essere stata riprodotta nel codice. Osservazioni
La decisione di rigettare l'appello avverso il decreto monocratico del Tar che respinge il ricorso per decreto ingiuntivo riflette lo stringente legame esistente tra il codice del processo amministrativo e il codice di procedura civile, nella prospettiva di un diritto processuale comune, a maggior ragione in materia di diritti soggettivi.
Ne è la prova il richiamo espresso alle regole processualcivilistiche del rito monitorio, richiamo che a sua volta è espressione del principio generale di rinvio di cui all'art. 39 c.p.a., rientrante nelle Disposizioni generali dello stesso codice. Non solo; nella fattispecie in esame, il necessario rapporto tra i due sistemi di giustizia è altresì comprovato dalla mancata riproposizione nel codice del processo amministrativo del contenuto della disposizione normativa (l'art. 8, comma 4, l. 205/2000), con la quale si consentiva di presentare domanda di ingiunzione davanti al Consiglio di Stato.
Ciò detto, e stante la correttezza della decisione di rigettare l'appello da parte del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, vi sono due dati emergenti dalla lettura della pronuncia che sembrano allentare il suddetto legame, in una sorta di rivendicazione (peraltro ormai fuori tempo) di autonomia del sistema processuale amministrativo rispetto al sistema processuale civile.
È curioso che la forma del rigetto non coincida con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ma sia invece una pronuncia di non luogo a provvedere. Si tratta di una categoria che non trova riferimenti né nel codice di procedura civile, né in quello del processo amministrativo, assistendosi a una, non infrequente, operazione “creativa” del giudice amministrativo, di oltremodo dubbia compatibilità con il principio di legalità e con quello di separazione dei poteri.
D'altra parte, c'è da chiedersi se una pronuncia di inammissibilità non sarebbe stata al contrario più semplice (oltre che più rigorosa), posto che l'inesistenza del rimedio impugnatorio, motivo sul quale si fonda la pronuncia di non luogo a provvedere, costituirebbe il presupposto che osta a una decisione sul merito: rientrando così a pieno titolo nella clausola generale di cui all'art. 35, comma 1, l. b), c.p.a.
Parimenti, appare ultroneo e sintomatico della propensione alla specialità il richiamo del giudice amministrativo ai canoni di interpretazione sistematica e teleologica.
I riferimenti alla non estendibilità delle ipotesi di funzioni monocratiche decisorie, al divieto di presentare appello inaudita altera parte, all'impossibilità di proporre domanda di ingiunzione davanti all'organo di secondo grado, non aggiungono altro rispetto a quanto si desume dall'art. 640 c.p.c. (e cioè, si ripete, che il rigetto della domanda di decreto ingiuntivo non potendo assurgere ad autorità di cosa giudicata non è neppure impugnabile). |