Presupposti oggettivi della class action amministrativa per violazione degli standard qualitativi dei servizi

25 Ottobre 2022

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la possibilità di invocare la violazione di standard qualitativi all'art. 1 del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, nel presupposto che tali standard possano ritenersi insiti, ex lege, nella definizione stessa dei beni a destinazione pubblicistica.
Massima

La class action amministrativa ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198 per violazione degli standard qualitativi presuppone la definizione dei livelli qualitativi ed economici che non siano semplicemente desumibili dalla natura e destinazione dei beni di cui si tratta, ma più specificamente stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore.

La destinazione pubblica del servizio non è, infatti, un elemento sufficiente a definire i livelli qualitativi richiesti, atteso che l'azione collettiva non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza, ma necessita che i criteri di qualità siano chiaramente stabiliti dalle amministrazioni.

Il caso

La vicenda posta all'attenzione del Supremo Consesso riguarda una class action amministrativa ai sensi del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, proposta da talune associazioni di utenti del servizio ferroviario per asserita violazione degli standard qualitativi da parte del concessionario del servizio ferroviario in relazione alla utilizzazione degli spazi della Stazione di Milano Centrale. In sintesi, secondo i ricorrenti si sarebbe determinata una situazione di netta divergenza, in termini quantitativi, tra le aree dedicate alle attività commerciali e quelle dedicate al servizio ferroviario, ovverossia all'interesse pubblico, a tutto vantaggio delle prime.

Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo insussistenti i presupposti oggettivi della class action pubblica: in difetto di una chiara indicazione degli standard qualitativi circa l'utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale, non sussistendo al riguardo specifiche disposizioni dell'Autorità proposta alla regolazione ed al controllo, non è infatti consentito individuare la violazione denunciata.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la possibilità di invocare la violazione di standard qualitativi all'art. 1 del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, sebbene questi non siano stati specificamente definiti dall'Autorità di settore, nel presupposto che tali standard possano ritenersi insiti, ex lege, nella definizione stessa dei beni a destinazione pubblicistica (segnatamente, dei beni destinati al servizio ferroviario).

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio, partendo dalle caratteristiche della class action amministrativa di cui all'art. 1 del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, ha anzitutto ricordato che la normativa consente ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei, e ad una pluralità di utenti e consumatori, di agire in giudizio nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, i quali nello svolgimento delle proprie attività, abbiano leso i loro interessi.

L'azione pubblicistica viene esercitata al fine di ripristinare i livelli di efficienza prestabiliti e il buon andamento della pubblica amministrazione, a vantaggio della generalità dei consociati. Mentre il presupposto soggettivo dell'azione è la sussistenza di una lesione diretta, concreta e attuale a “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti”, il presupposto oggettivo è correlato ad un danno dovuto: a) alla violazione di standard qualitativi ed economici; b) alla violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei Servizi; c) all'omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo e sanzionatori; d) alla violazione dei termini; e) alla mancata emanazione di atti amministrativi.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che nel caso di specie non sussistano i presupposti oggettivi della class action pubblica, in quanto l'azione in concreto proposta, fondata sulla presunta violazione degli standard qualitativi da parte del concessionario del pubblico servizio ferroviario, avrebbe richiesto la previa definizione degli stessi livelli qualitativi ed economici circa l'utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale, ad opera dell'Autorità proposta alla regolazione ed al controllo. Precisa infatti la pronuncia in esame che tali standard qualitativi non potrebbero essere semplicemente desunti dalla natura e destinazione pubblicistica dei beni di cui si tratta, atteso che l'azione collettiva non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza, ma necessita che i criteri di qualità siano chiaramente stabiliti dalle amministrazioni.

L'invocata tutela, pertanto, avrebbe dovuto essere attivata a monte, sollecitando il concessionario e/o il gestore alla redazione di Carte di servizi o alla emanazione di disposizioni di dettaglio idonee a definire per gli utenti della stazione i livelli qualitativi dei servizi.

In particolare, e con specifico riferimento al caso in esame, l'articolo 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha istituito, nell'ambito delle attività di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, l'Autorità di regolazione dei trasporti, prevede, al comma 2, lettera d) che la stessa provveda “a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta”. I ricorrenti, allora, avrebbero potuto agire nei confronti dell'amministrazione e/o nei confronti del concessionario, al fine di ottenere l'emanazione di provvedimenti per la fissazione dei livelli qualitativi dei servizi che gli utenti hanno diritto di usufruire nelle stazioni ferroviarie.

In tal caso, l'azione collettiva pubblica avrebbe avuto la funzione di accertamento con finalità propulsive rispetto alla mancata adozione di atti specificamente indicati nell'art. 1 del d.lgs. n. 198 del 2009. Tale norma, infatti, consente la proponibilità dell'azione anche per “la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un provvedimento”.

Ne consegue che il rimedio in concreto azionato era privo di adeguata base oggettiva.

Osservazioni

La sentenza in commento è chiara nello stabilire che solo a seguito della precisa definizione dei livelli qualitativi ed economici è consentito azionare il rimedio collettivo volto al ripristino della corretta erogazione del servizio.

La necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle Carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 198 del 2009 risponde ad una esigenza di “determinatezza” della fattispecie che ben si giustifica, in quanto lo strumento dell'azione collettiva non potrebbe essere utilizzato per introdurre forme di contrasto a generalizzate inefficienze.

La soluzione merita dunque condivisione in quanto coerente con la natura della class action amministrativa e con il principio, già affermato dalla giurisprudenza, di tipicità dei casi in cui è possibile azionare la class action pubblica (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 01/06/2016, n. 6433). Non ricorrendo specifiche "violazioni di standard qualitativi ed economici", previamente definiti dall'autorità competente, la fattispecie in esame esulava perciò dalle stesse ipotesi di "violazione" legittimanti l'azione collettiva

È interessante segnalare, tuttavia, che la pronuncia lascia comunque intendere che l'esito della lite sarebbe stato probabilmente diverso ove i ricorrenti avessero proposto l'azione collettiva pubblica per stigmatizzare la mancata adozione, a monte, degli stessi provvedimenti per la fissazione dei livelli qualitativi dei servizi destinati agli utenti. In tal modo la sentenza sembra prospettare una sorta di “gerarchia” e “graduazione” tra tecniche rimediali che non lascia del tutto privo di tutele l'utente, ma che si rivela al contempo coerente con il dato normativo in esame e con la ratio ad esso sottesa.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.