L'omessa preventiva richiesta del CIG non comporta l'illegittimità del bando e dei successivi atti di gara
25 Ottobre 2022
Massima
Anche nel regime del processo amministrativo telematico vige l'obbligo, imposto dall'art. 94, comma 1, c.p.a., di depositare entro il termine di decadenza di 30 giorni (ovvero 15 giorni nei riti abbreviati) dalla notificazione dell'appello la copia (anche non autentica) della sentenza gravata a pena di inammissibilità. Tale previsione è funzionale a garantire esigenze di ordine pubblico processuale, indisponibili per le parti private, strumentali al regolare svolgimento del giudizio.
L'obbligo di indicazione del codice identificativo di gara (CIG) attiene non alla fase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto, essendo tale obbligo essenzialmente funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto inferibile dall'art. 3, comma 5, della legge. n. 136/2010.
L'omesso pagamento del contributo ANAC non può essere considerato causa di inammissibilità delle offerte o di loro esclusione, ciò tanto più qualora l'omessa indicazione del CIG nel bando non abbia posto i concorrenti in condizione di versare il contributo. Il caso
La fattispecie concerne l'impugnazione dinanzi al Tar Catania da parte del secondo classificato degli atti della procedura di gara per l'affidamento in concessione del servizio di erogazione di bevande calde e fredde e snack, mediante distributori automatici presso due plessi scolastici.
L'originario ricorrente deduceva, quale vizio invalidante del bando e dell'intera procedura, che la stazione appaltante non avesse richiesto all'ANAC il codice CIG e che, pertanto, le imprese partecipanti non fossero state messe in condizione di effettuare il pagamento del contributo a loro carico riferito a quella specifica gara, della quale il codice CIG costituirebbe elemento identificativo unico ed insostituibile per la prova della validità del versamento.
Parte ricorrente asseriva che il codice CIG sarebbe stato tardivamente ed illegittimamente inserito dalla commissione di gara soltanto nella determina di assegnazione provvisoria del servizio.
In primo grado, il Tar dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di interesse avendo il ricorrente partecipato alla gara senza sollevare contestazioni sul bando e non ritraendo, ad avviso del Tar, alcun vantaggio da tale contestazione.
La decisione di primo grado viene appellata dinanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana in quanto l'originario ricorrente afferma il proprio interesse all'annullamento della gara e al suo rinnovo reiterando le censure proposte dinanzi al Tar, non esaminate in ragione della definizione in rito della controversia.
Con la decisione in commento, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, in via pregiudiziale, dichiara l'inammissibilità del gravame per omesso deposito di copia della sentenza gravata in violazione dell'obbligo in tal senso imposto dall'art. 94, comma 1, c.p.a. Ciononostante, il Collegio esamina anche il merito della controversia concludendo che, seppure l'appello fosse stato ammissibile e si fosse riconosciuta la sussistenza di un interesse a ricorrere in capo all'originario ricorrente, le censure proposte avverso gli della procedura devono ritenersi infondate. Le questioni
La decisione in commento affronta tre questioni di rilievo:
- le conseguenze processuali dell'omesso deposito di copia della sentenza appellata; - le conseguenze dell'omessa richiesta all'ANAC da parte della stazione appaltante del codice CIG; - le conseguenze dell'omesso pagamento del contributo ANAC. Le soluzioni giuridiche
Con riguardo alla prima questione concernente l'omesso deposito della sentenza impugnata, il Collegio ha osservato che l'art. 94 c. 1 c.p.a. dispone che l'appello, dopo la sua notificazione, debba essere depositato, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione, insieme a copia (anche non autentica), della sentenza appellata. Nei riti come quello ex art. 120 c.p.a. connotati da termini dimezzati, il deposito deve essere effettuato nel termine di 15 giorni dal perfezionamento dell'ultima notificazione.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sia anteriore che successiva all'entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo, entro il termine perentorio di trenta giorni (quindici giorni nei riti abbreviati) dal perfezionamento della notificazione dell'appello, deve essere depositato in giudizio non solo l'atto di appello, ma anche la sentenza. Il Codice del Processo Amministrativo ha innovato rispetto al passato solo nel senso di non esigere che la copia della sentenza impugnata sia autenticata, ritenendo sufficiente, ad evitare la decadenza e la conseguente inammissibilità, il deposito di copia semplice della stessa.
Il Collegio ha precisato che la richiamata previsione recata dall'art. 94 c. 1 c.p.a. continua ad essere vigente anche in regime di processo amministrativo telematico, e impone un adempimento che non può ritenersi caduto in desuetudine per effetto del PAT, posto che la previsione costituisce norma imperativa e inderogabile. La perdurante vigenza di un termine di decadenza per il deposito della sentenza gravata è, infatti, funzionale a garantire esigenze di ordine pubblico processuale, indisponibili per le parti private, strumentali al regolare svolgimento del giudizio (Cons. Stato, VI, 3 giugno 2022, n. 4520).
L'onere di deposito della sentenza appellata costituisce, altresì, espressione di un elementare (quanto gratuito, non essendo la copia della sentenza appellata soggetta a oneri fiscali) dovere di collaborazione della parte con il giudice di appello, affinché quest'ultimo, attraverso la consultazione del fascicolo digitale di appello, possa immediatamente e velocemente individuare, nella moltitudine di atti processuali digitalizzati, la sentenza impugnata, senza bisogno di accedere al fascicolo di primo grado.
Passando al merito della controversia, la decisione in commento ha ritenuto infondata la censura proposta dall'originario ricorrente secondo cui il bando della procedura di gara sarebbe stato illegittimo in quanto la stazione appaltante avrebbe omesso di richiedere all'ANAC il CIG, necessario ai fini del versamento del contributo obbligatorio all'ANAC e della verifica circa la sua riconducibilità alla specifica gara.
In particolare, il Collegio ritiene che dall'omessa preventiva richiesta del CIG non possa derivare come sanzione la illegittimità del bando di gara e dei successivi atti di gara. Per giungere a siffatta conclusione, la decisione esamina la ratio sottostante la disciplina di cui l'appellante invoca la violazione e la funzione svolta dal CIG.
L'art. 3, c. 5, l. n. 136/2010, stabilisce tra le modalità di attuazione della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari, l'obbligo di indicare negli strumenti di pagamento relativi ad ogni transazione, effettuata dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti tenuti al rispetto di tale obbligo, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall'ANAC su richiesta della stazione appaltante.
Secondo quanto si legge nella delibera ANAC n. 1 dell'11 gennaio 2017 recante indicazioni operative per un corretto funzionamento del CIG, il CIG è un codice alfanumerico generato dal sistema SIMOG dell'Autorità che consente contemporaneamente:
a) l'identificazione univoca di una procedura di selezione del contraente ed il suo monitoraggio; b) la tracciabilità dei flussi finanziari collegati ad affidamenti di lavori, servizi o forniture, indipendentemente dalla procedura di scelta del contraente adottata e dall'importo dell'affidamento stesso; c) l'adempimento degli obblighi contributivi e di pubblicità e trasparenza imposti alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici per il corretto funzionamento del mercato; d) il controllo sulla spesa pubblica.
La stazione appaltante è tenuta a riportare il CIG nell'avviso pubblico, nella lettera di invito o nella richiesta di offerte comunque denominata. Il CIG deve, pertanto, essere richiesto dal responsabile del procedimento in un momento antecedente all'indizione della procedura di gara.
Tenuto conto della ratio sottesa alla disciplina, la decisione in commento ritiene che dall'inadempimento all'obbligo di richiesta del CIG debbano farsi discendere conseguenze su piani diversi dalla illegittimità degli atti di gara. L'obbligo di indicazione del CIG attiene, infatti, non già alla fase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto, essendo funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto inferibile dall'art. 3, c. 5, l. n. 136/2010. L'omessa indicazione del CIG nel contratto stipulato con l'aggiudicatario avrebbe, pertanto, avuto conseguenze sulla validità dello stesso in ragione della violazione degli obblighi di tracciabilità. Nel caso di specie risulta, peraltro, che il CIG sia stato comunque acquisito, ancorché in un momento successivo alla indizione della gara, ed inserito nella determina di assegnazione provvisoria del servizio.
Quanto, infine, all'omesso pagamento del contributo ANAC, conseguente alla omessa indicazione del CIG nel bando, si osserva che tale omesso pagamento non può essere considerato causa di inammissibilità delle offerte o di loro esclusione tanto più in una situazione quale quella in esame, in cui la omessa indicazione del CIG nel bando non ha posto i concorrenti nella condizione di poter effettuare il versamento del contributo. Osservazioni
La questione relativa alle conseguenze dell'omesso versamento del contributo obbligatorio all'ANAC è stata oggetto di dibattito in quanto la legittimità dell'esclusione del concorrente in ragione della suddetta omissione è stata scrutinata dalla Corte di Giustizia (Corte di giustizia UE, 2 giugno 2016, C 27/15), la quale ha ritenuto che i principi di tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad ogni regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l'operatore economico non avvedutosi del tardivo o mancato versamento del contributo per il funzionamento dell'Autorità che vigila sui contratti pubblici (all'epoca AVCP) laddove tale esclusione non sia prevista espressamente dalla legge ovvero dal bando di gara.
La giurisprudenza nazionale maggioritaria si è, pertanto, conformata ai principi enucleati dalla Corte di Giustizia ritenendo che il mancato versamento del contributo possa essere oggetto di soccorso istruttorio dal momento che tale adempimento non afferisce né al contenuto dell'offerta economica né a quello dell'offerta tecnica e che, pertanto, l'omissione o la tardività del versamento determina un'irregolarità sanabile nel rispetto del principio della par condicio competitorum (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2018, n. 2386).
Si rinvengono, tuttavia, decisioni che hanno ritenuto legittima l'esclusione per omesso o tardivo versamento del contributo ANA, nel caso in cui il bando prevedeva espressamente la comminatoria di esclusione, sull'assunto che il versamento del contributo sia “condizione di ammissibilità dell'offerta” come espressamente previsto dall'articolo 1 comma 67, l. n. 266 del 2005 che prevede l'obbligo in questione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12 marzo 2018, n. 1572). |