Ricorso per ottenere l'equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo (art. 3 l. n. 89/2001)InquadramentoL'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) stabilisce che “Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale e costituito per legge, che decide sia in ordine alla controversia sui suoi diritti e obblighi di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale derivata contro di lei”. La l. n. 89/2001 prevede il diritto all'equa riparazione per chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione. Il presupposto per il riconoscimento dell'equa riparazione del danno subito è la violazione del principio di durata ragionevole del processo. In sostanza, l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, in relazione alla cui inosservanza l. n. 89/2001, art. 2, accorda equa riparazione (ove si sia prodotto un danno patrimoniale o non patrimoniale), stabilisce il diritto di ogni persona di ottenere entro un termine ragionevole una pronuncia sui diritti o doveri oggetto di dibattito civile. In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo: a) il diritto all'equa riparazione ai sensi della menzionata l. n. 89/2001 spetta a tutte le parti del processo, attori o convenuti, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, o dalla consistenza ed importanza del giudizio, neppur essa condizione di azionabilità della pretesa indennitaria legata esclusivamente alla durata del processo; b) siffatta regola trova un limite solo quando l'esito del processo presupposto abbia un indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza della eccessiva durata della causa stessa: come accade allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al ricordato alla l. n. 89/2001, art. 2; o comunque risulti la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, perché del tutto incompatibile con l'ansia connessa all'incertezza sull'esito del processo; c) tuttavia dell'esistenza di ciascuna di dette situazioni, costituenti abuso del processo e perciò comportanti altrettante deroghe alla regola posta dalla norma, secondo il generale principio dell'art. 2697 c.c. deve dare la prova la parte che la eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno (Cass., n. 12935/2003; Cass., n. 13741/2003; Cass., n. 16039/2003); altrimenti dovendo trovare applicazione il principio (enunciato dalle Sezioni Unite in conformità della giurisprudenza della CEDU) che lo stesso si verifica normalmente secondo l'id quod plerumque accidit, e cioè di regola per effetto della violazione stessa; e non abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi presuntivi (Cass. S.U., n. 1239/1240 e Cass., n. 1241/2004). L'applicazione nel processo amministrativo della disciplina sulla equa riparazione ha posto dei problemi interpretativi e, fra questi, quello di maggior rilievo è costituito dalla individuazione dei presupposti per accedere all'equa riparazione. Nel processo amministrativo l'istanza di fissazione di udienza costituisce l'impulso che la parte dà al processo e in seguito al quale i tempi del processo sono regolati dal giudice, mentre l'istanza di prelievo consente di rappresentare al giudice l'urgenza del ricorso. L'art. 54 del d.l. n. 112/2008 ha previsto che la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 89/2001, non è stata presentata l'istanza di prelievo. La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del sopra citato art. 54, comma 2, del d.l. n. 112/2008, come modificato dall'art. 3, comma 23, dell'Allegato 4 al d.lgs. n. 104/2010 e dall'art. 1, comma 3, lett. a), numero 6, del d.lgs. n. 195/2011 (disciplina vigente fino al 2016) che subordinavano la proponibilità della domanda per il conseguimento dell'indennizzo da irragionevole durata del processo, ai sensi della l. n. 89/2001, alla preventiva proposizione di un'istanza di prelievo (Corte cost., n. 34/2019; in precedenza Corte cost., n. 225/2018 aveva dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5-sexies, comma 8, della l. n. 89/2001, introdotto dall'art. 1, comma 777, lett. l), della l. n. 208/2015, sollevate dal T.A.R. per la Liguria e dal T.A.R. per l'Umbria). La Corte EDU, con la sentenza emessa nel caso Olivieri c/Italia del 22 febbraio 2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi amministrativi iniziati nel 1990 e per i quali era stata presentata la nuova istanza di fissazione dell'udienza ai sensi della l. n. 205/2000, art. 9, comma 2, ma non anche l'istanza di prelievo (il che aveva determinato l'inammissibilità del ricorso per equa riparazione) ha affrontato in maniera diretta il problema dell'effettività dell'istanza nazionale ex lege n. 89/2001, soggetta alla condizione di proponibilità del d.l. n. 112/2008, art. 54, comma 2. La Corte Europea ha affermato: a) che né dal contenuto della norma né dalla relativa prassi giudiziaria si evince che l'istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all'esame del tribunale; b) che la condizione di ammissibilità di un ricorso “Pinto” previsto della l. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, risulta essere una condizione formale che produce l'effetto di ostacolare l'accesso alla procedura interna; c) che l'inammissibilità automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non abbiano presentato l'istanza di prelievo, priva questi ultimi della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Quindi, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di effettività della tutela giurisdizionale (nel senso che è effettivo il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano già verificate), la Corte ha concluso nel senso che “la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del d.l. n. 112/2008, art. 54, comma 2, in combinato disposto con la legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della Convenzione”. Successivamente, la l. n. 208/2015 ha introdotto l'art. 71-bis c.p.a., il cui contenuto va letto unitamente alle correlate disposizioni contenute nella legge di stabilità 2016, che ha introdotto il nuovo articolo. Apparentemente poco aggiunge al processo amministrativo il disposto, secondo cui «A seguito dell'istanza di cui al comma 2 dell'art. 71, il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata», se non una semplificazione nella definizione dei giudizi, oggetto di istanze di prelievo. L'art. 1, comma 777, l. n. 208/2015 (l'art. 71-bis è stato introdotto dal comma 781 dello stesso articolo) ha modificato la l. n. 89/2001 (previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), prevedendo che: – la parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della l. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa; – chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all'articolo 1-ter, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione; – nei giudizi dinanzi al giudice amministrativo costituisce rimedio preventivo la presentazione dell'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, di cui al d.lgs. n. 104/2010, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis; – è inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi all'irragionevole durata del processo. L'istanza di prelievo diventa così un atto necessario per accedere all'equa riparazione da eccessiva durata del processo e va presentata almeno sei mesi prima della scadenza dei termini di cui all'art. 2, comma 2-bis, l. n. 89/2001 (si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità; si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell'atto di citazione). Va precisato che la declaratoria di incostituzionalità di cui alla citata Corte cost. n. 34/2019 colpisce sotto il profilo temporale la formulazione dell'art. 54, comma 2, del d.l. n. 112/2008 in vigore dal 16 settembre del 2010 (ovvero la necessità della istanza di prelievo, prima della sua rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla l. n. 208 del 2015) e non la disciplina della c.d. legge Pinto novellata dalla l. n. 208/2015, che ha appunto introdotto il presente art. 71-bis c.p.a. e ha introdotto nel testo della l. n. 89/2011, il nuovo art. 1-ter, comma 3, che rimodula l'istanza di prelievo come rimedio preventivo, da presentarsi almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis, e cioè, tre anni per il primo grado e due anni per il secondo e ha stabilito – all'art. 2, comma 1 – che è inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi della irragionevole durata del processo di cui all'art. 1-ter. Successivamente, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale (sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai parametri interposti di cui agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU) dell'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui dispone - attraverso il richiamo all'art. 1 -ter, comma 3, come modificato dall'art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015 - l'inammissibilità della domanda di equa riparazione per l'eccessiva durata di un processo amministrativo in ragione della mancata presentazione, quale rimedio preventivo, dell'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, c.p.a., almeno sei mesi prima che sia trascorso il termine ragionevole di cui all'art. 2, comma 2 -bis , della legge n. 89 del 2001 (Corte cost. , n. 107/2023). Secondo la Consulta, diversamente dalla fattispecie regolata dall'art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, ove la presentazione dell'istanza di prelievo aveva una finalità meramente sollecitatoria, il rimedio introdotto per il processo amministrativo dalla legge n. 208 del 2015 non assolve una funzione puramente dichiarativa, ma è un rimedio preventivo, in quanto può portare alla definizione celere del giudizio attraverso l'utilizzo di un modello procedimentale alternativo, dato, ex art. 71-bis c.p.a., dalla decisione del ricorso in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata. FormulaAL PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO DI .... [1] RICORSO Nell'interesse di - [PERSONA FISICA] [2], nato/a a .... il .... (C.F. ....), residente in ...., via/piazza .... n. ...., elettivamente domiciliato/a in ...., via/piazza ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [3]...., C.F. .... [4], PEC: ...., fax ...., che lo/la rappresenta e difende in forza di procura speciale alle liti .... [5]. - [PERSONA GIURIDICA] [6], con sede legale in ...., via/piazza ...., n. ...., iscritta nel registro delle imprese di ...., n. ...., P.I. ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato/a in ...., via/piazza ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [7]...., C.F. .... [8], PEC: ...., fax ...., che la rappresenta e difende in forza di procura speciale alle liti .... [9]. [Per tutte le future comunicazioni e notifiche di cancelleria si indicano l'indirizzo di posta elettronica certificata .... ed il numero di fax .....] [10] - ricorrente - CONTRO - Ministro dell'economia e delle finanze [11], in persona del Ministro pro tempore, per legge rappresento e difeso dall'Avvocatura generale/distrettuale dello Stato] [12], - resistente - PER L'ACCERTAMENTO DEL DIRITTO AD UNA EQUA RIPARAZIONE PER VIOLAZIONE DEL TERMINE RAGIONEVOLE DI DURATA DEL PROCESSO FATTO E DIRITTO L'odierno ricorrente è stato parte nel giudizio amministrativo che si è svolto davanti al T.A.R. del .... e in grado di appello al Consiglio di Stato. Tale giudizio si è concluso con decisione definitiva del .... in data .... e nel corso di tale giudizio l'odierno ricorrente ha presentato istanza di fissazione di udienza (specificare data e estremi) e istanza di prelievo (specificare data e estremi) ai sensi dell'art. 71, comma 2, c.p.a., per gli effetti dell'art. 54, d.l. n. 112/2008. Il processo è durato oltre il termine ragionevole, in quanto (indicare durata delle varie fasi del giudizio). Risulta quindi violata la disposizione di cui all'art. 2, comma ...., della l. n. 89/2001 perché (spiegare). Tale durata irragionevole ha comportato all'odierno ricorrente un danno patrimoniale consistente in .... e quantificabile in Euro .... in base ai seguenti criteri .... La parte ha subito anche un danno non patrimoniale derivante dal rilevante ritardo nella definizione del giudizio, tenuto conto della sfiducia nella giustizia, del senso di impotenza e, in generale, di uno stato di sofferenza suscettibile di risarcimento in termini di danno morale, liquidabile ai sensi dell'art. 2-bis, comma 1, della l. n. 89/2001. Le somme complessivamente richieste ammontano ad Euro .... e sono così suddivise: .... P.Q.M. Si chiede al Presidente della Corte di Appello di .... accogliere il presente ricorso, condannando il Ministro dell'economia e delle finanze al pagamento delle somme indicate in parte motiva con vittoria di spese, diritti e onorari di lite. Con vittoria di spese e onorari. Si producono i seguenti documenti: 1) [l'atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata] 2) [i verbali di causa e i provvedimenti del giudice] 3) [il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili] 4) [ ....] [13] Ai sensi dell'art. 10, commi 1 e 6, d.P.R. n. 115/2002 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che non è dovuto il contributo unificato, trattandosi di ricorso diretto ad ottenere l'equa riparazione per la violazione del termine di durata del processo. [V. Formula “Dichiarazione ai fini del contributo unificato”] Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA [V. formula “Procura speciale alle liti rilasciata a singolo avvocato” e formule correlate] RELATA DI NOTIFICA [V. formula “Relata di notifica a persona fisica e formule correlate”] [1]L'art. 3, comma 1, l. n. 89/2001 prevede che: “La domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto. Si applica l'art. 125 del codice di procedura civile”. [2]In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2001, conv., con mod., in l. n. 111/2011). [3]In caso di procura rilasciata a più difensori, si dovrà indicare per ciascuno di essi i dati indicati (C.F., fax, etc.). [4]L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011 conv. con modif. nella l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. nella l. n. 24/2010. [5]La procura, ove necessaria, può essere apposta in calce o a margine dell'atto o, comunque, nelle forme stabilite dall'art. 83 c.p.c. [6]In caso di proposizione del ricorso nell'interesse di una persona giuridica, si dovrà indicare la denominazione della società, la sede legale, l'eventuale iscrizione al registro delle imprese, la partita IVA, il codice fiscale, con l'indicazione del rappresentante legale per mezzo del quale la società sta in giudizio. [7]V. nt. 3. [8]V. nt. 4. [9]V. nt. 5. [10]In caso di pluralità di difensori, può essere utile indicare l'indirizzo (di fax e/o PEC) al quale si desidera ricevere le comunicazioni inerenti il procedimento. [11]L'art. 3, comma 2, della l. n. 89/2001 prevede che “Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze”. [12]In caso di amministrazioni statali, si applicano le norme vigenti per la difesa in giudizio delle stesse, che prevedono il patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato territorialmente competente. [13]Copia di eventuale altra documentazione utile alla comprensione del contesto fattuale e/o alle ragioni del ricorso. CommentoLa formula in commento riguarda la domanda di accertamento del diritto all'equa riparazione per la violazione della ragionevole durata di un processo amministrativo. Nella fattispecie oggetto della formula si assume che il ricorrente abbia proposto sia l'istanza di fissazione sia l'istanza di prelievo e, quindi, non assume rilievo la questione esaminata nell'inquadramento della istanza di prelievo quale condizione di proponibilità della domanda ex lege n. 89/2001. La presentazione dell'istanza di prelievo mette il ricorrente al riparo da contestazioni procedurali nel caso poi lo stesso decida di agire per l'accertamento del diritto all'equa riparazione. Va rilevato che l'istanza di prelievo, una volta presentata, assolve ed esaurisce la propria funzione di presupposto processuale del procedimento di equa riparazione, mentre, ai fini del computo della durata ragionevole, occorre aver riguardo all'intera durata del processo e non solo a quella successiva al deposito dell'istanza predetta (Cass. VI, n. 2172/2017; Cass. VI, n. 24138/2016). Va anche segnalato che è stata oggetto di rimessione alla Corte di Giustizia e alla Corte costituzionale la compatibilità con il diritto dell'U.E. e costituzionale di una serie di obblighi imposti dalla riforma della c.d. Legge Pinto di cui alla legge di stabilità 2016; in particolare è stato chiesto alla Corte se i principi del diritto europeo ostino: – ad una normativa nazionale, quale quella italiana contenuta nell'art. 5-sexies della l. n. 89/2001, la quale impone ai soggetti che sono già stati riconosciuti creditori, nei confronti dello Stato italiano, di somme dovute a titolo di «equa riparazione» per irragionevole durata di procedimenti giurisdizionali, di porre in essere una serie di adempimenti al fine di ottenerne il pagamento, nonché di attendere il decorso del termine indicato nel citato art. 5-sexies comma 5 l. n. 89/2001, senza poter nel frattempo intraprendere alcuna azione esecutiva giudiziaria e senza poter successivamente reclamare il danno connesso al tardato pagamento, e ciò anche nei casi in cui l'«equa riparazione» sia stata riconosciuta in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile con implicazioni transazionali, o comunque in materia che rientra nelle competenze della Unione Europea e/o in materia per la quale l'Unione Europea preveda il reciproco riconoscimento del titoli giudiziari (T.A.R. Piemonte I, ord. 28 marzo 2017, n. 418); – ad una disciplina (l. n. 208/2015) che preclude al creditore della somma liquidata a titolo di indennizzo per irragionevole durata del processo, che non abbia adempiuto agli obblighi dichiarativi di cui al comma 1 della medesima normativa, di agire in via esecutiva per ottenere il soddisfacimento del proprio credito ovvero di proporre ricorso per l'ottemperanza del decreto liquidatorio, imponendo altresì un ulteriore termine dilatorio semestrale e cumulabile (T.A.R. Liguria II, ord. 17 ottobre 2016, n. 1007); – ad una disciplina che impone al giudice amministrativo di dover nominare, quale commissario ad acta, unicamente un dirigente di seconda fascia della stessa Amministrazione inadempiente, in caso di inottemperanza al pagamento di somme liquidate ai sensi della l. n. 89/2001 (T.A.R. Umbria I, ord. 16 novembre 2016, n. 705). Tali ultime questioni sono state dichiarate infondate da Corte cost. n. 225/2018. La Corte di giustizia ha dichiarato la propria incompetenza in quanto non vi è alcun elemento che permetta di ritenere che la l. n. 89/2001, la quale ha carattere generale, avesse lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione rientrante nel settore della cooperazione giudiziaria (CGUE, 7 settembre 2017, n. 177/17, 178/17). Nell'inquadramento è già stato evidenziato la funzione dell'istanza di prelievo ai fini dell'azione per ottenere l'equo compenso; va segnalato che in alcuni casi la mancata presentazione dell'istanza di prelievo è stata valutata per diminuire il danno risarcibile, e non per precludere l'accoglimento dell'azione (Cass. I, n. 3271/2011, secondo cui in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l'art. 54 d.l. n. 112/2008, pur disponendo per il futuro, dà rilievo alla circostanza che, nei giudizi amministrativi, l'istanza di prelievo ha da tempo assunto la funzione di segnalare al giudice il permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, sovente venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione, quali atti di autotutela o sanatorie, con la conseguenza che la mancata presentazione dell'istanza, nonostante il lungo tempo trascorso dalla proposizione della domanda, costituisce indice di scarso interesse alla lite e legittima, pertanto, la liquidazione del risarcimento in misura inferiore rispetto a quella normalmente ritenuta congrua). È stato anche affermato che in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte a coltivare il processo, in quanto, altrimenti, verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta – la dichiarazione di estinzione del giudizio – successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. Tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui l'istanza di prelievo sia stata presentata una sola volta e in epoca risalente rispetto alla conclusione del giudizio, atteso che nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell'istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari (Cass. II, n. 63/2018). Competenza In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente in ordine alla relativa domanda, il criterio di collegamento stabilito dall'art. 11 c.p.p., richiamato in passato dall'art. 3, comma 1, l. n. 89/2001, va applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto, anche nel caso in cui un segmento dello stesso si sia concluso dinanzi alla Corte di cassazione, non ostandovi, sul piano lessicale, il termine «distretto» adoperato nell'art. 3 cit., il quale appartiene alla descrizione del criterio di collegamento e vale a delimitare un ambito territoriale in modo identico, quale che sia l'ufficio giudiziario dinanzi al quale il giudizio presupposto è iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, in quanto ciò che viene in rilievo non è l'ambito territoriale di competenza dell'ufficio giudiziario, ma la sua sede (in applicazione di tale principio, le S.U. hanno dichiarato competente la Corte di appello di Salerno, in quanto il giudizio presupposto, pur essendosi concluso dinanzi al Consiglio di Stato, era iniziato dinanzi al T.A.R. Calabria, avente sede nel distretto della Corte d'appello di Catanzaro; Cass. S.U., n. 6307/2010). L'art. 3, comma 1, della l. n. 89/2001 prevedeva, infatti, che “La domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata”. Successivamente, tale comma è stato sostituito dall'art. 1, comma 777, lettera g), della l. n. 208/2015 e non fa ora riferimento al criterio di cui all'art. 11 c.p.p. (“La domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto. Si applica l'art. 125 del codice di procedura civile”). Termini e notificazione La domanda di riparazione poteva essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva (art. 4 della l. n. 89/2001); tuttavia, l'art. 4 della l. n. 89/2001 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto (Corte cost., n. 88/2018). A seguito della entrata in vigore, a decorrere dal 1° febbraio 2022, del Protocollo 15Cedu (recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), ratificato con l. n. 11/2021, il termine di sei mesi per adire la Corte EDU a partire dalla data della decisione interna definitiva è stato ridotto a quattro (tale modifica contenuta nell'art. 4 del Protocollo 15 è entrerà in vigore alla scadenza di un periodo di sei mesi dalla data di entrata in vigore del Protocollo. L'art. 4 del Protocollo non si applica, comunque, ai ricorsi in merito ai quali la decisione definitiva ai sensi dell'art. 35, paragrafo 1, della Convenzione sia stata presa prima della data di entrata in vigore dell'art. 4 del Protocollo stesso). Successivamente, il ricorso, unitamente al decreto che accoglie la domanda di equa riparazione, è notificato per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta. Contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento ovvero dalla sua notificazione. Il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta. Misura dell'indennizzo Il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo. La somma può essere diminuita fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta. La somma può essere diminuita fino a un terzo in caso di integrale rigetto delle richieste della parte ricorrente nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce. L'indennizzo è determinato a norma dell'articolo 2056 c.c. e, tenendo conto: a) dell'esito del processo nel quale si è verificata la violazione di cui al comma 1 dell'articolo 2; b) del comportamento del giudice e delle parti; c) della natura degli interessi coinvolti; d) del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte. La misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice. Ottemperanza e modalità di pagamento Il decreto di condanna emesso ai sensi dell'art. 3 della l. n. 89/2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi, ed è, sotto tale profilo, equiparato al giudicato, con conseguente idoneità a fungere da titolo per l'azione di ottemperanza (Cons. St. IV, n. 1484/2012). L'art. 1, comma 777, della l. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016), “al fine di razionalizzare i costi conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata dei processi”, ha provveduto a inserire l'art. 5-sexies (Modalità di pagamento) nella l. n. 89/2001. Quest'ultimo articolo ha mutato le modalità di pagamento delle somme dovute per condanne ai sensi della stessa legge Pinto, introducendo delle disposizioni che incidono anche sulla proponibilità dei processi di esecuzione di tali pronunce, e, pertanto, anche dei giudizi di ottemperanza. Viene, infatti, richiesto al creditore di rilasciare una dichiarazione di autocertificazione e sostitutiva di notorietà, attestante la non avvenuta riscossione di quanto dovuto e altri dati e documenti inerenti al pagamento, pena l'impossibilità di ottenere dalla p.a. debitrice il pagamento e di agire in via esecutiva. Nello specifico, ai sensi del comma 1 dell'indicato art. 5-sexies, al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate, il creditore deve rilasciare “all'amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli artt. 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. n. 445/2000, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare degli importi che l'amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta”, nonché deve a trasmettere “la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3”. L'indicato comma 3, prevede che “con decreti del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, da emanare entro il 30 ottobre 2016, sono approvati i modelli di dichiarazione di cui al comma 1 ed è individuata la documentazione da trasmettere all'amministrazione debitrice .... Le amministrazioni pubblicano nei propri siti istituzionali la modulistica di cui al periodo precedente”. Il comma 3-bis – introdotto dall'art. 25, comma 1, del d.l. n. 118/2021, convertito dalla l. n. 147/2021 – stabilisce che con decreti dirigenziali del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della giustizia sono indicate le modalità di presentazione telematica dei modelli di cui al comma 3, anche a mezzo di soggetti incaricati, ai sensi del codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005). Tali decreti sono stati adottati da entrambi i Ministeri nel termine previsto dalla disposizione citata (31 dicembre 2021): il Ministero dell'economia e delle finanze ha dato attuazione alla disposizione con decreto della Capo del Dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi n. 97102 del 31 dicembre 2021; il Ministero della giustizia con decreto del Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia del 22 dicembre 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2021, n. 310. La dichiarazione in questione ha validità semestrale e deve essere rinnovata a richiesta della pubblica amministrazione (comma 2). Nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l'ordine di pagamento non può essere emesso (comma 4). L'amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui al periodo precedente non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione ovvero della documentazione indicata (comma 5). La norma dispone, ancora, che prima del decorso di quest'ultimo termine, i creditori non possano procedere all'esecuzione forzata, alla notifica dell'atto di precetto, né proporre ricorso per l'ottemperanza del provvedimento (comma 7). Il comma 12 del medesimo art. 5-sexies, risolve la “questione” dell'immediata operatività degli obblighi di comunicazione anche in assenza dei decreti attuativi, prevedendo che “i creditori di provvedimenti notificati anteriormente all'emanazione dei decreti di cui al comma 3 (quelli del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della giustizia che approveranno i modelli di dichiarazione) trasmettono la dichiarazione e la documentazione di cui ai commi precedenti avvalendosi della modulistica presente nei siti istituzionali delle amministrazioni. Le disposizioni in questione, tuttavia, comportano l'esigenza che il pagamento intervenga solo a seguito della verifica, da parte dell'amministrazione compulsata o del commissario ad acta, dell'intervenuta esecuzione degli obblighi di comunicazione previsti dalla legge. È, quindi, possibile agire in ottemperanza ma la decisione del giudice deve essere condizionata all'assolvimento dei suddetti oneri di comunicazione da parte del creditore (T.A.R. Campania (Napoli) VIII, n. 37/2018, che ha anche ritenuto ammissibile la condanna alla corresponsione della penalità di mora di cui all'art. 114 comma 4, lettera e), c.p.a., anche se che l'astreinte sarà dovuta dalla data di intervenuta comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza, solo qualora siano già stati integralmente ottemperati gli obblighi di comunicazione suindicati; in caso contrario sarà dovuta dal momento in cui i suddetti obblighi saranno stati adempiuti). Secondo Cons. St. IV, n. 1890/2021, in base all'art. 5-sexies della l. n. 89/2001, il procedimento necessario per ottenere il pagamento delle somme dovute a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del processo prevede, a carico del creditore, l'obbligo di rilasciare una dichiarazione (di autocertificazione e sostitutiva di notorietà), attestante, inter alia, la non avvenuta riscossione di quanto dovuto (primo comma); il maturare di un termine dilatorio semestrale, decorrente dalla data in cui sono assolti gli obblighi comunicativi del primo comma, entro il quale l'amministrazione debitrice può effettuare il pagamento (quinto comma); e prima del quale il creditore non può procedere all'esecuzione forzata, alla notifica dell'atto di precetto o alla proposizione di un ricorso per l'ottemperanza del provvedimento liquidatorio (settimo comma). La mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione prevista impedisce l'emissione dell'ordine di pagamento (quarto comma). La ratio della norma è quella individuata dalla Corte costituzionale nella sentenza 26 giugno 2018 n. 135, la quale: a) ha riconosciuto la specialità della disciplina rispetto a quanto stabilito dall'art. 14 d.l. n. 669/1996 per tutte le azioni esecutive nei confronti dell'erario, alla luce della specificità della procedura liquidatoria degli indennizzi per equa riparazione della non ragionevole durata del processo rispetto alle procedure di pagamento degli altri debiti della pubblica amministrazione; b) ha ritenuto che gli oneri dichiarativi posti da tale disciplina non aggravano la posizione del creditore in quanto attuano un ragionevole bilanciamento dell'interesse del creditore a realizzare il suo diritto con l'interesse dell'amministrazione ad approntare un sistema di risposta, organico e ordinato, con cui far fronte al flusso abnorme delle procedure relative ai crediti fondati sulla c.d. legge Pinto; c) ha escluso la violazione dell'art. 24 Cost. e dei parametri costituzionali ed europei in tema di giusto processo, essendo consentito al legislatore di imporre l'adempimento di oneri che, condizionando la proponibilità dell'azione, ne comportino il differimento, purché siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia; nel caso di specie, il legislatore ha introdotto un onere, per i creditori, di collaborazione con l'amministrazione che non impedisce la tutela giurisdizionale, ma la differisce per un tempo non eccessivo e la rende eventuale, in coerenza con gli obiettivi generali di razionalizzazione e semplificazione dell'attività amministrativa. |