Sentenza di condanna a una somma inferiore rispetto a quella per la quale è stato autorizzato il sequestro1. Bussole di inquadramentoIl sequestro conservativo in generale Il sequestro conservativo rientra, accanto all'azione surrogatoria ed all'azione revocatoria, nella più ampia categoria dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica sui beni del debitore ed è collegato all'esecuzione forzata, in quanto volto ad assicurare la fruttuosità dell'eventuale esecuzione per espropriazione, sottraendo i beni oggetto del provvedimento alla libera disponibilità del debitore proprietario (cfr. Trib. Bari, 26 agosto 2013). Si tratta, quindi, di una misura cautelare tipicamente “conservativa”. La concessione del sequestro conservativo comporta, sul piano giuridico, un vincolo di indisponibilità sul bene sequestrato, gli atti di disposizione relativi al quale, infatti, pur validi tra le parti e gli altri terzi, saranno inefficaci nei confronti del creditore sequestrante. In altre parole, gli effetti del sequestro conservativo sono del tutto analoghi a quelli del pignoramento: tuttavia quest'ultimo determina un “vincolo a porta aperta” sui beni del debitore in quanto l'inefficacia degli atti di disposizione relativi ai beni oggetto di pignoramento riguardano non soltanto il creditore pignorante ma anche gli altri creditori eventualmente intervenuti nel processo esecutivo. La conversione del sequestro conservativo in pignoramento La finalizzazione del sequestro conservativo all'espropriazione forzata è “positivizzata” dall'art. 686 c.p.c. per il quale una volta pronunciata la sentenza di condanna il sequestro si converte in pignoramento. L'art. 156 disp. att. c.p.c. prevede che il sequestrante che ha ottenuto la sentenza di condanna esecutiva prevista nell'articolo 686 del codice deve depositarne copia nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione, e deve quindi procedere alle notificazioni previste nell'articolo 498 c.p.c. Secondo l'impostazione prevalente in dottrina come in giurisprudenza tale conversione opererebbe automaticamente, ossia anche a prescindere dal compimento degli adempimenti prescritti dall'art. 156 disp. att. c.p.c., che costituirebbero invero adempimenti successivi alla conversione già operante e il cui mancato tempestivo compimento può determinare la sola l'estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti ex art. 630 c.p.c. (in tal senso cfr., tra le molte, Cass. III, n. 8615/2004, e, in sede di merito, Trib. Perugia, 6 luglio 1998, in Rass. giur. umbra, 1999, 390; Pret. Milano, 18 maggio 1998, in Giur. it., 1999, 2085). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Dopo la conversione del sequestro in pignoramento il vincolo diventa a porta aperta?
Si, operando da tale momento anche in favore dei creditori eventualmente intervenuti nella procedura esecutiva Il vincolo di indisponibilità del bene derivante dall'esecuzione, su di esso, di un sequestro conservativo opera con diverse scansioni temporali nei confronti dei possibili interessati, nel senso che, al momento della attuazione del provvedimento cautelare, la operatività del vincolo è circoscritta in favore del solo creditore procedente, mentre, dal momento della conversione del sequestro in pignoramento, essa andrà ad estendersi anche agli altri creditori, intervenuti ed interveniendi, con la conseguenza che la disciplina degli effetti di una eventuale alienazione a terzi del bene de quo è, in relazione alle due ipotesi ora ricordate, da ritenersi, almeno in astratto, non omogenea, potendosi porre la questione della tutela dell'affidamento con riferimento alla posizione dell'acquirente del bene oggetto di sequestro (eventualmente autorizzato entro determinati limiti di somma), ma non anche di colui che tale acquisto abbia compiuto dopo la conversione in pignoramento della misura cautelare, poiché da quel momento il processo esecutivo proseguirà all'esclusivo scopo di soddisfare tutti i creditori, intervenuti o interveniendi (cfr. Cass. III, n. 7218/1997, in Riv. dir. proc., 1992, n. 2, 603, con nota di Daleffe). Orientamento della Corte di Cassazione Il sequestro conservativo si converte in pignoramento nei limiti dell'importo della sentenza di condanna La Corte di cassazione ha puntualizzato — rispetto alla specifica casistica in esame — che il sequestro conservativo, a norma dell'art. 686 c.p.c., si converte automaticamente in pignoramento quando il creditore sequestrante ottenga “sentenza di condanna esecutiva”, ma solo nei limiti del credito per il quale è intervenuta la condanna e non anche per l'importo, eventualmente maggiore, fino al quale il sequestro è stato autorizzato, perché gli effetti che l'art. 2906 c.c. riconosce in favore del creditore sequestrante sono equiparati a quelli che lo stesso otterrebbe in caso di pignoramento (Cass. III, n. 10871/2012). La motivazione della pronuncia si fonda, essenzialmente, sulla differenza di effetti tra sequestro conservativo e pignoramento rispetto ai soggetti nei confronti dei quali gli stessi operano. Invero, ha osservato la S.C. che gli effetti che l'art. 2906 c.c., riconosce in favore del creditore sequestrante non sono quelli del pignoramento, ma solo ad essi equiparati, come si desume dalla formulazione del primo comma laddove fa riferimento alle “regole stabilite per il pignoramento” e non sic et simpliciter agli effetti di quest'ultimo). La differenza risiede nella circostanza che si tratta di effetti che operano esclusivamente in favore del creditore sequestrante (c.d. vincolo a porta chiusa) e nei limiti in cui la cautela, così come accordata, abbia poi trovato riscontro nella sentenza di condanna di cui all'art. 686 c.p.c. In sostanza, come precisato in precedenza dalla Corte di cassazione nella sentenza 5 agosto 1997, n. 7218, mentre il pignoramento (e quindi anche la conversione del sequestro conservativo in pignoramento) fa sì che il vincolo si estenda senza alcun limite, derivante dal credito in forza del quale è stato apposto, su tutti i beni pignorati, perché esso deve andare a vantaggio non solo del creditore procedente, ma anche degli intervenuti, il sequestro conservativo non anticipa in toto tali effetti del pignoramento, ma li anticipa nei limiti in cui essi servano a soddisfare le ragioni del creditore sequestrante, ragioni che sono solo quelle che abbiano trovato riconoscimento, prima, nel provvedimento di autorizzazione al sequestro conservativo e, quindi, nella sentenza di condanna, che ha chiuso il giudizio di merito seguito alla concessione della cautela. Ha precisato altresì la Corte di cassazione che seppure nella sentenza il credito sia stato riconosciuto in misura superiore all'importo sequestrato quello che conta è quanto si sia tradotto in capi condannatori della decisione suscettibili di convertirsi in pignoramento. Per gli ulteriori importi (riconosciuti allo stesso creditore ma in un capo costitutivo o di accertamento della sentenza) neppure il sequestro non può conservare efficacia in quanto non ricorre alcuna delle ipotesi di cui all'art. 669-novies c.p.c., atteso che in tema di conversione del sequestro in pignoramento la norma di riferimento è esclusivamente l'art. 686 c.p.c. (la citata decisione della S.C., in applicazione di quest'ultimo principio ha escluso l'opponibilità ad un altro creditore, che aveva successivamente iscritto ipoteca sui medesimi beni, del sequestro ottenuto a tutela di un credito per un importo maggiore rispetto a quello successivamente oggetto di condanna, anche se accertato nella medesima sede come esistente nella misura più ampia, rilevando che, per questa parte, la sentenza non costituisce titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio La circostanza che il creditore sequestrante, svolti gli adempimenti richiesti dall'art. 156 disp. att. c.p.c., abbia convertito il sequestro in pignoramento per un importo eccedente a quello della sentenza di condanna (e pur nei limiti della somma per la quale il sequestro era stato autorizzato) può essere contestata in primis dal debitore esecutato con la proposizione dell'opposizione all'esecuzione. Tale rimedio, invero, che si propone nella prima fase sommaria al giudice dell'esecuzione, è volto a contestare, sia nell'an che nel quantum, il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata. La contestazione verterà sulla parziale insussistenza di un titolo esecutivo, o, rectius, sul fatto che il pignoramento è stato eseguito per l'intera somma per la quale era stato autorizzato il sequestro conservativo e ciò sebbene la sentenza di condanna fosse stata pronunciata per un importo inferiore. All'esito della fase sommaria, il giudice dell'esecuzione si limita a decidere con ordinanza sull'istanza di sospensione della procedura e sulle eventuali questioni di competenza. La parte interessata può in ipotesi instaurare il giudizio di merito dinanzi al giudice competente, che deciderà con sentenza appellabile, entro il termine perentorio indicato dal giudice dell'esecuzione. Non si può trascurare sulle riferite questioni che la S.C. ha avuto occasione di chiarire che la prima fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione costituisce connotato indefettibile del procedimento nell'attuale sistema delle opposizioni esecutive. La Corte ha in particolare evidenziato che la preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all'inizio dell'esecuzione) davanti al giudice dell'esecuzione (ai sensi degli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, nonché 619) è necessaria ed inderogabile, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi delle parti del giudizio di opposizione ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario. La Corte ha inoltre precisato che l'omissione di tale fase, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nell'ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell'opposizione da parte del giudice dell'esecuzione — non solo in vista di eventuali richieste cautelari di parte, ma anche dell'eventuale esercizio dei suoi poteri officiosi diretti a regolare il corso dell'esecuzione — determina l'improponibilità della domanda di merito e l'improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena (Cass. n. 25170/2018). Aspetti preliminari Legittimazione L'unico soggetto che può proporre l'opposizione all'esecuzione è il debitore esecutato. Termini Se in passato l'opposizione all'esecuzione era proponibile sino alla conclusione della procedura esecutiva, dopo la novella di cui al d.l. n. 59 del 2016, l'art. 615, comma 2, c.p.c. è stato modificato nel senso che l'opposizione in questione va proposta — salvo che verta su fatti sopravvenuti o se non sia stata proposta tempestivamente per causa non imputabile all'opponente — a pena di decadenza entro l'udienza di autorizzazione delle operazioni di vendita. Modalità di proposizione del ricorso Dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, l'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che le forme previste dagli artt. 615 comma 2 e 617, comma 2, non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente nell'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo) proprio degli atti predetti; ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l'opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell'opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell'art. 618 (Cass. S.U., n. 10187/1998). Onere della prova L'opposizione all'esecuzione costituisce un'azione, promossa dal debitore, di accertamento negativo della pretesa creditoria: tuttavia, a differenza di quanto avviene nell'opposizione a decreto ingiuntivo non si verifica alcuna inversione della posizione processuale delle parti. Di regola, spetta quindi all'attore/opponente dimostrare la sussistenza dei fatti costitutivi della propria domanda di accertamento negativo dell'avversa pretesa creditoria. In sostanza, nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615, se l'esecuzione sia iniziata proprio contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest'ultimo, esecutato opponente, che in giudizio riveste la qualità formale e sostanziale di attore, dare la prova del fatto sopravvenuto che rende inopponibile od ineseguibile nei suoi confronti il titolo, spettando all'opposto, creditore procedente, soltanto la prova che esso esiste ed è stato emesso appunto nei confronti del soggetto esecutato (Cass. n. 12415/2016). Se è dunque in linea di principio il debitore a dover provare il fondamento delle proprie deduzioni circostanza che peraltro potrà essere, in una fattispecie come quella della conversione in sentenza di condanna del sequestro per un importo inferiore, agevolmente dimostrata con la produzione di detta decisione. 4. ConclusioniLa concessione del sequestro conservativo comporta, sul piano giuridico, un vincolo di indisponibilità sul bene sequestrato analogo ma non identico a quello del pignoramento, in quanto gli atti di disposizione relativi al bene sequestrato, sebbene validi tra le parti e gli altri terzi, saranno inefficaci nei soli confronti del creditore sequestrante. La S.C. ha puntualizzato — rispetto alla specifica casistica in esame — che il sequestro conservativo, a norma dell'art. 686 c.p.c., si converte automaticamente in pignoramento quando il creditore sequestrante ottenga “sentenza di condanna esecutiva”, ma solo nei limiti del credito per il quale è intervenuta la condanna e non anche per l'importo, eventualmente maggiore, fino al quale il sequestro è stato autorizzato, perché gli effetti che l'art. 2906 c.c. riconosce in favore del creditore sequestrante sono equiparati a quelli che lo stesso otterrebbe in caso di pignoramento (Cass. III, n. 10871/2012). La medesima pronuncia ha precisato che seppure nella sentenza il credito sia stato riconosciuto in misura superiore all'importo sequestrato quello che conta è quanto si sia tradotto in capi condannatori della decisione suscettibili di convertirsi in pignoramento. Per gli ulteriori importi (riconosciuti allo stesso creditore ma in un capo costitutivo o di accertamento della sentenza) neppure il sequestro non può conservare efficacia in quanto non ricorre alcuna delle ipotesi di cui all'art. 669-novies c.p.c., atteso che in tema di conversione del sequestro in pignoramento la norma di riferimento è esclusivamente l'art. 686 c.p.c. |