Impianto nell'utero della donna di embrione crioconservato dopo la separazione coniugale1. Bussole di inquadramentoIl consenso nella procedura di procreazione medicalmente assistita Le regole sul consenso alla PMA derogano sotto diversi profili a quelle espresse dalla l. n. 219 del 2017 a tutela dell'autodeterminazione terapeutica poiché la predetta legge ha la finalità di tutelare esclusivamente il paziente, per la tutela dei beni giuridici di cui agli artt. 2,3,13 e 32 Cost., e non di soggetti terzi. Rispetto a tale assetto la disciplina del consenso alla P.M.A. presenta diverse peculiarità. Oltre ai moduli, è previsto un termine finale espresso ed il consenso persegue scopi ulteriori rispetto alla tutela dell'autodeterminazione dei pazienti, costituendo la fonte per il controllo delle cellule riproduttive e degli embrioni sino al loro definitivo abbandono e determinando il successivo status filiationis dell'eventuale nato. del consenso alla luce della sopravvenuta possibilità di crioconservazione degli ovuli. L'art. 6 della l. n. 40/2004 laddove prevede che il consenso alla PMA può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo esclude chiaramente la possibilità di una revoca successiva di tale consenso. La disposizione, secondo una parte della dottrina, se era coerente con l'assetto originario della l. n. 40 del 2004 nel quale la crioconservazione degli embrioni era un evento eccezionale, dovendo gli stessi essere immediatamente impiantati nell'utero della donna ai sensi dell'art. 14 della stessa legge, suscita alcuni dubbi di legittimità costituzionale nel sistema attuale dopo la parziale declaratoria di incostituzionalità della predetta norma, proprio nella parte in cui contemplava limitazioni così rigide. Nella formulazione originaria vi era una sostanziale contemporaneità tra fecondazione dell'ovulo e impianto in utero, in quanto l'art. 14 prevedeva che, per ogni ciclo di stimolazione ovarica, fosse prodotto un numero di embrioni non inferiori a tre, destinati tutti all'impianto, con conseguente ingresso di gravidanze plurigemellari, anche quando la donna non potesse o non volesse avere più di un figlio (ferma la successiva scelta di interrompere volontariamente la gravidanza). La crioconservazione era ammessa, ai sensi dell'art. 14, comma terzo, in tale originaria versione, solo se, per cause di forza maggiore, non si fosse dato corso all'impianto immediato degli embrioni, che doveva comunque essere effettuato appena possibile. Con la sentenza n. 151 del 2009 la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l'art. 14 della l. n. 40/2004 è costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost. sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di eguaglianza — ove prevede la produzione di non più di tre embrioni per volta, da impiantare contemporaneamente — ed ove non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna. In sostanza, a seguito dell'intervento additivo della Corte Costituzionale, è consentito produrre più di tre embrioni per ogni ciclo di trattamento, senza alcun obbligo per la donna di impiantarli tutti e possibile crioconservazione, in astratto senza limiti di tempo (cfr. A. Figone, Sperimentazione sugli embrioni. Un'ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale, in IlFamiliarista). In tale rinnovato contesto ordinamentale, è sorto l'interrogativo se il consenso di entrambi i componenti della coppia alla fecondazione assistita debba o meno essere reiterato anche al momento dell'impianto, qualora sia intercorso un lasso di tempo dalla fecondazione degli ovociti e, soprattutto, se sia necessario un ulteriore consenso da parte del marito, qualora nelle more sia intervenuta separazione tra i coniugi. In questa situazione, come è stato osservato, “l'aspettativa di vita di un embrione si trova così a confliggere con la posizione del donatore di gameti, cui potrebbe essere imposta una paternità sulla scorta del dato genetico, al di fuori di qualsiasi attuale intenzionalità di volersi assumere le responsabilità che lo status di genitore comporta, salvo ipotizzare l'instaurazione di un rapporto filiale solo ed esclusivamente con la madre, al pari di quanto previsto in materia di adozione dall'art. 25, l. 184/1983” (Figone, nota IlFamiliarista, 2021). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Può essere disconosciuto il figlio nato dopo PMA eterologa?
Anche nell'ipotesi di embrioni crioconservati il padre non può disconoscere il figlio nato dalla PMA eterologa cui abbia prestato consenso In una fattispecie di fecondazione eterologa nella quale l'impianto dell'embrione nell'utero materno era avvenuto prima della separazione coniugale e il dissenso del padre era intervenuto solo una volta che la gravidanza si trovava in stato avanzato, la Corte di cassazione ha ritenuto che in un tale contesto deve prevalere l'esclusivo diritto del figlio ad avere un padre al momento della nascita. In caso contrario e cioè, qualora si permettesse il disconoscimento di paternità al marito (consenziente) della partoriente, si eliminerebbe arbitrariamente l'interesse del minore — costituzionalmente rilevante — consistente nel fruire di un equilibrato rapporto affettivo, derivante dalla persistenza delle due figure genitoriali (Cass. VI, n. 30294/2017). GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO Orientamento della grande chambre La crisi del matrimonio può giustificare la revoca del consenso dell'ex marito all'utilizzo degli embrioni crioconservati Nel caso deciso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Evans c. Regno Unito, la ricorrente aveva lamentato una violazione dell'art. 8 CEDU, ad opera della disciplina britannica perché non le era consentito fare uso degli embrioni crioconservati prodotti con l'ex marito. La Corte di Strasburgo, nel rigettare il ricorso, ha effettuato un bilanciamento tra l'interesse della ex moglie ad avere un figlio e quello dell'ex marito a non avere una famiglia, dopo la crisi del matrimonio. La Grande Camera ha affermato che la legge del Regno Unito, che preclude alla donna di utilizzare in autonomia gli embrioni, pur limitando il diritto ad una vita privata e familiare ex art. 8 CEDU della ricorrente, è tuttavia una limitazione giustificata dall'esigenza di tutelare il diritto dell'ex coniuge non diventare un genitore. Il bilanciamento in favore del diritto di quest'ultimo, ad avviso della Corte europea è ragionevole, per le conseguenze che potrebbero derivare da una genitorialità “imposta”: il genitore non consenziente sarebbe chiamato ad assumere la responsabilità genitoriale ed economica nei in base ad un consenso prestato molti anni prima, in costanza di un rapporto tra i coniugi. Se la volontà del padre non può essere considerata nel corso di una gravidanza già in atto stante la rilevanza, in questa ipotesi, dei soli diritti del nascituro e della donna, prima dell'impianto in utero dell'embrione è ragionevole, come previsto dalla legge britannica, che assuma rilevanza la determinazione dell'ex partner: invero così come la maternità non può essere imposta, allo stesso modo non può esserlo la paternità (CEDU, Grande Camera, 10 aprile 2007, ric. 6339/05). Giurisprudenza costituzionale L'embrione non è equiparabile a mero materiale biologico La Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto che “l'embrione (...) quale che sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è riconducibile a mero materiale biologico” (Corte cost. n. 151/2009). Orientamenti di merito La donna separata può ottenere un provvedimento d'urgenza per l'impianto dell'embrione crioconservato durante il matrimonio In sede applicativa, si è affermato, anche di recente, che possa essere ordinato in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., nonostante il dissenso espresso dall'ex coniuge, al Centro medico l'impianto nell'utero della ricorrente degli ovuli crioconservati fecondati dall'ex coniuge. Invero, ferma la necessità in capo alla struttura sanitaria di adempiere agli obblighi informativi in ogni fase del trattamento, come prescritto dall'art. 6, comma 1, l. n. 40/2004, il consenso prestato dai coniugi richiedenti sino al momento della fecondazione dell'ovulo, da ritenersi irrevocabile ai sensi del comma 3 del succitato articolo, deve essere rinnovato solo in caso di rilevate problematiche o anomalie del processo, tra cui non rientra la separazione personale dei coniugi, intervenuta in un momento successivo alla fecondazione dell'ovulo (Trib. Santa Maria Capua Vetere, I, 27 gennaio 2021, in Foro it., 2021, I, 1454). Più in particolare, nella motivazione dell'articolata decisione, si è sottolineato che la separazione tra i coniugi elide solo in apparenza i presupposti soggettivi richiesti dall'art. 5 della l. n. 40/2004 «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile» e il diritto alla famiglia, garantito dall'art. 30 Cost. Di qui lo stato di separazione dei coniugi non può porsi sullo stesso piano di quello del genitore single o della coppia omosessuale, che danno vita a modelli di famiglia che si allontanano da quello tradizionale perché il minore nato da genitori separati avrà diritto di godere di entrambe le figure genitoriali e sia il padre che la madre assumeranno i diritti e gli obblighi connessi alla genitorialità. Va evidenziato che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione le problematiche psicologiche dedotte dal futuro padre per la mancanza di volontà di portare avanti il progetto di filiazione con una donna con la quale non sussiste più un progetto di vita comune, in quanto analoghe problematiche possono interessare l'altro genitore per non vedere realizzato il progetto di filiazione nonostante l'affidamento determinato dal consenso e l'avvenuta fecondazione; inoltre, gli interessi delle parti devono bilanciarsi con la tutela dell'aspettativa di vita dell'embrione. La richiamata decisione ha dunque sottolineato che la irrevocabilità del consenso, fissata al momento della fecondazione, diversamente da quanto argomentato dal reclamante, contempera e bilancia la tutela dei delicati interessi coinvolti. 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Il ricorso d'urgenza rientra nell'ambito di quelli cautelari, volti dunque ad assicurare, nelle more della definizione sul merito della controversia, che gli effetti della relativa decisione non siano pregiudicati dal trascorrere del tempo. Pertanto, presupposti generali della concessione di una misura cautelare sono il fumus boni juris ed il periculum in mora. Il fumus boni juris denota l'apparente fondatezza della domanda proposta dal ricorrente in sede cautelare apprezzata nell'ambito di una cognizione di carattere sommario. Il periculum in mora attiene, appunto, al pericolo che si concretizzi un pregiudizio in danno della parte ricorrente nel tempo necssario all'accertamento del diritto della stessa nelle forme ordinarie. La tutela d'urgenza costituisce, nell'ambito delle misure cautelari, uno strumento di carattere generale e residuale, nel senso che può essere utilizzato al fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio imminente ed irreparabile. Aspetti preliminari Competenza Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito. Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa. Contenuto del ricorso ante litem Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare. Oggetto e onere della prova In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora. Peraltro, può ritenersi che l'urgenza sia almeno presunta quando per ragioni di età della donna o possibile deterioramento degli embrioni crioconservati il ritardo nella tutela potrebbe comportare l'impossibilità di realizzare la PMA. Il provvedimento: a) Spese Se il ricorso è proposto ante litem, poiché l'instaurazione del giudizio di merito è solo eventuale, anche nell'ipotesi di accoglimento il giudice della cautela dovrà liquidare le spese. b) effetti Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito. Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena. c) regime L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza. Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. per difetto di decisorietà. 4. ConclusioniLe regole sul consenso alla PMA derogano sotto diversi profili a quelle espresse dalla l. n. 219 del 2017 a tutela dell'autodeterminazione terapeutica poiché la predetta legge ha la finalità di tutelare esclusivamente il paziente, per la tutela dei beni giuridici di cui agli artt. 2,3,13 e 32 Cost., e non di soggetti terzi. Rispetto a tale assetto la disciplina del consenso alla P.M.A. presenta diverse peculiarità. Oltre ai moduli, è previsto un termine finale espresso ed il consenso persegue scopi ulteriori rispetto alla tutela dell'autodeterminazione dei pazienti, costituendo la fonte per il controllo delle cellule riproduttive e degli embrioni sino al loro definitivo abbandono e determinando il successivo status filiationis dell'eventuale nato del consenso alla luce della sopravvenuta possibilità di crioconservazione degli ovuli. L'art. 6 della l. 40/2004 laddove prevede che il consenso alla PMA può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo esclude chiaramente la possibilità di una revoca successiva di tale consenso. Tale norma è rimasta immutata anche dopo che, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 151 del 2009 — dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 14 della l. n. 40/2004 per violazione dell'art. 3 Cost. sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di eguaglianza — è consentito produrre più di tre embrioni per ogni ciclo di trattamento, senza alcun obbligo per la donna di impiantarli tutti e possibile crioconservazione, in astratto senza limiti di tempo. Ciò ha fatto sorgere il problema della possibilità del marito di revocare il consenso se intervenga, nelle more, la separazione coniugale. Un recente precedente di merito ha ritenuto, accogliendo il ricorso d'urgenza della moglie separata, di poter ordinare in via d'urgenza al Centro medico di impiantare nell'ovulo della stessa gli embrioni crioconservati, ritenendo irrilevante il dissenso del coniuge successivamente alla separazione (Trib. Santa Maria Capua Vetere, I, 27 gennaio 2021, in Foro it., 2021, I, 1454). |