Demansionamento

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

L'inquadramento del lavoratore

L'art. 2103 c.c. prevede per il datore di lavoro l'obbligo di garantire al lavoratore impiegato presso la propria azienda un inquadramento professionale ed economico adeguato alle mansioni che è chiamato a svolgere.

Il significato dato dalla corrente dottrina al termine “mansione” è quello secondo cui le mansioni specificano, delimitandolo, l'oggetto della prestazione di mera attività, la quale sarà poi nel concreto determinata dal potere direttivo dell'imprenditore. Essa costituisce l'oggetto della prestazione dovuta, individuando l'insieme dei compiti che il lavoratore può essere chiamato a svolgere e che possono essere pretesi dallo stesso.

Altro aspetto importante è quello relativo alla “qualifica” che esprime il tipo ed il livello di una figura professionale, concorrendo a determinare la posizione del lavoratore nella struttura organizzativa dell'impresa.

Assegnate determinate mansioni al lavoratore, il datore di lavoro, nei limiti posti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, dovrà inquadrarlo nella qualifica corrispondente.

Demansionamento

La professionalità del lavoratore è preservata dall'art. 2103 c.c., laddove viene stabilito il divieto di adibire il prestatore di lavoro a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate in sede di assunzione, salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma (modifica degli assetti organizzativi ed ipotesi previste dai contratti collettivi).

È una norma imperativa, non derogabile dalle parti, come precisato nell'ultimo comma.

La S.C. ha chiarito che nella comparazione delle mansioni non è sufficiente ancorarsi in astratto al livello di categoria ma occorrerà accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali (Cass., n. 4773/2004) e purché risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare ed anzi di arricchire il patrimonio professionale acquisito in una prospettiva dinamica di valorizzazione del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze.

La stessa S.C. ha precisato, peraltro, che comunque sia non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, che invece implica una sottrazione di mansione tale da comportare un abbassamento del global e livello delle prestazioni del lavoratore con sottilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite ed un conseguenziale impoverimento della sua professionalità (Cass., n. 22488/2019).

Nell'ipotesi in cui abbia subito un demansionamento illegittimo il lavoratore può ottenere un indennizzo per i danni non patrimoniali (morale, alla salute e professionale) eventualmente subiti. Invero, il demansionamento professionale di un lavoratore, non solo viola il divieto di cui all'art. 2103 c.c., ma costituisce lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro.

In particolare, il giudice può desumere l'esistenza del relativo danno, “determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, alla natura della professionalità coinvolta, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione ed alle altre circostanze del caso concreto, connesse al rapporto lavorativo” (Cass., n. 8893/2010; Cass., n. 14729/2006).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Per la concessione di un provvedimento d'urgenza a fronte di un demansionamento professionale rispetto a quale momento va vagliato il pericolo di pregiudizio irreparabile?

A quello in cui si manifesta, anche se successivo alla condotta del datore di lavoro

Ai fini della sussistenza delle ragioni d'urgenza che giustificano l'emissione di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. (nella fattispecie, rimozione di una situazione di demansionamento, cagione di danni alla salute oltre che di altra materia) occorre avere riguardo non al momento d'inizio della condotta dannosa ma al momento in cui il pregiudizio rischia di divenire irreparabile (Trib. Roma, 4 luglio 2002, in Lavoro nella giur., 2002, 980 (nota di: Gallo)).

Domanda
Quali sono i rispettivi oneri di allegazione e prova delle parti nel giudizio sul demansionamento?

Al lavoratore spetta solo dimostrare l'illegittimo comportamento datoriale

Secondo un orientamento recentemente consolidatosi, è onere del lavoratore, che faccia domanda per ottenere il risarcimento del danno causato da un inesatto adempimento degli obblighi previsti ai sensi dell'art. 2103 c.c. (cd. demansionamento), dar conto in giudizio delle circostanze di fatto per la prova dell'illegittimità del comportamento del datore di lavoro, senza che sia necessario provare i presupposti di fondatezza della propria pretesa, nonché dell'esistenza di un danno. Il datore di lavoro sarà, pertanto, onerato di prendere posizione specificatamente sui fatti allegati dal lavoratore e, eventualmente, allegarne di ulteriori per dimostrare la legittimità delle scelte di organizzazione e direzione. Per quanto riguarda, poi, il quantum del risarcimento, il giudice potrà tenere conto delle allegazioni delle parti, ma desumerlo anche in via presuntiva e fianco in base alle regole desumibili secondo la comune esperienza ex art. 115 c.p.c., per una determinazione in via equitativa, che tenga conto della qualità e quantità del lavoro pregresso, le caratteristiche, la durata e la gravità del demansionamento e la frustrazione di ragionevoli prospettive di progressione professionale (Trib. Avellino, sez. lav., n. 298/2022).

Orientamenti di merito

La tutela d'urgenza si giustifica se il demansionamento rischia di compromettere la professionalità del lavoratore

La prassi applicativa appare orientata a ritenere che nell'ipotesi di demansionamento o, comunque, di mancata adibizione alle mansioni corrispondenti al bagaglio professionale acquisito dal lavoratore ex art. 2103 c.c., il pregiudizio irreparabile che legittima un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., è ravvisabile ove sia presente una lesione di diritti di natura strettamente personale, come quello all'elevazione e alla formazione professionale (art. 35 cost.) o quelli attinenti alla personalità dell'individuo (art. 2 cost.) di cui siano dal ricorrente forniti sufficienti e concreti elementi di valutazione (Trib. Pordenone, 21 ottobre 2000, in Lavoro nella giur. 2001, 363, con nota di Piovesana).

In ogni caso, il danno alla professionalità può assurgere al requisito di ammissibilità allorché la situazione cautelanda ne comprometta lo sviluppo ovvero ne pregiudichi i risultati acquisiti, ad esempio per la rapida obsolescenza derivante dall'inattività o dall'adibizione illegittima a mansioni affatto differenti ovvero per il rapido evolversi delle tecnologie necessario allo svolgimento dell'attività lavorativa.

In sostanza, il requisito del periculum in mora ai fini di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. può ritenersi sussistente esclusivamente laddove le nuove mansioni siano a tal punto dequalificanti da comportare non solo una lesione alla dignità personale del lavoratore ma anche una perdita di cognizioni professionali a tal punto repentina ed irreversibile, da non consentire l'attesa dei tempi necessari per lo svolgimento del giudizio di merito (Trib. Milano, 30 novembre 2006, in Orient. giur. lav., 2007, 1, 59).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il ricorso d'urgenza rientra nell'ambito di quelli cautelari, volti dunque ad assicurare, nelle more della definizione sul merito della controversia, che gli effetti della relativa decisione non siano pregiudicati dal trascorrere del tempo.

Pertanto, presupposti generali della concessione di una misura cautelare sono il fumus boni juris ed il periculum in mora.

Il fumus boni juris denota l'apparente fondatezza della domanda proposta dal ricorrente in sede cautelare apprezzata nell'ambito di una cognizione di carattere sommario.

Il periculum in mora attiene, appunto, al pericolo che si concretizzi un pregiudizio in danno della parte ricorrente nel tempo necssario all'accertamento del diritto della stessa nelle forme ordinarie.

La tutela d'urgenza costituisce, nell'ambito delle misure cautelari, uno strumento di carattere generale e residuale, nel senso che può essere utilizzato al fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Aspetti preliminari

Competenza

Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito.

Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa.

Il giudice competente è in entrambe le ipotesi, ai sensi dell'art. 413 c.p.c., quello speciale del lavoro.

Contenuto del ricorso ante litem

Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare.

Oggetto e onere della prova

In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora.

Con peculiare riguardo all'onere che a tal fine il lavoratore deve assolvere rispetto al periculum in mora, si ritiene che lo stesso non si identifichi ex se con il danno derivante dal provvedimento datoriale in sé considerato, essendo costituito dal pregiudizio che può derivare al lavoratore dall'attesa della decisione di merito. Ne deriva che il ricorrente in sede cautelare deve allegare e provare, con fatti specifici, che il protrarsi della situazione ritenuta antigiuridica possa arrecargli danni gravi, non ristorabili neppure successivamente. In particolare, sul lavoratore incombe l'onere di allegazioni concrete e puntuali sulle circostanze di fatto dalle quali possa desumersi il concreto rischio che, nel tempo occorrente per l'espletamento del processo di merito, la sua professionalità venga effettivamente a depauperarsi o ne venga compromessa la situazione personale e familiare o il suo equilibrio psicofisico; e dalle quali quindi emerga che la situazione lavorativa attuale, nel tempo occorrente per il giudizio ordinario, possa configurarsi quale fonte di pregiudizio irreparabile (v., tra le altre, Trib. Caltanissetta, 20 settembre 2019; Trib. Potenza, sez. lav., n. 13520/2018).

Il provvedimento:

a) effetti

Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito.

Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena.

b) regime

L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza.

Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. per difetto del requisito di decisorietà.

4. Conclusioni

Nell'ipotesi di demansionamento o, comunque, di mancata adibizione alle mansioni corrispondenti al bagaglio professionale acquisito ex art. 2103 c.c., il lavoratore può ottenere tutela anche in via d'urgenza.

Se la prova del fumus boni juris si risolve, specie in forza dei più recenti indirizzi giurisprudenziali, in quella sull'apparente illegittimo esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro, più complesso è l'onere di allegazione e prova da parte del lavoratore del pericolo di pregiudizio irreparabile che giustifica la concessione del provvedimento d'urgenza.

A tal fine, invero, sarà necessario dimostrare non solo che l'atto (o la condotta) datoriale è andato a ledere diritti fondamentali del ricorrente ma anche che, nel tempo necessario allo svolgimento del diritto di merito, il demansionamento potrebbe pregiudicare la professionalità del lavoratore (nonché comprometterne la salute).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario