Delibera di esclusione del socio accomandatario

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

La residualità della tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c.

Il provvedimento d'urgenza è una misura cautelare avente contenuto atipico che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., può essere richiesta, in assenza di un rimedio cautelare tipico, per tutelare un diritto, nelle more del tempo necessario per far valere lo stesso in via ordinaria, a fronte del pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile (Panzarola-Giordano, Provvedimenti d'urgenza, Bologna 2016, 1 ss.).

Il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è uno strumento di tutela cautelare residuale, come si evince chiaramente dall'incipit della stessa norma secondo cui lo stesso può essere richiesto “fuori dei casi regolati dalle precedenti sezioni di questo capo”, ovvero in relazione a situazioni per le quali non è prevista la possibilità di domandare la concessione di una delle misure cautelari tipiche. Ciò implica che a fronte di un'istanza proposta ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il primo problema che si pone è stabilire se non vi sia un rimedio ad hoc non utilizzato dalla parte, onde evitare che la previsione dell'art. 700 c.p.c. attribuisca al ricorrente la possibilità di ottenere quello che non è più dato conseguire con il rimedio cautelare specificamente previsto per il caso concreto (ex plurimis, Trib. Salerno, 19 ottobre 2005).

Il problema dell'esclusione del socio di società di persone in presenza di due soli soci

Nelle società di persone, ai sensi dell'art. 2286 c.c., l'esclusione è attuata con deliberazione dei soci che, a maggioranza calcolata per teste, possono disporre lo scioglimento del rapporto sociale a fronte della commissione di “gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale nonché per l'interdizione, l'inabilitazione del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici”.

La delibera di esclusione deve essere motivata, a pena di nullità, per consentire la (eventuale) successiva verifica del tribunale circa la fondatezza delle contestazioni mosse al socio. In vero, l'esclusione produce effetti solo una volta che sono decorsi trenta giorni dalla data di comunicazione al socio del contenuto della deliberazione, termine entro il quale l'interessato ha facoltà di proporre l'opposizione al tribunale.

In ogni caso, al socio escluso spetta una somma di denaro pari al valore della quota, calcolato sulla base della situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento.

Questa disciplina può trovare applicazione, peraltro, solo nelle società con tre o più soci, mentre quando siano soltanto due l'esclusione del socio può essere disposta solamente con provvedimento dell'autorità giudiziaria su domanda dell'altro. Effetto dell'accoglimento della relativa azione è, nel caso, lo scioglimento della società, qualora, nel termine di sei mesi dall'esclusione, non venga ripristinata la pluralità dei soci necessaria per consentire la prosecuzione dell'attività dell'ente.

Le caratteristiche peculiari delle società in accomandita

Alla luce della distinzione tra soci accomandanti e soci accomandatari che caratterizza le società in accomandita, sorge l'interrogativo se il procedimento di esclusione a maggioranza possa estendersi anche alla contestazione di gravi inadempienze all'unico socio accomandatario da parte di due o più soci accomandanti e, al riguardo, l'orientamento prevalente si esprime in senso favorevole ritenendo peraltro tale forma di esclusione funzionale all'esercizio dei poteri di controllo di cui ciascun socio accomandante dispone.

Quando vi sono solo due soci il problema più rilevante è peraltro quelle delle conseguenze dell'esclusione di uno di essi, che fa venir meno la stessa duplicità nella categoria dei soci, sulla conservazione della compagine sociale.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
È necessaria una richiesta dei soci accomandanti per ottenere la comunicazione dei bilanci?

No, perché si tratta di un dovere di diligenza nei rapporti interorganici nell'ambito della società

In tema di società in accomandita semplice, la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti costituisce un adempimento imposto all'amministratore dall'art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde da una richiesta avanzata dai soci, in quanto risponde al più generale dovere di diligenza nella conduzione della gestione sociale anche nei rapporti interorganici, consentendo, da un lato, l'esercizio del potere di controllo e di critica dei soci sull'operato dell'accomandatario, dall'altro, di ritenere consolidato l'esercizio, in mancanza di impugnazione (Cass. I, n. 26071/2022).

Orientamento prevalente di merito

Il socio accomandante può ottenere l'esclusione in via d'urgenza del socio accomandatario dalla compagine sociale

In un accurato precedente di merito si è affermato che il socio accomandante può chiedere l'esclusione in via cautelare dell'unico accomandatario in presenza di gravi violazioni.

Si è altresì precisato, a riguardo, che alla misura cautelare dell'esclusione consegue automaticamente la cessazione, sempre in via d'urgenza, dei poteri gestori connessi alla qualità di socio accomandatario, con il conseguente obbligo per lo stesso di consegnare l'azienda sociale all'incaricato della gestione. Il nuovo gestore peraltro non può essere individuato nel socio accomandante superstite, applicandosi l'art. 2323, norma che prescrive che, nel caso in cui vengano meno tutti gli accomandatari, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio “per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione”, con la possibilità che, se entro il predetto termine di sei mesi non sia sostituito l'accomandatario cessato, la società si sciolga (Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 10 marzo 2016, in Società, 2016, 12, 1339, con nota di Colombo e Capelli, per la quale il predetto termine di sei mesi opera anche nel caso di revoca cautelare della facoltà di amministrare in capo all'unico accomandatario).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il ricorso d'urgenza è un rimedio di carattere residuale che consente, in assenza di altri strumenti di tutela cautelare che consentano di ottenere in concreto il medesimo grado di tutela per una determinata situazione giuridica soggettiva, di richiedere ed ottenere l'emanazione di provvedimenti atipici nel loro contenuto.

È però a tal fine necessario, oltre alla prova del fumus boni juris, quella di un periculum in mora particolarmente rigoroso, ossia quello di un pregiudizio imminente ed irreparabile.

La tutela in via d'urgenza dei diritti di credito è dunque possibile, potendo in altre ipotesi il relativo pregiudizio trovare adeguato rimedio ex post con il risarcimento ottenuto al termine del giudizio di merito, quando per il soggetto ricorrente la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile.

Aspetti preliminari

Competenza

Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito.

Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa.

Contenuto del ricorso ante litem

Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare.

Oggetto e onere della prova

In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora.

Quanto al fumus boni juris, almeno il citato precedente del Tribunale di Milano ha ritenuto applicabili i normali criteri di ripartizione dell'onere della prova in materia d'inadempimento, in virtù dei quali “il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza del titolo, ma non l'inadempimento dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione di tale circostanza, mentre incombe all'obbligato l'onere di provare di avere adempiuto, salvo che non opponga un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c.”. In alternativa a tale eccezione sembrerebbe, peraltro, opportuno aggiungere la concreta dimostrazione, da parte del debitore, dell'impossibilità sopravvenuta o della non imputabilità dell'adempimento, elementi a fronte dei quali le relative domande di risarcimento del danno — nonché, secondo la prospettazione offerta dal Tribunale di Milano, di esclusione — non potrebbero, comunque, trovare accoglimento.

Efficacia

Il provvedimento:

a) effetti

Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito.

Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena.

b) regime

L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza.

Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. difettando il requisito della decisorietà.

4. Conclusioni

Nelle società di persone, ai sensi dell'art. 2286 c.c., l'esclusione è attuata con deliberazione dei soci che, a maggioranza calcolata per teste, possono disporre lo scioglimento del rapporto sociale a fronte della commissione di “gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale nonché per l'interdizione, l'inabilitazione del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici”.

Questa disciplina può trovare applicazione, peraltro, solo nelle società con tre o più soci, mentre quando siano soltanto due l'esclusione del socio può essere disposta solamente con provvedimento dell'autorità giudiziaria su domanda dell'altro.

Tale procedura è applicabile anche alle società in accomandita semplice: tuttavia quando vi sono solo due soci il problema più rilevante è peraltro quelle delle conseguenze dell'esclusione di uno di essi, che fa venir meno la stessa duplicità nella categoria dei soci, sulla conservazione della compagine sociale.

In un accurato precedente di merito si è affermato, nel ritenere che il socio accomandante può chiedere l'esclusione in via cautelare dell'unico accomandatario in presenza di gravi violazioni, che alla misura cautelare dell'esclusione consegue automaticamente la cessazione, sempre in via d'urgenza, dei poteri gestori connessi alla qualità di socio accomandatario, con il conseguente obbligo per lo stesso di consegnare l'azienda sociale all'incaricato della gestione. Tuttavia, trova poi applicazione l'art. 2323 c.c. secondo cui nel caso in cui vengano meno tutti gli accomandatari, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio “per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione”, con la possibilità che, se entro il predetto termine di sei mesi non sia sostituito l'accomandatario cessato, la società si sciolga (Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 10 marzo 2016).

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