Esercizio dei diritti sociali a fronte della risoluzione del contratto di cessione delle quote

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

La residualità della tutela d'urgenza

Il provvedimento d'urgenza è una misura cautelare avente contenuto atipico che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., può essere richiesta, in assenza di un rimedio cautelare tipico, per tutelare un diritto, nelle more del tempo necessario per far valere lo stesso in via ordinaria, a fronte del pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile (Panzarola-Giordano, Provvedimenti d'urgenza, Bologna 2016, 1 ss.).

Il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è uno strumento di tutela cautelare residuale, come si evince chiaramente dall'incipit della stessa norma secondo cui lo stesso può essere richiesto “fuori dei casi regolati dalle precedenti sezioni di questo capo”, ovvero in relazione a situazioni per le quali non è prevista la possibilità di domandare la concessione di una delle misure cautelari tipiche. Ciò implica che a fronte di un'istanza proposta ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il primo problema che si pone è stabilire se non vi sia un rimedio ad hoc non utilizzato dalla parte, onde evitare che la previsione dell'art. 700 c.p.c. attribuisca al ricorrente la possibilità di ottenere quello che non è più dato conseguire con il rimedio cautelare specificamente previsto per il caso concreto (ex plurimis, Trib. Salerno, 19 ottobre 2005).

Il contratto di cessione delle quote di s.r.l.

Il contratto di cessione di quote a società a responsabilità limitata deve essere stipulato ex art. 2470, comma 2, c.c. in forma di scrittura privata autenticata ai fini della trasmissione dello stesso da parte del Notaio nel registro delle imprese, per la sola opponibilità ai terzi.

Invero, la stessa S.C. ha precisato che ai fini della validità del trasferimento tra le parti il contratto ha forma libera (cfr. Cass. I, n. 5407/2014).

Il trasferimento delle quote sociali diviene efficace nei confronti della società dal momento del deposito, rectius dell'iscrizione, dell'atto nel registro delle imprese, anziché dall'annotazione nell'abrogato libro dei soci.

In generale, le quote di società a responsabilità limitata sono liberamente trasferibili sia inter vivos che mortis causa, ferma la possibilità, ex art. 2469 c.c., di derogare al regime generale, sino al punto di escludere la circolazione.

È discusso se tale decisione possa essere assunta a maggioranza, secondo le regole generali previste per le modifiche dell'atto costitutivo e se spetti ai soci che non hanno concorso alla decisione il diritto di recesso.

In realtà all'area dell'intrasferibilità sono state ricondotte, in senso estensivo, una serie di ipotesi nelle quali per effetto di vincoli, più o meno ampi, si perviene a situazioni di inalienabilità “indiretta” e “concreta”, come, ad esempio, l'indivisibilità della quota o della sua cedibilità solo per intero, il divieto di usufrutto, la prelazione comprensiva dei trasferimenti a titolo gratuito.

Sono “codificate” inoltre le clausole di mero gradimento, ossia quelle che subordinano la cessione delle partecipazioni sociali all'autorizzazione discrezionale di altri soggetti, senza alcuna previsione di limiti e condizioni.

La generica facoltà di deroga al regime suppletivo del libero trasferimento e la testuale ammissibilità del divieto di circolazione fanno propendere, in linea di principio, per la liceità a fortiori di ogni altro genere di restrizione, ictu oculi meno stringente dell'intrasferibilità, salvo verificare il rispetto di limiti imperativi desumibili dal sistema e, in particolare, ricavabili proprio dalla disciplina delle clausole tipizzate.

Il limite di circolazione alle quote di s.r.l. più ricorrente non è tuttavia codificato: si tratta, invero, della clausola cd. di prelazione che attribuisce ai soci attuali il diritto di essere preferiti rispetto ai terzi nell'acquisto della partecipazione del potenziale cedente.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quali sono le conseguenze dell'estinzione della società dopo il preliminare di cessione di quote?

Il contratto preliminare si risolve per impossibilità sopravvenuta

L'intervenuta estinzione della società, quale conseguenza della cancellazione dal Registro delle imprese, comporta lo scioglimento del contratto preliminare avente ad oggetto la compravendita di partecipazioni sociali, rendendo le stesse beni non più commerciabili: si verte in tal caso in un'ipotesi di risoluzione del preliminare per impossibilità sopravvenuta della prestazione (Trib. Roma, III, 23 febbraio 2016, in Ilsocietario.it 2016, 27 maggio).

Orientamento prevalente di merito

Nel caso di dedotta risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali è inammissibile il ricorso d'urgenza per difetto di residualità

La giurisprudenza di merito tende ad escludere l'ammissibilità del ricorso d'urgenza con il quale si richieda, in virtù del fumus boni juris circa l'avvenuta risoluzione del contratto di cessione delle partecipazioni sociali, la retrocessione in via d'urgenza delle stesse, per difetto del requisito di residualità, potendo essere a tal fine utilizzato il rimedio “tipico” del sequestro giudiziario.

Questo orientamento è stato fondato sul generale assunto, pacifico anche nella giurisprudenza di legittimità, per il quale ai fini dell'applicabilità dell'art. 670 c.p.c., legittimati a chiedere il sequestro giudiziario sono non soltanto i titolari dei diritti reali, ma anche i titolari di diritti personali relativi a beni mobili o immobili, poiché la controversia sulla proprietà o il possesso può sussistere non solo quando siano esperite le tipiche azioni a presidio di tali diritti, ma anche quando si tratti di azioni personali ad effetto la restituzione della cosa da altri detenuta” (Cass., n. 5066/1984).

Tale principio comporta, in vero, che la misura del sequestro giudiziario è strumentale non solo all'esperimento di azioni reali, ma anche di azioni di natura personale, volte comunque ad ottenere la restituzione del bene, per cui si è in presenza di una controversia sulla proprietà o il possesso non soltanto quando siano o saranno esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui sia stata proposta o debba proporsi un'azione contrattuale che, se accolta, importi condanna alla restituzione di un bene, come nelle ipotesi di azioni personali aventi ad oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta. Ciò in quanto, il termine “possesso”, usato dall'art. 670 c.p.c. unitamente a quello di proprietà, non va inteso in senso strettamente letterale, rientrando in esso anche la detenzione (cfr. Cass. I, n. 9645/1994).

In ragione di ciò rispetto ad una domanda cautelare fondata sull'intervenuta risoluzione di diritto del contratto di cessione di quote e sul pericolo che il predetto cessionario — ancora nel possesso delle quote essendo rimasto inerte alla richiesta della loro retrocessione — potesse vendere le stesse a terzi ovvero esercitare i diritti sociali, pur non avendo più la qualità di socio, il ricorso ex art. 700 c.p.c. è stato dichiarato inammissibile, stante la proponibilità, con effetti “satisfattivi” rispetto agli indicati pericula, del sequestro giudiziario. Sotto quest'ultimo profilo, la decisione ha in particolare osservato che “il nostro ordinamento prevede uno strumento cautelare tipico per tutelare in via anticipata e urgente il diritto vantato dai ricorrenti, consistente nell'accertamento della risoluzione del contratto di cessione e nella retrocessione delle quote. Tale strumento è quello del sequestro giudiziario, che consente di evitare sia il rischio che il bene controverso possa essere venduto a terzi, sia il dedotto rischio di una impossibilità di funzionamento dell'assemblea, potendo essere esercitati dal custode i diritti sociali. Del resto, l'art. 670 c.p.c. consente di utilizzare tale strumento tipico quando è opportuno provvedere alla custodia o alla gestione temporanea dei beni di cui è controversa la proprietà o il possesso. Inoltre, il provvedimento di sequestro giudiziario è destinato ad essere iscritto nel Registro delle Imprese, risultando così tutelata la posizione dei ricorrenti anche nei confronti dei terzi” (Trib. Roma, III, 14 gennaio 2016).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il sequestro giudiziario può essere concesso quando vi sia una controversia sulla proprietà o il possesso di beni e sia opportuno provvedere alla loro custodia o gestione temporanea.

Il periculum in mora tipico del sequestro giudiziario di beni costituito dall'opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene controverso.

Sotto un profilo generale, la giurisprudenza ha evidenziato che il periculum in mora a fronte del quale può essere richiesta la concessione di un sequestro giudiziario costituisce un particolare forma di periculum in mora, più leggera del periculum “standard” e consistente nel pericolo anche astratto (cfr. Cass. III, n. 854/1982; Trib. Monza, 17 aprile 2001, in Gius, 2001, 2292) che i beni controversi subiscano deterioramenti, alterazioni o sottrazioni nel corso del giudizio di merito nonché nella conseguente necessità di sottrarre i beni stessi alla libera disponibilità del sequestrato, allo scopo di assicurare l'utilità pratica del futuro eventuale provvedimento sul merito della controversia (Trib. Bari, III, 16 nov. 2014, in Giustiziacivile.com, 2015, con nota di Costabile). Per una recente applicazione in tema di sequestro giudiziario di beni ereditari (v. Trib. Savona, 30 ottobre 2013).

La prima forma di periculum che può venire in rilievo a fronte della domanda di concessione di un sequestro giudiziario è quindi quella concernente l'opportunità di una custodia o gestione temporanea del bene che, qualora lasciato nella disponibilità del convenuto sino all'emanazione della decisione di merito, potrebbe essere danneggiato o disperso, così vanificando la fruttuosità dell'eventuale esecuzione in forma specifica per la consegna del bene al termine della lite. Questa situazione può verificarsi, ad esempio, laddove nelle more dell'emanazione della pronuncia di merito la natura “produttiva” del bene renda opportuna la custodia del medesimo (v., ex ceteris, Trib. Monza, 17 aprile 2001; Trib. Napoli, 21 settembre 1999, in Gius, 2000, n. 4, 455; Trib. Bologna, 13 gennaio 1997, in DF, II, 1032; Trib. Pescara, 7 agosto 1995, in Giur. Merito, 1996, 242).

Mediante la richiesta di un sequestro giudiziario di beni la parte ricorrente può, in secondo luogo, tutelarsi dal pericolo derivante dall'art. 1153 c.c., ossia dalla possibilità che un terzo di buona fede acquisiti il bene a titolo originario dal sequestrato: a riguardo è opportuno ricordare che, sebbene l'art. 111 c.p.c. disponga in via generale che la decisione resa tra le parti originarie ha effetto anche nei confronti dell'avente causa, fa salvo il caso dell'acquisto in buona fede dei beni mobili ai sensi dell'art. 1153 c.c. In altri termini, l'emanazione del sequestro giudiziario è in questo caso funzionale a sottrarre la materiale disponibilità del bene a colui che potrebbe far acquistare ad un terzo l'acquisto a titolo originario a seguito della consegna.

Aspetti preliminari

Competenza

Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito.

La relativa competenza è demandata, trattandosi di rapporti societari, al Tribunale delle imprese (o, rectius, alla sezione specializzata costituita in alcuni Tribunali per tale materia) ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 168 del 2003.

Risolvendo un delicato contrasto di giurisprudenza che si era formato sulla questione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 19882/2019) hanno chiarito che il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell'ufficio giudiziario, da cui l'inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d'ufficio ex art. 45 c.p.c. Al contrario, rientra nell'ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l'ufficio giudiziario, diverso da quello ove la prima sia istituita. Quest'ultima circostanza assume rilievo perché, come noto, le sezioni specializzate in materia di impresa non sono costituite presso tutti i Tribunali ma solo presso i Tribunali e le Corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1, comma 1, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), presso i Tribunali e le Corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città ora elencate (art. 1 comma 1 bis), nonché presso i Tribunali e le Corti di appello di Brescia e di Bolzano.

Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa.

Contenuto del ricorso ante litem

È costante in giurisprudenza il principio in forza del quale, a pena di inammissibilità, nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi della controversia di merito che sarà necessariamente incardinata dopo la fase cautelare trattandosi, per l'ipotesi di sequestro giudiziario, di misura cautelare conservativa, a strumentalità c.d. strutturale o rigida.

Onere della prova

In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora.

Sul fumus boni juris, non è necessaria la piena delibazione della fondatezza della pretesa, ma solo la formulazione di un giudizio di probabilità che, essendo stato il sequestro richiesto in corsa di causa, si sostanzia nell'accertamento della verosimile fondatezza della domanda proposta dalla parte istante con l'instaurazione del giudizio di merito. Tale valutazione, necessariamente sommaria, è da svolgersi allo stato degli atti e si risolve nella comparazione tra l'attendibilità delle reciproche prospettazioni articolate da entrambe le parti (cfr. in tal senso Trib. Taranto, 20 ottobre 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 340). D'altronde, la stessa giurisprudenza di legittimità, anteriormente all'introduzione del rito cautelare uniforme, ha espressamente manifestato la sua adesione a quest'ultima opinione, per un verso, chiarendo che, “qualora si controverta sulla restituzione di una cosa da altri detenuta, il sequestro giudiziario può essere concesso soltanto se, in relazione al fumus boni iuris, sussista, oltre la possibilità di accoglimento della pretesa di chi ha richiesto la misura cautelare, anche la probabilità che da tale accoglimento consegua, in concreto, il diritto dell'attore all'immediata restituzione del bene” (cfr. Cass. III, n. 383/1982) e, per l'altro, precisando che “il fumus boni juris necessario per l'accoglimento della richiesta di sequestro ex art. 670 c.p.c. non equivale a superficialità del giudizio stesso, dal momento che le valutazioni sul merito espresse in sede di convalida non possono mai pregiudicare la decisione finale o vincolare il giudice del merito” (cfr. Cass. I, n. 7210/1994).

Il provvedimento:

a) effetti

Il sequestro giudiziario è una misura cautelare di carattere conservativo sicché, affinché conservi efficacia, se concesso prima dell'introduzione del giudizio di merito, è necessario che la parte interessata proponga detto giudizio entro il successivo termine di sessanta giorni.

b) regime

L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare, è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza.

Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. per difetto del requisito di decisorietà.

4. Conclusioni

Il contratto di cessione delle partecipazioni sociali può essere risolto per una serie di motivi che comportano la retrocessione del cedente nei propri diritti.

Rispetto alle problematiche, anche di rilevanza cautelare che possono sorgere se alla risoluzione, specie se di diritto, non segua la retrocessione per la mancata collaborazione del cessionario (in punto, ad esempio, di esercizio di voto), recente giurisprudenza di merito ha ritenuto inammissibile il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., stante il rimedio “tipico” del sequestro giudiziario. Si è in particolare osservato che detto strumento consente di evitare sia il rischio che il bene controverso possa essere venduto a terzi, sia il dedotto rischio di una impossibilità di funzionamento dell'assemblea, potendo essere esercitati dal custode i diritti sociali. Del resto, l'art. 670 c.p.c. consente di utilizzare tale strumento tipico quando è opportuno provvedere alla custodia o alla gestione temporanea dei beni di cui è controversa la proprietà o il possesso. Inoltre, il provvedimento di sequestro giudiziario è destinato ad essere iscritto nel Registro delle Imprese, risultando così tutelata la posizione dei ricorrenti anche nei confronti dei terzi” (Trib. Roma, III, 14 gennaio 2016).

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