Tutela d'urgenza rispetto a diritti riconosciuti dall'Unione Europea violati dalla normativa interna1. Bussole di inquadramentoIl primato del diritto dell'Unione europea sul diritto nazionale incompatibile Come noto, le modalità secondo le quali opera il principio del primato del diritto europeo sulle normative interne degli Stati membri ad essi incompatibili, sono state esplicate dalla Corte di Giustizia sin dalla celebre arrêt Simmenthal (CGCE, 9 marzo 1978, Simmenthal c. Amministrazione delle Finanze dello Stato, C-106/77, in Racc., 1978, 629) la quale ha affermato che i giudici nazionali sono tenuti a garantire una piena tutela dei diritti derivanti dalle fonti comunitarie anche qualora ciò comporti la disapplicazione di una disposizione contrastante di diritto interno emanata successivamente e senza che sia a tal fine necessario adire la Corte Costituzionale. I tempi necessari per la conclusione del giudizio costituzionale potrebbero, infatti, compromettere irrimediabilmente il principio di immediata ed uniforme applicazione delle disposizioni comunitarie in tutti gli Stati membri. Di talché, si è affermata l'incompatibilità con il diritto comunitario di qualsivoglia previsione o prassi nazionale che avrebbe per effetto di diminuire l'effettività del diritto europeo non attribuendo al giudice competente per applicare un tale diritto il potere di fare tutto quanto necessario per disapplicare le previsioni interne eventualmente di ostacolo alla piena efficacia delle norme comunitarie. Sempre nella pronuncia Simmenthal si è inoltre precisato, in una ricostruzione in chiave gerarchica del rapporto tra norme comunitarie e norme interne coerente con la dottrina monista, che la supremazia del diritto comunitario direttamente applicabile impedisce la stessa valida formazione di nuovi atti normativi nazionali incompatibili con le norme europee. La disapplicazione provvisoria della normativa interna interno in contrasto con quella europea Sorge di qui il dubbio se nell'ambito di procedimenti di natura cautelare, il giudice nazionale possa porre a fondamento del giudizio di verosimiglianza sull'apparenza del buon diritto del ricorrente il rapporto tra il diritto nazionale e quello europeo e, in particolare, la circostanza che quel diritto sia fondato sul diritto europeo. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
I giudici nazionali possono valutare la compatibilità con il diritto unionale di una norma ritenuta dalla Corte Cost. conforme a una disposizione costituzionale nazionale?
Si, in quanto anche le norme europee fanno parte del diritto costituzionale L'art. 19, par. 1, comma 2, TUE, in combinato disposto con l'articolo 2 e l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, TUE, con l'articolo 267TFUE, nonché con il principio del primato del diritto dell'Unione, osta a una normativa o a una prassi nazionale, che implica che i giudici ordinari di uno Stato membro non sono competenti a esaminare la conformità al diritto dell'Unione di una normativa nazionale che la Corte costituzionale di tale Stato membro ha dichiarato conforme a una disposizione costituzionale nazionale, che impone il rispetto del principio del primato del diritto dell'Unione (CGUE, grande sezione, n. 430/2022).
Domanda
Il giudice di grado superiore può vagliare la legittimità di un ricorso pregiudiziale interpretativo?
No, in virtù del principio del primato del diritto unionale L'art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il giudice supremo di uno Stato membro constati, a seguito di un'impugnazione nell'interesse della legge, l'illegittimità di una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte da un giudice di grado inferiore ai sensi di tale disposizione, per il motivo che le questioni poste non sono rilevanti e necessarie ai fini della soluzione del procedimento principale, senza tuttavia pregiudicare gli effetti giuridici della decisione contenente tale domanda, e, dall'altro lato, che il principio del primato del diritto dell'Unione impone a detto giudice di grado inferiore di annullare siffatta decisione del giudice supremo nazionale (CGUE, grande sezione, n. 564/2021). Orientamento della Corte di Giustizia Anche in sede cautelare il giudice nazionale può disapplicare le leggi interne che impediscano di emanare provvedimenti provvisori fondati su norme europee La Corte di giustizia ha da lungo tempo chiarito che il giudice nazionale deve disapplicare tutte le leggi interne che gli impediscano di emanare provvedimenti provvisori di indole cautelare a tutela di diritti fondati sulle norme comunitarie, qualora ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia satisfattiva della decisione finale di merito e di assicurare un'applicazione uguale ed uniforme delle norme comunitarie nei confronti di tutti i destinatari nei vari Stati membri. La Corte ha sottolineato che è infatti compito dei giudici nazionali cooperare, anche disapplicando la normativa interna eventualmente incompatibile, per garantire ai singoli una piena tutela in conformità alle norme comunitarie (CGCE, 19 giugno 1990, Factortame c. Governo del Regno Unito, C-213/89, in Racc., 1990, 2433). L'espressa attribuzione da parte della Corte di Giustizia ai giudici nazionali del potere di disapplicare in via provvisoria, nell'ambito di procedimenti di natura cautelare, le norme interne in virtù di un verosimile contrasto delle stesse con il diritto comunitario costituisce una presa di posizione coerente con il parallelo sindacato di carattere diffuso che gli stessi giudici nazionali sono chiamati a compiere laddove accertino, a seguito di una cognizione piena ed esauriente, un contrasto tra le norme comunitarie e quelle interne rilevanti per la decisione della fattispecie concreta. Ai fini della concessione del provvedimento sono applicabili le norme processuali nazionali La Grande Sezione della Corte di Giustizia ha espressamente confermato che, qualora un giudice nazionale sia chiamato a sospendere in via cautelare gli effetti di una disposizione interna la quale appare contrastante con il diritto comunitario, deve decidere se concedere o meno la stessa facendo riferimento alle condizioni sancite dalla legge nazionale per la concessione delle misure cautelari. Si tratta, di conseguenza, di un chiaro riconoscimento dell'operare, nella fattispecie in esame, del principio di autonomia processuale degli Stati membri l'applicazione del principio dell'autonomia processuale degli Stati membri anche alle fattispecie nelle quali il giudice della cautela debba disapplicare provvisoriamente le norme interne che impediscono la piena operatività del diritto comunitario implica che un tale potere deve essere esercitato in presenza dei medesimi presupposti che, in accordo con il diritto interno dei singoli Stati membri, giustificano la concessione di misure di indole cautelare (CGCE, Gr. Ch., 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Il ricorso d'urgenza è un rimedio di carattere residuale che consente, in assenza di altri strumenti di tutela cautelare che consentano di ottenere in concreto il medesimo grado di tutela per una determinata situazione giuridica soggettiva, di richiedere ed ottenere l'emanazione di provvedimenti atipici nel loro contenuto. È però a tal fine necessario, oltre alla prova di un periculum in mora particolarmente rigoroso, ossia quello di un pregiudizio imminente ed irreparabile, quella del fumus boni juris. Nella fattispecie che ne occupa, da questo punto di vista, almeno a livello di accertamento sommario, andrà dimostrata l'illegittimità della norma unionale la quale ha determinate o sarebbe suscettibile di determinare la violazione di una situazione giuridica soggettiva della quale è richiesta tutela urgente. Aspetti preliminari Competenza Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito. Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa. Contenuto del ricorso Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare. Onere della prova In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora. Nel caso in esame, il fumus boni juris verterà sulla verosimile illegittimità della norma interna che impedisce l'affermazione del diritto per contrasto con il diritto europeo ovvero sull'apparente fondamento della situazione giuridica fatta valere sul diritto unionale. Efficacia Il provvedimento: a) spese Anche se la domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. è proposta ante litem e viene accolta, al termine del giudizio cautelare il giudice deve liquidare le spese del relativo procedimento in quanto l'instaurazione di quello di merito è meramente eventuale. b) effetti Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito. Il provvedimento tuttavia non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena. c) modifica e revoca Poiché la tutela cautelare viene concessa dal giudice nazionale sul presupposto di un ipotetico contrasto tra la legge interna e quella comunitaria prevalente, ed una tale valutazione integra quella del fumus boni juris, occorre interrogarsi sulle conseguenze dell'accertamento che il contrasto invocato era solo apparente nel giudizio di merito. Dovranno allora trovare applicazione le regole generali che presiedono ai rapporti tra tutela cautelare e tutela di merito. In sostanza, realizzandosi la c.d. primauté au provisoire in forza di una valutazione meramente sommaria del giudice della cautela in ordine all'esistenza di un contrasto tra norme interna e diritto comunitario, gli effetti della stessa vengono meno ogni qual volta il giudice di merito operi, a cognizione piena ed esauriente, una valutazione difforme Ciò può derivare, come è agevole notare, da una pluralità di fattori quali, ad es., la non applicabilità della previsione comunitaria nella fattispecie concreta o la mera apparenza del contrasto tra norma comunitaria e norme nazionale previamente disapplicata. In tal caso il venir meno degli effetti della misura cautelare si ricollega al generale principio dell'inefficacia dei provvedimenti cautelari a seguito del successivo accertamento, nel giudizio di merito, dell'inesistenza del diritto cautelando (Cass., n. 17866/2005). Del tutto peculiare è, invece, la situazione che può verificarsi nell'ipotesi in cui sia la Corte di Giustizia, adita in sede di rinvio pregiudiziale, a negare l'esistenza del contrasto tra disposizione comunitaria e disposizione nazionale disapplicata dal giudice interno in sede cautelare. Quanto al regime, in tale ipotesi, del provvedimento cautelare pronunciato dal giudice nazionale sulla base della verosimile incompatibilità tra norma interna e norme comunitaria, è ragionevole tener conto dell'operare, del principio dell'autonomia processuale degli Stati membri in tema di condizioni per la concessione da parte del giudice interno delle misure cautelari fondate su diritti derivanti dal sistema comunitario. Si dovrà, in particolare, avere riguardo agli strumenti esistenti all'interno degli stessi che consentono la revoca e/o modifica dei provvedimenti cautelari, che, avendo carattere eminentemente provvisorio, sono radicalmente inidonei a passare in cosa giudicata. Ne deriva che, ad es., nel sistema processuale italiano la norma di riferimento sarà costituita dall'art. 669-decies c.p.c. il quale consente una modifica o revoca dei provvedimenti cautelari qualora intervenga un mutamento delle circostanze. 4. ConclusioniIl principio del primato del diritto europeo sulle normative interne degli Stati membri incompatibili con lo stesso comporta che i giudici nazionali sono tenuti direttamente ad assicurare una piena tutela dei diritti derivanti dalle fonti comunitarie anche qualora ciò comporti la disapplicazione di una disposizione contrastante di diritto interno emanata successivamente e senza che sia a tal fine necessario adire la Corte Costituzionale (CGCE, 9 marzo 1978, Simmenthal c. Amministrazione delle Finanze dello Stato, C-106/77, in Racc., 1978, 629). Sorgeva di qui il dubbio se, nell'ambito di procedimenti di natura cautelare, il giudice nazionale possa porre a fondamento del giudizio di verosimiglianza sull'apparenza del buon diritto del ricorrente il rapporto tra il diritto nazionale e quello europeo e, in particolare, la circostanza che quel diritto sia fondato sul diritto europeo. A riguardo, la Corte di giustizia ha da lungo tempo chiarito che il giudice nazionale deve disapplicare tutte le leggi interne che gli impediscano di emanare provvedimenti provvisori di indole cautelare a tutela di diritti fondati sulle norme comunitarie, qualora ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia satisfattiva della decisione finale di merito e di assicurare un'applicazione uguale ed uniforme delle norme comunitarie nei confronti di tutti i destinatari nei vari Stati membri (CGCE, 19 giugno 1990, Factortame c. Governo del Regno Unito, C-213/89, in Racc., 1990, 2433). Per altro verso, in coerenza con il c.d. principio di autonomia processuale degli Stati membri, la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha evidenziato che, qualora un giudice nazionale sia chiamato a sospendere in via cautelare gli effetti di una disposizione interna, la quale appare contrastante con il diritto comunitario, deve decidere se concedere o meno la stessa facendo riferimento alle condizioni sancite dalla legge nazionale per la concessione delle misure cautelari (CGCE, Gr. Ch., 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05). |