Il possesso ingiustificato di strumenti atti ad aprire serrature

SERGIO BELTRANI

1. Bussole di inquadramento

L'art. 707 c.p. (inserito tra le contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio e dichiarato incostituzionale «limitatamente alla parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta» da Corte cost., n. 14/1971) punisce chiunque, essendo stato condannato per delitto determinato da motivi di lucro o per contravvenzione concernente la prevenzione dei delitti contro il patrimonio, sia colto in possesso di chiavi false o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature.

Si tratta di un tipico reato di pericolo: la norma incriminatrice ha lo scopo di impedire che il reo, essendo in possesso di strumenti idonei ad aprire serrature, possa servirsene per commettere reati determinati da motivi di lucro, e ciò si desume dai motivi della lettera della legge e dalla collocazione della norma tra le disposizioni che hanno per oggetto le contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (Cass. V, n. 7601/1975: la S.C. ha anche ritenuto che non commette il reato in questione, per assoluta deficienza di pericolo, colui che venga sorpreso nel momento in cui sta sbarazzandosi in modo inequivocabile di strumenti atti allo scasso, essendo evidente che l'agente non intende più usarli per scopi delittuosi).

Ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista e punita dall'art. 707 c.p. occorre, sotto il profilo soggettivo, la condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro; sotto il profilo oggettivo, occorre l'attualità del possesso degli strumenti atti allo scasso o la loro immediata disponibilità (Cass. II, n. 52523/2016), che non presuppone, però, un rapporto di contiguità fisica costante con gli stessi: ne consegue che ricorre l'elemento materiale della contravvenzione anche quando gli oggetti vengano rinvenuti non sulla persona del soggetto, ma nella sua abitazione o in un luogo al quale egli possa accedere e riporre le proprie cose, in modo da poterne disporre e fare uso in ogni momento (Cass. II, n. 28079/2015: fattispecie nella quale l'imputato è stato condannato per il possesso ingiustificato di un “piede di porco” e di due scalpelli in ferro, rinvenuti a seguito di perquisizione presso la sua abitazione).

La legittimità costituzionale della norma incriminatrice è stata affermata dalle sentenze n. 265/2005 e n. 225/2008 della Corte costituzionale.

Con quest'ultima decisione, il Giudice delle leggi ha premesso che l'ampia discrezionalità che va riconosciuta al legislatore nella configurazione delle fattispecie criminose si estende alle modalità di protezione dei singoli beni o interessi, e che rientrano in tale discrezionalità anche l'opzione per forme di tutela avanzata, che colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, e l'individuazione della soglia di pericolosità cui connettere la risposta punitiva, nel rispetto del principio di necessaria offensività del reato; in tale ambito, spetta alla Corte procedere alla verifica della offensività “in astratto”, acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo, esigenza che, nell'ipotesi di reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto risponda all'id quod plerumque accidit, poiché, se tale condizione è soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario.

Ciò premesso, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 707 c.p., censurato in riferimento all'art. 3 Cost., all'art. 27, commi primo e terzo, Cost., agli artt. 24 e 27 Cost. ed all'art. 25 Cost., poiché, delineando la contravvenzione di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, configurerebbe un reato di pericolo legato alle sole condizioni personali dell'agente ed in assenza di un'offesa per il bene protetto.

La Corte costituzionale ha ricordato che «la sentenza n. 265/2005 ha già chiarito che la fattispecie non è in contrasto con il principio di offensività in astratto, poiché non configura una responsabilità per il modo di essere dell'autore, ma mira a salvaguardare il patrimonio rispetto a situazioni di pericolo normativamente tipizzate, richiedendo tre requisiti: una particolare qualità del soggetto attivo (persona già condannata in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio), il possesso di oggetti idonei a vincere congegni posti a difesa della proprietà, e l'incapacità del soggetto di giustificare la destinazione attuale di tali strumenti».

Per quanto riguarda la dedotta violazione dell'art. 3 Cost., che ha ritenuto che non sono, conseguentemente riscontrabili, la lamentata irragionevolezza, «poiché, a fronte di una condotta che deve già presentare una potenziale proiezione verso l'offesa al patrimonio, non è irragionevole la scelta di tener conto di precedenti condanne per reati aggressivi dello stesso bene», e la dedotta violazione del principio di eguaglianza, «posto che le situazioni messe a confronto dal rimettente – quella del condannato in via definitiva per i reati indicati dalla norma censurata e quella di colui che, pur avendo commesso lo stesso fatto, non è stato condannato, per l'estinzione del reato o l'improcedibilità dell'azione penale – non sono comparabili, visto che nel caso del prosciolto, anche se non nel merito, è mancato un accertamento della responsabilità per il fatto anteriore».

Con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 27, commi primo e terzo, Cost., ha ritenuto che la soluzione normativa de qua «non è in contrasto con il principio di personalità della responsabilità per fatto proprio colpevole, poiché il presupposto soggettivo da cui dipende l'applicazione della norma incriminatrice è costituito da un dato certo e pienamente conoscibile dal soggetto attivo (la precedente condanna irrevocabile), che è quindi messo nella condizione di evitare la realizzazione dell'elemento oggettivo del reato»; né può ritenersi violata la finalità rieducativa della pena, «posto che al legislatore non è inibito prevedere che alla condanna conseguano effetti penali, al cui novero va ascritto quello in oggetto»; per altro verso, ciò trasforma la condanna in un “marchio indelebile”', tale da porre il condannato in una posizione di eterno sfavore rispetto alla generalità dei cittadini, «visto che il condannato cessa di rientrare tra i possibili autori della contravvenzione di cui all'art. 707 c.p. ove abbia ottenuto la riabilitazione»;

Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 24 e 27 Cost., secondo il rimettente la norma impugnata stabilirebbe un'inversione dell'onere della prova in danno dell'imputato: in realtà, secondo la Corte costituzionale, «al di là della formulazione letterale – “dei quali non giustifichi l'attuale destinazione” – ciò che la norma prefigura è solo un onere di allegazione, da parte dell'imputato, delle circostanze da cui possa desumersi la destinazione lecita degli oggetti, che non risultino conosciute o conoscibili dal giudicante, il quale potrà comunque trarre aliunde il convincimento in ordine alla liceità degli obiettivi di impiego degli strumenti, ove l'imputato abbia scelto la via del silenzio».

Per quanto, infine, riguarda la dedotta violazione dell'art. 25 Cost., si è ritenuto che la soluzione normativa de qua non viola il principio di determinatezza della fattispecie penale, «posto che la locuzione utilizzata dal legislatore fa perno sull'attitudine funzionale degli strumenti posseduti ad aprire o sforzare serrature, attitudine la cui verifica non eccede il normale compito ermeneutico istituzionalmente demandato al giudice. Lo stesso è a dirsi per le modalità e le circostanze spazio-temporali della detenzione, la cui analisi è necessaria ai fini della verifica della concretezza e dell'attualità del pericolo».

Applicazioni

Le cesoie costituiscono strumento atto ad aprire o a forzare serrature, poiché in tale categoria rientrano non solo le chiusure dotate di chiavi, ma anche altri mezzi, come lucchetti o catene assicurate con analoghi strumenti, che impediscono l'accesso e l'apertura di porte e varchi (Cass. II, n. 11564/2021).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
La condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro sussiste anche in presenza di una sentenza di patteggiamento?

Orientamento meno recente e superato

No, non sussiste

Secondo un orientamento non recente, ed ormai superato, non si configura, per difetto della condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro, il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, se l'autore ha come unico precedente una sentenza di patteggiamento (art. 444 c.p.p.) – nella specie, per un tentativo di furto -, in quanto la sentenza di patteggiamento non è una sentenza di condanna ma a questa è solamente equiparata quanto agli effetti, e tra i suoi effetti non rientra l'assunzione della condizione di persona già condannata (Cass. II, n. 21424/2006).

Orientamento consolidato

Si, sussiste

Si è, peraltro, ormai consolidato il contrario orientamento, per il quale la condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro, ricorrendo la quale è configurabile il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, ricorre anche quando l'autore sia stato destinatario solo di una sentenza di “patteggiamento”, poiché questa contiene l'accertamento e l'affermazione impliciti della responsabilità dell'imputato (Cass. II, n. 49281/2012; Cass. II, n. 41477/2018; Cass. II, n. 44190/2018).

Domanda
È possibile negare, per il reato di cui all'art. 707 c.p., le attenuanti generiche valorizzando i precedenti penali dell'imputato?

L'orientamento consolidato in giurisprudenza

La giurisprudenza ritiene che, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, le circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.) possono essere negate sulla base della valutazione anche di uno soltanto dei parametri dell'art. 133 c.p., ma con esclusione dei precedenti penali e giudiziari relativi a “delitti determinati da motivi di lucro” o a “contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio”, perché, essendo questi il presupposto per la sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 707 c.p., l'applicazione del parametro di cui all'art. 133, comma secondo, n. 2, c.p., in relazione a tali reati, comporterebbe la negazione in assoluto, a priori, delle attenuanti generiche (Cass. II, n. 28752/2020; Cass. II, n. 52523/2016).

Domanda
Può concorrere nel reato di cui all'art. 707 c.p. un soggetto che non versi nella condizione soggettiva prevista dalla disposizione?

L'orientamento consolidato in giurisprudenza

Secondo la giurisprudenza consolidata, nel reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli la particolare qualificazione del soggetto attivo per precedenti condanne per reati commessi per motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, non impedisce di ravvisare la responsabilità a titolo concorsuale di soggetti che non si trovino in tali condizioni personali o che non siano colti in possesso di oggetti atti allo scasso, purché abbiano consapevolezza della particolare qualità di condannato del concorrente e del fatto che questi detiene gli indicati oggetti, di cui possono servirsi direttamente o indirettamente, aiutando l'altro a farne uso (Cass. II, n. 16354/2016).

Una successiva decisione ha precisato che è sufficiente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, la consapevole disponibilità concreta ed immediata, da parte di più persone, degli arnesi predetti, essendo irrilevante l'originaria appartenenza di essi ad uno solo dei correi e dovendosi, viceversa, dare rilievo alla possibilità di questi ultimi di servirsene o di aiutare il proprietario a servirsene (Cass. II, n. 47686/2018).

Domanda
Come si atteggiano i rapporti tra la contravvenzione di cui all'art. 707 c.p. ed il furto?

L'orientamento consolidato in giurisprudenza

Un orientamento non recente, in tema di rapporti tra la contravvenzione di cui all'art. 707 c.p. ed il delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624 e 625, comma primo, n. 2, c.p.), ha ritenuto che si verifica l'assorbimento della predetta contravvenzione nel delitto di furto aggravato soltanto nel caso in cui gli arnesi atti allo scasso siano effettivamente serviti per la commissione del furto, ed il loro possesso sia stato limitato all'uso momentaneo necessario per l'effrazione, senza protrarsi per un ulteriore arco di tempo giuridicamente apprezzabile, giacché solo in tale ipotesi il collegamento tra i due illeciti, sussistente in termini di immediatezza e di strumentalità, dà vita ad una fattispecie complessa e rende operante il principio di specialità; a tal fine è necessario che non vi sia frattura temporale e spaziale tra la commissione del furto e l'accertamento del possesso degli arnesi atti allo scasso, ma ciò può rivelarsi non sufficiente, dovendosi ritenere il concorso materiale tra il delitto di furto aggravato ai sensi dell'art. 625, comma primo, n. 2, c.p. e la contravvenzione di cui all'art. 707 c.p. ogni qualvolta gli arnesi, atti ad aprire o a forzare serratura, trovati in possesso dell'agente, siano tali e tanti da assumere una autonoma giuridica rilevanza, eccedente quella della apparente correlazione con la consumazione del furto (Cass. IV, n. 6521/1995).

Secondo la giurisprudenza più recente, il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli è assorbito nel reato di furto nei casi in cui il possesso ingiustificato degli strumenti indicati dall'art. 707 c.p. risulti strettamente collegato all'uso degli stessi fatto dall'agente per la commissione del furto, e quindi nelle sole ipotesi di impiego effettivo delle attrezzature da scasso nell'azione delittuosa e di detenzione attuatasi esclusivamente con l'uso necessario all'effrazione (Cass. V, n. 431/2016; Cass. II, n. 5731/2020); tale nesso deve essere escluso qualora gli arnesi atti all'effrazione, trovati in possesso del soggetto attivo, siano tali da assumere autonoma rilevanza giuridica (Cass. V, n. 19047/2010).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàPer il reato di cui all'art. 707 c.p. si procede di ufficio.

Prescrizione del reato ed improcedibilità delle impugnazioni

Il termine-base di prescrizione è pari ad anni quattro (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni cinque (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, legge 27 settembre 2021, n. 134), costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, legge 27 settembre 2021, n. 134).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Arresto e fermo non sono mai consentiti.

Misure cautelari personali

Non è mai consentita l'applicazione di misure cautelari personali.

Competenza e citazione a giudizio

È competente il tribunale in composizione monocratica, e si procede con citazione diretta a giudizio.

4. Conclusioni

La legittimità costituzionale dell'art. 707 c.p. è stata anche confermata dalla Corte di cassazione: la questione riguardante il presunto contrasto della disposizione con l'art. 3 Cost., sollevata per il rilievo che, sanzionando il possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, essa finisce col punire atti preparatori di delitti contro il patrimonio non punibili a titolo di tentativo, con una pena edittale detentiva (da sei mesi a due anni di arresto) più grave di quella prevista per il tentativo di furto e di danneggiamento, senza che tale differenza possa essere ricondotta in limiti ragionevoli dall'esercizio del potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena, è stata dichiarata manifestamente infondata, non sussistendo ingiustificata situazione di disparità di trattamento, trattandosi di reati differenziati per la loro natura soggettiva ed oggettiva a seguito di precisa scelta di politica criminale e punitiva fatta dal legislatore (Cass. II, n. 6575/1986).

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