La rilevanza penale dell'omesso pagamento del pedaggio autostradale da parte del conducente

FRANCESCA ROMANA FULVI

1. Bussole di inquadramento

La rilevanza penale dell'omesso pagamento del pedaggio autostradale da parte del conducente

Una questione abbastanza nota che è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza attiene alla rilevanza penale dell'omesso pagamento del pedaggio autostradale da parte del conducente.

Specificamente il caso vagliato in differenti occasioni dalla Cassazione concerne la condotta di un conducente che, dopo aver effettuato un viaggio in autostrada con la “propria” vettura, al suo termine non provvede al pagamento del pedaggio dovuto, dichiarandosi impossibilitato ad adempiere.

L'ipotesi ha posto, infatti, diverse problematiche: la prima concerne la configurabilità, o meno, del reato di insolvenza fraudolenta. In merito uno dei profili oggetto di esame ha riguardato la sussumibilità del silenzio serbato al momento della ricezione del talloncino all'ingresso in autostrada tra le forme esplicative della dissimulazione dello stato di insolvenza.

La seconda, invece, è sorta a seguito dell'introduzione dell'illecito amministrativo disciplinato dall'art. 176, comma 17, del d.lgs. n. 285/1992 (c.d. codice della strada). Quest'ultimo, infatti, punisce con una sanzione amministrativa, salvo che il fatto costituisca reato, la condotta di chi transiti senza fermarsi in corrispondenza delle stazioni creando pericolo per la circolazione, nonché per la sicurezza individuale e collettiva, ovvero ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio.

Si è posto, pertanto, il quesito se il comportamento dell'automobilista che si dichiari sprovvisto di denaro integri il delitto di insolvenza fraudolenta oppure l'illecito amministrativo sopradescritto e previsto dal codice della strada. Ciò in quanto l'art. 9 della l. n. 689/1981 impone l'applicazione della sanzione amministrativa rispetto a quella penale quando la disposizione amministrativa contenga tutti gli elementi di quella penale più i cosiddetti elementi specializzanti.

La configurabilità dell'insolvenza fraudolenta

Nel caso de quo ricorrono sia il presupposto, ovvero lo stato d'insolvenza del soggetto attivo, sia l'elemento oggettivo e quello soggettivo di reato. Specificamente affinché si consumi il delitto di cui all'art. 641 c.p. è necessario che l'agente contragga un'obbligazione col proposito di non adempierla e che, poi, effettivamente non lo faccia.

La ratio dell'art. 641 c.p. si rintraccia, infatti, proprio nella tutela del diritto del creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti di un'obbligazione di contenuto patrimoniale scaturente da un contratto consumati dalla controparte. In particolare, gli inadempimenti devono essere realizzati con modalità tali da rendere inadeguata la tutela apprestata dal c.c. (Cass. II, n. 6847/2015).

Il mancato pagamento del pedaggio autostradale costituisce inadempimento dell'obbligazione assunta al momento del ritiro del talloncino all'entrata dell'autostrada. Si ha inadempimento, infatti, quando il contraente non esegue esattamente la prestazione dovuta, ovvero, nel caso di specie, non corrisponda l'importo per il servizio di cui si è usufruito (rectius per i servizi connessi all'utilizzo dell'autostrada). Il contratto, inoltre, è concluso tra le parti per facta concludentia e si caratterizza per essere commutativo a titolo oneroso, per cui rientra nell'ambito di applicabilità dell'art. 641 c.p. Quest'ultimo è, infatti, circoscritto all'inadempimento delle sole obbligazioni derivanti da un contratto poiché, se il titolo fosse gratuito la parte che intende procurare all'altra un vantaggio senza equivalente non potrebbe lamentare alcuna lesione patrimoniale per l'atto della stessa compiuto. Oggetto di tale contratto possono essere solo le obbligazioni di dare nonché quelle di fare ed omettere purché, in tale seconda ipotesi, l'altra parte abbia un obbligo di dare, cioè di pagare, mancando, diversamente, l'oggettività giuridica del reato in esame.

Le S.U. (Cass. S.U., n. 7738/1997) hanno chiarito che il pedaggio funge da corrispettivo per l'uso dell'autostrada e che le tariffe autostradali hanno natura di controprestazione e non di tributo. Secondo la Corte, infatti, il rapporto tra la società concessionaria e l'utente autostradale si configura come un'offerta al pubblico: la prima offre un servizio mediante l'installazione di un distributore automatico di biglietti, il secondo accetta la predetta offerta con il comportamento tacito concludente del ritiro del biglietto e con l'inserzione automatica, ai sensi dell'art. 1339 c.c., del prezzo del servizio in base alle tariffe predeterminate dalla legge o da provvedimento amministrativo, come avviene per i distributori automatici di beni. Qualora, invece, al casello di entrata dell'autostrada vi sia un addetto alla distribuzione del tagliando di ingresso il rapporto negoziale si instaura tra l'utente e l'ente di gestione mediante il personale da questo incaricato nella forma tipica della proposta di contratto e della sua accettazione.

Per quanto attiene allo stato d'insolvenza, oggetto della dissimulazione, la giurisprudenza lo individua non soltanto nel mancato pagamento (come nel caso in analisi), ma anche, e soprattutto, nella condizione d'insolvibilità rappresentata dalla mancanza attuale, totale o parziale, della possibilità di pagare che non sia manifestata all'altra parte contraente. Esso, dunque, può avere sia carattere “assoluto” che “relativo”, cioè riferito esclusivamente all'obbligazione assunta, deve sussistere quando sorge l'obbligazione e permanere sino al momento dell'adempimento. Ciò in quanto l'art. 641 comma 2 c.p. prevede come speciale causa estintiva del reato proprio il pagamento di quanto pattuito prima che intervenga la condanna (Cass. S.U., n. 7738/1997). La prova di tale condizione può essere ricavata dal comportamento precedente e successivo dell'imputato o da quello da medesimo tenuto al momento dell'inadempimento (Cass. V, n. 30718/2021).

La Corte ha anche chiarito che lo stato di insolvenza dichiarato dall'utente al casello d'uscita del percorso autostradale deve essere collegato alla mera carenza di liquidità e, cioè, alla mancanza del danaro contante necessario per pagare, al casello, il pedaggio autostradale. Di conseguenza agli effetti della presenza concreta dell'insolvenza al casello di uscita deve farsi riferimento soltanto alla dichiarata impossibilità del debitore, in quel momento, di assolvere all'obbligo del pagamento della somma di danaro da lui dovuta (Cass. II, n. 10247/1996).

In relazione alla dissimulazione del proprio stato d'insolvenza, che si sostanzia in un comportamento diretto a nascondere una circostanza vera (ovvero l'incapienza del proprio patrimonio), che non consente di far fronte ai propri debiti (Cass. II, n. 3538/1980), un orientamento consolidato in giurisprudenza ha rappresentato che può consistere sia in un comportamento positivo, sia in uno negativo, come ad es. la reticenza, il silenzio o la menzogna, purché non integrante i veri e propri artifici o raggiri, perché in tal caso potrebbe configurarsi la truffa. La giurisprudenza ha, infatti, evidenziato che, poiché la dissimulazione può estrinsecarsi in diverse forme, può consistere anche in un comportamento negativo, come il silenzio serbato sulla propria incapacità di ottemperare ai debiti contratti, purché sorretto dall'intenzione di non far fronte agli obblighi conseguenti al contratto conclusi con la controparte (Cass. II, n. 8893/2017). Nel caso di specie ai fini della “dissimulazione” dello stato di insolvenza operato all'entrata dell'autostrada può assumere rilievo sintomatico il possesso del veicolo, che, in considerazione del suo valore, fa presumere la solvibilità del suo conducente.

Per quanto attiene all'elemento soggettivo il contratto avente ad oggetto l'utilizzazione da parte del conducente dell'autostrada, che la società concessionaria fornisce prima del pagamento del pedaggio, si stipula per facta concludentia ed il mancato pagamento è riconducibile ad un dolo che non è caratterizzato dall'induzione in errore, ma da un mero atteggiamento negativo dell'autore nei confronti dell'errore sulla solvibilità in cui versa la parte offesa (Cass. II, n. 11734/2008).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'omesso pagamento del pedaggio autostradale da parte dell'automobilista che si dichiari sprovvisto di denaro configura il delitto di insolvenza fraudolenta o l'illecito amministrativo previsto dall'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 (c.d. codice stradale)?

Orientamento minoritario della Corte di Cassazione

Un'impostazione minoritaria (Cass. II, n. 2957/1996; Cass. II, n. 10247/1996) ha ritenuto che al caso in analisi dovesse applicarsi la sanzione amministrativa di cui l'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 e non quella penale contemplata all'art. 641 c.p., depenalizzata in caso di mancato pagamento del pedaggio autostradale per effetto dell'entrata in vigore del predetto art. 176, comma 17. Ciò in quanto l'art. 9 della l. n. 689/1981 dispone l'irrogazione della sola sanzione amministrativa in ossequio al principio di specialità. In merito la giurisprudenza rilevava che il succitato art. 176, comma 17, disciplina due distinte ipotesi: la prima punisce la condotta dell'automobilista che, transitando senza fermarsi al casello autostradale, crei pericolo per la circolazione, mentre la seconda quella dell'utente della rete autostradale che pone in essere atti al fine di eludere, in tutto o in parte il pagamento del pedaggio. Tale fattispecie, pertanto, presenta tutti gli elementi di quella regolata dall'art. 641 c.p., e, in aggiunta, il riferimento alla specifica obbligazione relativa al pagamento del pedaggio.

Secondo tale indirizzo, poi, la clausola di riserva inserita nella disposizione amministrativa aveva la finalità di conservare la rilevanza penale delle fattispecie che, rispetto a quest'ultima, erano caratterizzate da un quid pluris (come artifici e raggiri, violenza, minacce) che le riconducono a norme penali – come quelle di cui agli artt. 640 e 628 c.p. – a loro volta speciali rispetto sia all'art. 641 c.p. sia all'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992. In riferimento a tali delitti, infatti, il contrasto non era risolvibile mediante il ricorso al principio di specialità perché ci si muoveva nell'ambito di fattispecie in rapporto di sussidiarietà.

Orientamento maggioritario della Corte di Cassazione

L'indirizzo giurisprudenziale maggioritario ha escluso che l'entrata in vigore dell'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 abbia depenalizzato il delitto di insolvenza fraudolenta in caso di mancato pagamento del pedaggio autostradale (Cass. II, n. 2888/1996; Cass. II, n. 10246/1996; Cass. II, n. 775/1996). La giurisprudenza osservava, infatti, che una diversa interpretazione appariva costituzionalmente illegittima perché con l'art. 2, comma 1, lett. d), della l. n. 190/1991 – Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale – è stato conferito mandato per la “revisione vigente delle infrazioni amministrative e relative sanzioni e previsioni di nuove ipotesi in conseguenza della nuova disciplina” e non è stato, invece, attribuito il potere di depenalizzare comportamenti costituenti reato.

Diversamente dall'impostazione minoritaria, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario riteneva la clausola di riserva contenuta nell'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992, “salvo che il fatto costituisca reato” consentisse di ipotizzare il reato di insolvenza fraudolenta ancorché commesso in autostrada. Sottolineava, infine, che nella casistica oggetto di vaglio da parte del giudice il programmato proposito di non adempiere all'obbligo del pagamento del pedaggio emergeva dalla reiterazione della condotta dei conducenti. La dissimulazione dello stato d'insolvenza era, invece, ravvisabile nel comportamento rituale dell'utente che, presentandosi al casello autostradale su di un mezzo a motore funzionante, faceva presumere la sua solvibilità all'atto di aderire all'offerta contrattuale di utilizzazione del servizio autostradale proveniente dalla società di gestione prendendo in consegna il talloncino di ingresso.

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Le Sezioni Unite sono intervenute per dirimere il contrasto e hanno affermato che l'omesso adempimento, da parte dell'utente, dell'obbligo di pagamento del pedaggio autostradale può integrare il delitto di insolvenza fraudolenta, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, poiché l'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità (Cass. S.U., n. 7738/1997). Proprio l'inserimento espresso della clausola di riserva all'interno del corpo del testo della norma che prevede l'illecito amministrativo indica che l'introduzione di quest'ultimo nell'ordinamento non ha avuto quale fine quello di depenalizzare l'ipotesi di omesso versamento del pedaggio autostradale.

Tale clausola, infatti, prevede espressamente la sussidiarietà della fattispecie amministrativa: da ciò ne consegue l'inapplicabilità quest'ultima tutte le volte che possa essere ipotizzato in concreto un delitto – compreso quello di insolvenza fraudolenta – o una contravvenzione.

La Corte, quindi, ha chiarito che la sussidiarietà della disposizione amministrativa di cui all'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti è inequivocabilmente stabilita per volontà espressa del legislatore in quanto non possono sorgere dubbi interpretativi sull'applicabilità della legge penale quando concorra con quella amministrativa. Il richiamo, all'interno del testo della disposizione, di formule quali “se il fatto non costituisce reato”, “fuori dei casi di concorso nel reato” e simili, indica che la riserva che figura nella legge esclude l'esistenza di un concorso di norme. Ciò in quanto è la legge stessa che esplicitamente indica la disposizione da applicare, stabilendo che una di esse vale solo per il caso in cui non ricorrono gli estremi per applicare l'altra.

Una diversa interpretazione, secondo la Corte di Cassazione, si presterebbe a destare sospetti di illegittimità costituzionale, tenuto conto che la precitata legge delega al governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale è stata conferita per la revisione vigente delle infrazioni amministrative e relative sanzioni e la previsione di nuove ipotesi in conseguenza della nuova disciplina, e non anche per depenalizzare comportamenti costituenti reato.

Successivamente le sezioni semplici si sono uniformate al principio sopra espresso affermando che l'art. 176 d.lgs. n. 285/1992 si pone in rapporto di sussidiarietà e non di specialità rispetto al reato di insolvenza fraudolenta. Hanno evidenziato che sul giudice di merito grava l'onere di verificare di volta in volta la configurabilità del delitto di cui all'art. 641 c.p., che non è pertanto escluso dalla coesistenza dell'illecito amministrativo, sia sotto il profilo materiale che della sussistenza dell'elemento psicologico (Cass. II, n. 11734/2008). Costituisce, poi, indice dell'integrazione della fattispecie penale, il fatto stesso dell'accettazione, con il ritiro del tagliando, della prestazione offerta dall'ente gestore dell'autostrada poiché in tal modo il conducente si assume la relativa obbligazione di pagamento. Attraverso tale condotta, infatti, l'automobilista si approfitta della fiducia che l'ente gestore generalmente ripone nei conducenti, circa il corretto adempimento dell'obbligazione di pagamento del pedaggio.

La configurabilità del silenzio dell'agente come forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza rilevante ai sensi dell'art. 641 c.p.

Orientamento risalente e minoritario della Corte di Cassazione

Un indirizzo giurisprudenziale molto risalente e minoritario ha ritenuto che la dissimulazione del proprio stato di insolvenza posta in essere dall'agente ai sensi dell'art. 641 c.p. si deve sostanziare solo in un fatto positivo, escludendo, in tal modo, la reticenza, il silenzio, ecc. Per fatto positivo ha inteso una qualsiasi situazione che, senza assumere le caratteristiche degli artifizi o dei raggiri, si presenti in modo tale guadagnare la fiducia del soggetto passivo e da vincere la normale diligenza di chi si dispone a contrattare così da porre la controparte in condizione di non rendersi conto dell'insolvibilità dell'altro contraente. In uno dei casi esaminati dalla giurisprudenza la dissimulazione si era estrinsecata nel presentarsi da parte dell'agente, mentre prendeva alloggio presso un albergo, come un normale cliente, esibendo altresì un biglietto da cui risultava titolare di un esercizio commerciale (Cass. II, n. 714/1970; Cass. III, n. 2688/1966).

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

L'impostazione dominante, avallata da un intervento delle S.U. (Cass. S.U., n. 7738/1997), ritiene che il silenzio dell'agente può costituire una forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza rilevante ai sensi dell'art. 641 c.p. nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all'altra parte contraente al momento della stipula del contratto con il preordinato proposito di non adempiere alla prestazione scaturente dal rapporto contrattuale (Cass. II, n. 8893/2017; Cass. II, n. 29454/2003). Il mero inadempimento non preceduto da alcuna preordinazione configura, invece, solo un illecito civile (Cass. II, n. 34192/2006; Cass. II, n. 39890/2009).

Il principio è stato ribadito dalla Cassazione in un recente arresto in cui ha avuto modo di precisare che il mero silenzio dell'agente, quale manifestazione di dissimulazione del proprio stato, assume rilievo come la prova della condizione di insolvenza dell'agente al momento dell'assunzione dell'obbligazione. Quest'ultima, infatti, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all'inadempimento (Cass. V. n. 30718/2021: nel caso vagliato dalla Corte l'agente, amministratore di una società, alla data di emissione delle fatture, aveva taciuto ai fornitori la situazione di costante e progressivo indebitamento della stessa e la contestuale costituzione di una società con denominazione similare all'obbligata verso la quale distrarre le risorse acquisite).

Con specifico riferimento all'omesso pagamento del pedaggio autostradale, la Cassazione, anche a S.U. (Cass. S.U., n. 7738/1997), ha più volte asserito che la condotta di chi, al termine di un viaggio in autostrada, non provveda al pagamento del pedaggio, dichiarandosi impossibilitato ad adempiere, integra il reato di insolvenza fraudolenta essendo sufficiente, quanto alla dissimulazione dello stato di insolvenza, anche il silenzio serbato al momento del ritiro del talloncino all'ingresso in autostrada (Cass. II, n. 11686/2016).

Le S.U. hanno specificato che la condotta simulatoria “non deve necessariamente consistere in un fatto positivo” e che il silenzio “consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza può assumere rilievo a tal fine, quando tale condizione non sia manifesta all'altra parte contraente ed il silenzio su di essa sia legato al preordinato proposito di non adempiere alle obbligazioni assunte”. Secondo la Corte “è proprio il comportamento silente del soggetto agente quello tipicamente idoneo a mantenere il soggetto passivo in errore poiché questo non è indotto dal primo ma è preesistente alla di lui condotta dissimulatoria in quanto provocato da circostanze obiettive atte a far sorgere un affidamento sulla solvibilità del creditore”.

Nel caso di specie la dissimulazione va ravvisata nel comportamento rituale dell'automobilista utente che, presentandosi al casello autostradale a bordo di una autovettura perfettamente funzionante – e cioè possesso di un bene che anche nelle sue categorie più utilitarie, fa presumere il possessore in grado di assolvere al pagamento di un pedaggio autostradale – prende in consegna il talloncino aderendo, in tal modo, all'offerta contrattuale di utilizzazione del servizio autostradale proveniente dalla società che lo gestisce (Cass. II, n. 10247/1996; Cass. II, n. 2376/1986).

L'apprezzamento, poi, della “qualità” o della “finalità” del silenzio è demandato al solo ed esclusivo giudizio di merito nel quale può tenersi conto di qualsiasi elemento di fatto circostanziale volto a conferire significato alla condotta silenziosa. (Cass. II, n. 30022/2014).

Configurabilità del delitto di truffa (art. 640 c.p.).

La Cassazione ha precisato che integra la fattispecie di truffa la condotta dell'autotrasportatore che, in più occasioni, si immetteva nel varco riservato ai clienti Viacard e, spingendo il pulsante per mettersi in contatto con gli operatori, dichiarava sistematicamente di essere sprovvisto del titolo di pagamento, così determinando l'operatore ad emettere il biglietto di mancato pagamento che gli consentiva di guadagnare l'uscita. Attraverso tale comportamento, infatti, ha fatto intendere di aver impegnato la corsia sbagliata o di avere dimenticato il titolo di pagamento (Cass. VII, ord. n. 33299/2018; Cass. II, n. 19643/2014; Cass. II, n. 26289/2007).

In tale ipotesi, infatti, è possibile ravvisare la messa in atto di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio. Il ripetuto modus operandi sopra descritto, realizzato mediante una specifica condotta di facere posta in essere coscientemente dall'autotrasportatore, è stato ritenuto idoneo a realizzare il raggiro richiesto per la consumazione del delitto di truffa, in quanto è proprio mediante tali capziosi espedienti (dare ad intendere che si è di volta in volta impegnata la corsia sbagliata ovvero di avere dimenticato il relativo titolo di pagamento) che si è indotta in errore la Società Autostrade per il tramite del suo operatore, così ottenendo la prestazione patrimoniale altrimenti non dovuta.

Il delitto di truffa, infatti, si distingue da quello di insolvenza fraudolenta per le modalità della condotta, atteso che nella truffa si simulano artificiosamente circostanze e condizioni non vere per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta si dissimula una condizione vera, quale quella di essere insolvente (Cass. V, n. 44659/2021).

Si realizzerà, pertanto, la fattispecie di truffa quando la parte lesa è stata tratta in errore mediante la creazione di una situazione artificiosa da parte del soggetto agente. Quest'ultimo non si deve limitare semplicemente a occultare la propria incapienza patrimoniale, ma deve rappresentare in un ampio arco di tempo circostanze inesistenti e deve ricorrere ad artifici per farsi credere solvibile (Cass. II, n. 3395/1985, Cass. II, n. 45096/2009).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàL'art. 641, comma 1, c.p. stabilisce espressamente che il delitto è punito a querela della persona offesa.Il termine di proposizione della querela decorre dalla data in cui il creditore – soggetto passivo del reato – acquisisce la certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, ha dissimulato il proprio stato di insolvenza ed ha contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla (e non dalla data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione: Cass. II, n. 9552/1997).A tale fattispecie si applica il disposto dell'art. 649 c.p., che sancisce la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti elencati al primo comma, a meno che non ricorrano una delle situazioni esplicitate al comma 2 (fatto commesso a danno del coniuge legalmente separato, ecc.). Se ricorre una delle predette situazioni si procede a querela della persona offesa.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per l'insolvenza fraudolenta il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per l'appropriazione indebita costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno.

Tali cause di improcedibilità ricorrono a meno che non intervenga:

– la proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

– la sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

– la diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di insolvenza fraudolenta:

– non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

– non è mai consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.);

– non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

In riferimento all'arresto facoltativo in fragranza di reato l'art. 381, comma 3, c.p.p. dispone che se si tratta di delitto perseguibile a querela, può essere eseguito se quest'ultima viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimetterla, l'arrestato è posto immediatamente in libertà.

Misure cautelari personali

Con riguardo al reato di insolvenza fraudolenta:

– non è mai consentita l'applicazione delle misure cautelari personali (art. 278 e ss. c.p.p.);

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Nei casi d'insolvenza fraudolenta è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

Per l'insolvenza fraudolenta si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di insolvenza fraudolenta si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica ai sensi dell'art. 33-ter, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica).

4. Conclusioni

La fattispecie avente ad oggetto l'omesso pagamento del pedaggio autostradale da parte del conducente ha sollevato diverse problematiche: la prima relativa alla configurabilità, o meno, del reato di insolvenza fraudolenta, e la seconda concernente l'applicabilità di tale delitto o dell'illecito amministrativo disciplinato dall'art. 176, comma 17, del d.lgs. n. 285/1992 (c.d. codice della strada).

In merito alla prima questione uno dei profili oggetto di esame ha riguardato la sussumibilità del silenzio serbato al momento della ricezione del talloncino all'ingresso in autostrada tra le forme esplicative della dissimulazione dello stato di insolvenza.

In generale l'orientamento giurisprudenziale dominante ritiene che la condotta dissimulativa della propria condizione di insolvenza, ex art. 641 c.p., è integrata da chi, scientemente, consapevole della propria condizione economica, non riferisca nulla alla persona con la quale contrae un'obbligazione. Per cui anche il semplice “silenzio” può integrare la condotta dissimulatoria, perché in pieno contrasto con i principi cardine di correttezza e buona fede, cui deve essere improntato il comportamento del privato nella stipulazione di qualsiasi negozio giuridico. L'atto di tacere in modo preordinato le proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un'obbligazione costituisce violazione del principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la dissimulazione (cioè il nascondimento) della propria condizione di insolvenza quale elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 641 c.p.

Nel caso di specie la giurisprudenza ha precisato che anche il silenzio può significare dissimulazione del proprio stato di insolvenza quando l'agente assuma un'obbligazione senza necessità di contrattazione, ma con un comportamento rituale (il ritiro del talloncino) e questo sia idoneo ad ingannare la controparte sulle sue reali intenzioni.

La seconda questione si è posta con l'entrata in vigore dell'illecito amministrativo disciplinato dall'art. 176, comma 17, del d.lgs. n. 285/1992 (c.d. codice della strada) in quanto l'art. 9 della l. n. 689/1981 sancisce l'applicazione della sanzione amministrativa rispetto a quella penale quando la disposizione amministrativa contenga tutti gli elementi di quella penale più i cosiddetti elementi specializzanti. In merito si sono formati due contrapposti indirizzi giurisprudenziali che hanno richiesto l'intervento delle S.U. Quest'ultime hanno ritenuto che il reato di insolvenza fraudolenta, in ipotesi di mancato adempimento, da parte dell'automobilista, dell'obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale, inerente al negozio di utilizzo della relativa rete, non è escluso né dalla coesistenza di una figura integrante un illecito amministrativo, stante la sua funzione sussidiaria della norma penale, né dalla natura del pedaggio, che ha funzione di corrispettivo e non di tassa. L'art. 176, comma 17, del d.lgs. n. 285/1992, che punisce chiunque eluda il pagamento del pedaggio autostradale, si pone in rapporto di sussidiarietà e non di specialità rispetto al reato descritto dall'art. 641 c.p., che non è pertanto escluso dalla coesistenza dell'illecito amministrativo: è onere del giudice di merito verificare di volta in volta la configurabilità della fattispecie penale citata sia sotto il profilo materiale che della sussistenza dell'elemento psicologico.

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