Occupazione di case popolari e non punibilità ex art. 131-bis c.p.

MATTEO LANNA

1. Bussole di inquadramento

Linee generali

Il modello legale di cui all'art. 633 c.p. si presenta con le caratteristiche strutturali del reato comune, come desumibile dall'adozione del termine chiunque per designare chi se ne renda protagonista. L'individuazione del soggetto passivo e, consequenzialmente, del legittimato alla proposizione della querela deriva dalla sussistenza di una situazione di godimento dell'immobile, senza che ciò debba necessariamente coincidere con il fatto di esserne proprietario; qualsiasi persona fisica o giuridica, pubblica o privata – a patto che si trovi in una situazione di godimento del bene – è pertanto ipso facto titolare del diritto di proporre istanza punitiva.

L'elemento oggettivo, connotato nel dettato normativo quale invasione, non richiede che obbligatoriamente ricorra una effettiva forma di accesso di tipo violento; esso esige invece che vi sia una connotazione di arbitrarietà dell'ingresso stesso. Alcun dubbio teorico ha mai posto il tema dell'ammissibilità sia del tentativo, sia del concorso eventuale di persone. La lettera della legge evidenzia l'esistenza di un elemento normativo del fatto, allorquando pretende che l'invasione si verifichi in modo arbitrario. Dizione forse superflua, in quanto intrinsecamente già contenuta nel concetto di invasione e nel riferimento all'altruità del bene; funzionale però a relegare nell'area dell'indifferente penale quelle condotte di invasione o occupazione, che ricevano legittimazione da una fonte normativa oppure che si fondino su provvedimenti delle competenti autorità.

Trattasi infine di un reato istantaneo ad effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui ha inizio la condotta di occupazione.

Laddove la condotta di illecita occupazione si protragga entro un apprezzabile arco cronologico, il delitto di invasione di terreni o edifici assumerà la veste del reato permanente; esso cesserà quindi solo al momento dell'allontanamento dell'occupante, oppure allorquando intervenga una sentenza di condanna in primo grado. Una eventuale permanenza dell'occupazione abusiva — in epoca successiva rispetto a tali eventi — configura una ulteriore fattispecie delittuosa, che però non postula il requisito dell'invasione, concretizzandosi essa nella prosecuzione dell'occupazione; il termine di prescrizione prenderà in tal caso a decorrere dalla data di emissione della sentenza condanna (Cass. II, n. 40771/2018).

La condotta che si concretizzi nella introduzione abusiva, all'interno di un alloggio realizzato dall'Istituto Autonomo Case Popolari, integra il paradigma normativo della invasione di terreni o edifici exartt. 633 c.p. ed è quindi reato procedibile d'ufficio a norma dell'art. 639-bis c.p. Si deve altresì ricordare che gli alloggi di tal genere mantengono ininterrottamente una destinazione di natura pubblicistica, anche in tempo posteriore rispetto alla consegna degli stessi all'assegnatario (Cass. V, n. 482/2014). Stando al dictum di Cass. II, n. 40822/2008, si realizza tale fattispecie criminosa anche in presenza della occupazione di un alloggio di proprietà dell'I.A.C.P. — occupazione che sia avvenuta sine titulo — laddove l'ente pubblico abbia dimostrato una acquiescenza in via di fatto.

Evidenziamo infine che — secondo Cass. I, n. 2614/1992 — deve reputarsi legittimamente adottato il provvedimento di sequestro preventivo avente ad oggetto un alloggio di proprietà I.A.C.P. che sia stato abusivamente occupato, anche nel caso in cui tale condotta abusiva venga posta in essere da un soggetto condannato per il reato di cui all'art. 633 c.p.; ciò discende dal fatto che — realizzandosi un reato permanente e persistendo, all'indomani della condanna, l'illiceità della condotta — viene in essere una reiterazione nel medesimo reato.

La non punibilità ex art. 131-bis c.p., anche in riferimento al tema della occupazione abusiva di alloggi di edilizia popolare

L'istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. è stato introdotto nell'ordinamento ad opera del d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28 (“Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lett. m) l. 28 aprile 2014, n. 67”). Tale causa di non punibilità si fonda sulla ricorrenza di una offesa che sia tenue — tenuto conto delle modalità esecutive del fatto e dell'esiguità del danno o del pericolo — nonché espressione di condotta non abituale. L'art. 131-bis c.p. presenta una natura di norma sostanziale, presuppone il pieno accertamento della responsabilità del colpevole e può trovare applicazione in presenza di reati puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a cinque anni (normativa antecedente alla c.d. riforma Cartabia, che ha invece sganciato il riferimento alla pena massima), ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. A norma dell'art. 131-bis, comma 4, c.p. — per determinare la soglia di ammissibilità coincidente con la pena detentiva prevista — non si prendono in considerazione le circostanze del reato, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria, nonché di quelle ad effetto speciale, per le quali comunque non opera il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

Il secondo comma della disposizione codicistica indica situazioni nelle quali l'offesa non può mai essere reputata di particolare tenuità, così restando in radice inibita la pur astratta possibilità di invocare tale causa di non punibilità. Tali situazioni sono rappresentate dal fatto di aver agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà anche in danno di animali, oppure aver posto in essere delle sevizie, aver tratto giovamento dalle condizioni di minorata difesa della vittima anche in riferimento all'età della stessa, o il fatto che la condotta serbata possa aver cagionato — o che comunque dalla stessa siano scaturite — quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

È infine necessario, come detto, che la condotta contraria alla legge non presenti il connotato della abitualità. Secondo l'art. 131-bis, comma 3, c.p., ricorre la caratteristica della abitualità, nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto — considerato in maniera isolata rispetto agli altri — sia di particolare tenuità, nonché infine allorquando si sia in presenza di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

La valutazione in termini di tenuità del fatto richiede una valutazione ampia e coerente con tutti gli aspetti peculiari della vicenda concreta; tale giudizio deve procedere — in ossequio ai parametri valutativi dettati dall'art. 133 c.p. — tenendo conto delle modalità esecutive della condotta e del grado di colpevolezza che esse evocano, nonché della effettiva portata del danno o del pericolo. In tema allora di ricorrenza del presupposto ostativo, rispetto alla configurabilità di tale causa di non punibilità, la condotta presenta i connotati dell'abitualità nel caso in cui il soggetto agente — anche se in epoca posteriore alla commissione del reato per cui si procede — si sia reso autore di almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. I Giudici di legittimità hanno altresì chiarito come — sempre in sede di giudizio circa la sussistenza del presupposto ostativo dell'abitualità — il giudice possa prendere in considerazione non esclusivamente le condanne passate in giudicato e i reati sottoposti al suo giudizio, nel caso in cui il processo concerna distinti reati della medesima indole, pur se tenui — bensì anche altri reati, che siano stati in precedenza giudicati non punibili ai sensi dell'art. 131-bis c.p. (Cass. S.U.n. 13681/2016).

Sotto il profilo processuale, la causa di non punibilità per particolare tenuità può esser posta a fondamento di una richiesta e di un decreto di archiviazione (art. 411 c.p.p.); rappresenta una delle condizioni per l'emissione di una pronuncia predibattimentale in primo grado, a norma dell'art. 469, comma 1-bis, c.p.p. e, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare; può esser sempre applicata anche d'ufficio e pure nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, con la sola eccezione della inammissibilità del ricorso (così Cass. S.U.n. 13681/2016).

Cass. VII, n. 5366/2021 ha qualificato sotto l'aspetto dogmatico la fattispecie incriminatrice ex art. 633 c.p. alla stregua di un reato permanente, dato che l'aggressione al bene giuridico oggetto di tutela si estende per l'intero arco temporale dell'abusiva occupazione del bene (così già Cass. II, n. 40771/2018). Si è quindi ritenuta inammissibile la censura volta ad ottenere la non punibilità per la minima offensività del fatto; ciò in quanto — nella concreta fattispecie — la Corte territoriale aveva correttamente sottolineato il danno provocato dalla protrazione per diversi mesi dell'abusiva occupazione, danno prodottosi tanto nei confronti della p.a., quanto dei possibili fruitori dell'immobile popolare illecitamente occupato (per la medesima impostazione concettuale, si vedano anche Cass. III, n. 30383/2016 e Cass. VI, n. 6664/2017).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Può trovare applicazione l'istituto ex art. 131-bis c.p., nel tempo in cui ancora perdura l'abusiva occupazione?

L'orientamento consolidato della Corte di Cassazione

I Giudici di legittimità hanno sul punto ripetutamente ricordato come, in caso di abusiva occupazione di immobili, venga a configurarsi un reato permanente. Nel modello legale di invasione di terreni o edifici ex art. 633 c.p., infatti, resta estraneo al concetto di “invasione” un connotato genuinamente violento della condotta, caratteristica che può anche essere del tutto assente. Il paradigma normativo si estrinseca dunque nell'introdursi arbitrariamente (vale a dire contra ius), perché in carenza di un diritto all'accesso. La correlata occupazione rappresenta poi la materiale estrinsecazione del comportamento vietato, nonché il fine in vista del quale viene realizzata l'abusiva invasione. Protraendosi l'occupazione entro un certo arco temporale, la figura delittuosa de qua assume natura permanente; caratteristica di permanenza che viene meno solo al momento dell'allontanamento del soggetto, oppure dell'emissione di una sentenza di condanna. All'indomani di tali eventi, la eventuale protrazione della condotta di abusiva occupazione darà luogo ad una ulteriore e distinta ipotesi di reato; questa volta però la fattispecie risulterà priva del requisito genetico dell'invasione, ma si sostanzierà nella mera prosecuzione dell'occupazione (Cass. II, n. 29657/2019).

Il tutto comporta dunque una perdurante lesione del bene giuridico oggetto di tutela, fino al momento della cessazione della permanenza. Deriva da tale impostazione una radicale preclusione all'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in costanza di occupazione abusiva (Cass. III, n. 50215/2015; nello stesso senso si sono espresse Cass. III, n. 30383/2016 e Cass. II, n. 16363/2019).

Applicazioni

In aderenza ai sopra enunciati principi, sono state dal Supremo Collegio reputate infondate le doglianze inerenti al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p., in presenza di una forte valorizzazione — a fini reiettivi — degli aspetti concernenti la pianificazione della condotta delittuosa, la realizzazione della stessa attraverso il compimento di atti violenti sulle cose (addirittura atti a integrare gli elementi costitutivi del concorrente reato di danneggiamento aggravato), nonché la sussistenza di un precedente specifico a carico del prevenuto, fortemente sintomatico della natura non occasionale del delitto. Nella medesima decisione, la Corte ha ancora ribadito come il delitto exartt. 633 e 639-bis c.p. presenti una natura permanente, perdurando l'offesa al patrimonio per tutto il tempo della protrazione dell'arbitraria invasione dell'immobile al fine di occupazione o profitto, con conseguente preclusione — in costanza di tale occupazione e fino alla cessazione della stessa — dell'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

La Corte ha anche precisato la piena legittimità del diniego dell'applicazione della sopra detta causa di non punibilità, laddove non si abbia contezza alcuna, in ordine all'avvenuta cessazione della permanenza. Il fatto, dunque, che la difesa — nell'invocare l'operatività dell'istituto ex art. 131-bis c.p.p. — ometta qualsivoglia allegazione al riguardo, legittima in via autonoma il diniego della causa di non punibilità (Cass. II, n. 46869/2021).

Domanda
Nel valutare la sussistenza dei presupposti necessari per l'applicazione della causa di esclusione della punibilità de qua, deve effettuarsi una valutazione di tipo oggettivo, oppure si deve tener conto anche della condizione personale dell'occupante?

L'orientamento minoritario della Corte di Cassazione

L'impostazione concettuale sviluppatasi in giurisprudenza, sin dall'introduzione del nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità, si impernia sulla considerazione della natura quasi rigida dei criteri ai quali la norma aggancia la valutazione in ordine alla sussistenza della connotazione di particolare tenuità, ai fini della sussistenza della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. Fondandosi dunque tale giudizio, attinente alla limitata valenza offensiva della condotta, solo su criteri di natura oggettiva — quali sono la pena edittale prevista per la fattispecie incriminatrice, le modalità e la particolare tenuità della condotta valutata nella sua estrinsecazione fenomenica, ovvero l'esiguità del danno intrinsecamente considerato — non possono venire in rilievo situazioni di matrice sociale e condizioni di tipo soggettivo strettamente riconducibili alla sfera personale del reo (così Cass. II, n. 22951/2018).

L'orientamento più recente della Corte di Cassazione

I Giudici di legittimità hanno però di recente meglio sviscerato quali siano le regole di carattere generale e metodologico alle quali attenersi, nel formulare — in sede di valutazione circa la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p. — il giudizio sul tema della tenuità. Tale giudizio postula una complessa e articolata ponderazione, in ordine a tutti i peculiari aspetti della fattispecie concreta; nel compiere tale indagine ci si dovrà orientare secondo un'ottica onnicomprensiva, piuttosto che atomistica e parcellizzata. In particolare, si dovranno prendere in considerazione tutti i criteri dettati dall'art. 133, comma 1, c.p.; tra questi possono rientrare anche le precarie condizioni economiche del soggetto agente al momento della commissione del reato, nel caso in cui esse possano aver riverberato effetti sul versante del coefficiente psicologico del reato, ossia sull'intensità del dolo.

Applicazioni

In aderenza alle regole di giudizio sopra da ultimo enucleate, Cass. II, n. 37834/2020 ha quindi stimato immune da censure logiche l'assoluzione pronunciata a norma dell'art. 131-bis c.p., nei confronti di un imputata che — in ragione di una sua situazione di ingravescente crisi economica, oltre che perché pressata dalla necessità di reperire per sé e per i figli minori una condizione abitativa almeno soddisfacente — aveva proceduto alla abusiva occupazione di un alloggio di proprietà dello I.A.C.P. ed aveva poi liberato tale immobile trascorso all'incirca un anno, una volta ottenuta una occupazione lavorativa stabile.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461); Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1); Richiesta di giudizio abbreviato nei procedimenti a citazione diretta (art. 555).

ProcedibilitàIl reato di invasione di terreni o edifici è procedibile a querela della persona offesa, a norma dell'art. 633 comma 1 c.p. Giova precisare come sia da ritenersi tempestiva la querela relativa alla fattispecie delittuosa di invasione di terreni, che venga proposta durante il tempo in cui si protrae l'occupazione; il reato permanente resta infatti flagrante per l'intero tempo in cui se ne protrae la consumazione (Cass. II, n. 20132/2018).Laddove invece l'oggetto dell'occupazione siano acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico, il reato risulta reato procedibile d'ufficio a norma dell'art. 639— bis c.p. Parimenti procedibile d'ufficio è il reato di invasione di terreni o edifici, anche se perpetrato in danno di immobile non rivestente carattere di pubblicità, allorquando ricorra una delle aggravanti speciali indicate dall'art. 633, comma 2 c.p. (fatto commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata, con pena che in tal caso è la reclusione da due a quattro anni e la multa da € 206 a € 2.064).

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

La prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.); tale termine può essere aumentato — in presenza di atti interruttivi — fino ad un massimo di anni sette e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per il reato di invasione di terreni o edifici costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

— del giudizio di appello entro il termine di due anni;

— del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di invasione di terreni o edifici non aggravato, non è consentito l'arresto in flagranza di reato:

— a norma dell'art. 381 c.p., l'arresto in flagranza è invece previsto come facoltativo, al ricorrere di una delle aggravanti cristallizzate nel secondo comma dell'art. 633 c.p., ossia se il fatto è commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata.

— il fermo di indiziato di delitto non è consentito.

Misure cautelari personali

Per quanto attiene alla fattispecie criminosa di invasione di terreni o edifici ex art. 633, comma 1, c.p., con particolare riferimento al caso in cui il fatto abbia ad oggetto l'occupazione di case popolari, non è consentita l'applicazione delle misure cautelari personali. Al ricorrere però di una delle circostanze aggravanti, alternativamente tipizzate dal secondo comma della disposizione codicistica in esame — ossia, se il reato è perpetrato da più di cinque persone, ovvero da una sola persona palesemente armata — oltre come detto a procedersi d'ufficio, diverrà consentita l'adozione delle misure cautelari interdittive exartt. 287 e ss c.p.p., nonché delle misure personali coercitive non custodiali e infine della misura custodiale degli arresti domiciliari; non è comunque consentita l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Competente per materia è sempre il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

Si procede sempre mediante citazione diretta a giudizio del P.M., a norma dell'art. 550, comma 1 c.p.p.

Composizione del tribunale

Il dibattimento per il delitto di invasione di terreni o edifici — in assenza di aggravanti — ha luogo dinanzi al giudice di pace, ai sensi dell'art. 4, lett. a) d.lgs. n. 274/2000; al ricorrere delle ipotesi aggravate tipizzate dal secondo comma e al ricorrere di uno dei casi di esclusione della perseguibilità a querela di cui all'art. 639-bis c.p., sarà competente il tribunale in composizione monocratica, a norma degli artt. 33-bis e ter c.p.

4. Conclusioni

La fattispecie delittuosa tipizzata dall'art. 633 c.p. tende alla protezione del pacifico godimento di un certo bene immobile, oltre ad esser volta a garantire la piena disponibilità dello stesso, al soggetto che possa vantarne la detenzione; ciò a prescindere dalla tipologia del titolo giuridico posto a fondamento di tale situazione.

È sicuramente applicabile, alla condotta di occupazione di case popolari, la speciale causa di non punibilità rappresentata dalla particolare tenuità del fatto. Gli approdi giurisprudenziali sono però orientati — stante la natura di reato permanente, assunta dal modello legale dell'occupazione ex art. 633 c.p. — ad escludere che l'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. possa venire invocato in costanza della condotta di occupazione; viene infatti in tal caso in rilievo la perdurante aggressione al bene giuridico tutelato.

La valutazione inerente alla ricorrenza dei presupposti indicati dalla norma, per l'operatività della suddetta causa di non punibilità, costituisce l'esito di una valutazione ampia e approfondita, che dovrà prendere in considerazione anche aspetti di tipo personologico. Tra questi sicuramente può a pieno titolo rientrare anche la situazione economica del soggetto occupante, laddove essa vada a riflettersi in modo rilevante sull'elemento soggettivo del reato.

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