Rapina commessa da soggetto facente parte dell'associazione ex art. 416-bis c.p.1. Bussole di inquadramentoLinee generali L'art. 628, comma 3, n. 3), c.p. dispone l'applicazione di una cornice edittale ben più severa, nel caso in cui la violenza o la minaccia vengano poste in essere da soggetto facente parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis c.p. L'aggravamento della pena è particolarmente rilevante non tanto nel minimo (laddove si passa da cinque a sei anni), quanto nel massimo (passandosi qui da dieci a venti anni). Il sodalizio criminoso di cui all'art. 416-bis c.p. è quello che presenta una struttura organizzativa, stabile e permanente, nel quale i sodali si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere delitti, per perseguire alcuno dei fini specificamente indicati. Tale modello legale ha la struttura del reato comune, come evincibile dall'uso del termine chiunque per indicare chi se ne renda protagonista. Trattasi poi di un reato necessariamente plurisoggettivo, richiedendo esso la partecipazione di almeno tre associati. Le condotte cristallizzate nel dettato normativo poi sono tra loro differenziate in base al ruolo svolto all'interno della consorteria criminale, oltre che secondo il parametro dell'importanza dell'apporto causale. Vi è pertanto una ideale linea di demarcazione, fra le condotte considerate di rango superiore (ossia quelle che si realizzano con il fatto di promuovere, di costituire o di organizzare l'associazione, ovvero di esserne comunque a capo) e la condotta posizionata ad un livello inferiore, perché connotata dalla semplice partecipazione del soggetto ad un gruppo già costituito da parte di altri soggetti; gruppo che è in tal caso in grado di proseguire autonomamente nella propria vita operativa, anche senza l'apporto del partecipe. Secondo logica, i ruoli del promotore e del costitutore presuppongono che il sodalizio sia ancora fermo ad una condizione embrionale e genetica; la partecipazione si pone invece in un momento successivo, rispetto alla costituzione del gruppo. Le condotte tipizzate dalla norma si pongono tra loro in un rapporto di alternatività reciproca (nel senso che ognuna ciascuna di esse può integrare il paradigma normativo ex art. 416-bis c.p.). E quindi a) promuovere significa dare l'avvio, agire perché nasca, agevolare la costituzione dell'organismo associativo, propagandandone i fini e l'attività, facendo proselitismo e accaparrandosi il consenso; b) costituire descrive l'attività di chi concretamente faccia nascere il gruppo, di chi la renda conoscibile all'esterno, mediante un'attività di cooptazione di nuovi partecipi e di accaparramento di strumenti e strutture logistiche; c) organizzare sta a indicare il fatto di creare una magari rudimentale ed embrionale organizzazione gerarchica ed operativa; d) capo del gruppo è chi si ponga in una posizione apicale, ossia chi abbia l'autorità per poter fornire regole di comportamento e guidare le condotte degli altri associati, dettando a questo le linee-guida utili per la concretizzazione dell'attività illecita; e) partecipare indica realizzare qualsivoglia attività di tipo materiale, esteriormente percepibile, che presenti una matrice solo esecutiva, attuativa e che sia teleologicamente volta al perseguimento della finalità associativa. Perché possa dirsi integrata la condotta del partecipe ad una associazione di tipo mafioso, non è poi essenziale che ci si renda autori di specifici reati – fine. L'apporto causalmente efficiente del singolo partecipe può infatti esser costituito anche dal semplice inserimento nell'organigramma della compagine criminosa, secondo modalità tali che valgano a delineare il soggetto quale persona a disposizione del clan, anche solo per la disponibilità ad agire nella veste di uomo d'onore. Il Supremo Collegio ha però anche sottolineato come la qualità di uomo d'onore non si esaurisca in una mera adesione morale al sodalizio criminale, postulando invece la norma che possa individuarsi un apporto comunque idoneo a contribuire – sebbene in minima parte – all'operatività e al perseguimento degli scopi della consorteria (Cass. V, n. 49793/2013). Evidenziamo come la circostanza aggravante speciale del delitto di rapina ora in esame sia integrata, stando proprio al dettato normativo, attraverso la mera commissione del gesto delittuoso ad opera di soggetto «che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p.»; è dunque bastevole che l'autore del delitto di rapina sia organico al sodalizio mafioso, quale che sia la veste assunta dallo stesso assunta all'interno dell'organigramma criminale della consorteria mafiosa (ne sia dunque egli organizzatore o promotore, ovvero anche solo un semplice partecipe). Il fatto che il delitto ex art. 628 c.p. sia perpetrato da soggetto facente parte di un siffatto sodalizio criminale, non postula però la realizzazione della condotta con modalità che evochino la sussistenza di un contesto intimidatorio tipicamente mafioso. L'aggravamento è infatti disposto già solo in considerazione del fatto che il soggetto appartenga ad una consorteria criminale di stampo mafioso o camorristico; si prescinde invece dal fatto che la rapina sia posta in essere secondo le tipiche modalità mafiose, ossia avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà propria di siffatto contesto criminale. Già Cass. II, n. 9498/1993 ha infatti precisato come la circostanza aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3 c.p. (richiamata anche dal testo dell'art. 629 cpv. c.p.) si concreti nel mero dato oggettivo rappresentato dall'appartenenza dell'autore della rapina – ovvero dell'estorsione – ad una associazione delinquenziale di stampo mafioso o camorristico, quindi rilevante a norma dell'art. 416-bis c.p. La circostanza non esige quindi che tale soggetto – nel porre in essere il delitto di rapina – renda manifesta, pur implicitamente, alla vittima tale sua intraneità; nemmeno occorre quindi che il soggetto attivo si giovi in qualche modo della forza di intimidazione, derivante da tali associazioni. Rapporti fra l'aggravante in esame e quella tipizzata dall'art. 416-bis.1 c.p. L'art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 ha abrogato sia l'aggravante a effetto speciale prima prevista dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modificazioni in l. 12 luglio 1991, n. 203, sia l'attenuante prima prevista dall'art. 8 della medesima disposizione normativa. In attuazione del principio della cd. riserva di codice, l'art. 5 comma 1 lett. d) del medesimo d.lgs. n. 21/2018 ha però trasfuso tali forme di manifestazione – secondo una linea di totale continuità normativa – nel testo del nuovo art. 416-bis.1c.p. Tale circostanza aggravante è configurabile in ordine ad ogni tipo di delitto punibile con pena diversa dall'ergastolo, che sia stato perpetrato giovandosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. (sarebbe a dire, attraverso l'adozione del c.d. metodo mafioso), oppure che sia stato commesso al fine di agevolare l'attività dell'associazione prevista nel predetto articolo (quindi che sia sorretto dalla cd. Finalità mafiosa). La prima ipotesi concerne l'agire in concreto di soggetti che – siano o meno intranei a compagini associative – adottino metodi mafiosi; tale circostanza è quindi ipotizzabile nei confronti di coloro che – in modo esibito, visibile e provocatorio – serbino una condotta intimidatoria atta a provocare, nei soggetti passivi, quella intima forma di coartazione e di intimidazione e timore, che sono peculiari delle organizzazioni di stampo mafioso. La tipica modalità di agire ed atteggiarsi mafiosa ricorre, d'altra parte, anche laddove non vi siano minacce esplicite nei confronti delle vittime dell'attività delittuosa. Tale metodo può infatti realizzarsi anche attraverso comportamenti velati ed implicitamente evocativi, che risultino però incisivamente significativi della sussistenza di un più vasto contesto criminale. Nella seconda ipotesi sopra richiamata (quella della c.d. finalità mafiosa), la circostanza aggravante è strutturata attenendosi al modello del dolo specifico. Essa esige quindi la sussistenza di elementi che manifestino in concreto la direzione lesiva dell'agire, la quale deve dimostrarsi – sotto il profilo teleologico – inequivocamente rivolta verso lo scopo di agevolare le attività delle associazioni mafiose. La possibilità di coesistenza fra la circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 c.p. e quella di cui all'art. 628, comma 3, n. 3) c.p. discende allora dalla inerenza delle stesse a due campi del tutto distinti. Difatti, l'aggravante in commento trova applicazione semplicemente per l'esistenza di un dato oggettivo, che è rappresentato dall'appartenenza del soggetto attivo del delitto di rapina al sodalizio criminale di stampo mafioso; per converso, l'aggravante del metodo mafioso implica un accertamento che asseveri le modalità con cui il fatto di reato si è venuto in concreto a verificare. Ovviamente, si tratta di circostanze che possono presupporre contesti diversi. L'art. 628, comma 3, n. 3), c.p. ha come dato prodromico l'esistenza del sodalizio criminale ed esige che il rapinatore faccia parte di tale associazione; l'aggravante del metodo mafioso può invece essere applicata indipendentemente dalla reale sussistenza dell'associazione, perché rileva semplicemente il ricorso a modalità specifiche della condotta, che evochino la forza intimidatrice tipica del metodo mafioso. In altri termini, è indispensabile che la condotta delittuosa assuma connotazioni tipicamente mafiose. Sicché, questa considerazione permette di cogliere ancor più agevolmente come le circostanze ineriscano a profili sensibilmente differenziati. Analogamente all'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3), c.p., anche l'aggravante della finalità di agevolazione presuppone l'esistenza dell'associazione, anche se non richiede la conoscenza dei fini del sodalizio. Quanto finora esposto consente di cogliere come le forme di manifestazione del reato sin qui commentate ineriscano a profili fattuali sensibilmente distinti: a) nel caso dell'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3), c.p., rileva semplicemente il dato oggettivo dell'inserimento del soggetto attivo del reato di rapina all'interno di un sodalizio mafioso; b) l'aggravante del metodo mafioso ha carattere oggettivo, nel senso che inerisce esclusivamente alle modalità dell'azione, che dev'esser tale da creare il clima di assoggettamento tipico di questo contesto criminale; c) da ultimo, l'aggravante soggettiva dell'agevolazione mafiosa inerisce al motivo per cui si delinque, quale la finalità di agevolazione dell'associazione mafiosa. Sicché, le aggravanti del metodo e dell'agevolazione mafiosa sono accomunate dal fatto che non necessitano che il soggetto concretamente appartenga al sodalizio. Questo è, come detto, il discrimen evidente e palese rispetto all'aggravante di cui all'art. 628, comma 2, n. 3) c.p. L'ammissibilità del concorso fra l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152 e quella di cui all'art. 628, comma 3, n. 3 e 629, comma 2, c.p. è chiara – nella giurisprudenza di legittimità – sin dal dictum di Cass. S.U., n. 10/2001. Più di recente è intervenuta Cass. I, n. 4088/2018, a mente della quale – sia in tema di rapina che in tema di estorsione – la circostanza aggravante ex art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203 (oggi art. 416-bis.1. c.p.), può concorrere con quella ex art. 628, comma 3, n. 3 c.p. (circostanza richiamata dall'art. 629, comma 2, c.p.). La prima circostanza richiede infatti che la condotta sia stata posta in essere dal soggetto attivo adottando modalità esecutive di tipo mafioso – sebbene non sia indispensabile l'appartenenza dell'autore del fatto di rapina all'associazione mafiosa o camorristica – laddove la seconda ha riguardo alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto intraneo ad un sodalizio criminale, senza che sia però necessaria la verifica circa le modalità esecutive attraverso le quali si sia esplicata tale azione violente o minacciosa e nemmeno essendo necessario accertare che tali modalità siano state attuate impiegando la forza intimidatrice promanante dall'appartenenza al clan (nello stesso senso si erano espresse Cass. II, n. 20228/2006; Cass. VI, n. 27040/2008; Cass. VI, n. 15483/2009; Cass. V, n. 2907/2013 e Cass. VI, n. 9956/2016). L'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3) c.p. rientra tra le circostanze oggetto della blindatura delineata dall'ultimo comma del medesimo articolo. La blindatura consiste nell'impossibilità di computare le eventuali circostanze attenuanti – diverse da quella di cui all'art. 98 c.p. – con il criterio della prevalenza o dell'equivalenza rispetto alle circostanze di cui all'art. 628 comma 3, n. 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), c.p. Applicazioni In aderenza a tali principi, Cass. VI, n. 45065/2014 ha ritenuto integrata la circostanza aggravante speciale ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991 (per aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività di un sodalizio di stampo mafioso), nella rapina di una autovettura, realizzata con lo scopo di favorire la latitanza di un soggetto posizionato ai vertici di un'associazione mafiosa. Tale azione mirava infatti a preservare l'integrità dei vertici della struttura associativa, risolvendosi quindi in un modo per avvantaggiare la consorteria nella sua interezza, tutelandone i promotori e organizzatori, assicurandone l'operatività e aiutandola nella concretizzazione del programma delinquenziale (nello stesso senso, si veda Cass. II, n. 26589/2011). Cass. V, n. 11101 /2015 ha precisato come la circostanza aggravante ad effetto speciale ex art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, sia configurabile anche laddove il soggetto attivo si prefigga il fine ulteriore di ricavare un vantaggio appunto dalla perpetrazione del gesto delittuoso, a patto che a ciò si unisca comunque la consapevolezza e volontà di arrecare beneficio – con la propria condotta – al sodalizio criminale. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
L'aggravante in esame si comunica o meno ai correi non intranei all'associazione mafiosa?
Orientamento consolidato della Corte di Cassazione Il Supremo Collegio è costantemente orientato a ritenere che la circostanza aggravante della commissione dei reati di rapina o estorsione, da parte di un soggetto che sia organico ad un sodalizio criminale di stampo mafioso, non postuli che tutti i correi siano parimenti inseriti in tale fenomeno associativo. Giova infatti rammentare come – grazie all'intervento dell'art. 3, l. 7 febbraio 1990, n. 19, che ha novellato l'art. 118 c.p. – al soggetto concorrente non si comunicano le circostanze di natura soggettiva attinenti ai motivi a delinquere, all'intensità del dolo, al grado della colpa, nonché quelle concernenti il profilo dell'imputabilità e della recidiva; vengono però ancora valutate nei suoi confronti le ulteriori circostanze di tipo soggettivo dettate dall'art. 70, comma 1 n. 2 c.p., ossia quelle che attengono alle qualità personali rivestite dal colpevole (Cass. I, n. 5639/2005; negli esatti termini si è espressa anche Cass. VI, n. 41514/2012).
Domanda
Ai fini dell'applicazione dell'aggravante in commento, è necessaria o meno la definitività dell'accertamento in ordine all'inserimento del soggetto attivo nel sodalizio di stampo mafioso?
Orientamento consolidato della Corte di Cassazione Il Supremo Collegio si è espresso – sul punto specifico – in maniera del tutto unanime in senso negativo. Affinché dunque possa ritenersi integrata la circostanza aggravante ex art. 628, comma 3, n. 3) c.p. non si richiede che l'intraneità dell'autore della rapina all'associazione malavitosa di tipo mafioso sia stata acclarata, in precedenza, mediante sentenza passata in giudicato. È al contrario sufficiente che un accertamento di tal genere sia stato effettuato nell'ambito dello stesso giudizio di merito, nel quale si sta applicando la suddetta circostanza aggravante (il principio di diritto si può leggere in Cass. II, n. 33775/2016, nonché in Cass. V, n. 26542/2009 e in Cass. I, n. 6533/2012). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). Procedibilità Il reato di rapina – si presenti essa nella declinazione di rapina propria o di rapina impropria, sia esso semplice o aggravato da qualsivoglia forma di manifestazione – è sempre procedibile d'ufficio. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) La pena edittale prevista per il reato di rapina aggravata – all'indomani dell'inasprimento sanzionatorio prodotto dall'art. 6, comma 1 lett. b) l. 26 aprile 2019, n. 36 – è la reclusione da un minimo di sei a un massimo di venti anni e la multa ha un ammontare variabile da € 2.000,00 a € 4.000,00; trattandosi di circostanza ad effetto speciale, la prescrizione ordinaria è quindi in tal caso pari ad anni venti (cfr. art. 157 c.p.). Tale termine può essere aumentato – in presenza di atti interruttivi – fino ad un massimo di anni venticinque (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di rapina (semplice o aggravata) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di rapina, sia essa propria o impropria, nonché semplice o aggravata: – l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; – il fermo di indiziato di delitto è consentito. Misure cautelari personali È consentita l'adozione di tutte le misure cautelari. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di rapina è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), Segnaliamo che, al ricorrere di due o più delle circostanze aggravanti dettate dal terzo comma dell'art. 628 c.p., la pena edittale prevista – all'indomani dell'inasprimento sanzionatorio apportato dall'art. 6 comma 1 lett. c) l. 26 aprile 2019, n. 36 – è la reclusione da sette a venti anni e la multa da € 2.500,00 a € 4.000,00. Alcune delle aggravanti previste dal terzo comma succitato – segnatamente, quelle tipizzate dai nn. 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater – hanno natura di aggravanti privilegiate: non possono quindi essere computate con il criterio della equivalenza o della subvalenza, rispetto alle circostanze attenuanti diverse da quelle indicate dall'art. 98 c.p.; in ragione di ciò, le diminuzioni di pena conseguenti all'applicazione di circostanze attenuanti diverse da quelle ex art. 98 c.p. andranno computate sulla quantità di pena risultante dall'applicazione delle sopra dette aggravanti. Citazione a giudizio Per il reato di rapina – semplice o circostanziato che sia – è sempre necessaria la celebrazione dell'udienza preliminare (cfr. art. 550 c.p.p.). Composizione del tribunale Il dibattimento per il reato di rapina – aggravato o meno – si svolgerà sempre dinanzi al tribunale. Questo decide in composizione monocratica in presenza di rapina semplice; diviene invece competente il tribunale in composizione collegiale, al ricorrere dei casi indicati al terzo e al quarto comma (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). 4. ConclusioniL'aggravante in commento è integrata dal mero dato oggettivo, rappresentato dal fatto che il soggetto attivo faccia parte – in qualunque veste – di un sodalizio criminale di stampo mafioso. La norma infatti non esige che l'agente palesi tale appartenenza durante la commissione del fatto di rapina, dunque che tragga effettivo giovamento dalla intrinseca attitudine intimidatrice promanante da compagini di tal genere. Il dato maggiormente rilevante che emerge dall'analisi della giurisprudenza sviluppatasi sul tema è poi quello della piena compatibilità, fra la circostanza aggravante speciale tipizzata all'art. 628 c.p. e quella di cui all'art. 416-bis.1. c.p. Sottolineiamo sul punto come non sia a tal fine indispensabile che l'organicità del soggetto attivo del reato di rapina ad una associazione mafiosa sia stata accertata con sentenza irrevocabile; è infatti sufficiente che tale accertamento venga effettuato proprio nella sede processuale in cui viene applicata l'aggravante ex art. 628, comma 3, c.p. |