La truffa mediante raggiri o artifizi riguardanti i cartellini segnatempo1. Bussole di inquadramentoTradizionalmente destano particolare attenzione i reati commessi, mediante raggiri e/o artifizi riguardanti i cartellini segnatempo istituiti per verificare la presenza del dipendente in ufficio, dai dipendenti pubblici (definiti, con neologismo massmediale tanto orribile, quanto ormai irreversibilmente diffuso, “i furbetti del cartellino”). La rilevanza penale delle predette condotte va verificata alla stregua dell'orientamento secondo il quale, perché possa configurarsi l'ipotesi criminosa base prevista dall'art. 640 c.p., deve sussistere una conseguenzialità logica e cronologica tra l'attività di artificio e raggiro, l'induzione in errore ed il conseguimento del profitto, sicché l'azione posta in essere dall'agente realizzi lo scopo attraverso l'attività volontaria e cosciente del soggetto passivo, determinata dall'errore in cui questi è caduto. L'artificio o il raggiro atti a contribuire ad integrare la materialità della truffa non consistono soltanto in una particolare, sottile, astuta messa in scena, essendo sufficiente a concretarli qualsiasi simulazione, o dissimulazione, o qualsiasi subdolo espediente posto in essere per indurre taluno in errore. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
La falsa attestazione di presenza su cartellini marcatempo (o fogli di presenza) integra il reato di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 1, c.p.?
Orientamento meno recente Si, a condizione che i periodi di assenza siano economicamente apprezzabili Secondo un orientamento giurisprudenziale, la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, costituisce condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza sul posto di lavoro, ed integra il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si sia allontanato senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica (la cui funzione è proprio quella di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro nel tempo compreso tra l'ora di ingresso e quella di uscita), i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili (Cass. II, n. 26722/2008; Cass. II, n. 5837/2013; Cass. V, n. 8426/2014: nel caso esaminato da quest'ultima decisione, si ritenne, peraltro, che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l'amministrazione pubblica). Proprio in considerazione del fatto che, ai fini dell'integrazione del reato, occorre che le ripetute assenze ingiustificate dell'impiegato pubblico dal luogo di lavoro determinino un danno economicamente apprezzabile, si è ritenuto che costituisce onere del giudice di merito considerare a tal fine anche l'eventuale ricorrenza di decurtazioni stipendiali conseguenti proprio alla mancata realizzazione della prestazione (Cass. II, n. 14975/2018). Orientamento più recente Il reato di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 1, c.p. è sempre integrato; se i periodi di assenza non sono economicamente apprezzabili, ricorre la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. L'orientamento più recente ribadisce che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, ma precisa che la speciale tenuità del danno arrecato alla P.A. potrebbe al più legittimare il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 1, n. 4, c.p.(tenuto anche conto dell'entità del profitto percepito), non certo impedire la configurabilità del reato (Cass. II, n. 3262/2019). Peraltro, anche ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata (Cass. VI, n. 30177/2013: fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane S.p.A. attraverso l'utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, in cui è stata esclusa l'attenuante, richiamando la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa). Applicazioni Si è ritenuto che la falsa attestazione del dirigente medico relativa alla sua presenza in ufficio, direttamente incidente sull'ammontare del c.d. “monte ore” in eccedenza, integra il reato di truffa ai danni dell'ente pubblico a prescindere dalla non remunerabilità di detto “monte ore”, poiché, mediante il sistema dei recuperi orari, ne deriva un danno immediato e diretto per la pubblica amministrazione conseguente alla mancata prestazione del servizio da parte del dipendente pubblico, considerato che l'amministrazione viene privata di prestazioni lavorative aventi contenuto patrimoniale, anche a carattere organizzativo, con ricadute sulla continuità ed efficienza del servizio (Cass. II, n. 29628/2019).
Domanda
In caso di falsa attestazione di presenza su cartellini marcatempo è configurabile la circostanza aggravante dell'abuso di prestazione d'opera ex art. 61, n. 11, c.p.?
Orientamento meno recente La circostanza aggravante dell'abuso di prestazione d'operam ex art. 61, n. 11, c.p. non è configurabile Un orientamento non recente (Cass. II, n. 1938/1998), premesso che la ratio dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 11, c.p. consiste nella condizione in cui si trova l'agente di poter poi facilmente commettere il reato, a cagione della fiducia che i vari rapporti elencati nella disposizione comportano, ritiene che, allorquando non sia ravvisabile nella fattispecie concreta tale fiducia, viene meno la possibilità di configurare ed applicare detta aggravante. Si è, in particolare, osservato che, nella fattispecie in esame, questo substrato fiduciario manca, in quanto la condotta delittuosa si estrinseca nella falsificazione delle risultanze dei cartellini segnatempo, di un mezzo, cioè, con il quale il datore di lavoro si assicura, al di là e al di fuori di un qualsiasi affidamento alla coscienza e lealtà di dipendenti, il controllo del lavoro effettivamente svolto da costoro; né il possesso di tali cartellini da parte degli imputati lavoratori dipendenti può essere posto a fondamento di quel rapporto fiduciario di cui si è detto, essendo tale possesso l'unico mezzo per realizzare il funzionamento del metodo di controllo scelto dalla datrice di lavoro. Orientamento più recente La circostanza aggravante dell'abuso di prestazione d'opera exart. 61, n. 11, c.p. è configurabile Secondo la giurisprudenza più recente, è configurabile la circostanza aggravante dell'abuso di prestazione d'opera nel fraudolento utilizzo, da parte del lavoratore, del proprio cartellino elettronico di ingresso al fine di alterare i dati relativi alla presenza in ufficio (Cass. VI, n. 30177/2013: fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane s.p.a. da alcuni dipendenti, il cui cartellino elettronico veniva utilizzato da un collega per farli risultare falsamente presenti). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Querela (art. 336); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di documenti in possesso di privati (art. 391-bis); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461); Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1). Procedibilità Per il reato di truffa, prima della Riforma Cartabia, si procedeva, di massima, ai sensi dell'art. 640, comma 3, c.p., a querela della p.o.; si procedeva d'ufficio ove ricorresse una delle seguenti circostanze aggravanti: – aggravanti previste dall'art. 640, comma 2, c.p. (tra le quali rientra anche quelle di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p.); – aggravante prevista dall'art. 61, comma 1, n. 7, c.p. Ai sensi dell'art. 649-bis c.p., si procedeva, inoltre, di ufficio anche se: – ricorressero circostanze aggravanti ad effetto speciale (inclusa la recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti: cfr. Cass. S.U. , n.3585/2021); – la persona offesa fosse incapace per età o per infermità; – il danno arrecato alla persona offesa fosse di rilevante gravità (con duplicazione sostanziale del riferimento ai casi di cui all'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.). Si procedeva sempre d'ufficio per la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis c.p. Diversamente, la c.d. “Riforma Cartabia” [art. 2, comma 1, lett. o) e lett. q), d.lgs. n. 150 del 2022, in vigore, come stabilito dal d.l. n. 162 del 2022, conv., in l. n. 199 del 2022, dal 30 dicembre 2022], modificando gli artt. 640, comma 3, e 649-bis c.p., prevede che si proceda a querela di parte anche: – per le truffe aggravate ai sensi dell'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.; – per le truffe aggravate dalla recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti. Secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n. 199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: – se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023; – in forza della predetta disposizione, letta a contrario, se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il medesimo termine per proporre querela decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: – avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Questa ultima disposizione non opera, peraltro, per il reato di truffa. Invero, per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto delle sole circostanza aggravanti ad effetto speciale, ma non anche della recidiva. Ciò comporta che soltanto alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p., punita con pena edittale massima pari ad anni cinque di reclusione [e non anche alla truffa aggravata ex art. 61, comma primo, n. 7, c.p. (cui la norma non riconosce quoad poenam alcun “effetto speciale”, e che, pertanto, resta punita con pena edittale massima pari ad anni tre di reclusione), ovvero dalla recidiva nei casi di cui ai commi secondo e seguenti], sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281/286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p. è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura coercitiva ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Alcune questioni che la nuova disciplina potrà proporre sono già state risolte dalla giurisprudenza in relazione a precedenti interventi novellatori dello stesso tenore: – l'inammissibilità del ricorso per cassazione esclude che possano porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. S.U., n. 40150/2018: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 ed i giudizi pendenti in sede di legittimità); – non possono porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela quando la persona offesa abbia già manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Cass. II, n. 28305/2019 e Cass. V, n. 44114/2019: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. n. 36 del 2018); – la remissione della querela, pur intervenuta in un momento nel quale vigeva un regime di procedibilità d'ufficio, comporta l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ove disposizioni sopravvenute abbiano comportato la procedibilità di ufficio: la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, comporta, infatti, la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti (Cass. II, n. 225/2019: fattispecie riguardante la modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36). (In motivazione la Corte ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, dalla quale discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti); – non costituisce causa di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una modifica legislativa per effetto della quale un reato procedibile d'ufficio divenga procedibile a querela, in caso di mancata proposizione di questa, atteso che il regime di procedibilità non è elemento costitutivo della fattispecie e conseguentemente la sopravvenuta previsione della procedibilità a querela è inidonea a determinare un fenomeno di abolitio criminis (Cass. I, n. 1628/2020: fattispecie relativa al delitto di appropriazione indebita aggravato art. 61, comma 1, n. 11, c.p., divenuto procedibile a querela a seguito del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36); – la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. 15 maggio 2018, n. 36 non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione: in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell'istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve, infatti, essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l'insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., se non derogata da una disposizione transitoria ad hoc (Cass. II, n. 14987/2020). Fin qui, gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sono pacifici; vi è, al contrario, contrasto sulla possibile valenza della querela tardiva o comunque, per altro verso, irrituale, sporta quando vigeva un regime di procedibilità d'ufficio: – un orientamento ritiene privo di rilievo il fatto che la persona offesa abbia, in precedenza, manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo che prevede la procedibilità a querela, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Cass. II, n. 25341/2021; Cass. II, n. 11970/2020; Cass. S.U. , n. 5540/1982); – altro orientamento ritiene preclusa la possibilità di esercitare il diritto di sporgere querela per la p.o. che abbia in precedenza già manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., poiché, diversamente, l'avviso si risolverebbe in una rimessione in termini, precisando che l'onere di tempestività a carico della parte che si ritenga persona offesa dal reato, sussiste indipendentemente dalla procedibilità del reato di ufficio o a querela di parte (Cass. II, n. 8823/2021; Cass. II, n. 12420/2020). Quest'ultimo orientamento appare all'evidenza non condivisibile, pretendendo di valorizzare, al fine di precludere alla p.o. l'esercizio della facoltà di sporgere querela, vizi della medesima intervenuti quando l'atto era irrilevante, vigendo un regime di procedibilità officiosa. Improcedibilità delle impugnazioni e prescrizione del reato Per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni sette e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di truffa, comunque circostanziato: – non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.); – non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto della circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p. Ciò comporta che soltanto alla truffa aggravata ex art. 61, co. 1, n. 5, c.p., punita con pena edittale massima pari ad anni cinque di reclusione, e non anche alla truffa non aggravata, punita con pena edittale massima pari ad anni tre di reclusione, sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; alla truffa aggravata de qua è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. In ordine al reato di truffa non aggravata, per il quale è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, lett. i), c.p.p.), l'art. 391, comma 5, c.p.p. consente l'applicazione di misure cautelari coercitive soltanto in caso di arresto in flagranza, stabilendo che, in tali casi, “l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lett. c), e 280”. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.), è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). Citazione a giudizio Per la truffa non aggravata si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p. Si procede con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio, soltanto se la circostanza aggravante di cui all'art. 61, co. 1, n. 5, c.p. sia configurabile (cfr. artt. 550, comma 1, c.p.p. e 640, comma 2, n. 2-bis, c.p.). Composizione del tribunale Della configurabilità o meno della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa”, di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p., con riguardo al reato di truffa, si deve tenere conto agli effetti previsti dall'art. 33, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica): il processo per il reato di truffa, aggravata o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Per il reato di truffa è sempre applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., a meno che non ricorrano le condizioni di cui all'art. 131-bis, comma secondo, c.p. (cfr. amplius Caso “Le truffe on line”). 4. ConclusioniL'orientamento secondo il quale, ai fini dell'integrazione del reato, occorre che le ripetute assenze ingiustificate dell'impiegato pubblico dal luogo di lavoro determinino un danno economicamente apprezzabile, non considera che, ai fini della determinazione dei danni patiti dalla P.A., assume rilievo anche l'incidenza dell'accertata condotta delittuosa sull'organizzazione dell'ente interessato, che ben potrebbe aver subito pregiudizio rilevante per effetto delle pur minime assenze de quibus, poiché esse (ed il danno che ne consegue a carico della PA interessata) vanno valutate non soltanto sotto un profilo quantitativo, in riferimento al quantum di retribuzione in ipotesi indebitamente percepito dal deceptor, ma anche in quanto mettano in pericolo l'efficienza degli uffici. Le singole assenze incidono, infatti, sull'organizzazione dell'ufficio, alterando la preordinata dislocazione delle risorse umane, nella quale il singolo funzionario non può ingerirsi, modificando arbitrariamente le prestabilite modalità di prestazione della propria opera quanto agli specifici orari di presenza: la dislocazione degli impiegati nei singoli uffici è, infatti, predisposta dai dirigenti a ciò preposti curando l'utile e razionale impiego delle risorse disponibili, al fine di assicurare la proficuità (anche in favore dell'utenza) dello svolgimento della quotidiana attività amministrativa, certamente messa a repentaglio dalle personali iniziative di quei dipendenti che mutino a proprio piacimento i prestabiliti orari di presenza in ufficio, con il rischio di creare nocive scoperture ed inutili accavallamenti, e comunque fornendo una prestazione diversa da quella doverosa, non soltanto per durata, ma anche quanto all'orario di inizio e di fine. |