Osservatorio antimafia – Interdittive “a cascata”: il mero aiuto da parte dell'impresa interdetta non prova il rischio di infiltrazione mafiosa
13 Aprile 2023
Massima
In relazione al fenomeno delle cc.dd. interdittive “a cascata”, il mero avvalimento – in senso atecnico – di un'impresa interdetta da parte di altra non direttamente interessata gravata da sintomi di contiguità criminale, ai fini dell'esecuzione di una specifica lavorazione, tanto più se per conto di una P.A., non è sufficiente al fine di dimostrare – anche sul piano meramente indiziario – che la seconda sia esposta al rischio di condizionamento mafioso di cui la prima sia risultata portatrice. Il caso
La vicenda giudiziaria in esame ha origine dall'impugnazione al T.A.R. Calabria di un'informativa interdittiva antimafia adottata nei confronti della ricorrente società.
Gli elementi indiziari del pericolo di condizionamento a carico di quest'ultima sono riconducibili a plurime cointeressenze con altra impresa già attinta da interdittiva antimafia, in quanto facente capo ad un soggetto inquisito per fatti di Ndrangheta.
In sintesi, il quadro probatorio delineato dalla Prefettura si fonda sulla stipula di contratti commerciali e sull'assunzione quali dipendenti di parenti e conviventi dei titolari delle due imprese, determinando tali rapporti un'elusiva interposizione fittizia di soggetti fisici ed imprenditoriali. Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso sul presupposto che gli elementi esposti dalla Prefettura non provassero, in omaggio al criterio del “più probabile che non”, il rischio di assoggettamento dell'attività economica del ricorrente alla criminalità organizzata, attesa l'esiguità e l'estemporaneità degli indizi riportati dall'Amministrazione.
Il Ministero dell'Interno ha proposto appello al Consiglio di Stato, il quale, preso atto del vasto e concordante quadro indiziario rappresentato dalla Prefettura, ne ha accolto i motivi e così rigettato la domanda di annullamento formulata in primo grado.
In particolare, ad avviso del Supremo Consesso Amministrativo, risulterebbero del tutto logiche e documentate le conclusioni cui è giunto l'impugnato provvedimento interdittivo, soprattutto nel rilevare la sussistenza di plurime cointeressenze fra la ditta del padre del ricorrente (già destinatario di una precedente interdittiva) ed altra impresa individuale svolgente analoga attività, anch'essa già colpita da informazione antimafia.
In particolare, è in tale contesto che – secondo il Collegio – dovrebbe essere collocato il controverso episodio che ha visto il figlio del ricorrente di primo grado, dipendente della medesima ditta, giungere presso un cantiere per l'esecuzione dei lavori commissionati a bordo di un automezzo intestato al titolare dell'altra impresa individuale interdetta, in compagnia dei due fratelli del predetto titolare controindicato.
Avverso la predetta sentenza di appello è stata proposto ricorso per revocazione dinanzi al Consiglio di Stato, che lo ha ritenuto meritevole di accoglimento. Nella specie, sussisterebbe un errore di fatto poiché, al contrario di quanto affermato dalla pronuncia oggetto di gravame, né il ricorrente né il padre sono destinatari di alcuna precedente interdittiva.
Inoltre, né nel provvedimento prefettizio impugnato, né nella restante documentazione acquisita, si fa menzione della assunzione, da parte della ditta ricorrente, di parenti e dipendenti riconducibili ad altra impresa legata alla malavita.
Quanto alle relazioni economiche intercorse tra le due società, il Consiglio di Stato ha osservato che in realtà l'interdittiva si è fondata sul pericolo infiltrativo derivante dall'unico rapporto commerciale intrattenuto tra la ditta ricorrente e l'altra impresa, per giunta per l'esiguo importo di € 500. La questione
La questione giuridica affrontata dal Consiglio di Stato riguarda il potere della Prefettura di adottare un'interdittiva c.d. “a cascata”, vale a dire un'informazione antimafia che colpisce la società che abbia intrattenuto rapporti economici con altra impresa interdetta, la quale potrà presumibilmente aver “contagiato” la prima.
Le soluzioni giuridiche
Il Consiglio di Stato ha ricordato il principio secondo cui l'instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un'impresa ed una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale giustifica l'adozione di una “informativa a cascata”.
Tuttavia, il Consesso ha altresì precisato che, affinché possa presumersi il “contagio” alla seconda impresa della “mafiosità” della prima, è necessario che la natura, la consistenza ed i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici. Viceversa, laddove l'esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d'impresa, deve escludersi l'automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia dalla prima alla seconda società.
Tanto premesso, il Collegio ha concluso che il mero avvalimento – in senso atecnico – di un'impresa interdetta da parte di altra non direttamente interessata gravata da sintomi di contiguità criminale, ai fini dell'esecuzione di una specifica lavorazione (tanto più se per conto di una P.A.), non è sufficiente a dimostrare, anche sul piano meramente indiziario, che la seconda sia esposta al rischio di condizionamento mafioso di cui la prima sia risultata portatrice.
Calando le anzidette coordinate ermeneutiche nel giudizio di revocazione, è stato osservato che se, da un lato, l'Amministrazione ha raccolto sufficienti elementi per ritenere la sussistenza di uno stretto collegamento familiare ed imprenditoriale tra le due citate società, dall'altro tanto non può dirsi in relazione al collegamento, ai fini della sua rilevanza sul piano della prevenzione antimafia, tra l'impresa facente capo ad un soggetto indagato per Ndrangheta e la ditta ricorrente. Osservazioni
Del caso in analisi è interessante evidenziare due profili.
Il primo è il tipo di rapporto che deve intercorrere tra società sana e società interdetta, il quale in tanto può legittimare l'adozione di un'interdittiva “a cascata” in quanto abbia carattere stabile, continuativo e non fortuito, dalla consistenza tale da rivelare le finalità illecite cui le relazioni d'impresa sono preordinate; viceversa, altrettanto non può essere affermato ove i contatti commerciali si rivelino sporadici e scarsamente significativi, da ciò emergendo la natura meramente episodica dell'associazione temporanea delle imprese.
Il secondo profilo è che per quanto sia lecito estendere gli effetti di un'interdittiva nei confronti di una società “contagiata” da altra già colpita da analogo provvedimento, non è possibile limitarsi a verificare la stabilità e non occasionalità delle relazioni aziendali, ma è necessario comunque procedere all'accertamento dei presupposti legittimanti l'esercizio del potere, così come elencati nell'art. 84 del Codice Antimafia.
In dottrina si segnala:
L. Della Ragione-A. Marandola-A. Zampaglione, Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimenti, Milano, 2022.
P. Marotta - P. Marotta, Natura e limiti del potere amministrativo di prevenzione antimafia, Milano, 2021.
E. Mezzetti - L.L. Donati, La legislazione antimafia, Bologna, 2020.
O. Morcavallo, L'informazione interdittiva antimafia, Milano, 2019.
G. Amarelli - S.S. Damiani, Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all'infiltrazione, Torino, 2019.
Si richiama il contributo “Osservatorio antimafia - Riferimenti bibliografici in materia di interdittiva antimafia” pubblicato su questo Portale. |