La tenuta della cartella clinica1. Bussole di inquadramentoL'ideazione di una embrionale cartella clinica si deve nientemeno che ad Ippocrate, il quale, tra il quarto e quinto secolo a.C., nel teorizzare la necessità dell'osservazione razionale dei pazienti attraverso l'indagine dei sintomi, sottolineava come una buona riuscita delle cure esigesse l'annotazione nei sintomi riferiti e rilevati, delle diagnosi formulate e delle cure prescritte. Sebbene la cartella clinica, almeno nella sua primitiva nozione, risalga ad epoca così remota, essa non trova, tuttora, nella legislazione vigente una precisa definizione, né tantomeno una organica regolamentazione. Alla cartella clinica si riferiscono infatti diversi dati normativi, i quali però ne danno per presupposti natura e contenuti. I riferimenti normativi Tralasciando il r.d. 5 febbraio 1891, n. 99, che prevedeva la conservazione dei documenti relativi alla ammissione del ricoverato, nonché alla diagnosi, al riassunto delle sue condizioni ed alla dimissione, nonché il successivo r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, che attribuiva al primario la responsabilità della regolare tenuta delle cartelle cliniche e dei registri nosologici, occorre muovere dal meno remoto d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, recante l'«Ordinamento interno dei servizi ospedalieri», il quale si limita ad affermare, relativamente agli ospedali pubblici, che «il primario ... è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all'archivio centrale», e che «il direttore sanitario ... vigila sull'archivio delle cartelle cliniche ... rilascia agli aventi diritto ... copia delle cartelle cliniche». Il d.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, sulle mansioni degli infermieri professionali e generici, elenca tra le attribuzioni di carattere organizzativo ed amministrativo dei primi la «annotazione sulle schede cliniche degli eventuali rilievi di competenza ... e conservazione di tutta la documentazione clinica fino al momento della consegna gli archivi centrali». In seguito, il d.P.C.M. 27 giugno 1986, recante «Atto di indirizzo e coordinamento ... in materia di requisiti delle case di cura private», ha sancito all'art. 35 che «in ogni casa di cura privata è prescritta, per ogni ricoverato, la compilazione della cartella clinica da cui risultino le generalità complete, la diagnosi di entrata, l'anamnesi familiare e personale, l'esame obiettivo, gli esami di laboratorio e specialistici, la diagnosi, la terapia, gli esiti ed i postumi». Secondo le linee guida del Ministero della salute 17 giugno 1992 concernenti la compilazione, la codifica e la gestione della «Scheda di Dimissione Ospedaliera» (SDO) istituita con d.m. 28 dicembre 1991, la cartella clinica è definita come «lo strumento informativo individuale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche significative relative ad un paziente e ad un singolo episodio di ricovero. Ciascuna cartella clinica ospedaliera deve rappresentare l'intero episodio di ricovero del paziente nell'istituto di cura: essa, conseguentemente, coincide con la storia della degenza del paziente all'interno dell'ospedale. La cartella clinica ospedaliera ha così inizio al momento dell'accettazione del paziente in ospedale, ha termine al momento della dimissione del paziente dall'ospedale e segue il paziente nel suo percorso all'interno della struttura ospedaliera». All'art. 26 del Codice di deontologia medica in vigore dal 16 dicembre 2006 si afferma che: «La cartella clinica delle strutture pubbliche e private deve essere redatta chiaramente, con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre ad ogni dato obiettivo relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate. La cartella clinica deve registrare i modi e i tempi delle informazioni nonché i termini del consenso del paziente, o di chi ne esercita la tutela, alle proposte diagnostiche e terapeutiche; deve inoltre registrare il consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili, con particolare riguardo ai casi di arruolamento in un protocollo sperimentale». Non mancano poi disposizioni di settore le quali incidono sul contenuto della cartella clinica. Così, ad esempio, l'art. 7, primo comma, della legge 15 marzo 2010, n. 38, recante «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», il quale, sotto la rubrica «Obbligo di riportare la rilevazione del dolore all'interno della cartella clinica», stabilisce che: «All'interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito». Contenuto e funzione della cartella clinica Già dall'elencazione dei dati normativi ricordati emerge come la cartella clinica abbia natura di atto complesso a formazione progressiva, il quale, in realtà, ricomprende in sé componenti diverse e provenienti da diverse mani, che si giustappongono e consolidano nel corso della degenza ospedaliera del paziente. Volendo utilizzare un'espressione atecnica, ma chiara e comprensibile, potremmo dire che lo «strumento informativo» cartella clinica è in realtà nient'altro che un contenitore delle informazioni anagrafiche e cliniche inerenti a un singolo episodio di ricovero, che raccoglie «i dati anamnestici e obiettivi riguardanti il paziente», nonché «quelli giornalieri sul decorso della malattia, i risultati delle indagini strumentali e laboratoristiche effettuate, quelli inerenti alle terapie praticate e, infine, la diagnosi della malattia che ha condotto il paziente in ospedale», con le conseguenti conclusioni diagnostiche e terapeutiche cui si è pervenuti al termine del ricovero. Possiamo trovare dunque nella cartella clinica: i) il foglio della terapia farmacologica; ii) il foglio delle prescrizioni non farmacologiche; iii) referti; iv) le consulenze; v) il registro operatorio; vi) le informative e le dichiarazioni di volontà del paziente (consenso informato); vii) il diario clinico. Quest'ultimo documento, sul quale torneremo tra breve, possiede, in effetti, rilievo primario all'interno della cartella clinica: esso attesta l'evoluzione della situazione clinica del paziente, con la diagnosi formulata ed il piano terapeutico praticato. La cartella clinica ha inoltre una pluralità di funzioni. Possono identificarsene essenzialmente tre: a) una funzione sanitaria, giacché disporre di informazioni esaurienti costituisce, per il medico chiamato ad intervenire in una situazione di degenza già in atto, una esigenza fondamentale ai fini anzitutto di un appropriato esercizio dell'attività terapeutica; b) una funzione amministrativa, consistente nella documentazione dell'attività svolta, anche ai fini della sua remunerazione attraverso il sistema del DRG; c) una funzione probatoria, attraverso una rigorosa e puntuale registrazione del divenire della degenza, tale da assicurarne la più accurata tracciabilità per eventuali esigenze medico-legali. La tenuta della cartella clinica Il diario clinico, che, come si è visto, è elemento centrale della cartella clinica, non può che descrivere selettivamente, come è naturale, il dipanarsi della situazione del paziente: non ogni evento occorso (tanto per dire: ogni colpo di tosse) è annotato nel diario clinico, ma soltanto i dati obiettivamente rilevanti per i fini della completezza del supporto informativo, dati che spetta al medico individuare. Altrettanto ovvio è che l'annotazione sul diario clinico possa avvenire in un tempo che sia ragionevolmente compatibile con la riflessione medica, con l'attività di reparto e con le contingenze del caso concreto; ciò che conta è il rispetto della sequenza cronologica nella registrazione degli eventi. L'annotazione predetta deve avvenire nel rispetto delle prescrizioni deontologiche e, in particolare, della regola dettata dal citato art. 23 del Codice di Deontologia Medica, secondo cui «La cartella clinica deve essere redatta chiaramente, con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre a ogni dato obiettivo relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate». La stessa giurisprudenza di legittimità non manca di valorizzare il requisito della «contestualità» delle annotazioni da effettuare nella cartella clinica, in considerazione della sua specifica funzione documentativa (Cass. pen., n. 13989/2004; Cass. pen., n. 1098/1997; Cass. pen., n. 9423/1983). Non possono essere sottaciuti, allora, i profili di censurabilità derivanti dalla presenza in cartella clinica di sezioni non compilate, di lacune cronologiche, ovvero dalla elusione della invece imprescindibile necessità di una sottoscrizione autografa delle singole annotazioni registratevi, corredate della data e dell'ora in cui siano state apposte; elementi tutti che costituiscono uno dei principali criteri di valutazione della qualità della documentazione sanitaria. Una questione di rilevante impatto pratico, nel medesimo campo, è quella delle modificazioni e correzioni eventualmente apportate alla cartella clinica, questione che si collega al carattere della necessaria contestualità delle annotazioni in essa contenute. È stato stabilito, in generale, che la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata (Cass. pen., n. 35167/2005). Conseguentemente, la correzione di eventuali errori materiali deve comportare la conservazione della leggibilità dell'annotazione originaria e la giustapposizione dell'annotazione corretta, datata e sottoscritta dal soggetto abilitato ad effettuarla; mentre la successiva integrazione di una eventuale omissione non può che essere compiuta mediante la formale acquisizione alla cartella clinica, in data certa, di un documento redatto successivamente all'epoca dei fatti registrativi, in cui vengano storicamente dichiarate l'avvenuta omissione e le sue cause, nonché gli elementi integrativi e le loro fonti. Efficacia probatoria della cartella clinica In dottrina ci si interroga se la cartella clinica abbia natura di atto pubblico, di scrittura privata, ovverosia ascrivibile, come è stato sostenuto, ad un tertium genus intermedio tra l'atto pubblico e la semplice scrittura privata. La S.C. ha però univocamente ribadito più volte che le attestazioni contenute nella cartella redatta da un'azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio sanitario al pari di quelle contenute nei certificati dei medici convenzionati, hanno la natura di certificazione amministrativa (Cass. n. 27471/2017; Cass. 30 novembre 2011, n. 25568; Cass. 12 maggio 2003, n. 7201; Cass. 27 settembre 1999, n. 10695). Ciò vuol dire che la cartella clinica possiede l'efficacia probatoria prevista dall'art. 2700 c.c., il quale stabilisce che l'atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Da ciò deriva che l'applicazione dello speciale regime di cui all'art. 2699 c.c. e segg., alla stregua del quale l'efficacia probatoria dell'atto pubblico può essere vinta esclusivamente a mezzo della querela di falso, è circoscritta alle sole rilevazioni e trascrizioni concernenti le attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre ne sono escluse le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute. Ad esempio, l'annotazione nella cartella clinica della «assenza di deficit vascolo nervosi» è stata ritenuta priva di efficacia fidefacente, trattandosi non di attestazione di un fatto, bensì di valutazione diagnostica dell'operatore (così nel caso scrutinato da Cass. n. 7201/2003). È essenziale tuttavia aggiungere che, anche nella sua qualità di atto pubblico, la cartella clinica non fa mai e in nessun caso prova in favore di colui che l'ha redatta, allorché venga in discussione la sua responsabilità, neanche per i meri fatti ivi indicati come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da questo compiuti. Infatti, il presupposto del carattere vincolante dell'atto pubblico è la terzietà del pubblico ufficiale nella sua funzione certificante con effetti probatori, requisito che non può sussistere allorché si ponga in discussione la responsabilità della persona medesima che ha redatto l'atto, non essendo concepibile che il soggetto sia la fonte di una prova a suo favore con carattere vincolante. Detta responsabilità può dunque essere posta in discussione non solo agendo direttamente nei confronti del pubblico ufficiale, ma anche allorché si agisce nei confronti di altro soggetto che deve rispondere per i fatti del soggetto certificante, riportati nell'atto pubblico (artt. 1228 e 2049 c.c.): anche in questo caso, infatti, il giudizio presuppone l'accertamento della responsabilità del pubblico ufficiale che ha redatto l'atto pubblico. Ne consegue che in dette ipotesi non è necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l'esperimento del rimedio della querela di falso, qualora la parte che affermi la responsabilità del pubblico ufficiale, intenda contestare i fatti indicati nell'atto, escludenti detta responsabilità (in questo senso Cass. n. 10695/1999). Quanto alle valutazioni, alle diagnosi ed in genere alle manifestazioni di scienza o di opinione contenute nella cartella, si è già detto che esse non sono coperte da fede privilegiata. Ciò non vuol dire, però, che non abbiano alcuna efficacia probatoria: possono averla, invece, contro il medico che ha redatto la cartella quali dichiarazioni confessorie a sé sfavorevoli e favorevoli al paziente. Così, ad esempio, una certa diagnosi risultante dalla cartella clinica, poi risultata errata, prova, contro di lui, che il medico ha posto quella diagnosi e che, dunque, ha sbagliato. Cartella clinica e sanzioni penali La violazione delle regole concernenti la tenuta della cartella clinica possono dar luogo essenzialmente alla commissione del delitto di rifiuto di atti d'ufficio ovvero di delitti di falso. L'art. 328 c.p. stabilisce che: «Il pubblico ufficiale ..., che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di ... sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni». Integra perciò il reato di cui all'art. 328, comma primo, c.p., ad esempio, la condotta del primario ospedaliero che ometta di redigere la cartella clinica relativa ad un paziente temporaneamente sottoposto a cure di mantenimento e in attesa di trasferimento ad altra, più attrezzata, struttura ospedaliera, trattandosi di un atto d'ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di sanità. (Cass. pen., n. 15548/2009 concernente il transito ospedaliero di un neonato, trasferito in altro nosocomio; in senso conforme v. Cass. pen., n. 19039/2006; v. pure Cass. pen., n. 19039/2006; Cass. pen., n. 35167/2005; Cass. pen., n. 13989/2004). Il carattere di atto pubblico della cartella clinica comporta poi, sul piano penale, l'applicabilità ad essa, in caso di sua falsificazione, della disciplina dettata per il falso in atto pubblico (sulla natura di atto pubblico della cartella clinica, a fini penalistici, tra le tante, Cass. pen., n. 31858/2009; Cass. pen., n. 37925/2010). Tornando alla possibilità che la cartella clinica sia liberamente oggetto delle correzioni e delle modificazioni ritenute necessarie, contrariamente a quanto precedentemente si accennava, una decisione già citata chiarisce che «integra il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici di cui all'art. 476 c.p. la condotta del medico ospedaliero che altera, mediante cancellazione con correttore e riscrittura la cartella clinica in alcune parti formate ad opera di soggetti diversi, considerando che detta cartella acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata e che le modifiche o aggiunte in un atto pubblico, dopo che è stato definitivamente formato, integrano un falso punibile ancorché il soggetto abbia agito per ristabilire la verità effettuale, salvo che esse si risolvano in mere correzioni di errori materiali» (Cass. pen., n. 35167/2005). Integra dunque il reato di falso materiale in atto pubblico la condotta del medico che, prestando la propria opera professionale in una struttura privata convenzionata col servizio sanitario nazionale, alteri la cartella clinica (Cass. n. 19557/2010). Il delitto di falso è stato così riscontrato, tanto per fare qualche esempio, con la precisazione che la giurisprudenza in materia è ben più ampia: i) in un caso di omessa menzione, in un intervento di una amniocentesi, dell'effettuazione di un primo prelievo risultato solo ematico (Cass. pen., n. 22694/2005); ii) in caso di omessa menzione della circostanza che l'intervento di interruzione volontaria di gravidanza descritto nella cartella clinica era stato eseguito non già in ospedale, ma nella abitazione della paziente, trattandosi di omissione concernente un enunciato significativo, considerato che l'abitazione privata non costituisce di norma sede deputata al compimento di interventi chirurgici (Cass. pen., n. 12132/2011); iii) in caso di sottrazione dalla cartella clinica del foglio di obiettività, compilato congiuntamente dal medico specializzando e dal tutor, e la sua sostituzione con altro recante data falsa e annotazioni in parte diverse da quelle originariamente apposte (Cass. pen., n. 16857/2011). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono le conseguenze civilistiche della difettosa tenuta della cartella clinica?
Importanti sono le conseguenze sul piano della prova Dalla violazione delle regole concernenti la tenuta della cartella clinica può derivare responsabilità del medico ovvero della struttura sanitaria sotto diversi profili. L'inottemperanza del medico all'obbligo di controllare completezza ed esattezza del contenuto della cartella clinica configura difetto di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa, da qualificarsi oggettivamente come di particolare gravità — avuto riguardo alla rilevante funzione che la cartella clinica assume, sotto il profilo sanitario, nei confronti del paziente e, indirettamente, nei confronti della struttura sanitaria a cui il paziente stesso si è affidato — essendo, quindi, idonea a determinare l'irrimediabile lesione dell'elemento fiduciario e il conseguente recesso datoriale. Tale condotta, dunque, giustifica in linea di principio il licenziamento disciplinare (Cass. n. 6218/2009, che, nel caso considerato, ha tuttavia ritenuto corretta la decisione della corte d'appello, la quale aveva giudicato illegittimo il licenziamento, poiché il medico non era stato posto in condizioni di svolgere correttamente la sua attività). La struttura sanitaria è inoltre tenuta a risarcire il danno sofferto dal paziente in conseguenza della diffusione di dati sensibili contenuti nella cartella clinica, a meno che non dimostri di avere adottato tutte le misure necessarie per garantire il diritto alla riservatezza del paziente e ad evitare che i dati relativi ai test sanitari e alle condizioni di salute del paziente stesso possano pervenire a conoscenza di terzi. In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito la quale, muovendo dal fatto che la cartella clinica, dalla quale risultava la condizione di omosessuale affetto dal virus HIV del paziente, e della cui indebita diffusione quest'ultimo si doleva, era risultata custodita nella sala infermieri, aveva escluso la responsabilità dell'ospedale (Cass. n. 2468/2009). L'aspetto che più interessa, tuttavia, attiene ai riflessi della difettosa tenuta della cartella clinica nelle cause di responsabilità professionale medica. È superfluo rammentare che la responsabilità della struttura sanitaria è costruita ormai stabilmente in termini di responsabilità contrattuale, con il conseguente riparto degli oneri probatori. Quanto al nesso di causalità, poi, la relativa prova incombe in linea di principio sul danneggiato, sicché la mancanza di essa si risolve in suo pregiudizio: e tuttavia, bisogna ricordare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai affermatosi, lo scrutinio della sussistenza del nesso di causalità risponde non già ad una regola di certezza, sia pure relativa, ma alla regola conosciuta come del «più probabile che non». Ora, si è già visto che la cartella clinica possiede rilievo probatorio privilegiato in ordine ai fatti in essa documentati, riguardanti lo svolgimento della degenza. Ebbene, secondo la S.C., se la prova dei fatti occorsi e delle attività espletate in corso della degenza non possa esser fornita a causa di un comportamento — quale la perdita della cartella, la sua mancata redazione, la sua redazione incompleta, la sua falsificazione — addebitabile proprio alla parte nei cui confronti i fatti medesimi sono stati invocati, gli effetti dell'inosservanza dell'onere probatorio ricadono ineluttabilmente sul responsabile dell'inadempimento, sia dal versante della colpa che della sussistenza del nesso di causalità. Detto in altri termini, la situazione di incertezza giuridica che si determina per la difettosa compilazione della cartella clinica comporta non già il rigetto della domanda del paziente, preteso danneggiato, per mancata prova del fatto costitutivo della domanda, bensì l'accoglimento di tale domanda per mancata prova, da parte del medico, del fatto modificativo, impeditivo o estintivo, secondo la regola posta dal secondo comma dell'art. 2697 c.c. In termini ancora più brutali: se la cartella è fatta male, e non si sa come si sono svolti i fatti, il giudice ritiene presuntivamente accertati e la colpa del medico e la sussistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno. Orientamento consolidato Per questa via la completa e regolare compilazione della cartella clinica, la quale deve riguardare ogni sua parte, senza arbitrarie omissioni, acquista un rilievo decisivo non certo in favore, ma contro il medico. La costante giurisprudenza di legittimità ritiene infatti che, non solo la difettosa annotazione della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, ma che a favore di quest'ultimo, in ossequio al principio di vicinanza della prova (Cass. n. 12218/2015; Cass. n. 26828/2017; Cass. n. 27561/2017), è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato (Cass. n. 1538/2010; Cass. n. 10060/2010; Cass. n. 6209/2016). È così che è stato affermato che: «In tema di responsabilità professionale del medico, le omissioni nella tenuta della cartella clinica al medesimo imputabili rilevano sia ai fini della figura sintomatica dell'inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell'art. 1176, comma 2, c.c., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l'imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria» (Cass. n. 1538/2010). E dunque, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente (Cass. n. 6209/2016, che ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto). Peraltro, l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass. n. 26428/2020; Cass. n. 27561/2017; Cass. n. 12218/2015). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 4. ConclusioniNell'introduzione di una domanda di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria è fondamentale sottoporre ad approfondito esame della cartella clinica: da essa possono difatti trarsi elementi probatori non solo se sia stata rettamente compilata, ma forse ancor di più se non lo sia stata, nel qual caso essa può giocare un rilievo significativo in favore del paziente. |