Sperimentazione di farmaci

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Il tema della sperimentazione di farmaci è qui esaminato da un angolo visuale, quello del danno eventualmente patito dalla persona che si sottopone alla sperimentazione, e della risarcibilità di esso da parte della struttura sanitaria e dell'impresa produttrice del farmaco.

Si tratta anzitutto di stabilire quale sia il titolo di responsabilità gravante su tali ultimi due soggetti e quali le condizioni legittimanti l'insorgenza del diritto al risarcimento: per il che, d'altro canto, assume rilievo lo stesso rapporto che si instaura tra di essi, dal momento che un diverso approccio occorre avere a seconda che la struttura sanitaria abbia operato come mera esecutrice di disposizioni impartite dall'impresa farmaceutica, oppure abbia partecipato alla sperimentazione arrecandovi un proprio apporto tecnico-scientifico.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'impresa produttrice del farmaco in fase di sperimentazione è responsabile dei danni patiti dalla persona nei cui confronti la sperimentazione è eseguita? Ed è responsabile la struttura sanitaria?

La complessa risposta è offerta dalla giurisprudenza

Argomenti per la soluzione del quesito possono trarsi dalla recente Cass. n. 10348/2021, concernente la domanda di risarcimento dei danni proposti da una donna che aveva partecipato alla sperimentazione di un farmaco coadiuvante nella terapia successiva alla rimozione di un carcinoma alla mammella, sperimentazione che, secondo la sua prospettazione, avrebbe cagionato una malattia cardiovascolare.

Il principio affermato si riassume in ciò, che in tema di responsabilità conseguente alla sperimentazione di farmaci, la casa farmaceutica promotrice della sperimentazione, la quale abbia fornito il farmaco ad una struttura sanitaria, perché lo sperimentasse sui suoi pazienti a mezzo dei propri medici, risponde a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato effettivamente somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici «sperimentatori», soltanto nell'ipotesi in cui, sulla base della concreta conformazione dell'accordo di sperimentazione, debba ritenersi che essa si sia personalmente obbligata verso i destinatari della sperimentazione, sicché la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano assunto la qualità di ausiliari di cui la casa farmaceutica si sia avvalsa nell'adempimento, ai sensi dell'art. 1228 c.c.; al di fuori di questa ipotesi, essa può essere chiamata a rispondere solo a titolo di responsabilità extracontrattuale (in applicazione del criterio di imputazione speciale di cui all'art. 2050 c.c., o, eventualmente, di quello generale di cui all'art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa.

In proposito occorre osservare che la fattispecie pone in risalto una pluralità di rapporti tra loro concorrenti e coinvolgenti l'impresa farmaceutica, che è quella primariamente interessata ad effettuare la sperimentazione al fine di collocare il farmaco sul mercato; la struttura sanitaria, che partecipa alla sperimentazione e che può essere mossa da ragioni disparate, sia di tipo economico, sia di prestigio scientifico; il medico sperimentatore, che vigila concreto andamento della sperimentazione; il paziente destinatario finale della sperimentazione, che può a propria volta essere motivato da ragioni economiche o dalla ricerca di un farmaco utile a curare una sua patologia.

Il rapporto tra l'impresa farmaceutica produttrice del farmaco, che si fa promotrice della sperimentazione, e la struttura sanitaria che la attua, attraverso un proprio centro sperimentale, ha senz'altro natura contrattuale. Vale in proposito richiamare il disposto dell'art. 6, commi 2 e 6, d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211, che regola l'esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali: il comma 6, in particolare, riferendosi al precedente comma 2, qualifica espressamente come contratto quello ivi previsto, e deve essere stipulato tra il responsabile legale del centro sperimentale e il promotore della sperimentazione. Il rapporto fra il promotore e il centro sperimentale è, come visto, disciplinato da un contratto. Alla luce del contratto occorre verificare se vi sia la previsione di un'ingerenza del promotore nella fase di esecuzione, in mancanza della quale trova applicazione l'art. 2, lett. f), del d.lgs. n. 211/2003, secondo cui la responsabilità dell'esecuzione della sperimentazione è affidata al medico sperimentatore e non al promotore, al quale è assegnata « la responsabilità di avviare, gestire ed eventualmente finanziare una sperimentazione clinica».

Ha poi senz'altro natura contrattuale il rapporto tra la struttura sanitaria che attua la sperimentazione e il paziente destinatario della somministrazione del farmaco, sebbene la struttura sanitaria debba com'è ovvio necessariamente avvalersi, per l'effettuazione del trattamento, di una persona fisica terza, il medico sperimentatore, che, peraltro, è generalmente un dipendente della struttura sanitaria, della quale agisce in veste di ausiliario ai sensi dell'art. 1228 c.c., con l'ulteriore conseguenza che la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è appunto da qualificare come contrattuale ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c..

Quanto al rapporto tra l'impresa produttrice del farmaco ed il medico sperimentatore che sovrintende alla sperimentazione, vale ancora rammentare che, secondo l'art. 2 d.lgs. n. 211/2003, è promotore colui che si assume la responsabilità di avvio, gestione e/o finanziamento della sperimentazione clinica, mentre la responsabilità per l'esecuzione della sperimentazione ricade sul medico sperimentatore. La disposizione non interviene sulla qualificazione del rapporto fra medico sperimentatore e promotore della sperimentazione, e, nel soffermarsi sul contratto fra il promotore e il centro sperimentale costituito presso la struttura sanitaria, non ne definisce i contenuti, che — osserva incidentalmente Cass. n. 10348/2021 — possono «di volta in volta comportare oppure escludere una ingerenza del promotore nella fase dell'esecuzione». Sorge perciò l'esigenza di scrutinare, in vista dell'inquadramento della responsabilità dell'impresa farmaceutica, se il medico sperimentatore abbia operato quale mero esecutore delle istruzioni impartitegli dall'impresa farmaceutica, ovvero se sia intervenuto, in particolare, nella fase di reclutamento del destinatario della sperimentazione. Occorre allora accertare, come osserva la S.C., se «la sperimentazione sia stata demandata integralmente allo sperimentatore o se il promotore abbia conservato una gestione della stessa che consenta, per i suoi concreti contenuti, di imputargli direttamente o indirettamente (per il tramite dell'attività svolta da ausiliari) anche i danni conseguenti ad errori verificatisi nella fase di esecuzione».

Venendo al rapporto tra destinatario della sperimentazione e impresa farmaceutica, la S.C., nella pronuncia richiamata, ha escluso la configurabilità di una responsabilità contrattuale da «contatto sociale»; viene ricordato che la categoria della responsabilità da «contatto sociale» in ambito di responsabilità sanitaria è stata elaborata per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano tuttavia in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; una siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 7 I. n. 24/2017, che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, «salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente») presuppone dunque l'accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell'eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta, rapporto nel caso di specie escluso, essendo la paziente entrata in contatto, come del resto in simili frangenti è generalmente accade, soltanto con la struttura sanitaria. Dopo di che la stessa pronuncia ha rimesso al giudice di merito la verifica della sussistenza di una responsabilità contrattuale ― da vero e proprio contratto e non da contatto ― dell'impresa farmaceutica per il tramite della struttura sanitaria per effetto del reclutamento nel programma sperimentale da parte di essa impresa, e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti riferibile (oltreché alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l'inadempimento individuato a carico dei sanitari risulti imputabile anche alla impresa farmaceutica a norma dell'art. 1228 c.c..

Dopodiché sorge il problema dell'individuazione del titolo di responsabilità dell'impresa farmaceutica nei confronti del paziente in mancanza di un rapporto contrattuale tra essi. La S.C., nella già ricordata decisione, nel devolvere l'indagine al giudice di merito ipotizza l'applicabilità degli artt. 2050 o 2043 c.c.

Va però rammentato, guardando al tema della responsabilità della casa farmaceutica in generale, al di là del caso, cioè, di responsabilità da sperimentazione, che detta responsabilità può discendere non solo dall'applicazione dell'art. 2050 c.c. relativo all'esercizio di attività pericolose, ma anche della disciplina della responsabilità del produttore, dettata dal Codice del consumo, agli artt. 114-127. L'una disposizione pare però più pertinente della normativa sulla responsabilità da prodotto, quantunque la valutazione debba essere compiuta caso per caso: sembra cioè orientativamente che nella fattispecie considerata venga in questione la pericolosità dell'attività esercitata, e non la messa in circolazione del prodotto destinato al consumo, trattandosi di farmaco in fase di sperimentazione, che, come tale, non sembra possa essere considerato difettoso. Del resto, la giurisprudenza sul danno da farmaco propende appunto per l'applicazione della disciplina di cui all'art. 2050 c.c., peraltro più favorevole al danneggiato rispetto alla responsabilità da prodotto (Cass. n. 814/1997; Cass. n. 1138/1995; Cass. n. 8069/1993; nella giurisprudenza di merito App. Milano 30 aprile 2021, n. 1353, secondo cui: «L'attività di commercializzazione di farmaci è un'attività pericolosa che, ai sensi dell'art. 2050 c.c., obbliga la casa farmaceutica a risarcire tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal paziente a seguito dell'assunzione di un farmaco da cui siano derivati effetti collaterali non segnalati sul bugiardino seppur noti, o conoscibili alla luce delle evidenze scientifiche».

Costituendo la commercializzazione di farmaci attività pericolosa, rimane automaticamente esclusa l'applicabilità dell'art. 2043 c.c. Resta pertanto a carico dell'impresa farmaceutica, ai sensi dell'art. 2050 c.c., la prova «di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno». È stato così affermato che, in caso di commercializzazione di farmaci suscettibili di cagionare effetti collaterali in danno dei pazienti sottoposti alla relativa somministrazione, va esente da responsabilità l'azienda farmaceutica che abbia rigorosamente osservato le sperimentazioni e i protocolli previsti dalla legge e abbia segnalato adeguatamente l'effetto indesiderato sul foglio illustrativo (Cass. n. 6587/2019, che ha cassato la sentenza che, con riguardo all'effetto indesiderato di un farmaco del quale non si conosceva la causa, riscontrabile con una percentuale di uno su un milione, aveva ritenuto non raggiunta la prova liberatoria nonostante la relativa segnalazione nel foglietto illustrativo).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel primo caso. Con riguardo alla responsabilità per danni cagionati dalla sperimentazione di farmaci occorre tuttavia stabilire quale delle diverse domande l'attore intenda proporre: abbiamo visto che la struttura sanitaria risponde come sempre a titolo di responsabilità contrattuale, nel qual caso va senz'altro posta in essere la condizione di procedibilità. Non sembra invece che essa occorra ove si intenda agire per l'esercizio di attività pericolosa nei confronti dell'impresa farmaceutica. Sovente accadrà, peraltro, che il danneggiato agisca in giudizio nei confronti di entrambi gli enti.

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel primo caso, e si ribadisce quanto appena osservato, e cioè che l'instaurazione della condizione di procedibilità sembra necessaria in caso di azione proposta contro la struttura sanitaria, e non dell'impresa farmaceutica per attività pericolosa.

Competenza per territorio

La legge Gelli-Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel primo caso. In caso di domanda proposta nei confronti dell'impresa farmaceutica ai sensi dell'art. 2050 c.c. troveranno applicazione delle regole ordinarie di radicamento della competenza territoriale. Ed ancora, in caso di domanda simultaneamente proposta tanto nei confronti della struttura sanitaria quanto dell'impresa farmaceutica si realizza un'ipotesi di cumulo soggettivo sottoposto all'applicazione dell'art. 33 c.p.c., sicché l'attore potrà optare per uno dei diversi giudici competenti per l'uno per l'altra causa.

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel primo caso, con la precisazione che, in caso di cumulo di domande proposte sia nei confronti della struttura sanitaria che nei confronti dell'impresa farmaceutica deve ritenersi prevalente il rito ordinario.

4. Conclusioni

Del danno cagionato al paziente dalla somministrazione di farmaci in fase di sperimentazione rispondono sia la struttura sanitaria, a titolo di responsabilità contrattuale, sia l'impresa farmaceutica, a titolo di responsabilità per l'esercizio di attività pericolosa. Occorre tuttavia di volta in volta a verificare come si atteggi la relazione tra l'una e l'altra, al fine di stabilire, anche alla luce della normativa specificamente dettata in materia, se la struttura sanitaria, e con essa il medico sperimentatore, abbiano assunto una posizione di meri esecutori di decisioni adottate dall'impresa farmaceutica.

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