Epidemia da Covid-19 e responsabilità del medico, della struttura sanitaria e delle Regioni1. Bussole di inquadramentoLa pandemia da Covid-19 merita di essere trattata dall'angolo visuale della responsabilità delle strutture sanitarie e, probabilmente, ancor più quella della pubblica amministrazione per mancata adozione e/o inosservanza delle prescrizioni contenute nei piani pandemici. Nel quadro dei provvedimenti volti a contrastare la diffusione del coronavirus si è da più parti sollecitato un intervento volto a creare uno scudo, anche nel campo della responsabilità civile, a tutela dei medici, allo scopo, come è stato detto, di sottrarre «gli eroi della crisi al cinismo degli avvocati ed all'opportunismo predatorio dei sopravvissuti». Il legislatore, però, è intervenuto solo nel settore penale, a seguito dell'entrata in vigore, e della successiva conversione in legge, del d.l. 1° aprile 2021, n. 44, che, oltre ad aver escluso la responsabilità penale per effetti avversi conseguenti al vaccino anti-Covid (art. 3), ha stabilito, all'art. 3-bis, introdotto in sede di conversione in legge del decreto, che: «durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 ... i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p., commessi nell'esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave», precisando, al comma 2 della stessa norma, che: «Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza». L'epidemia da Covid -19 e la responsabilità del personale sanitario In effetti, è plausibile che l'assetto della responsabilità professionale medica dopo la legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017, n. 24), che ha qualificato la responsabilità professionale del medico quale responsabilità extracontrattuale, sia già sufficiente, se ragionevolmente amministrata dalla giurisprudenza, a fronteggiare il problema, ove si consideri che, con riguardo alla fase iniziale di diffusione del virus, la configurazione di una responsabilità professionale del medico si scontra tanto con la scarsità delle conoscenze nella materia, quanto con la tragica inadeguatezza delle strutture, mentre, nella fase successiva, i protocolli concernenti la diagnosi e cura della malattia, in ragione dell'ampia esperienza accumulatasi in breve tempo, si sono precisati in modo tale da rendere scarsamente probabile, se non in presenza di colpa, l'eventualità che essa non venga diagnosticata, ovvero venga curata in modo inappropriato. Insomma, superata la prima fase della pandemia, nella quale l'affermazione di responsabilità del medico è certo possibile, ma in presenza di specifici profili di colpa per effetto di condotte commissive od omissive particolarmente severe (si ipotizzi il caso di che non abbiano tenuto separati i malati di Covid-19 dagli altri), possono certo configurarsi errori diagnostici o terapeutici riferibili al medico, dei quali la struttura è responsabile ai sensi dell'art. 1228 c.c.: ma ciò accadrà non diversamente da quanto accade per qualsiasi altra patologia conosciuta. L'epidemia da Covid 19 e la responsabilità della struttura sanitaria Si è già avuto modo di osservare che la responsabilità delle strutture sanitarie è stata per lungo tempo appiattita su quella del medico: intanto la responsabilità della struttura poteva essere predicata, in quanto vi fosse una responsabilità del medico della struttura aveva operato. In seguito, si è compreso che non di rado il fallimento dell'intervento di diagnosi e cura è da ascrivere non tanto alla condotta colposa del singolo operatore sanitario, quanto all'inettitudine, sul piano organizzativo, della struttura nel suo complesso: del che si sono fatti numerosi esempi nei paragrafi precedenti. In tale ottica è illuminante l'art. 7 della legge Gelli-Bianco, che ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria in ambito contrattuale e quella del medico in ambito extracontrattuale, nonché l'art. 9, comma 1, della suddetta legge, che ha subordinato la proposizione dell'azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico ad un suo comportamento connotato da dolo o colpa grave. Ne discende che la sussistenza di un comportamento colposo del medico che abbia operato nella struttura non è presupposto per l'affermazione della responsabilità di essa (ed in tal senso v. già Cass. S.U., n. 577/2008), mentre può radicarsi i meri deficit organizzativi la responsabilità della struttura sanitaria, la quale responsabilità discende direttamente dalla conclusione con il paziente del contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria, che si perfeziona, almeno di regola, per il fatto stesso del ricovero del paziente presso il nosocomio, con la conseguenza risponde per via contrattuale dell'inadempimento, con il limite della impossibilità della prestazione per causa non imputabile. Nell'ambito della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria va cioè a collocarsi l'eventuale operato doloso o colposo dei suoi ausiliari, dei quali essa si avvalga nell'adempimento della prestazione di assistenza sanitaria; ma, come si diceva, anche in assenza di un comportamento del medico connotato dal necessario requisito soggettivo, la struttura sanitaria risponde dei danni subiti dai pazienti e derivanti dall'inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di spedalità a causa di deficit organizzativi, quali l'insufficienza dei posti letto in terapia intensiva, la mancata adozione e/o inosservanza di protocolli volti a proteggere dalla diffusione del contagio, per non parlare della condizione in cui nel periodo acuto della pandemia si sono trovati i pazienti affetti da altre malattie, la cui fruizione dell'assistenza sanitaria è stata certamente ridimensionata. E cioè, se il paziente ricoverato presso la struttura sanitaria necessita della terapia intensiva, che gli viene negata, in ciò si sostanzia l'inadempimento nella sua oggettività, rimanendo solo da stabilire se esso sia o meno imputabile. Occorre allora chiedersi se debba essere esclusa la responsabilità della struttura sanitaria nel caso in cui essa non sia in grado di erogare le prestazioni sanitarie o l'accesso alle cure intensive a tutti coloro che ne facciano richiesta, in ragione della scarsità delle risorse disponibili, derivante dalla straordinarietà della situazione emergenziale. Ciò che viene in questione, nel frangente considerato, è difatti l'impossibilità della prestazione, ove si consideri che detta impossibilità non è rigorosamente determinata, ma ha natura elastica e relativa, e che la sproporzione tra le risorse disponibili e le esigenze terapeutiche da soddisfare, non può addebitarsi alla singola struttura sanitaria, almeno ove non sia superabile attraverso uno sforzo di diligenza realmente praticabile. L'epidemia da Covid-19 e la responsabilità delle Regioni Con la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 2, che ha riformato il Titolo V della Costituzione, il è stato previsto l'affidamento della tutela della salute alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, demandando a queste ultime organizzazione ed erogazione dell'assistenza sanitaria attraverso la predisposizione di piani sanitari, che tengano conto delle indicazioni contenute nel piano sanitario nazionale. In particolare il d.m. 13 febbraio 2001 del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha indicato i criteri per l'organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi, stabilendo che: «nell'ambito delle funzioni conferite alle Regioni in materia di protezione civile la Regione provvede alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, anche dal punto di vista sanitario, sulla base degli indirizzi nazionali, tenuto conto anche delle indicazioni contenute nel presente documento», rischi tra i quali sono annoverate anche le pandemie. In forza di tale previsione sono stati adottati successivi piani pandemici, sulla base delle indicazioni provenienti dall'Organizzazione mondiale della sanità, nel quale venivano chiaramente delineati gli scenari di rischio ed individuate le misure da adottare per contrastarlo. Ed al riguardo è francamente arduo credere che tutte le Regioni, ed a cascata le pubbliche amministrazioni da esse dipendenti, abbiano fatto tutto il possibile ― basti pensare al numero di anziani morti nelle r.s.a. ― per impedire il verificarsi di danni agli assistiti: domande risarcitorie di tal fatta, eventualmente introdotte in forma collettiva, certo incontrerebbero notevoli difficoltà sul piano delle allegazioni e su quello probatorio, soprattutto quanto alla relazione tra la condotta dell'amministrazione e il singolo evento lesivo, ma muoverebbero nondimeno da un impianto giuridico tutt'altro che fragile. 2. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione ed accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Si è detto che una responsabilità del medico della struttura sanitaria per danni subiti a causa del Covid-19 non è da escludere, con diverse connotazioni nella prima fase della pandemia ed in quella successiva. In ipotesi di tale scelta, trovano applicazione le condizioni di procedibilità previste dalla legge Gelli-Bianco. Si rinvia alle considerazioni svolte nel primo caso. In ipotesi di domanda proposta contro la Regione non sembra invece che le condizioni di procedibilità menzionate debbano trovare applicazione. Competenza per territorio La legge Gelli-Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). In caso di domanda proposta nei confronti della Regione sembra debbano trovare applicazione delle regole ordinarie sulla competenza territoriale. Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». In caso di domanda proposta contro la Regione occorre avvalersi del rito di cognizione ordinaria, apparendo assai arduo immaginare l'applicabilità del rito sommario di cognizione, attesa l'evidente necessità di un'istruttoria non sommaria. Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 3. ConclusioniSi è da più parti paventata l'eventualità che alla pandemia sanitaria possa seguire una pandemia giudiziaria. In realtà sembra piuttosto da credere, per quanto riguarda la posizione del personale sanitario e delle strutture sanitarie, che un simile rischio non abbia in effetti probabilità di concretizzarsi, e che le regole sedimentate applicabili in tema di responsabilità sanitaria possano utilmente essere impiegate anche nella gestione delle controversie introdotte da chi abbia subito danni alla salute dalla pandemia. Accanto alla responsabilità tradizionalmente ricadente sul personale medico e sulle strutture sanitarie, occorre però considerare eventuali profili di responsabilità addebitabili alle Regioni, ove sia possibile dimostrare che il singolo evento lesivo è da porre in correlazione con deficit organizzativi addebitabili ad esse. |