Contenuto dell'informazione e forma del consenso informato


1. Bussole di inquadramento

Tutto o quasi tutto ormai si sa, dall'angolo visuale dei grandi principi, e con riguardo ai profili della responsabilità e del risarcimento, del consenso informato in medicina. Questa formula – non troppo perspicua, quale traduzione del corrispondente statunitense informed consent, giacché non è certo plausibile un consenso disinformato – richiama alla mente di chiunque, tra i giuristi, i principi degli artt. 13 e 32 Cost., il Trattato di Lisbona, la Convenzione di Oviedo ed il codice di deontologia medica, in forza dei quali il trattamento sanitario eseguito in mancanza di consenso informato è perciò stesso fonte di responsabilità sanitaria, quantunque nessun errore medico in senso proprio sia stato in effetti commesso; e ciò perché la mancanza del consenso informato costituisce violazione del diritto inviolabile all'autodeterminazione del paziente (v. in proposito già Cass. S.U., n. 26972/2008, in tema di danno non patrimoniale).

È il caso però di soffermarsi a verificare quale debba essere il contenuto informativo necessario perché il consenso sia validamente rilasciato e quale forma esso debba avere.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale contenuto devono avere le informazioni somministrate al paziente? 

Casistica

In generale l'informazione deve riguardare le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, in particolare in ordine alla possibilità che ne consegua (Cass. n. 8826/2007; Cass. n. 14638/2004) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi (Cass. n. 5444/2006). Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (Cass. n. 2854/2015).

Il consenso informato deve dunque basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. (Cass. n. 23328/2019, che ha ritenuto non adeguata l'informazione fornita ad una paziente dapprima mediante consegna di un modulo prestampato dal contenuto generico in occasione del primo intervento chirurgico e poi, senza indicazione degli esatti termini della patologia determinatasi a causa di questo, delle concrete prospettive di superamento della medesima attraverso una serie di interventi successivi; Cass. n. 2177/2016, che ha ritenuto non adeguata l'informazione sui rischi connessi ad un intervento di cheratomia radiale, fornita ad una paziente mediante consegna di un depliant redatto dallo stesso oculista, che peraltro non riportava l'eventuale regressione del visus, statisticamente conseguente ad un simile intervento, anche quando correttamente eseguito; nello stesso senso Cass. n. 24074/2017).

È dunque escluso che un modulo generico e standardizzato contenente la prestazione del consenso da parte del paziente possa essere ritenuto sufficiente allo scopo: molte sono le decisioni di merito e di legittimità che hanno ritenuto non assolto l'obbligo informativo in caso di impiego di un modulo generico e non dettagliato (Cass. n. 24791/2008; Cass. n. 2177/2016, oltre alle pronunce già citate). Moduli di tal fatta, in effetti, non consentono di ritenere che il paziente abbia compreso caratteristiche, modalità e rischi connessi all'intervento al quale si appresta a sottoporsi. La sottoscrizione di un modulo standard è così inidonea a fondare la presunzione che il medico abbia comunicato oralmente le ulteriori e necessarie informazioni al paziente (Cass. n. 24853/2010). Viceversa, la sottoscrizione di un modulo specifico induce a ritenere che il consenso informato sia stato correttamente raccolto (Cass. n. 15698/2010).

Domanda
Come deve essere, in sintesi il consenso? 

Gli elementi del consenso

In sintesi il consenso deve essere:

– personale; in linea di principio esso può provenire solo dalla persona che ha la disponibilità giuridica del bene, tranne i casi di esercizio di tutela per il paziente incapace o della potestà dei genitori per il paziente minorenne; bisogna però ricordare che la l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante: «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», comma 3, consente al paziente di «rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole»;

– esplicito; il consenso non può cioè essere desunto dall'accettazione della cura, ma deve essere sempre manifestato nelle modalità previste;

– specifico, e cioè riferito unicamente all'intervento medico che viene prospettato;

– consapevole, ossia conseguente ad una informazione adeguata, completa e recepita;

– libero, sicché il consenso non valido se frutto di coercizione ovvero se acquisito con inganno o a causa di errore;

– preventivo, e cioè deve sempre precedere l'avvio del trattamento, con la precisazione esso «deve essere acquisito in modo da lasciare al paziente il tempo di rifiutare eventualmente il trattamento, pertanto non è sufficiente la descrizione dell'esame diagnostico, durante il suo svolgimento, finalizzata ad ottenere dal paziente la collaborazione necessaria per eseguire l'esame stesso» (Cass. n. 17022/2018);

– attuale, e cioè persistente al momento dell'atto medico, potendo essere in precedenza sempre revocato.

In altre parole, occorre rifuggire da una ricostruzione del consenso informato in termini formalisti: non rileva che il paziente abbia posto una firma sul modulo, ma che abbia effettivamente compreso quale intervento sta per essere eseguito, con quali rischi e quali probabilità di successo. Ora, deve certo evidenziarsi che il complessivo inquadramento del consenso informato quale addentellato del diritto all'autodeterminazione, e così quale fondamento giustificativo dell'atto medico, sia ormai irrinunciabile, come espressione di civiltà: il che però non deve impedire di rendersi conto della realtà delle cose, e che cioè il paziente non medico (e probabilmente anche il paziente medico non specialista di quella particolare branca cui attiene l'intervento da eseguire) non è in grado di penetrare a fondo il significato delle informazioni che gli vengono fornite. Sicché l'eliminazione della asimmetria informativa che separa il medico dal paziente è realisticamente incolmabile, mentre sono comunque destinate a permanere zone grigie collocate dal versante di ciò che il medico ha sottoposto al paziente, sia pure nel modo più semplificato e comprensibile, e quanto il paziente ha effettivamente compreso da ciò che gli è stato detto. A tal riguardo è affermazione acquisita che le informazioni devono essere rese in modo comprensibile ed idoneo a sopperire alle differenze tra il bagaglio anche culturale del paziente ed il medico: ma appunto ciò non può escludere l'esistenza di un'area in cui l'informazione è stata sì somministrata, ma il paziente ha capito quello che poteva comprendere, ed in fin dei conti, come accadeva all'epoca in cui l'approccio alla professione medica era riguardato in termini di totale paternalismo, si è affidato al medico, mettendosi nelle sue mani.

Per quanto emerge dalla giurisprudenza, può dirsi l'obbligo informativo comprende le informazioni relative ai comportamenti da tenere successivamente all'intervento, nonché agli eventuali limiti organizzativi e di dotazione della struttura sanitaria (Cass. n. 2422/2015; Cass. n. 3847/2011; Cass. n. 14488/2004; Cass. n. 11316/2003). Va ribadito che l'informazione deve estendersi all'indicazione delle possibili alternative, ed ai connessi rischi e benefici: tale obbligo va tuttavia posto in correlazione con l'effettiva possibilità di scelta del paziente, e non i singoli passaggi necessari in cui intervento è destinato ad esplicarsi (Cass. n. 20832/2006).

Rimanendo al tema del contenuto dell'informazione, occorre ancora rammentare l'opinione in passato consolidata secondo cui l'obbligo informativo ha ad oggetto i rischi non solo prevedibili, ma per così dire comuni, e non anche quelli connessi ad evoluzioni pur conosciute in letteratura, ma del tutto anomale e straordinarie (Cass. n. 2847/2010; Cass. n. 14638/2004): soluzione, quest'ultima, che presenta un duplice vantaggio, sia perché esime i medici dal fornire informazioni che possono pronosticarsi come inutili, sia perché giova ad evitare che la scelta terapeutica del paziente sia influenzata da rischi in realtà insignificanti. La giurisprudenza più recente ritiene invece che l'obbligo informativo si estenda tutti i possibili eventi avversi connessi alla prestazione, ivi inclusi anche quelli la cui probabilità di verificazione sia ritenuta particolarmente remota, ossia «anche qualora la probabilità di verificazione dell'evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito..., perché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto ed il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni» (Cass. n. 32124/2019; Cass. n. 19731/2014).

Domanda
Il consenso informato può essere manifestato oralmente? 

La S.C. ha affermato che il consenso informato non può essere manifestato oralmente

In tema di attività medico-chirurgica, il medico viene meno all'obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente (Cass. n. 19212/2015, che ha negato che, in relazione ad un intervento chirurgico effettuato sulla gamba destra di un paziente, privo di conoscenza della lingua italiana e sotto narcosi, potesse considerarsi valida modalità di acquisizione del consenso informato all'esecuzione di un intervento anche sulla gamba sinistra, l'assenso prestato dall'interessato verbalmente nel corso del trattamento).

Si sostiene che il consenso informato, quale mezzo volto a garantire la libertà dell'individuo in vista del perseguimento dei suoi interessi, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione, anch'essa esplicita. Il medico viene meno all'obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso. La pronuncia ricorda essere stato ritenuto non validamente prestato un consenso ottenuto mediante la sottoposizione al paziente, ai fini della relativa sottoscrizione, di un modulo del tutto generico. A tale stregua ― prosegue la S.C. ― deve allora ritenersi a fortiori inidoneo un consenso prestato oralmente. In seguito, Cass. n. 7248/2018, dopo aver ribadito che la violazione del consenso informato può cagionare due distinte tipologie di danno, quello alla salute e quello all'autodeterminazione, si è richiamata all'orientamento precedente or ora citato ― quantunque evidentemente fondato su un uso eufemisticamente disinvolto dell'argumentum a fortiori ― ed ha negato validità al consenso prestato verbalmente dal paziente, in quanto consenso acquisito con modalità improprie.

In senso opposto Cass. n. 10328/2018 ha ritenuto che il consenso possa essere prestato ed acquisito anche oralmente, in quanto: i) nel nostro ordinamento sussiste il principio di libertà delle forme, a meno che la legge non imponga specificamente la forma scritta per un determinato atto negoziale; ii) non vi è alcuna legge che prevede in via generale l'obbligo per il medico di acquisire in forma scritta, a pena di invalidità, il consenso informato del paziente. Anche la Cassazione penale era in precedenza giunta alla stessa conclusione: «Sulla forma del consenso informato l'art. 32 (ora art. 35) del Codice di deontologia medica prevede che il consenso deve essere espresso in forma scritta “nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona”. La previsione del consenso scritto nel Codice di deontologia medica non è una norma cogente ed ha una mera finalità di responsabilizzare il medico, il quale se ha comunque adeguatamente informato il paziente, pur non ottenendo risposta scritta (che certamente non può essere imposta), non può ritenersi negligente» (Cass. pen., n. 38852/2005).

La l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante: «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», all'art. 1, comma 4, stabilisce che: «Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico». Sebbene non possa certo dirsi che la norma sia un capolavoro di chiarezza, pare deversi propendere per una lettura di essa che escluda la previsione, per la prestazione del consenso informato, di un requisito di forma ad substantiam, come pure ad probationem. La norma, difatti, distingue indubbiamente due fasi, quella della prestazione del consenso da parte del paziente e quella della documentazione del consenso prestato da parte del medico: nella prima fase, il paziente manifesta il suo consenso (o dissenso) «in qualunque forma», «con gli strumenti più consoni» alle sue condizioni, il che vuol dire che nessun requisito formale è richiesto; dopodiché il consenso è documentato per iscritto o con videoregistrazioni, e questa seconda eventualità conferma che il consenso può essere prestato verbalmente, ma anche soltanto con un cenno di assenso o addirittura con un comportamento concludente, quale ad esempio quello di porgere il braccio per l'effettuazione di un'endovena. Del resto, una generale previsione del requisito di forma scritta sarebbe evidentemente inappropriata, attesa la molteplicità delle situazioni in cui il paziente potrebbe trovarsi in condizioni che gli impediscano di scrivere. Altra cosa è che, poi, la manifestazione del consenso, quale che sia la forma in cui esso è stato manifestato, debba essere documentata per iscritto, incombenza che ricade sul sanitario, deputato alla tenuta della cartella clinica e del fascicolo sanitario elettronico, il tutto allo scopo di lasciare traccia sensibile del consenso raccolto, anche in vista di eventuali contestazioni sul punto. Sul piano pratico, peraltro, la scissione tra validità dell'atto, non sottoposto ad un requisito formale, e l'onere di documentazione da parte della struttura sanitaria, condurrà presumibilmente ad una conferma della prassi che richiede la sottoscrizione di un modulo.

Bisogna ancora ancora rammentare che vi sono casi in cui l'ordinamento prevede che il consenso informato debba essere dato per iscritto: p. es. trasfusione di sangue ed emoderivati, donazione di sangue e midollo osseo (l. n. 107/1990, l. n. 52/2001, l. n. 219/2005); accertamento diagnostico HIV (l. n. 135/1990); procreazione assistita (l. n. 40/2004); prelievo ed innesto di cornea (l. n. 301/1993); donazione di organi e tessuti tra persone viventi (l. n. 458/1967, l. n. 483/1999); interruzione volontaria di gravidanza (l. n. 194/1978); sperimentazione clinica dei medicinali e in oncologia (d.m. 27 aprile 1992, d.m. 15 luglio 1997, d.l. n. 23/1998 convertito in l. n. 94/1998); radiazioni ionizzanti a scopo di ricerca (d.l. n. 230/1995, d.l. n. 187/2000).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso 1, «La responsabilità della struttura sanitaria».

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Il medico ha il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili. Il consenso deve essere esplicito, specifico, consapevole, libero, preventivo,

attuale. La prestazione del consenso non è sottoposta ad un requisito formale, ma va documentata per iscritto.

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