L'accanimento terapeutico


1. Bussole di inquadramento

Un breve cenno va fatto al tema dell'accanimento terapeutico, che riveste grande rilievo dal punto di vista concettuale, ma minore importanza sul piano operativo, pur essendo vero che esso può comportare l'insorgenza di un pregiudizio al paziente nella fase terminale della vita. Ciò sta a significare che non verrà fatta, qui, alcuna trattazione del tema del «fine vita» e delle sue implicazioni giuridiche, le quali travalicano i limiti di una trattazione di taglio operativo sulla responsabilità professionale medica.

Si intende per accanimento terapeutico un «trattamento di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato per il paziente di ulteriori sofferenze, in un contesto nel quale l'eccezionalità dei mezzi adoperata risulta chiaramente sproporzionata rispetto agli obiettivi della condizione specifica» (è, questa, la definizione che si rinviene nel sito del Comitato Nazionale Bioetica). Parimenti, è stato detto che è accanimento terapeutico «ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico funzionale». Ma, in un settore eticamente sensibile come questo, non mancano definizioni ulteriori, che mirano, a seconda dell'orientamento di pensiero dell'autore, a restringere o ad ampliare il campo della nozione.

Il Codice di Deontologia Medica non discorre di accanimento terapeutico, ma usa il vocabolo «ostinazione»: «Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente, laddove espresse, deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita», fermo restando che lo stesso medico «non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocare la morte». Nella fase terminale, prosegue il menzionato Codice, il medico deve improntare la sua opera all'attuazione di comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psicofisiche e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita e della dignità della persona.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come si inquadra l'accanimento terapeutico nella giurisprudenza? 

La vicenda di Eluana Englaro, le pronunce della giurisprudenza di merito e della Suprema Corte

Il tema dell'accanimento terapeutico è salito alla ribalta con la vicenda di Eluana Englaro, la ragazza caduta in coma irreversibile con la conseguente vicenda processuale innestata dal padre al fine di ottenere la cessazione degli interventi che la tenevano in vita. È stato detto nell'occasione, in sede di giurisprudenza di merito, che l'accanimento terapeutico consiste in «cura inutile, futile, sproporzionata, non appropriata rispetto ai prevedibili risultati che può, pertanto, essere interrotta perché incompatibile con i principi costituzionali, etici e morali di rispetto, di dignità della persona, di solidarietà» (App. Milano 26 novembre 1999).

In seguito è stato affermato che, ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice – fatta salva l'applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell'interesse del paziente – può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario, in sé non costituente, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, unicamente in presenza dei seguenti presupposti: a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona. Ove l'uno o l'altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l'autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa (Cass. n. 21748/2007).

È bene rammentare che, nel caso considerato, inteso l'accanimento terapeutico come riferito a cure mediche svincolate dalla speranza di recupero del paziente, la S.C. ha infine escluso che l'alimentazione attraverso sondino nasogastrico costituisse accanimento terapeutico: «Diversamente da quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, al giudice non può essere richiesto di ordinare il distacco del sondino nasogastrico: una pretesa di tal fatta non è configurabile di fronte ad un trattamento sanitario, come quello di specie, che, in sé, non costituisce oggettivamente una forma di accanimento terapeutico, e che rappresenta, piuttosto, un presidio proporzionato rivolto al mantenimento del soffio vitale, salvo che, nell'imminenza della morte, l'organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite o che sopraggiunga uno stato di intolleranza, clinicamente rilevabile, collegato alla particolare forma di alimentazione».

Domanda
Come si giunge all'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria in ambito contrattuale?

Orientamento consolidato

La previsione recepita dal citato art. 7, comma 1, si fonda sulla sedimentata giurisprudenza della S.C., secondo la quale costituisce pacifico principio che il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata, o ente ospedaliero, ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi nei confronti del paziente ed entro limiti che si vedranno di terzi, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo – che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente –, insorgono a carico della casa di cura, o dell'ente ospedaliero, accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze od emergenze.

Non ha dunque rilievo la circostanza che la struttura sanitaria abbia natura privata o pubblica.

La responsabilità dell'ente ospedaliero deve essere in ogni caso inquadrata nella responsabilità contrattuale perché l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero, o anche di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 24801/2013). È insomma l'ingresso del paziente nella struttura sanitaria per sottoporsi a diagnosi e cure a determinare, esso stesso, la conclusione di un contratto tra il nosocomio ed il paziente, contratto atipico e a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) e sottoposto alle regole ordinarie sull'inadempimento.

Tale percorso interpretativo, ha trovato conferma in più decisioni della S.C., le quali valorizzano la complessità e atipicità del legame che si instaura tra struttura sanitaria e paziente, che, al di là della fornitura di prestazioni alberghiere, comprende anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Il divieto di accanimento terapeutico costituisce in definitiva un corollario del diritto alla salute, giacché, ove vi sia detto accanimento, ciò sta a significare che le cure non hanno più prospettive di successo. L'interesse della figura, nell'ambito di un volume dedicato alla responsabilità professionale medica, con il fuoco puntato sulle prospettive risarcitorie, sta in ciò, che anche la violazione di detto divieto, nella fase terminale della vita, può incidere sia sull'an che sul quantum della domanda risarcitoria.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario