Il medico sportivo


1. Bussole di inquadramento

La l. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, individua tra gli obiettivi da perseguire «la tutela sanitaria delle attività sportive». Il decreto del Ministero della Sanità del 18 febbraio 1982, reca poi «Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica. Inoltre, quanto allo sport professionistico, l'art. 7 l. 23 marzo 1981, n. 91, stabilisce che l'attività degli atleti è svolta sotto il controllo medico secondo modalità previste dalle federazioni sportive nazionali ed approvate dal Ministero della sanità. Il d.m. 13 marzo 1995, in G.U. 28 aprile 1995, n. 98, dispone che l'esercizio dell'attività sportiva professionistica è subordinata al possesso del certificato di idoneità e che il medico sociale è «responsabile sanitario della società sportiva professionistica» (art. 6) e tenuto «alla verifica costante dello stato di salute dell'atleta, dell'esistenza di eventuali controindicazioni, anche temporanee alla pratica dell'attività professionale» (art. 7, comma 2); il medesimo medico deve custodire la cartella clinica «per l'intero periodo del rapporto di lavoro tra l'atleta e la società sportiva, con il vincolo del segreto personale e nel rispetto di ogni altra disposizione di legge» (art. 7, comma 3). A ciò si aggiunge l'art. 1 d.m. 28 febbraio 1983, n. 137100, secondo cui: «ai fini della tutela della salute devono essere sottoposti a controllo sanitario per la pratica di attività sportive non agonistiche: a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell'ambito delle attività parascolastiche; b) coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, da società sportive affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI e che non siano considerati atleti agonisti ai sensi del d.m. 18 febbraio 1982; c) coloro che partecipano ai Giochi della gioventù, nelle fasi precedenti quella nazionale».

Spetta dunque al medico sportivo verificare l'idoneità dell'atleta, dilettante (nei casi previsti) o professionista allo svolgimento dell'attività sportiva.

La responsabilità del medico sportivo, in dipendenza di tali previsioni, concerne perlopiù eventuali errori commessi proprio nel valutare l'idoneità del soggetto all'attività agonistica (Cass. n. 85/2003). Ciò con la precisazione che la responsabilità può estendersi alla società sportiva a cui appartiene l'atleta in ragione del legame che lega ad essa il medico.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale è la natura della responsabilità del medico sportivo? 

Le previsioni normative nell'ordinamento italiano

Nella molteplicità di specializzazioni sanitarie una posizione del tutto peculiare è assunta dal medico sportivo la cui attività è caratterizzata dalle funzioni, anche sociali, svolte dalla medicina dello sport; da competenze, funzioni e obblighi specifici; dal rapporto con società sportive e federazioni; nonché dal rapporto con il paziente, contraddistinto da esigenze non sempre coincidenti con il fine ultimo della professione medica, ossia la tutela della salute.

Tenuto conto dell'impianto della legge Gelli-Bianco, che colloca nel campo contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria ed in quello extracontrattuale la responsabilità del medico strutturato, operante cioè all'interno della struttura medesima, sicché il medico risponde a titolo di responsabilità contrattuale soltanto nel caso in cui abbia direttamente stipulato il contratto con il paziente, non sembra potersi dubitare che anche il medico sportivo, ove operante in una struttura sanitaria o socio-sanitaria, pubblica o privata, ove convenzionata, risponda dei danni causati all'atleta ai sensi dell'art. 2043 c.c., mentre la struttura risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. È altrettanto evidente che, ove il medico sportivo stipuli il contratto direttamente con l'atleta, risponda a titolo di responsabilità contrattuale.

La disciplina giuridica applicabile nelle due ipotesi che precedono appare dunque scontata. Ma occorre ancora interrogarsi sulla natura della responsabilità del medico sportivo che operi in forza di un legame con la società sportiva. Il medico sociale, titolare di una specializzazione in medicina dello sport, è inquadrato all'interno della società sportiva in forza di un contratto di lavoro, tesserato ed iscritto in un apposito elenco presso la federazione sportiva di appartenenza. Secondo l'art. 6 d.m. Ministero della sanità 13 marzo 1995, difatti: «Il medico sociale, specialista in medicina dello sport, è il responsabile sanitario della società sportiva professionistica e, in questa veste, deve essere iscritto in apposito elenco presso la federazione sportiva di appartenenza». In tale veste, il medico sociale assicura la tutela della salute degli atleti che prestano la propria attività agonistica per la società sportiva. Disposizioni particolari sono dettate per alcuni sport, come il pugilato.

Ai fini dell'inquadramento del rapporto tra le federazioni sportive e le società sportive occorre considerare la disciplina organizzativa di ciascuna federazione, ma, in generale, il medico sportivo è, come si diceva, un tesserato della federazione, come tale soggetto alle norme dell'ordinamento sportivo, e legato alla società sportiva da un contratto di lavoro, in forza del quale assume l'obbligo di svolgere prestazioni sanitarie in favore degli atleti. Attraverso il medico sportivo la società sportiva assicura «l'integrità fisica e la personalità morale» dell'atleta, ai sensi dell'art. 7 della l. n. 91/1981, nell'ottica dell'osservanza dell'art. 2087 c.c.

Ciò detto, il dubbio interpretativo concerne la riconducibilità del medico sportivo entro la partizione operata dalla legge Gelli-Bianco. Da un lato, potrebbe sostenersi che nella nozione di struttura sanitaria contemplata da detta legge possa ricomprendersi anche la società sportiva, nella misura in cui questa deve dotarsi per legge di un presidio sanitario facente capo al medico sportivo. In tal senso potrebbe poi valorizzarsi l'art. 10 della stessa legge, secondo cui: «Le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera, ai sensi dell'art. 27, comma 1-bis, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114». Tale art. 27 si riferisce infatti non solo a «ciascuna azienda del Servizio sanitario nazionale (SSN), ciascuna struttura o ente privato operante in regime autonomo o accreditato con il SSN», ma anche a «ciascuna struttura o ente che, a qualunque titolo, renda prestazioni sanitarie a favore di terzi».

D'altro canto, una simile lettura estensiva parrebbe accordarsi con la ratio sottesa alla previsione dettata dalla legge Gelli-Bianco, volta a salvaguardare la posizione del medico, ogni qualvolta vi sia un altro soggetto, la struttura sanitaria, che assicuri la tutela risarcitoria del paziente in via di responsabilità contrattuale: e dunque a prevedere che il medico risponda a titolo di responsabilità contrattuale solo nel caso in cui egli abbia stabilito un diretto rapporto contrattuale con il paziente.

Se invece si ritiene che, nel caso considerato, non vi siano margini per reputare che il medico sportivo sia inserito all'interno di una struttura sanitaria, sia pure embrionale, ciò non conduce necessariamente a collocare la responsabilità del medico sportivo nel comparto aquiliano per il fatto che questi non intrattiene un diretto rapporto contrattuale con gli atleti dipendenti della società sportiva. Ciò perché la struttura del contratto che lega la società sportiva al medico sportivo è modellata sul contratto a favore di terzi, di cui all'art. 1411 c.c., di guisa che il medico sportivo e l'atleta sarebbero in diretto rapporto contrattuale tra loro, ed il primo opererebbe, secondo quanto stabilisce l'art. 7 della legge Gelli-Bianco, «nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente».

Domanda
Quali sono le obbligazioni del medico sportivo? 

La normativa in materia

Ferma restando la bipartizione di cui si è detto, tra medici sportivi inquadrati in vere e proprie strutture sanitarie, pubbliche o private, e medici sportivi operanti quali medici sociali nell'ambito di società sportive, occorre considerare che, in quest'ultimo caso, il medico sociale viene a trovarsi in una posizione peculiare, che potrebbe indurlo a perseguire non soltanto lo scopo di tutela dell'atleta, ma anche della società e dell'attività agonistica dell'atleta si avvale. Proprio per questo il codice di deontologia medica dedica alla Medicina dello Sport un apposito titolo, il XIV, ove si sottolinea che la valutazione della idoneità alla pratica sportiva deve essere «finalizzata esclusivamente alla tutela della salute e dell'integrità psico-fisica del soggetto». Ciò vuol dire che il medico non può operare a tutela di interessi della società sportiva.

Va poi rimarcato che, come è intuitivo, la prestazione del medico sportivo varia al variare della natura dell'attività sportiva esercitata dall'atleta: e cioè i doveri del medico sportivo variano a seconda che l'atleta svolga un'attività professionistica, non professionistica, non agonistica, ovvero semplicemente ludico-motoria (v. in particolare art. 2 d.m. 24 aprile 2013 e art. 7, comma 11, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla l. 8 novembre 2012, n. 189).

Domanda
Che caratteristiche ha la responsabilità del medico sportivo? 

L'orientamento della Suprema Corte

Il caso più comune di responsabilità del medico sportivo è, come accennato, quella del rilascio del certificato di idoneità all'attività sportiva in presenza di patologie non diagnosticate, con la conseguenza che lo svolgimento dell'attività comporti per il soggetto l'insorgere di lesioni, se non la morte.

Così, nel caso della morte di un giocatore di basket, la S.C. ha confermato la sentenza di condanna del medico che aveva sottovalutato un soffio al cuore pur riscontrato sull'atleta (Cass. n. 3616/1972). Ed anzi è stato detto che la condotta del medico sportivo (nella specie, medico di una società calcistica a livello professionistico), in ragione della sua peculiare specializzazione e della necessità di adeguare i suoi interventi alla natura e al livello di pericolosità dell'attività sportiva stessa, deve essere valutata con maggiore rigore rispetto a quella del medico generico, ai fini della configurabilità di una eventuale responsabilità professionale: in particolare, il suddetto medico ha l'obbligo di valutare le condizioni di salute del giocatore con continuità, anche in sede di allenamenti o di ritiro pre-campionato, dovendo anche valutare criticamente le informazioni fornite dagli stessi atleti o dai loro allenatori, al fine di poter individuare pure l'eventuale dissimulazione da parte dell'atleta dell'esistenza di condizioni di rischio per la propria salute (Cass. n. 85/2003). Nella stessa pronuncia si è osservato che nell'esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sportive (o la Federazione, con riferimento a sinistri avvenuti nello svolgimento di competizioni delle squadre nazionali) sono tenute a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico-fisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono trovare causa nei rilevanti sforzi caratterizzanti la pratica professionale di uno sport, potendo essere chiamate a rispondere dell'operato dei propri medici sportivi e del personale comunque preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute, come datore di lavoro del calciatore, ad adottare tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, tenuto conto in particolare del fatto che le cautele a tutela della salute cui è tenuto il datore di lavoro devono parametrarsi alla specifica attività svolta dallo sportivo professionista ed alla sua particolare esposizione al rischio di infortuni.

In tema di reati omissivi colposi, inoltre, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell'agente, consistente nella presa in carico del bene protetto (Cass. pen., n. 24372/2019, concernente due medici sociali che erano intervenuti, durante una partita di calcio per soccorrere un calciatore, poi deceduto, che aveva avuto un malore durante l'incontro: la S.C. ha ritenuto che entrambi avessero assunto una posizione di garanzia nei confronti dell'atleta, derivante dall'instaurazione della relazione terapeutica tra loro ed il calciatore; entrambi, si è argomentato, avevano infatti posto in essere una istintiva, pratica attuazione dei doveri deontologici consacrati dal giuramento professionale, comprendente il «dovere di prestare soccorso nei casi di urgenza»; con in più, per il medico sociale della squadra del calciatore, in aggiunta a tale dovere deontologico, l'obbligo gravante, quale medico sportivo, verso i calciatori della propria squadra; la Corte, peraltro, ha poi annullato con rinvio la sentenza di condanna, per carente motivazione in punto di nesso causale e di addebito di colpa).

Il mancato collegamento della condotta del medico sportivo, per aver prescritto una terapia farmacologica con sostanze dopanti ad atleta sano, senza collegamento con un evento di tipo agonistico non fa venir meno ogni profilo di illiceità della stessa, laddove l'esclusiva finalizzazione della terapia prescritta al recupero di un posto in squadra lascia inconfutabilmente in piedi l'addebito disciplinare concernente la violazione dell'art. 12 del codice deontologico (Cass. n. 17496/2011).

Domanda
Vi possono essere casi di concorso di colpa dell'atleta? 

L'orientamento della Suprema Corte

Con la responsabilità del medico sportivo può concorrere quella del danneggiato: e ciò perché l'atleta può essere indotto a dissimulare una propria situazione patologica al fine di non essere escluso dall'attività agonistica.

È stata così riconosciuta una corresponsabilità dell'atleta per «sviamento della diagnosi» (Cass. pen., n. 9367/1981), in ragione della reticenza del medesimo.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore non lascia dubbi che il previo accesso al procedimento di mediazione riguardi anche l'azione intentata nei confronti della struttura in cui opera il medico sportivo ovvero direttamente nei suoi confronti. Si rinvia per il resto alla trattazione del caso 1.

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Contenuto dell'atto introduttivo

La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore ― ove la domanda sia appunto proposta nei confronti della struttura, come la legge Gelli-Bianco induce a fare ― dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Regole analoghe valgono in caso di azione contrattuale intrapresa nei confronti del medico, ove ne sussistano i presupposti, e cioè quando il paziente abbia instaurato il rapporto contrattuale direttamente con lui. A tale ultimo riguardo, come si è avuto modo di ripetere più volte (si veda in particolare il caso 1), il paziente è onerato della deduzione di un «inadempimento qualificato», che individui cioè una condotta astrattamente idonea a cagionare il danno: in caso di responsabilità del medico sportivo tale adempimento deve essere effettuato tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, e delle particolari competenze ed attribuzioni di tale professionista.

4. Conclusioni

La condotta del medico sportivo va rapportata alla natura e al livello di pericolosità dell'attività sportiva, sicché – si afferma in giurisprudenza – deve essere valutata con maggiore rigore rispetto a quella del medico generico, ai fini della configurabilità di una eventuale responsabilità professionale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario