L'infermiere


1. Bussole di inquadramento

La normativa che regola la professione sanitaria di infermiere fa riferimento ad una pluralità di disposizioni di natura legislativa e regolamentare che ne hanno profondamente mutato la natura disegnando l'autonomia operativa propria tipica della figura professionale. Si tratta, innanzitutto, della l. n. 43 del 2006, che individua i requisiti di accesso e quelli relativi all'abilitazione; VI è poi la l. n. 251 del 2000, con cui viene stabilito all'art. 1 che: «Gli operatori delle professioni sanitarie dell'area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando e funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell'assistenza»; il d.m. n. 739 del 14 settembre 1994, del Ministero della sanità, ancora vigente e parte integrante della disciplina, contenente il «Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere», stabilisce che: «L'infermiere: a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; c) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico; d) garantisce a corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto ...».

Il rapporto fra infermiere e medico, dunque, non sì esprime più in termini di subordinazione, ma in chiave di collaborazione nell'ambito delle rispettive sfere di competenza, con conseguente assunzione di una specifica ed autonoma posizione di garanzia da parte dell'infermiere in ordine alla salvaguardia della salute del paziente, il cui limite è l'atto medico in sé.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come è regolamentato il conteggio delle garze e dei ferri? 

Raccomandazione del Ministero della Salute n. 2 del 2008

La S.C. (Cass. pen., n. 392/2022) ha ricordato che la Raccomandazione del Ministero della Salute n. 2 del 2008, per la prevenzione della ritenzione all'interno del sito chirurgico di garze, strumenti o altro materiale chirurgico, trova applicazione «in tutte le sale operatorie» e da parte di «tutti gli operatori sanitari coinvolti nelle attività chirurgiche». Si tratta di previsioni indirizzate a formalizzare il controllo del campo operatorio, in modo da tendere ad evitare eventi avversi (ed eventi sentinella), dovuti a difetti della sua ispezione finale facilitando l'emersione della mancata corrispondenza fra il materiale utilizzato e quello estratto.

La Raccomandazione delinea una procedura che scandisce i momenti e le operazioni e precisa che «il conteggio ed il controllo dello strumentario deve essere effettuato dal personale infermieristico (strumentista, infermiere di sala) o da operatori di supporto, preposti all'attività di conteggio. Mentre il chirurgo «verifica che il conteggio sia stato eseguito e che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l'intervento», con la precisazione che la «procedura di conteggio deve essere effettuata a voce alta» e «da due operatori contemporaneamente (strumentista, infermiere di sala, operatore di supporto)».

La lettura della Raccomandazione consente, dunque, di affermare che se il materiale conteggio in entrata ed in uscita delle garze e degli strumenti adoperati è materialmente affidato, al personale infermieristico, che deve provvedervi secondo le modalità previste (a voce alta ed in due persone), nondimeno, tutti gli operatori coinvolti nell'atto chirurgico debbono, assicurare l'adempimento degli oneri di controllo rivolti a scongiurare l'evento avverso.

Al chirurgo compete di assicurarsi con certezza dell'assenza di ritenzione interna al sito chirurgico di garze o strumenti, prima di procedere alla sua chiusura. Siffatto onere non consiste solo nel mero controllo formale dell'operato altrui, ovverosia nel controllo dell'esecuzione del conteggio affidata all'infermiere (ferrista) e del risultato di parità, ma attiene ad un dovere proprio del chirurgo di evitare il prodursi di un evento avverso connesso alla ritenzione di materiale nel corpo del paziente, derivante dalla posizione di garanzia che egli assume con l'atto operatorio.

L'obbligo di diligenza imposto a tutti i componenti dell'equipe operatoria in relazione all'utilizzo di garze e, strumenti nel corso dell'intervento, non è che il riflesso della prevedibilità ed evitabilità delle conseguenze del mancato completo sgombero del campo operatorio, e va oltre il perimetro della sola formalizzazione della procedura di conteggio e della sua verifica, comprendendo il continuo monitoraggio del campo operatorio sia nel corso che al termine dell'intervento chirurgico.

Nel quadro della collaborazione continua fra i componenti dell'equipe spicca il ruolo del soggetto che la coordina e che assume il compito di guida del lavoro collettivo, ai quale compete sempre non solo il dovere di dirigere l'azione operatoria e di farla convergere verso il fine, par il quale viene intrapresa, ma quello di costante e diligente vigilanza sul progredire dell'operazione e dei rischi ad essa connessi.

La ripartizione del lavoro di controlli fra i membri dell'equipe deve intendersi come rivolta ad assicurare, un fattore di sicurezza ulteriore che integra e non sostituisce, il dovere di diligenza di colui che è tenuta a coordinare il gruppo ed a vigilare su ciascuna delle attività che i membri dell'equipe pongono in essere. Non può, invero, immaginarsi alcuna segmentazione degli interventi delle diverse competenze che esima il coordinatore dagli obblighi che gli sono propri, dal momento che «il principio di affidamento non trova applicazione nei confronti della figura de capo equipe» (Cass. pen., n. 33329/2015).

Ciò, nondimeno, non significa affatto ricondurre la sua responsabilità ad una forma di responsabilità, oggettiva per l'opera altrui, ma semplicemente ricondurre il controllo finale del campo operatorio alla diligenza che l'ordinamento rimette al capo èquipe. È per questa ragione che, a fronte di una «conta» affidata in modo autonomo al personale infermieristico, che vi deve provvedere con le modalità, prescritte dalla Raccomandazione citata e deve sottoscrivere la relativa scheda infermieristica, il chirurgo, benché non tenuto a procedervi direttamente insieme con gli infermieri, deve non solo accertarsi che il riconteggio sia stato effettuato ed abbia dato un risultato di parità, ma compiere una verifica finale del campo operatorio, che consenta la sua chiusura in sicurezza, posto che il risultato di parità, pur significativo indice dello sgombero del sito chirurgico, non cautela l'errore di calcolo nell'introduzione delle garze e degli strumenti operatori, né l'eventuale frammentazione delle prime nel corso dell'intervento, il cui verificarsi conduce agli stessi risultati che i protocolli mirano ad evitare. La responsabilità, di siffatto finale accertamento, al quale deve tendere l'operato di tutti gli operatori sanitari coinvolti nelle attività chirurgiche, compete da ultimo al capo che guida l'equipe il quale è tenuto, in forza della sua posizione di garanzia verso il paziente, a verificare che «il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l'intervento», non potendo far affidamento solo sull'operato dei collaboratori (Cass. pen., n. 54573/2018; Cass. pen., n. 53453/2018).

Errate manovre compiute sul paziente.

In caso di spostamento da parte degli infermieri del paziente dal tavolo operatorio alla barella, e poi al letto di degenza, sussiste la responsabilità della struttura sanitaria fondata sulla condotta dei medesimi: in presenza di lesioni subite dal paziente, che non risultavano ricollegabili eziologicamente all'intervento chirurgico, come pure ad una cattiva posizione anestesiologica, è stata confermata la sentenza di merito che ne aveva rinvenuto la causa nelle probabili manovre di stiramento effettuate dagli ausiliari nello spostare il paziente subito dopo l'intervento chirurgico dal tavolo operatorio alla barella e da quest'ultima al letto di degenza» (Cass. n.632/2000).

Il posizionamento del paziente sul letto operatorio costituisce per l'infermiere professionale attività ausiliaria o di assistenza al medico, detta attività deve essere sempre svolta – in fase pre-operatoria – sotto il controllo del sanitario, e più precisamente, sotto il controllo del medico anestesista, il quale è presente in pre-sala e deve vigilare al regolare posizionamento del paziente nel momento stesso in cui questo avviene. Solo in sala operatoria il chirurgo può verificare se il posizionamento corrisponda alle esigenze operatorie effettuando un controllo che trova, tuttavia, il limite oggettivo nella già avvenuta copertura del paziente» (Cass. pen., n. 7082/1983, che ha escluso la responsabilità del chirurgo in caso di lesioni colpose causate, ad un operato per colecistectomia, da compressione del nervo ulnare per errato posizionamento sul letto operatorio).

È stata ravvisata negligenza nella condotta dell'infermiere che aveva causato un'ustione al paziente, a causa di una piastra che irradiava calore, in conseguenza del posizionamento non corretto del suo braccio destro lungo il corpo, con esclusione di qualsivoglia responsabilità professionale dei chirurghi e dell'anestesista che avevano eseguito n intervento di rinosettoplastica, considerato che l'infermiera professionale deve essere in grado di eseguire correttamente i compiti, di sua pertinenza, che gli vengono affidati dai medici (Trib. Monza 23 ottobre 2006).

Somministrazione di farmaci

L'attività di somministrazione di farmaci deve essere eseguita dall'infermiere non in modo meccanicistico, ma in modo collaborativo con il medico. In caso di dubbi sul dosaggio prescritto l'infermiere si deve attivare non per sindacare l'efficacia terapeutica del farmaco prescritto bensì per richiamarne l'attenzione e richiederne la rinnovazione in forma scritta. Il medico risponde per la posizione di garanzia rivestita rispetto ai malati (Cass. n. 1878/2000).

Omessa vigilanza da parte dell'infermiere

Ai fini della responsabilità di una struttura sanitaria per lesioni riportate per omissione di vigilanza da un paziente durante il ricovero ospedaliero è irrilevante il carattere volontario ed obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto, non potendo quest'ultimo condizionare l'obbligo di sorveglianza da parte del medico e del personale sanitario, basato sulla stessa diagnosi dei sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico e sulla loro mancata osservanza; ne deriva che viola l'obbligo contrattualmente assunto di vigilanza e di assistenza, oltre il principio del neminem laedere, la casa di cura per malattie nervose che non riesca ad impedire al malato schizofrenico di nuocere a se stesso, dovendosi ritenere ampiamente prevedibile il comportamento irrazionale del ricoverato (Cass. n. 11038/1997, resa nel caso dell'invalidità riportata in conseguenza di un tentativo di suicidio, in assenza di personale ospedaliero, da un ricoverato per malattia mentale con la consegna di continua sorveglianza).

Analoga responsabilità è stata ravvisata in caso di sottrazione di neonato dal reparto di puericultura: la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo, non si esaurisce, per quanto attiene agli ospedali, nella mera prestazione delle cure mediche, chirurgiche generali e specialistiche, ma include la protezione delle persone di minorata; per tali persone, la protezione è parte essenziale, a volte la massima parte, della cura sanitaria, sicché è implicita nello stesso concetto di cura, il quale dev'essere assunto come includente nel comportamento dovuto tutte le attività essenziali per l'effettiva realizzazione dell'utilità perseguita dall'obbligazione (Cass. n.6707/1987).

Decorso post-operatorio

Anche l'infermiere assume una posizione di garanzia nei confronti del paziente, nel senso che rientra tra le competenze (non solo del sanitario, ma anche) dell'infermiere quella di controllare il decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto, sì da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico. Proprio in forza delle competenze professionali dell'infermiere, che sono tratte dall'articolo 6 del d.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, è evidente il compito cautelare essenziale che svolge nella salvaguardia della salute del paziente, essendo, come detto, l'infermiere onerato di vigilare sul decorso post operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, il tempestivo intervento del medico (Cass. pen., n. 21449/2022, che ha ritenuto immune da censure la affermazione di responsabilità dei due infermieri di turno in reparto per la morte del paziente, con evidenti sintomi di edema, conseguente all'omessa attività di monitoraggio dei parametri vitali nella immediata fase post-operatoria).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore non consente di dubitare che il previo accesso al procedimento di mediazione riguarda qualunque causa di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio dell'attività medica, intesa nel suo complesso, indipendentemente dalla circostanza che la domanda venga proposta nei confronti del medico, o di altro personale sanitario, o della struttura sanitaria: dunque anche nel caso in cui la responsabilità sia addebitata all'infermiere. Si rinvia per il resto al nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria», precisando che il ricorso alla procedura in discorso è esperibile anche nel caso di responsabilità addebitata all'infermiere.

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria», anche per l'ipotesi che l'attore non intenda agire nei confronti della struttura ma dell'operatore.

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria».

Contenuto dell'atto introduttivo

Non è superfluo ripetere, data la peculiarità del tema della responsabilità dell'infermiere, che l'assetto della responsabilità medica dopo la legge Gelli-Bianco, la quale stabilisce che la struttura sanitaria pubblica o privata, ove convenzionata, risponde a titolo di responsabilità contrattuale, mentre il medico strutturato, ovvero il diverso personale sanitario, tenuto conto che la legge si riferisce genericamente agli esercenti la professione sanitaria, nel suo complesso, risponde per responsabilità aquiliana, è volta a rendere preferibile per il danneggiato intraprendere l'azione risarcitoria nei confronti della sola struttura.

In questa prospettiva la collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo.

L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona normalmente per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento.

Come si è avuto modo di ricordare (si veda il caso «La responsabilità medica in generale»), la S.C. ritiene che l'onere di allegazione gravante sul paziente non richieda di individuare specificamente gli aspetti tecnici in cui la responsabilità professionale si concreta, essendo sufficiente la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie di un non-professionista che, espletando la professione di avvocato, conosca comunque (o debba conoscere) l'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (Cass. n. 9471/2004).

Questo è un aspetto fondamentale nella redazione dell'atto introduttivo della domanda di risarcimento del danno da responsabilità medica: la S.C., cioè, richiede per questa via non già la deduzione del puro e semplice inadempimento, inteso come peggioramento delle condizioni di salute, o anche come inalterazione delle medesime, ma la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (p. es. Cass. n. 20547/2014). Si tenga presente che l'esigenza di deduzione di un «inadempimento qualificato» va commisurata alle peculiarità del caso concreto e dell'obbligazione gravante sul sanitario: così, con riguardo al caso dell'infermiere, vanno precisati i comportamenti ritenuti rilevanti da parte sua, eventualmente nell'interazione con la condotta del medico, come ad esempio nel caso del ferro dimenticato nell'addome del paziente, che può essere stato anche il prodotto dell'errato conteggio dei ferri da parte dell'infermiere a ciò addetto.

4. Conclusioni

Anche l'infermiere risponde del proprio operato quando esso abbia cagionato o concorso a cagionare danno al paziente, come nel caso di errato conteggio delle garze e dei ferri, errate manovre compiute sul paziente, errata somministrazione di farmaci, omessa vigilanza, anche sul decorso post-operatorio.

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