Il nesso di causalità in ambito civile1. Bussole di inquadramentoLa sussistenza del nesso di causalità, in materia di responsabilità civile, rileva sotto due distinti aspetti: per un verso al fine di verificare se e quale collegamento vi sia tra la condotta del danneggiante e la lesione dell'interesse tutelato in capo al danneggiato e, dunque, se i danni da quest'ultimo subiti possono essere addossati al danneggiante; per altro verso al fine di stabilire quale sia il contenuto dell'obbligazione risarcitoria gravante sul danneggiante. La prima serie causale è quella della cd. causalità materiale o di fatto, attraverso la quale, indagando il collegamento materiale tra la condotta e l'evento, si individua il responsabile del danno. La seconda serie causale è quella della cd. causalità giuridica, attraverso la quale si determina il danno risarcibile. La S.C. accoglie questa distinzione, del resto radicata nel dato normativo (da un lato gli artt. 40 e 41 c.p., dall'altro, essenzialmente, l'art. 1223 c.c.): in tal senso si ripete che, in tema di nesso causale, esistono due momenti diversi del giudizio civile, costituito il primo dalla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, per il quale la problematica causale, detta della causalità materiale o di fatto, è analoga a quella penale di cui agli art. 40 e 41 c.p. ed il danno rileva solo come evento lesivo, ed il secondo, al quale va riferita la regola dell'art. 1223 c.c., che riguarda la determinazione dell'intero danno cagionato oggetto dell'obbligazione risarcitoria (tra le molte Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 26042/2010; Cass. n. 10607/2010). Il primo ed il secondo momento dell'indagine sul nesso eziologico si differenziano sul piano logico e cronologico: e cioè occorre anzitutto stabilire chi sia responsabile dell'evento di danno per poi accertare quale sia il danno risarcibile. La verifica del nesso di causalità giuridica, in altri termini, «presuppone già compiuto il giudizio di imputabilità del danno evento, giudizio regolato in generale dal criterio della colpa» (Corte cost. n. 372/1994). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Cosa si intende per causalità materiale?
La risposta è nel codice penale Il codice civile non detta alcuna regola finalizzata alla verifica della causalità materiale, sicché, come si è poc'anzi evidenziato, costituisce affermazione ampiamente ribadita quella secondo cui detta verifica va compiuta in applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., quantunque la tecnica di accertamento, come si avrà modo di evidenziare in altro capitolo, sia diversa nel campo penale ed in quello civile. E cioè «il principio della causalità materiale, così come regolato dal vigente codice penale, trova applicazione anche nel campo civile, poiché comune ad entrambe le discipline è l'esistenza di un nesso eziologico tra l'azione o l'omissione e l'evento. Gli artt. 40 c.p. e 2043 c.c. hanno infatti, pur nella diversa formulazione di ciascuna norma, una sostanziale identità di contenuto» (Cass. n. 9528/2012; Cass. n. 13400/2007; Cass. n. 7577/2007; Cass. n. 12431/2001). Ora, l'art. 40 c.p. disciplina il rapporto di causalità attribuendo rilievo sia alla causalità commissiva, sia alla causalità omissiva: la gente non risponde del fatto se l'evento «non è conseguenza della sua azione od omissione». L'art. 41 c.p. regola l'ipotesi del concorso delle cause: «Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui». Secondo l'opinione tradizionalmente accolta dalla giurisprudenza della S.C., l'art. 40 c.p. recepisce la teoria della c.d. condicio sine qua non (Cass. n. 23915/2013; Cass. n. 10607/2010): è causa ogni antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato, sicché l'agente è responsabile ogni qual volta abbia posto in essere un antecedente dell'evento, in un'ottica che, ponendo ciascun antecedente sullo stesso piano si riassume nella c.d. «teoria dell'equivalenza delle cause». Tale ricostruzione, nella sua evidente eccessiva severità, secondo un'opinione comune temperata dalla lettura che viene data dell'art. 41 c.p., che conduce ad enucleare la teoria della causalità adeguata. Dal combinato disposto degli artt. 40 e 41 c.p. si desume che l'accertamento del nesso causale si articola in due fasi: la prima volta ad individuare, attraverso la teoria della condicio sine qua non, le cause di un determinato evento; la seconda volta a circoscrivere ad alcune tra le altre cause dell'evento. Nella già citata Cass. n. 26042/2010 si afferma così che, fatta applicazione della disciplina penalistica della causalità, occorre attribuire «rilievo, all'interno delle serie causali così individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l'evento, non appaiono del tutto inverosimili, come richiesto dalla cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su un giudizio formulato in termini ipotetici». Il nesso causale tra la condotta illecita e il danno civile è dunque regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili; ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell'evento dannoso a un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente e il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente» (Cass. n. 13214/2012; Cass. n. 8430/2011). La casistica, in questa materia, è sterminata, sicché non è pensabile procedere ad un'analisi dettagliata di essa. A mero titolo di esempio può dirsi che causa interruttiva di per sé idonea a provocare l'evento è quel fatto che si presenta come nuovo ed imprevedibile e che si colloca in una serie causale atipica, come nell'esempio scolastico del ferito trasportato in ambulanza che perde la vita a seguito di incidente stradale. Così, il nesso di causalità non è interrotto dall'infezione contratta dal paziente nel reparto di terapia intensiva (Cass. pen., n. 33770/2017; Cass. pen., n. 25689/2016): difatti le c.d. «infezioni nosocomiale» costituiscono costituisce rischio tipico e prevedibile. È stato stabilito che l'affermazione della responsabilità del medico per i danni celebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova – che deve essere fornita dal danneggiato – della sussistenza di un valido nesso causale tra l'omissione dei sanitari ed il danno, prova da ritenere sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall'altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno al neonato; una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta (Cass. n. 11789/2016). Ancora in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, è stato detto che l'accertamento del nesso causale – da compiersi secondo il criterio della preponderanza dell'evidenza (altrimenti definito anche del «più probabile che non») – implica una valutazione della idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente che deve essere correlata alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità (Cass. n. 3390/2015, che ha ritenuto immune da vizi logici la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità di una struttura sanitaria, in relazione alla paralisi degli arti inferiori subita da un paziente sottoposto ad un intervento di trombectomia, per essere stato omesso un trattamento preventivo a base di eparina, sebbene lo stesso non fosse previsto da alcun protocollo, ma solo raccomandato in via precauzionale nella letteratura scientifica perché in astratto idoneo a prevenire tale complicanza, attesa l'oggettiva gravità del rischio, sul piano causale, a carico del paziente per le sue particolari condizioni personali, trattandosi di soggetto fumatore, affetto da diabete e, verosimilmente, da vascolopatia). La causalità giuridica Come si è accennato, la causalità giuridica concerne la selezione delle conseguenze risarcibili, in dipendenza della lesione dell'interesse protetto. Il problema può essere colto attraverso un agevole esempio tratto dalla storia. In conseguenza della condotta del proprietario di un fondo collocato a monte di un altro fondo, il quale abbia chiuso illecitamente una presa d'acqua, così da privarne il fondo a valle, accade che il proprietario di tale ultimo fondo perda il raccolto, subisca la morte degli animali che avrebbe alimentato con il raccolto e, a causa di tali perdite economiche, venga ad essere privato dei mezzi per poter continuare nello svolgimento della propria attività agricola, così da essere costretto a vendere. La disciplina della causalità giuridica ha lo scopo di stabilire se tutte tre le conseguenze prodotte dalla chiusura della presa d'acqua siano risarcibili o se ne siano risarcibili soltanto alcune. La materia è regolata dall'art. 1223 c.c., il quale stabilisce che: «Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta», con la precisazione che la disposizione si applica non soltanto nel campo della responsabilità contrattuale, ma anche di quella aquiliana, poiché richiamata dall'art. 2056 c.c. La previsione secondo cui la risarcibilità è limitata alla «conseguenza immediata e diretta» ha lo scopo, nell'esempio poc'anzi fatto, di collocare certamente nell'ambito della risarcibilità la prima delle conseguenze menzionate, e, sembrerebbe, certamente nell'ambito della non risarcibilità la terza delle conseguenze menzionate. E c'è un perché il danneggiante non debba rispondere all'infinito delle conseguenze del suo agire: se così fosse, difatti, si dice, nessuno correrebbe il rischio di fare alcunché. Per circoscrivere l'area della risarcibilità la S.C. utilizza i criteri della normalità della prevedibilità. Ciò è sintetizzato nel principio secondo cui, in tema di risarcibilità dei danni conseguiti da fatto illecito (o da inadempimento, nell'ipotesi di responsabilità contrattuale) il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della cd. regolarità causale (Cass. n. 6474/2012; Cass. n. 15274/2006). Devono dunque considerarsi conseguenze della condotta dell'agente quelle che, secondo un giudizio ex ante, derivano da essa sulla base di un criterio di normalità. Trova insomma applicazione nella materia il criterio della regolarità causale. Doppio binario della causalità e concorso di colpa del danneggiato La distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica si rispecchia nei due commi dell'art. 1227 c.c. è riconosciuto dalla giurisprudenza (Cass. S.U., n. 24406/2011; Cass. S.U., n. 576/2008; Cass. n. 6988/2003). Il comma 1 («se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate») disciplina il concorso di colpa del danneggiato nella produzione del fatto dannoso e concerne la causalità nella sua materialità: «La regola di cui all'art. 1227, comma 1, c.c. non è espressione del principio di auto responsabiltià, ravvisandosi piuttosto un corollario del principio della causalità, per cui il danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile. Pertanto la colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato» (Cass. S.U., n. 24406/2011). Il comma 2 dell'art. 1227 c.c. («il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto utilizzare usando l'ordinaria diligenza») concerne l'ipotesi che si sia già prodotto l'evento dannoso ed attiene al conseguenze ulteriori della originaria lesione, conseguenze tutte riconducibili ad un'unica causa efficiente, ma in parte evitabili dal danneggiato (Cass.n. 576/2008; Cass. n. 21619/2007). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Si è già avuto modo di rammentare, nel commento al primo caso, che la giurisprudenza della S.C. richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno. È ora da aggiungere che, essendo il paziente attore assoggettato all'onere della prova del nesso di causalità, secondo l'indirizzo giurisprudenziale che si è affermato, l'onere di deduzione ― che precede quello probatorio ― deve essere rapportato anche ad esso. 4. ConclusioniIl nesso di causalità in ambito civile rileva sotto un duplice profilo: da un lato, dal versante del nesso di causalità materiale, come criterio di imputazione della responsabilità, attraverso l'individuazione del collegamento che conduce dalla condotta all'evento; dall'altro lato, dal versante del nesso di causalità giuridica, quale criterio di selezione dei danni risarcibili. |