Probabilità statistica, probabilità logica,più probabile che non1. Bussole di inquadramentoLa migliore dottrina giuridica dell'epoca – di stampo liberale, si badi bene, quantunque il codice Rocco si sia poi meritato per altre ragioni l'appellativo di codice fascista per definizione – dettò la norma fondamentale in tema di rapporto di causalità materiale all'art. 40 c.p., secondo cui: «Nessuno può essere punito ... se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Quand'è, allora, che c'è il nesso di causalità? Semplice, potrebbe dirsi: quando una certa condotta, commissiva od omissiva che sia, ha come «conseguenza» un certo evento; quando la condotta «cagiona» l'evento. Ma che cosa vuol dire «conseguenza», «cagionare»? Beh, vuol dire che tra condotta ed evento c'è nesso di causalità ... Sicché siamo di fronte ad una tautologia, ad un circolo vizioso, senza aver sfiorato alcuna certezza in ordine all'atteggiarsi del nesso di causalità materiale. Possiamo però dire che la configurazione del nesso di causalità è tutt'altro che indifferente all'assetto ideologico che sorregge l'ordine sociale. La dottrina della «causalità adeguata» mostra una ispirazione liberale: l'individuo paga il fio soltanto di ciò che proprio lui ha fondamentalmente cagionato, sia pure in presenza di cause concomitanti; la dottrina della conditio sine qua non, nella sua rigorosa formulazione, risponde all'origine ad un'impostazione autoritaria: la punizione arriva comunque, anche se il reo ha deviato dalla regola in misura soltanto marginale. Tornando al concetto di causalità materiale, sarebbe profondamente errato credere che, all'attuale stato dell'arte, la sussistenza o insussistenza del nesso causale debba essere giudicata in termini di certezza, di verità. Solo un ingenuo o un sognatore può infatti pensare oggi che un condannato in sede penale subisca la sanzione penale, sempre e comunque, perché il giudice è assolutamente certo che egli ha cagionato l'evento. Subisce la sanzione penale, per lo più, e se tutto va bene, perché è probabile che abbia cagionato l'evento. Come si è visto nel capitolo precedente, la disciplina del nesso di causalità materiale in ambito di responsabilità professionale medica è governato dagli artt. 40 e 41 c.p., in mancanza di disposizioni dettate sul punto dal c.c. È così che per lungo tempo la teoria del nesso causale in ambito civile è derivata dalla traslazione degli approdi raggiunti nel settore dalla giurisprudenza penale. Si è anche avuto modo di rammentare, in più occasioni, l'evoluzione che l'assetto giurisprudenziale ha subito con riguardo al tema della responsabilità medica, con il passaggio da un'impostazione paternalistica che comportava una quasi immunità dei medici per i danni causati ai pazienti nell'esercizio della loro attività, ad una impostazione di matrice giurisprudenziale ben più severa, fino al tentativo per via legislativa di riequilibrare le posizioni delle parti con la legge Gelli-Bianco. In passato l'atteggiamento di favore verso la classe medica incideva anche sul funzionamento, accolto dalla giurisprudenza, del nesso causale materiale in ambito penale: difatti era accolta l'idea che l'accertamento della sussistenza del nesso causale dovesse svolgersi in termini di certezza, il che, evidentemente, rendeva particolarmente difficoltosa la posizione del paziente. In seguito, sul finire degli anni '70 del secolo scorso il parametro della certezza fu man mano sostituito da quello della probabilità (Cass. n. 1476/1977), soprattutto nel campo della causalità omissiva, laddove l'accertamento del nesso di causalità in termini di certezza è particolarmente impegnativo. Ma l'evoluzione dell'orientamento giurisprudenziale, e l'indifferente applicazione di esso tanto in campo penale quanto in campo civile si è in seguito ulteriormente e grandemente modificato. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Come si articola la probabilità statistica nella giurisprudenza?
Sulla base delle c.d. leggi di copertura scientifica. L'accertamento del rapporto di causalità materiale costituiva per il paziente il principale ostacolo alla dimostrazione della responsabilità del medico. In coincidenza con il manifestarsi della tendenza all'elevazione del livello di tutela del paziente, la giurisprudenza ha fatto uso, in luogo del criterio precedentemente utilizzato della certezza, del criterio della probabilità. Si trattava, in particolare, della probabilità statistica, probabilità esclusa ove le leggi di copertura scientifica impiegate esponessero percentuali statistiche basse o addirittura tali da non determinare con precisione la probabilità di verificazione dell'evento, quale conseguenza della condotta. Ma, nel corso del tempo, la soglia percentuale andò sempre più diminuendo. Si giunse per questa via ad affermare che, ai fini dell'accertamento del nesso eziologico, è sufficiente l'esistenza di una probabilità del 30% che l'evento dannoso fosse conseguenza dell'azione o dell'omissione: «in materia di responsabilità per colpa professionale sanitaria al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire quello della probabilità di tale effetto - anche limitata (nel caso di specie, il 30%) - e della idoneità della condotta a produrli» (Cass. n. 371/1991). Come fu osservato, però, una tale impostazione finiva per ridurre il rapporto causale a mera possibilità, così da colpire la condotta del medico perché negligente, e non perché produttiva di danno. Si disse che la prassi giurisprudenziale aveva determinato una sorta di evaporazione del nesso causale, il cui scrutinio era in fin dei conti tralasciato, in quanto assorbito dall'accertamento della condotta negligente del medico. Con particolare riguardo alla causalità omissiva si formò difatti un orientamento che riteneva sussistente il rapporto causale anche quando l'operato del medico, se tempestivo e corretto, avrebbe avuto non la certezza, ma «serie ed apprezzabili probabilità o possibilità di successo» (Cass. n. 7993/2000; Cass. n. 820/1994; Cass. n. 654/1994). In ambito penale, inoltre, un simile orientamento determinava una lesione dei principi di legalità e tipicità, poiché la condanna discendeva non da un accertamento della reale sussistenza del nesso causale, ma dalla percentuale di rischio connaturato all'esercizio dell'attività. L'atteggiamento si modificò verso la fine del secolo scorso. Iniziò a farsi strada un orientamento più restrittivo che nuovamente esigeva la prova del nesso eziologico rapportata ad un grado di probabilità prossimo alla certezza, espresso in percentuali vicine a cento (Cass. n. 10929/1998; Cass. n. 2139/2000; Cass. n. 2123/2000). Sicché sorse un contrasto tra decisioni che ritenevano necessario un coefficiente percentuale di probabilità prossimo al 100%, e decisioni che ritenevano sufficiente un coefficiente percentuale di probabilità anche inferiore al 50%. Dalla probabilità statistica alla probabilità logica Furono così chiamati a pronunciarsi le Sezioni Unite penali, che lo fecero con la sentenza c.d. Franzese, dal nome dell'imputato (Cass. S.U., n.30328/2002). Questa decisione adotta la soluzione più garantista per l'imputato, ma lo fa sulla base di una costruzione teorica che in precedenza era stato solo saltuariamente affacciata, ossia sostituendo al criterio della probabilità statistica, quello della probabilità logica. La pronuncia aderisce alla teoria secondo cui il nesso causale va verificato mediante un'operazione di sussunzione della fattispecie sotto leggi scientifiche in base alla quale «un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica (legge di copertura), conducano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto». Tra le leggi di copertura, inoltre, vanno distinte quelle di carattere universale, che stabiliscono una correlazione certa tra la successione di un antecedente e di una conseguenza, e quelle di carattere meramente statistico, che individuano il rapporto tra antecedente e conseguenza in termini di semplice probabilità. Proprio queste ultime trovano applicazione in ambito medico, laddove la reazione del corpo umano all'atto medico ben difficilmente può essere descritta in termini di certezza matematica. Dunque, l'accertamento del nesso eziologico deve essere espresso necessariamente in termini probabilistici, sulla base dell'applicazione della legge statistica, sicché il giudice può soltanto stabilire quale sia la percentuale di probabilità che l'azione o omissione abbia cagionato il danno: il che non risponde all'interrogativo concernente la sufficienza del dato probabilistico al positivo accertamento del rapporto di causalità. Qui viene introdotta la distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica. Mentre la probabilità statistica indica la frequenza con cui un certo fatto si verifica, la probabilità logica indica «la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica nel singolo caso e della persuasività e razionale credibilità dell'accertamento giudiziario». La probabilità logica o baconiana presenta il tratto fondamentale di sopperire all'incertezza relativa all'ipotesi su un fatto, riconducendone il grado di fondatezza all'insieme degli elementi di prova o di conferma disponibili per quell'ipotesi: essa attiene al grado di conferma che un'ipotesi riceve sulla base delle prove che ad essa si riferiscono. La probabilità statistica, viceversa, riferendosi alla frequenza di verificazione di determinati eventi in termini astratti, non è in grado di fornire informazioni intorno al verificarsi di un evento concreto, poiché le statistiche servono per formulare previsioni circa la probabilità di verificazione di un evento, ma non stabiliscono se quest'ultimo si è effettivamente verificato o meno. Il livello di frequenza statistica, dunque, non è altro che un elemento indicativo della sussistenza del nesso di causalità materiale, che, però, deve ulteriormente essere scrutinato sulla base dell'evidenza empirica, e cioè del complesso degli elementi istruttori che connotano la fattispecie: il nesso di causalità può, quindi, risultare sussistente anche in presenza di coefficienti statistici medio-bassi, qualora siano rafforzati dall'accertamento istruttorio di non operatività in concreto di fattori alternativi tali da determinare il danno; per converso, anche in presenza di un elevato grado di probabilità statistica occorre verificare l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni causali diverse. Ed in definitiva non è consentito dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge scientifica, poiché è necessario verificare la pertinenza di quel coefficiente in relazione alla singola vicenda processuale. Il più probabile che non Il criterio dell'elevato grado di credibilità scientifica è stato però neutralizzato nel campo della responsabilità civile. Non è detto infatti che le stesse regole di accertamento della causalità materiale debbano parimenti applicarsi sia nel penale che nel civile, sebbene questa conclusione possa talora risultare sorprendente, quando un accertamento sia stato condotto sia nell'uno che nell'altro campo. Prendiamo il caso di O.J. Simpson, il giocatore di football americano. Accusato di aver ammazzato la moglie viene dichiarato not guilty in sede penale: e non sappiamo perché, dal momento che il verdetto penale statunitense non ha motivazione. Ma poco tempo dopo, in sede civile, viene condannato a risarcire gli eredi della vittima. Potrà apparire una stramberia. Ed è stato di recente ribadito essere «inimmaginabile, perché illogico e iniquo, che il modello che sorregge l'imputazione oggettiva vari nel diritto civile rispetto a quanto accade nel diritto penale». Ma, evidentemente, come subito vedremo, non sempre ciò che è inimmaginabile nel mondo della logica lo è anche nel mondo della giurisprudenza. Ora, abbiamo visto che l'art. 40 c.p. si applica ai fini dell'accertamento del nesso di causalità materiale sia in sede penale che in sede civile: e però, stando alla giurisprudenza attuale, non vuole dire la stessa cosa da un versante e dall'altro. Da quella parte, nel settore penale, occorre una probabilità molto alta; da questa parte, nel settore civile, bisognerebbe contentarsi – ci dice la Cassazione – di una probabilità così così. Vediamo come arriva la Corte a questa affermazione: in Cass. n. 21619/2007, viene posto l'accento sul rilievo che il diritto penale ruota sulla figura del reo, mentre la responsabilità aquiliana sulla figura della vittima; si aggiunge che l'illecito penale è tipico, mentre l'illecito civile è atipico; si osserva ancora che il giudice penale non può accedere ad una nozione di nesso causale ricollegata alla misura del rischio determinato dalla condotta omessa, giacché una simile impostazione finirebbe per trasformare il reato omissivo in reato di mero pericolo, mentre analoga preoccupazione non dovrebbe toccare il giudice civile. Di qui si passa al versante più politico della sentenza, nella quale risuonano formulazioni dottrinali ben note. La disciplina aquiliana, con particolare riguardo ai danni da malpractice medica, sarebbe – si dice – lo strumento attraverso cui «pervenire ad una più articolata e complessa distribuzione dei rischi». Essa costituirebbe strumento di «attribuzione di un determinato “costo” sociale, da allocarsi di volta in volta presso il danneggiato ovvero da trasferire ad altri soggetti». Insomma, più si allenta il nesso causale, più si favorisce il danneggiato a scapito del (quantunque al momento affatto ipotetico) danneggiante. Da non perdere il passaggio che segue: «Il sottosistema della responsabilità civile diventa, così, un satellite sperimentale di ingegneria sociale (che si allontana definitivamente dall'orbita dello speculare sottosistema penalistico), demandata, quanto a genesi e funzioni, quasi interamente agli interpreti, il cui compito diviene sempre più lo studio dei criteri di traslazione del danno. In questo quadro, il sottosistema della responsabilità medica diviene, in questo quadro, il topos «disfunzionale» al suo stesso interno rispetto agli schemi classici della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, dell'obbligazione di mezzi e di risultato, dove un tempo «pendolare» segna diacronicamente tappe non lineari e non armoniche, per produrre nuovi, repentini e talvolta sorprendenti legami di senso e di struttura a fatti concreti – l'intervento del medico – e moduli giuridici – la sua responsabilità – un tempo tra sé alieni, che officia la mutazione genetica della figura del professionista, un tempo genius loci ottocentesco, oggi ambita preda risarcitoria». Procedendo con un periodare della stessa marca stilistica, si giunge, pagina dopo pagina, ad affermare apertamente che il tema del nesso causale «è destinato inevitabilmente a risolversi entro i (più pragmatici) confini di una dimensione “storica”, o, se si vuole, di politica del diritto»; «La causalità civile “ordinaria”, attestata sul versante della probabilità relativa (o “variabile”), caratterizzata, specie in ipotesi di reato commissivo [ma qui, la S.C. voleva dire «omissivo»: n.d.r.], dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive (“serie ed apprezzabili possibilità”, “ragionevole probabilità” ecc.), senza che questo debba peraltro vincolare il giudice ad una formula peritale, senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: senza trasformare il processo civile (la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del “più probabile che non”». Sta di fatto che il criterio del «più probabile che non», dopo quest'esordio, ha spopolato nella giurisprudenza della Corte di cassazione. La S.C. ritiene infatti sufficiente, ai fini della sussistenza del legame eziologico, la prevalenza delle probabilità favorevoli rispetto a quelle sfavorevoli, secondo la regola, appunto, «più probabile che non»: quando in relazione ad un determinato evento sono possibili più serie causali, il giudice deve attribuire rilievo a quella che, in base alle evidenze disponibili, è sostenuta da grado di probabilità logica superiore all'altra. Il che, si badi bene, non sta a significare che il nesso di causalità – come precisa Cass. n. 15991/2011 – richiede una percentuale del 51%: può bastare molto, ma molto meno. Si immagini che in relazione all'insorgenza di una determinata patologia, cronologicamente successiva ad un intervento medico, sia possibile formulare dieci ipotesi di causalità, nove sostenute da un grado di probabilità del 9,5% ed una da un grado di probabilità del 14,5%, per un totale del 100%. In questo caso più probabile che non è la serie causale con una percentuale del 14,5%. L'orientamento della S.C. è riassunto da Cass.n. 21530/2021 come segue: «Giova rammentare, anzitutto, che (alla stregua di orientamento ormai stabile di questa Corte: Cass. S.U. , n.576/2008 e, tra le altre, Cass. n. 23197/2018), in tema di responsabilità civile, la verifica del nesso causale tra condotta (commissiva e/o omissiva) e fatto dannoso – regolato strutturalmente dalle norme di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (e, dunque, per via interpretativa, in forza dell'applicazione della teoria condizionalistica, temperata dalla teoria della c.d. regolarità o adeguatezza causale) – deve compiersi sulla scorta del criterio (o regola di funzione o, altrimenti detta, regola probatoria) del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana)». Vi è ancora da raggiungere, come emerge dalla appena citata Cass.n. 21530/2021, che, come è stato recentemente osservato: «Alla confusione generalizzata in tema di causalità e al movimento che spinge per lo sfaldamento del giudizio causale ha contribuito anche la Corte di giustizia, la quale, pronunziandosi nell'ambito di un giudizio pregiudiziale relativo all'interpretazione dell'art. 4 dir. 85/374/CEE in materia di responsabilità per prodotti difettosi, nell'ambito di una controversia che ruota attorno al carattere difettoso di un vaccino, ha avuto modo di sovrapporre il piano delle regole in presenza delle quali può dirsi sussistente il nesso di causalità in chiave generale con il diverso piano della prova, al limite anche presuntiva, della concreta ricorrenza del nesso causale in chiave individuale». Naturalmente il criterio del «più probabile che non» costituisce il modello di ricostruzione del solo nesso di causalità, regolante cioè l'indagine sullo statuto epistemologico di un determinato rapporto tra fatti o eventi, mentre la valutazione del compendio probatorio (nella specie, con riferimento ad un determinato comportamento in tema di responsabilità medico-sanitaria) è informata al criterio della attendibilità – ovvero della più elevata idoneità rappresentativa e congruità logica degli elementi di prova assunti – ed è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, insindacabile, ove motivato e non abnorme, in sede di legittimità (Cass. n. 26304/2021). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L’alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell’atto introduttivo La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Si è già avuto modo di rammentare, nel commento al primo caso, che la giurisprudenza della S.C. richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno. È ora da aggiungere che, essendo il paziente attore assoggettato all'onere della prova del nesso di causalità, secondo l'indirizzo giurisprudenziale che si è affermato, l'onere di deduzione ― che precede quello probatorio ― deve essere rapportato anche ad esso. 4. ConclusioniL'atteggiamento giurisprudenziale concernente la sussistenza del nesso causale si è progressivamente modificato nel campo penale, passando dall'idea iniziale della certezza, a quella della probabilità statistica, a quella dell'elevato grado di credibilità razionale. Nel campo civile, pur rimanendo fermo l'assunto secondo cui la materia è governata dagli art. 40 e 41 c.p., si è affermata la teorica del «più probabile che non». |