Il danno da emotrasfusioni1. Bussole di inquadramentoIn anni passati le malattie cagionate dai virus HBV (epatite B), HCV (epatite C) e HIV (AIDS) si sono diffuse in misura significativa anche attraverso trasfusioni di sangue o di derivati. Ne sono sorte, nel corso del tempo, azioni seriali di risarcimento dei danni da emotrasfusioni o emoderivati, proposte da persone che avevano contratto tali malattie perché costretti, per motivi di salute completamente indipendenti, a sottoporsi a trasfusioni di sangue o assunzione di emoderivati presso strutture sanitarie pubbliche. Sulla materia si è pronunciata la S.C. (Cass. S.U., n. 576/2008, nonché le successive fino alla n. 585), addebitando al Ministero della salute la responsabilità per il contagio prodotto dalle emotrasfusioni in applicazione dell'art. 2043 c.c., e non dell'art. 2050 c.c., come si sosteneva da una parte della dottrina. Stabilito che il Ministero è tenuto ad un'attività di controllo, direttiva e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico, in vista dell'utilizzazione di sangue non infetto, perché proveniente da donatori con caratteristiche tali da rispettare determinati standard di esclusione di rischi, la pronuncia ha affermato che l'inosservanza di detti obblighi fonda la responsabilità del medesimo Ministero sia sotto il profilo della colpa e del nesso di causalità. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono le pronunce in tema di nesso di causalità?
Le pronunce delle Sezioni Unite Il gruppo di pronunce menzionate si è soffermato sul tema del nesso di causalità tra il comportamento omissivo del Ministero ed il danno costituito dal verificarsi del contagio, stabilendo che l'aspetto della conoscenza del virus rileva anzitutto sotto il profilo della regolarità casuale, e dunque del nesso di causalità. Secondo le Sezioni Unite, in tema di responsabilità civile aquiliana il nesso causale è regolato dal principio di cui gli artt. 40 e 41 c.p. per il quale un evento è da considerarsi causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del «più probabile che non», mentre nel processo penale vige la regola della prova «oltre il ragionevole dubbio». Per conseguenza, «ciò che rileva è che l'evento sia prevedibile non da parte dell'agente, ma (per così dire) da parte delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non improbabilità dell'evento. Il principio della regolarità causale diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento ed evento dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale andrà più propriamente ad iscriversi entro l'elemento soggettivo (la colpevolezza) dell'illecito. Inoltre se l'accertamento della prevedibilità dell'evento, ai fini della regolarità causale fosse effettuato ex post, il nesso causale sarebbe rimesso alla variabile del tempo intercorrente tra il fatto dannoso ed il suo accertamento, nel senso che quanto maggiore è quel tempo tanto maggiore è la possibilità di sviluppo delle conoscenze scientifiche e quindi dell'accertamento positivo del nesso causale (con la conseguenza illogica che della lunghezza del processo, segnatamente nelle fattispecie a responsabilità oggettiva, potrebbe giovarsi l'attore, sul quale grava l'onere della prova del nesso causale)» (Cass. S.U., n. 576/2008). Sicché, «sussistendo a carico del Ministero della Sanità (oggi Ministero della Salute) anche prima dell'entrata in vigore della l. 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico, il giudice, accertata l'omissione di tali attività con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all'epoca di produzione del preparato, e accertata l'esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito l'evento» (Cass. S.U., n. 581/2008). I tre virus In un primo tempo la S.C. (Cass. n. 11609/2005) aveva affermato che la responsabilità del Ministero dovesse essere ancorata alla conoscenza che la scienza medica mondiale aveva dei virus della HIV, HBC, ed HCV, di modo che il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l'evento lesivo poteva essere riconosciuta solo a decorrere dal 1978 per l'HBC, dal 1985 per l'HIV e del 1998 per l'HCV, in quanto in tali date erano stati conosciuti dalla scienza mondiale i virus e i test di identificazione rispettivi (Cass. n. 11609/2005). Le Sezioni Unite, hanno viceversa affermato che «in tema di patologie conseguenti a infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell'assunzione di sangue infetto». Ne consegue che già a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per il contagio degli altri due virus che non costituiscono pertanto eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo (v. tra le tante dopo le S.U.Cass. n. 15453/2011; Cass. n. 18197/2014). La prescrizione: termine applicabile e durata Le Sezioni Unite si sono pronunciate anche tema di prescrizione dell'azione di risarcimento per danno da emotrasfusione (Cass. S.U., n. 576/2008). La prescrizione inizia il suo corso non al momento dell'insorgenza della malattia, che, nelle patologie considerate, coincide in buona sostanza con l'effettuazione stessa della trasfusione, bensì al momento in cui il soggetto ha conoscenza non solo della malattia, ma anche della sua «rapportabilità causale» (Cass. S.U., n. 576/2008). Ed infatti «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell'articolo 2947 c.c., comma 1, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Qualora invece non sia conoscibile la causa del contagio, la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile a un terzo, non è idonea in sé a concretizzare il “fatto” che l'articolo 2947 c.c., comma 1, individua quale esordio della prescrizione» (Cass. S.U., n. 576/2008). In particolare, il termine ultimo per la formulazione della domanda di risarcimento è stata individuata nel momento della presentazione della domanda in sede amministrativa per l'ottenimento dell'indennizzo di cui la l. n. 210/1992: difatti, ben può ritenersi che al momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio abbia avuto una sufficiente percezione sia della malattia, che della tipologia di virus e delle conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle Commissioni Mediche, sicché è stato escluso che la prescrizione inizi a decorrere dal momento di detta certificazione (in tal senso la giurisprudenza è ferma Cass. n. 21000/2012; Cass. n. 9143/2013; Cass. n. 15206/2013; Cass. n. 20058/2013; Cass. n. 14378/2014; Cass. n. 17968/2014; Cass. n. 821/2015; Cass. n. 822/2015). In definitiva, in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ai fini dell'individuazione dell'exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla l. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, l'esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione, anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle praesumptiones de praesumpto (Cass. n. 10190/2022, che ha cassato la decisione di merito, che aveva desunto la prova della pregressa conoscenza o conoscibilità della causa della malattia dalle seguenti circostanze: la scoperta della malattia, la mancata allegazione di altri fattori di rischio diversi dalla trasfusione, la lettera di dimissioni consegnata al paziente, la conoscenza della correlazione tra HVC e trasfusioni al momento della diagnosi della malattia). In tema di danni da emotrasfusioni, inoltre, la pronuncia emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 ha efficacia di giudicato, circa l'acquisizione della consapevolezza del nesso causale tra la somministrazione di emoderivati e la patologia contratta, funzionale all'individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, nel successivo giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l'identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno (Cass. n. 15379/2022). Quanto al termine applicabile, esso è quello quinquennale, che discende dalla connotazione extracontrattuale della responsabilità del Ministero della Salute (Cass. n. 22298/2014; Cass. n. 26916/2014). La Sezioni Unite hanno infine escluso la configurabilità, a carico del Ministero, dei reati di epidemia colposa o lesioni colpose plurime, tali da incidere sul corso della prescrizione ex art. 2947, comma terzo c.c.. Il rapporto tra domanda risarcitoria e domanda indennitaria di cui alla l. n. 210/1992 La tutela delle vittime di trasfusioni infette è affidata ad un duplice rimedio. Il primo è costituito dall'azione risarcitoria di cui si è già detto, potenzialmente diretta: a) nei confronti del Ministero della salute, responsabile ex art. 2043 c.c. per mancata adozione delle misure di emovigilanza previste; b) nei confronti della struttura ospedaliera ove ha avuto luogo la trasfusione, responsabile exartt. 1218 e 1228 c.c.; c) nei confronti dei singoli medici che hanno proceduto alla trasfusione. Ciò senza considerare il possibile profilo di responsabilità delle aziende farmaceutiche produttrici o distributrici dell'emoderivato per danno da prodotto. Nella pratica, però, come emerge da quanto in precedenza osservato, le azioni risarcitorie sono state intentate nei confronti del Ministero, soprattutto per la facilità di individuazione del responsabile, individuazione invece ben più problematica nel caso di paziente che sia stata trasfuso presso più strutture ospedaliere a da più medici. Il secondo è costituito dai presidi apprestati nella materia dalla l. n. 210/1992 (che si riferisce anche ad altro), approvata sulla scia di Corte cost. n. 307/1990, che ha previsto un indennizzo vitalizio, anche allo scopo di contenere il contenzioso: indennizzo avente natura di misura di solidarietà sociale «non risarcitoria, ma assistenziale» (Cass. n. 26883/2008). La legge non regola il rapporto tra tutela assistenziale e risarcimento del danno da emotrasfusione, con riguardo alla determinazione delle somme liquidabili in favore del danneggiato. La natura del danno da emotrasfusioni infette è diversa rispetto a quella dell'attribuzione indennitaria, rimedio da collocarsi entro il sistema di sicurezza sociale; l'indennizzo già corrisposto al danneggiato deve essere interamente detratto dalle somme richieste a titolo di risarcimento del danno da parte del Ministero della Salute in ragione della mancata adozione delle dovute cautele. Ciò, in ossequio ai principi della compensatio lucri cum damno, i quali sbarrano la strada al godimento da parte del danneggiato di un arricchimento sine causa, ossia indebito, consistente «nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo» (Cass. n. 2785/2015). Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, dunque, l'indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992 può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucru; ne consegue che sono soggette alla predetta detrazione non soltanto le somme già percepite al momento della pronuncia, ma anche le somme da percepire in futuro, in quanto riconosciute e, dunque, liquidate e determinabili (Cass. n. 7345/2022). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). MediazioneLe cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Tuttavia, secondo quanto si è in precedenza evidenziato, nel caso in esame sussiste anche la legittimazione passiva del Ministero, che rende certamente più agevole la posizione del danneggiato, non essendo egli onerato della dimostrazione di aver contratto il virus, in caso di ricovero presso diversi nosocomi, in occasione di un ricovero o di un altro. Contenuto dell'atto introduttivo La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Si è già avuto modo di rammentare, nel commento al caso «La responsabilità della struttura sanitaria», che la giurisprudenza della S.C. richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno. Nel caso in esame, ciò che l'attore deve provare è il ricovero presso uno o più strutture ospedaliere, della cui condotta debba rispondere il Ministero, e l'effettuazione di trasfusioni, cui sia seguito l'esordio della malattia. Si è anche visto che uno dei temi centrali nella materia è quello della prescrizione estintiva, ma, ovviamente, in concreto il problema si pone soltanto nell'ipotesi in cui il Ministero si costituisca in giudizio e formuli la relativa eccezione, eccezione che non richiede requisiti particolari, dal momento che essa si sostanzia nella deduzione dell'inerzia del titolare del diritto per il tempo stabilito dalla legge, spettando poi al giudice di accertare quando la prescrizione abbia iniziato a fare il suo corso e quale sia il termine di prescrizione applicabile: poiché è ragionevolmente da attendersi che l'eccezione di prescrizione, ove ve ne sia ragione, venga formulata, è dunque prudente che l'attore si attrezzi già dalla citazione in modo da poter replicare convenientemente all'eccezione di prescrizione, per l'ipotesi che essa venga effettivamente formulata. 4. ConclusioniIl danno da emotrasfusioni, tali da cagionare infezioni da HBV (epatite B), HCV (epatite C) e HIV (AIDS), ha suscitato numerosi interrogativi nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che vi ha risposto con una importante decisione del 2008, a Sezioni Unite, che ha qualificato la responsabilità del Ministero dell'Interno per la circolazione del sangue infetto come responsabilità extracontrattuale ed ha individuato il congegno di calcolo dell'exordium praescriptionis. La materia è altresì regolata dalla l. 25 febbraio 1992, n. 210. In proposito la S.C. ha chiarito in qual modo l'importo dell'indennizzo ottenuto in forza di detta legge debba essere sottratto da quello dovuto a titolo di risarcimento del danno. |