Il danno esistenziale


1. Bussole di inquadramento

Nel corso degli anni '90 del secolo scorso hanno iniziato a presentarsi, in ordine sparso, pronunce concernenti lesioni di interessi personali diversi dalla salute, ma che talora col diritto alla salute, inteso nel senso più ampio, hanno significativi punti di contatto: il risarcimento riconosciuto al marito in conseguenza dell'errore medico che aveva reso la moglie incapace di rapporti sessuali (Cass. n. 6607/1987, con cui è stata accolta la domanda proposta dal coniuge che aveva lamentato la compromissione della comune vita sessuale); il risarcimento per le conseguenze personali patite dal pubblico dipendente colpito da licenziamento illegittimo (Pret. L'Aquila 10 maggio 1991); quello riconosciuto ai genitori per la morte del figlio (Trib. Torino 8 agosto 1995); per immissioni sonore intollerabili (Trib. Milano 21 ottobre 1999); per lesione dell'identità personale (Trib. Verona 26 febbraio 1996); da vacanza rovinata (GdP Siracusa 26 marzo 1999); per la perdita del feto (GdP Casamassima 10 giugno 1999). In questi, come in altri casi, la dottrina ha riconosciuto un tratto unificante, consistente nel pregiudizio arrecato, al di fuori della lesione biologica, alle «attività realizzatrici della persona» di cui già alla sentenza Dell'Andro. Il danno esistenziale è sorto, così, quale ripercussione negativa su attività rilevanti per la realizzazione della personalità della vittima: e ciò sotto il duplice aspetto del non poter più fare ciò che l'illecito ha impedito, e del dover fare ciò che l'illecito ha necessitato.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quando “esordisce” il danno esistenziale in Cassazione? 

Le pronunce a partire dall'anno 2000

Nel 2000 il danno esistenziale approda in Cassazione, con una sentenza in cui si afferma che il ritardato versamento da parte del padre dell'assegno di mantenimento al figlio lede un diritto fondamentale di quest'ultimo, determinando un danno-evento (un danno che si produce per la semplice lesione dell'interesse protetto), risarcibile, in base alla tecnica del «combinato disposto», ai sensi dell'art. 2043 in relazione all'art. 2 Cost. (Cass. n. 7713/2000). In una successiva pronuncia la S.C. riconosce, sia pure in obiter dictum, che la lesione del rapporto parentale può costituire fonte di danno esistenziale (Cass. n. 1516/2001). Ed ancora si sofferma sulle conseguenze personali dell'illegittima levata di protesto (Cass. n. 4881/2001) e della comunicazione al datore di lavoro di notizie lesive della reputazione personale del prestatore (Cass. n. 6507/2001). E riconosce, in astratto, che il danno esistenziale del lavoratore per mancato riposo settimanale non può non essere risarcito (Cass. n. 9009/2001). E prende in esame il rilievo del danno esistenziale da violazione del termine di ragionevole durata del processo (Cass. n. 15449/2002). E le sezioni riunite della Corte dei conti – restando alle giurisdizioni superiori – affermano che il pregiudizio all'immagine della p.a. per il versamento di tangenti a funzionari pubblici costituisce danno esistenziale (Corte conti, sezioni riunite, 23 aprile 2003, n. 10/QM).

La figura del danno esistenziale solleva numerose obiezioni. Vi è chi evidenzia la genericità della nozione. Chi difende la tesi della sua superfluità. Chi afferma che il danno esistenziale altro non è che un tentativo di aggirare l'art. 2059 c.c. Chi intende dimostrare che esso è solo un riflesso della sofferenza ingenerata dalla perdita. Ma la critica più diffusa sostiene che il risarcimento del danno esistenziale, ignoto agli altri ordinamenti europei, comporterebbe un'eccessiva dilatazione del danno risarcibile, che giungerebbe a ricomprendere anche i c.d. danni «bagattellari», ossia pregiudizi di rilievo particolarmente modesto, ai limiti del capriccio: danno da vacanza rovinata, mancata attivazione del telefonino, morte dell'animale d'affezione, mal riuscita ripresa della cerimonia nuziale (Pret. Salerno 17 febbraio 1997) e – al culmine – errato taglio di capelli risarcito da un giudice di pace (GdP Catania, 25 aprile 1999).

Nel 2002 il tribunale di Roma rimette nuovamente alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell'art. 2059 c.c. nella parte in cui limita la risarcibilità del danno morale derivante dalla morte del congiunto (Trib. Roma 20 maggio 2002). Prima che il giudice delle leggi decida, però, la S.C. dà dell'art. 2059 c.c. una lettura del tutto nuova. Proprio in un caso di perdita del legame parentale (morte di un congiunto per incidente stradale) afferma che l'identificazione del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. con il danno morale soggettivo, ossia con la interiore sofferenza transeunte, «non può essere ulteriormente condivisa» (Cass. n. 8828/2003; Cass. n. 8827/2003), sicché viene a cadere il nucleo centrale dell'argomento che restringeva l'ambito di applicazione della norma. Spiega la Corte che, come si è visto, «il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona»: va perciò ricondotta a quell'area, ex art. 2059, la figura del danno biologico, con la conseguenza che l'orientamento che ne riconosceva la risarcibilità ex art. 2043 «non appena ne sarà fornita l'occasione, merita di essere rimeditato».

La ricollocazione del danno non patrimoniale nell'art. 2059 c.c. in versione costituzionalmente orientata

La regola stabilita dall'art. 2059, secondo cui il danno non patrimoniale (inteso nella nuova ampia accezione) è risarcibile soltanto nei casi previsti dalla legge – aggiunge quindi la S.C. – non può operare qualora siano lese posizioni di rilievo costituzionale: «una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti». E ciò perché, altrimenti, quei valori rimarrebbero privi di tutela risarcitoria, ossia della tutela minima. In ogni caso – soggiunge la S.C., con un argomento di rinforzo – il rinvio ai casi previsti dalla legge ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, alle previsioni di questa. La S.C. passa quindi alla questione del risarcimento del danno da uccisione del congiunto, danno definito come perdita del rapporto parentale con espressione mutuata da una «cospicua giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell'ambito del c.d. danno esistenziale». Chi lamenta la perdita del rapporto parentale – osserva la pronuncia – non si duole né di un pregiudizio alla salute (danno biologico), né all'integrità morale (danno morale soggettivo): l'interesse fatto valere è invece «quello all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana». Emerge, così, che l'art. 2059 regola ormai tre diverse voci: non più il solo danno morale soggettivo, ma anche il danno biologico ed un ulteriore danno – cui la Corte non attribuisce un nome – derivante da lesione di altri interessi della persona (diversi dalla salute) costituzionalmente protetti. E le tre voci – si dice – sono «ontologicamente» distinte, sicché la riparazione di ciascuna di esse ben può essere cumulata all'altra «senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento», duplicazione che va comunque costantemente evitata prestando attenzione a che le varie componenti del danno (inteso d'ora in poi come danno-conseguenza e non più come danno-evento) non vadano a sovrapporsi. Occorre ancora ricordare un ultimo passo della sentenza, laddove essa chiarisce che «l'art. 2059 non delinea una distinta figura di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, consente, nei casi determinati dalla legge, anche la riparazione di danni non patrimoniali»: insomma – se è lecita la semplificazione – l'art. 2059, nella nuova lettura, funziona come una sorta di art. 2043-bis, nel quale lo scrutinio dell'ingiustizia deve misurarsi con la protezione costituzionale apprestata all'interesse leso.

Ecco, allora, che l'eccezione di incostituzionalità sollevata dal tribunale di Roma, già ricordata, giunge ad essere esaminata (Corte cost. n. 233/2003). Ed il Giudice delle leggi, dopo la «svolta» di cui si è discorso, ha facile gioco nell'obiettare che l'interpretazione dell'art. 2059 c.c. da cui muove il giudice rimettente non corrisponde al diritto vivente. La Corte costituzionale, allora, richiama la nuova lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., intesa a ricondurre all'ambito di applicazione della norma tutti i danni non patrimoniali derivanti da lesione di valori personali, danni che così elenca: «sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona ...; sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona».

Dopo l'intervento della Corte costituzionale, che ha recepito l'inquadramento della S.C., si può dunque dire che l'art. 2059 c.c., destinato a funzionare come clone dell'art. 2043 c.c., disciplina la riparazione dell'intera gamma dei danni non patrimoniali, da ricondursi alle tre voci: a) danno morale soggettivo, quale transeunte turbamento dell'animo della vittima; b) danno biologico, quale lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile; c) danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale (diversi dall'integrità psico-fisica) inerenti alla persona.

Ora, non sembra dubitabile che quest'ultima voce di danno – «spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale» – si identifichi proprio con il danno esistenziale, che si risolve nell'impedimento, non determinato da una lesione dell'integrità psico-fisica, allo svolgimento di «attività realizzatrici della persona» dotate di protezione costituzionale. In tal modo, attraverso l'opera dei giudici della legittimità e delle leggi, sembra volersi perseguire l'intento di realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze di ampliamento della tutela della persona e quelle di non proliferazione dei danni bagattellari. Il rilievo costituzionale delle «attività realizzatrici della persona» meritevoli di protezione, in tale prospettiva, diviene il selettore degli interessi non patrimoniali tutelati, in vista dell'esclusione dall'ambito della risarcibilità di quei danni di rilievo scarso o nullo che – questo sembra essere il punto – ciascuno deve pazientemente sopportare.

Dopo alterne decisioni, si giunge ad un decalogo delle Sezioni Unite sul danno esistenziale con Cass. S.U., n. 6572/2006. Ecco le indicazioni salienti (in realtà otto) dettate sul tema. i) Definizione di danno esistenziale. Affermano le Sezioni Unite che «per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l'illecito ... provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità». ii) Danno esistenziale e danno morale. Viene chiarito che «il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore (propria del cosiddetto danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso». Danno morale e danno esistenziale, dunque, si distinguono nettamente: l'uno si colloca nel foro interno (il dentro), l'altro nel momento delle relazioni del soggetto con il mondo esterno (il fuori). iii) Danno esistenziale come danno conseguenza. Il danno esistenziale non si identifica con la lesione dell'interesse protetto, ma è costituito dalle conseguenze sfavorevoli, di ordine relazionale, della lesione. Le Sezioni Unite, nell'esaminare la vicenda di una vittima di demansionamento, osservano: «Non è ... sufficiente la prova della dequalificazione ... questi elementi integrano l'inadempimento del datore ma ... è poi necessario dare la prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, alterandone l'equilibrio e le abitudini di vita». iv) Il danno esistenziale può derivare da un inadempimento contrattuale. Le Sezioni Unite qualificano espressamente l'atto illecito del datore di lavoro come inadempimento. E non dubitano che da esso possa sorgere danno esistenziale. v) Il danno esistenziale non dipende necessariamente dalla Costituzione. Quest'aspetto è rilevante e originale: «L'ampia locuzione usata dall'art. 2087 c.c. ... assicura il diretto accesso alla tutela di tutti i danni non patrimoniali, e quindi non è necessario, per superare le limitazioni imposte dall'art. 2059 c.c.... verificare se l'interesse leso dalla condotta datoriale sia meritevole di tutela in quanto protetto a livello costituzionale». Una certa retorica costituzionale – la quale dopo la svolta del 2003 era apparsa incontenibile, tanto da far sembrare zoppo il diritto civile, giacché incapace, senza la Costituzione, di individuare gli interessi la cui lesione genera danno aquiliano – segni segna in tal modo una battuta d'arresto. vi) Il danno esistenziale va allegato. «Non è ... sufficiente prospettare l'esistenza della dequalificazione, e chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato, e valendo il principio generale per cui il giudice ... non può invece mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto». vii) Il danno esistenziale va provato. Le Sezioni Unite ricordano che: «Mentre il danno biologico non può prescindere dall'accertamento medico legale, quello esistenziale può invece essere verificato mediante la prova testimoniale, documentale o presuntiva, che dimostri nel processo “i concreti” cambiamenti che l'illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato». Eguale ragionamento viene svolto sul rapporto tra morale ed esistenziale. viii) Il danno esistenziale va liquidato equitativamente. Non sono decisive le tabelle: «Il danno esistenziale, infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare ... necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita».

L'inversione di rotta

Anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite appena citata, taluni contrasti sul danno esistenziale permangono. Ecco allora che con un'ordinanza la terza sezione civile della Corte di cassazione (Cass. n. 4712/2008) chiede nuovamente alle Sezioni Unite di stendere vere e proprie linee guida in tema di danno esistenziale con riguardo alla tavola di valori/interessi costituzionalmente garantiti, agli oneri di allegazione e probatori, ai criteri risarcitori. Nessuno del resto avrebbe potuto dubitare, dopo che le «sentenze gemelle» della primavera del 2003 (Cass. n. 8828/2003; Cass. n. 8827/2003) avevano divelto l'art. 2059 c.c., facendone un clone dell'art. 2043 c.c., che il dibattito sull'argomento, lungi dal concludersi, si sarebbe invece intensificato, introducendo ineluttabilmente una fase di turbolenza. Gli antiesistenzialisti – così li chiama l'ordinanza menzionata – hanno seguito diverse strade: qualcuno ha sostenuto che il danno non patrimoniale avrebbe una configurazione unitaria (come lo Schmerzensgeld tedesco) entro la quale non sarebbero possibili sub-divisioni; qualcuno ha sostenuto sic et simpliciter che «non esiste il danno esistenziale» (Cass. n. 23918/2006) ma «un danno da lesione di quello specifico valore di cui al referente costituzionale» (Cass. n. 15022/2005); qualcuno ha fatto leva sulla configurazione consequenzialista del danno esistenziale, richiedendone prove iper-rigorose.

Le sentenze di San Martino

Si arriva così alle quattro sentenza del novembre 2008 (Cass. S.U., n. 26972-3-4-5/2008). Questi, in breve, i punti che le Sezioni Unite hanno fissato o ribadito:

– quella del danno non patrimoniale è categoria unica e onnicomprensiva, non suddividibile in sottocategorie, quali non possono considerarsi né il danno esistenziale, né il danno morale; anche del danno biologico le Sezioni Unite dicono, che l'espressione potrebbe essere utilizzata solo a fini descrittivi;

– il danno non patrimoniale, in ambito aquiliano, scaturisce: a) da condotte dannose costituenti reato le quali incidano qualunque diritto («vecchio» art. 2059 c.c. in relazione all'art. 185 c.p.); b) da condotte dannose non costituenti reato le quali incidano diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati («nuovo» art. 2059 c.c. nella lettura costituzionalmente orientata); c) da ulteriori condotte dannose considerate da specifiche disposizioni di legge (per tutte: la legge «Pinto» sulla ragionevole durata del processo);

– il danno non patrimoniale è altresì risarcibile anche se derivante da inadempimento contrattuale, ma a condizione, ancora una volta, che l'inadempimento vada ad incidere diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati;

– in ogni caso il diritto al risarcimento del danno è condizionato alla sussistenza degli ulteriori requisiti della gravità della lesione e della serietà del danno medesimo, sicché sono irrisarcibili i danni c.d. bagattellari;

– in sede liquidativa, il risarcimento di un pregiudizio morale va riconosciuto solo se a sé stante (come in caso di persona diffamata o lesa nella identità personale), mentre è da escludere, sempre e comunque, il cumulo della posta dei pregiudizi morali col danno biologico, essendo quest'ultimo onnicomprensivo, con il solo obbligo, per il giudice, della personalizzazione;

– tra gli altri pregiudizi, la perdita della vita, in sé considerata, non è risarcibile, mentre è risarcibile quale pregiudizio morale il c.d. danno da agonia, o danno catastrofico, il pregiudizio morale, insomma, determinato dalla sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia (in caso di coma nulla è dovuto) in consapevole attesa della fine;

– il danno non patrimoniale è un danno-conseguenza, non è mai in re ipsa, ma va allegato e provato, e la prova può essere data anche esclusivamente per presunzioni.

La sentenza ha dato luogo a numerosissimi commenti, talvolta assai critici, altre volte adesivi, soprattutto nella parte in cui essa è sembrata uno stop al diffondersi del risarcimento del danno esistenziale. Dal punto di vista operativo, tuttavia, l'impatto è stato assai più ridotto di quanto potesse supporsi. Per il danno biologico nulla è cambiato per effetto della sentenza. Per il danno esistenziale sono intervenuti cambiamenti sostanzialmente di facciata, tanto più che dicono testualmente le Sezioni Unite che «pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona». Non si parla più di danno esistenziale bensì di pregiudizio esistenziale, ma il risarcimento – basti pensare per tutti al danno da perdita del rapporto parentale – non è in discussione.

Viceversa, in una successiva sentenza della terza sezione si rinviene una puntigliosa ricostruzione del tema in generale ed una schietta difesa dell'autonomia concettuale delle tre componenti del danno non patrimoniale ed in particolare del danno esistenziale (Cass. n. 20292/2012). Tale decisione propone un'applicazione dei principi dettati dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2008 effettuata attraverso un procedimento di tipo induttivo che, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno esistenziale).

Il nuovo «decalogo»

Secondo Cass. n. 901/2018: «In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile ― alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) ― è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti». Nella menzionata decisione, e nella successiva Cass. n. 7513/2018, c.d. «ordinanza decalogo» si afferma che: «Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria».

Il danno non patrimoniale, a fronte della lesione dell'interesse della persona costituzionalmente rilevante, consiste dunque: nel pregiudizio concernente la sfera esteriore (danno dinamico-relazionale, danno biologico, danno esistenziale, che dir si voglia); nel pregiudizio concernente la sfera interiore (danno morale soggettivo).

Quanto al danno «dinamico relazionale», afferma il «decalogo», «la lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità; conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale; la liquidazione delle prime, tuttavia, presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto».

La prova del danno dinamico-relazionale «normale» è insita nell'accertamento medico-legale, e la liquidazione di tale danno è standardizzata. Il danno dinamico-relazionale, o esistenziale che dir si voglia, individualizzato, richiede invece una specifica allegazione e prova.

In definitiva, la vicenda del danno esistenziale sembra essersi assestata nel senso della sua risarcibilità: a condizione, naturalmente, che ricorra la violazione di un interesse, diverso dalla salute, dotato di copertura costituzionale e che ― questo l'aspetto operativo di maggior rilievo ― il risarcimento del danno esistenziale non dia luogo ad obbligazione risarcitorie, come testimoniato dalla massima secondo cui, in virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell'esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca (Cass. n. 30997/2018).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore ― «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... risarcimento del danno derivante ... da responsabilità medica e sanitaria... è tenuto ... preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ... L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale» ― rende manifesto che il previo accesso al procedimento di mediazione riguarda qualunque causa di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio dell'attività medica, indipendentemente dalla circostanza che la domanda venga proposta nei confronti del medico, o di altro personale sanitario, o della struttura sanitaria, ed altresì indipendentemente dalla natura del pregiudizio lamentato, sia che esso concerna l'integrità psicofisica del paziente, sia che abbia ad oggetto il suo diritto di autodeterminazione nelle scelte attinenti alla sfera sanitaria, come accade nell'ipotesi di intervento operato in mancanza del necessario consenso informato: in definitiva non v'è dubbio che la domanda di risarcimento del danno esistenziale debba essere preceduta dal procedimento di mediazione, in alternativa all'accertamento tecnico conciliativo.

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. L'art. 8, l. 8 marzo 2017, n. 24, nel disciplinare la materia, fa «salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28», cui si è poc'anzi fatto cenno.

Nel rinviare alla trattazione svolta già nel caso 1, «La responsabilità della struttura sanitaria», si rammenta che il ricorso per accertamento tecnico preventivo ai fini della conciliazione della lite deve contenere gli elementi previsti dall'art. 125 c.p.c., che menziona l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza. Non è tuttavia indispensabile indicare l'oggetto della futura domanda di merito, dal momento che il procedimento non riveste natura cautelare anticipatoria, ma appunto conciliativa.

Quando la domanda giudiziale sia stata proposta senza farla precedere dalla consulenza tecnica preventiva o dalla mediazione obbligatoria, il giudice, su eccezione del convenuto o a seguito di rilievo d'ufficio non oltre la prima udienza, dispone che si dia ingresso, o se del caso si prosegua, il procedimento di consulenza conciliativa.

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Si avuto modo di ripetere che la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. L'efficacia della conciliazione raggiunta in sede di mediazione è sostanzialmente sovrapponibile a quella dell'accordo raggiunto sulla base della consulenza tecnica preventiva: entrambi gli accordi sono riconducibili sul terreno negoziale alla disciplina dell'art. 1372 c.c., e su quello esecutivo, esecutivo alla previsione dell'art. 474, comma 2, n. 1, e comma 3, c.p.c.

Vi sono però differenze sensibili tra l'una e l'altra procedura, giacché la relazione tecnica redatta dal consulente nominato dal giudice va fisiologicamente a far parte del corredo istruttorio della causa di merito, mentre le risultanze dell'attività svolta nel procedimento di mediazione può al più costituire prova atipica rimessa al prudente apprezzamento del giudice. In tale prospettiva non sembra possano negarsi i vantaggi del procedimento di consulenza tecnica preventiva volta alla composizione della lite, tenuto conto che nella materia in discorso l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio è perlopiù indispensabile.

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel: «La responsabilità della struttura sanitaria», rammentando che, se si condivide quanto poc'anzi osservato con riguardo all'alternativa tra la mediazione e la consulenza tecnica conciliativa, e si ritiene preferibile quest'ultima, la domanda risarcitoria deve in tal caso seguire il procedimento semplificato di cognizione.

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. A tale ultimo riguardo, è appena il caso di accennare che la giurisprudenza richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno: tuttavia, per quanto concerne i profili attinenti al danno esistenziale, e dunque, non all'an, ma al quantum debeatur, l'attenzione va prestata più che altro alla distinzione tra le diverse voci di danno ed alla precisa individuazione del contenuto del pregiudizio subito, al fine di evitare che la relativa domanda venga respinta in ragione del divieto di duplicazioni risarcitorie.

4. Conclusioni

La vicenda del danno esistenziale è stata caratterizzata da fortissimi contrasti dottrinali e giurisprudenziali, essenzialmente motivati da una ragione, ossia il pericolo, vero o supposto, di un eccessivo ampliamento dell'area della risarcibilità, e di ingresso in quest'ultima di pregiudizi irrisori, o come si suol dire bagattellari. La stessa Corte di cassazione ha prima riconosciuto, poi negato e poi nuovamente riconosciuto dignità alla figura del danno esistenziale, la cui risarcibilità è peraltro condizionata alla sussistenza della lesione di un interesse, diverso dalla salute, dotato di copertura costituzionale, nonché di un pregiudizio collocato a valle della lesione, non altrimenti coperto dal risarcimento riconosciuto.

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