La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi1. Bussole di inquadramentoL'art. 8 l. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. Gelli-Bianco, ha previsto per tutte le cause di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria una condizione di procedibilità da esercitarsi nelle forme del procedimento disciplinato dall'art. 696-bis c.p.c., alternativa alla mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010. Devono dunque esaminarsi qui di seguito i profili processuali di detto strumento finalizzato alla conciliazione della controversia, al pari della mediazione obbligatoria. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quale è l'ambito di applicazione della consulenza tecnica conciliativa?
Si tratta di un procedimento conciliativo alternativo alla mediazione obbligatoria. L'art. 8 della legge Gelli-Bianco ha stabilito che le controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno da responsabilità sanitaria debbano essere precedute dall'esperimento della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite di cui all'art. 696-bis c.p.c. È stata in tal modo introdotta, nella materia, una ulteriore condizione di procedibilità della domanda, alternativa alla mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010. Non è invece applicabile la negoziazione assistita, per espressa previsione normativa. La scelta tra il tentativo obbligatorio di conciliazione e la mediazione spetta all'attore. La norma si riferisce all'esercizio di «un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria»: la condizione di procedibilità opera, dunque, esclusivamente per le domande aventi ad oggetto il risarcimento del danno, non anche per le eventuali domande di accertamento non finalizzati ad una statuizione di condanna. Ciò non toglie che simili controversie, per le quali non ricorre la condizione di procedibilità introdotta dall'art. 8 della legge Gelli-Bianco, debbano rispettare l'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, e che debbano cioè essere precedute dalla mediazione obbligatoria. Non v'è dubbio, inoltre, che la consulenza tecnica conciliativa costituisca condizione di procedibilità sia in ipotesi di azione risarcitoria intentata nei riguardi della struttura sanitaria, sia in ipotesi di domanda avanzata contro il medico, sia in ipotesi di azione diretta promossa contro l'assicuratore: il che, a quest'ultimo riguardo, è reso manifesto dall'inciso contenuto nell'art. 12 della stessa legge, che fa salve le «disposizioni dell'art. 8». La norma soggiunge che il ricorso ex art. 696-bis c.p.c. deve essere promosso da chiunque intenda agire per il risarcimento del danno «innanzi al giudice civile», dal che si desume che la condizione di procedibilità non trova applicazione in caso di azione civile innestata in sede penale. Sembra da escludere, poi, che la condizione di procedibilità in discorso neppure si applichi alle azioni di rivalsa e regresso spettanti alla struttura sanitaria nei confronti del sanitario, all'assicuratore e al Fondo di garanzia: azioni che, difatti, sono estranee all'ambito del «risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria». Inutile dire che la condizione di procedibilità è estranea all'azione di responsabilità amministrativa. Non riveste particolare interesse interrogarsi se la consulenza tecnica conciliativa costituisca condizione di procedibilità anche in caso di domanda risarcitoria spiegata dal paziente in via riconvenzionale: la giurisprudenza di merito è stata più volte incline a ritenere che la mediazione obbligatoria debba trovare applicazione sia in sede di domanda principale che riconvenzionale (p. es. Trib. Verona 21 febbraio 2017; Trib. Bari 28 novembre 2016; Trib. Verona 12 maggio 2016; Trib. Roma 27 novembre 2014), sicché, se si accoglie tale premessa, delle due l'una, o la consulenza conciliativa viene espletata in vista della riconvenzionale, nel qual caso nulla quaestio, o la consulenza conciliativa non viene espletata, nel qual caso occorre la mediazione. E però si deve considerare che secondo altra parte della giurisprudenza di merito non sussiste alcun obbligo di esperire la mediazione a seguito della formulazione della domanda riconvenzionale, in quanto l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nel fare riferimento a chi intende esercitare in giudizio un'azione, si riferisce al soggetto che incardina il giudizio, ossia all'attore, non al convenuto, ancorché questi abbia spiegato domanda riconvenzionale; inoltre imporre il tentativo di mediazione anche nel caso della riconvenzionale finirebbe per frustrare il principio di ragionevole durata del processo (Trib. Prato n. 880/2021). Applicando tale piano ragionamento si arriva ad escludere che per la riconvenzionale occorra porre la condizione di procedibilità anche nella forma qui in esame. Va infine rammentato che il ricorso al procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite è ammissibile quando sia in contesa non soltanto il quantum, ma altresì l'an debeatur (Trib. Venezia 16 luglio 2018). La presentazione del ricorso Ai sensi dell'art. 8, comma 2, il danneggiato ha l'onere, a pena di improcedibilità, di proporre, prima della instaurazione del giudizio di merito, l'istanza volta all'esperimento della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c.: ergo la presentazione del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. comporta il venire ad esistenza della condizione di procedibilità in discorso. La norma prevede altresì che il giudice «ove rilevi che il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento: ciò sta a significare che l'attore può instaurare il giudizio, ma esso può poi proseguire solo se la consulenza conciliativa ha luogo. Nel procedimento di accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 696-bis c.p.c., il cui esperimento costituisce, ai sensi dell'art. 8 l. n. 24 del 2017, condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria, sono parti necessarie tutti i soggetti che il ricorrente prospetti come obbligati, compreso l'esercente la professione sanitaria autore della condotta illecita, anche se dipendente dalla struttura, nonché quelli che possono partecipare all'eventuale giudizio di merito (Trib. Verona 17 maggio 2018). Secondo un giudice di merito, sussiste la legittimazione passiva della compagnia assicuratrice nell'ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi pur ove, in mancanza del necessario decreto attuativo, difetti la possibilità di agire in via diretta nei confronti della stessa compagnia (Trib. Venezia 16 luglio 2018). In mancanza della condizione di procedibilità, l'art. 8, comma 2, stabilisce che: «L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza», soggiungendo, come si è appena accennato, che: «Il giudice, ove rilevi che il procedimento di cui all'articolo 696-bis c.p.c. non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento». Si tratta di un congegno che riproduce quello previsto per la mediazione obbligatoria: e cioè il difetto della condizione di procedibilità deve essere eccepita dalla controparte o rilevato dal giudice, non oltre la prima udienza. La norma non chiarisce quale natura abbia il termine assegnato dal giudice per l'introduzione e il completamento del procedimento di consulenza conciliativa. Secondo un'opinione, la natura ordinatoria del termine in questione si desumerebbe dal rilievo che i termini sono perentori solo se la legge li qualifica tali, tanto più che la norma mirerebbe a favorire l'adempimento della condizione di procedibilità e non a sanzionare la sua inosservanza. Sembra però preferibile l'opposta opinione, giacché l'inosservanza del termine determina l'improcedibilità del giudizio, che dunque si chiuse con una pronuncia in rito. Bisogna tuttavia osservare che, con riguardo al parallelo procedimento di mediazione obbligatoria, la S.C. ha stabilito che «ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 2, e comma 2-bis d.lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione» (Cass. n. 40035/2021). Occorre aggiungere che l'art. 8, comma 2, laddove stabilisce che, se il procedimento ex art. 696-bis c.p.c. è stato instaurato, ma non ancora concluso, il giudice «assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza [...] di completamento del procedimento», pone un precetto della cui razionalità sembra lecito dubitare, giacché una simile istanza di completamento ben può non avere alcun senso, quando, ad esempio, l'attore abbia introdotto il giudizio di merito nelle more del deposito della consulenza tecnica già disposta. Sicché non si comprende per quale ragione non si sia ribadito il dettato dell'art. 5, d.lgs. n. 28/2010, che, in caso di mancato completamento del procedimento di mediazione obbligatoria, prevedendo semplicemente il giudice debba rinviare a data tale da consentire che il procedimento si concluda. L'alternatività tra consulenza conciliativa e mediazione La condizione di procedibilità può considerarsi avverata se l'azione di responsabilità sanitaria è preceduta dal ricorso per consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. ovvero, in alternativa, dal tentativo di mediazione obbligatoria. Spetta dunque al danneggiato scegliere quale tra i due strumenti conciliativi sia preferibile, anche in considerazione degli aspetti di natura tecnica della controversia. Ma la scelta è confinata alla fase preprocessuale, ed è chiara la preferenza del legislatore per la consulenza conciliativa, tant'è che il giudice, in mancanza di entrambe le condizioni di procedibilità deve dar corso al procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. I due strumenti hanno natura differente: quello volto alla consulenza conciliativa ha natura giurisdizionale, l'altro è uno strumento di risoluzione alternativa alle controversie. La conciliazione raggiunta nel procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c. è una vera e propria conciliazione giudiziale. Il ruolo del consulente tecnico è poi del tutto diverso da quello del mediatore, non solo perché uno a competenze tecniche in ambito medico che l'altro non, ma anche perché il consulente tecnico deve accertare i fatti così come sono, mentre il mediatore deve avvicinare le posizioni delle parti. È infine del tutto ovvio che le modalità di svolgimento del procedimento divergono, giacché la consulenza tecnica richiede per l'appunto lo svolgimento di indagini tecniche che esulano dai compiti del mediatore. Ancora, le dichiarazioni o informazioni raccolte dal mediatore sono coperte da riservatezza (art. 10, comma 1, d.lgs. n. 28/2010) e sono destinate a non influire sul successivo eventuale giudizio di merito; le risultanze della consulenza tecnica ben possono essere poste a fondamento della decisione adottata nella successiva fase, ove la conciliazione non si realizzi. Il contenuto del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. ed il procedimento L'art. 696-bis c.p.c. nulla dispone con riguardo al contenuto del ricorso introduttivo. È generalmente ritenuto applicabile al riguardo l'art. 693 c.p.c. L'istanza di consulenza tecnica preventiva può essere presentata, in assenza di disposizioni contrarie, anche al Giudice di pace, quando questi sia competente per valore. Il contrario è stato affermato in considerazione del fatto che il successivo giudizio di merito è sottoposto al rito sommario di cognizione, che non trova applicazione dinanzi al giudice di pace. Ma i termini della questione si sono modificati con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, sicché l'argomento non è più spendibile. Il ricorso deve menzionare gli elementi necessari ad individuare la successiva domanda di risarcimento, attraverso l'esposizione dei fatti di cui la consulenza tecnica d'ufficio dovrà occuparsi. Il procedimento presenta delle peculiarità che discendono dalla previsione contenuta nella legge Gelli-Bianco, ossia: i) l'obbligo di partecipazione delle parti al procedimento e le conseguenti misure sanzionatorie (art. 8, comma 4); ii) la scelta dei consulenti tecnici cui il giudice affida l'espletamento della consulenza tecnica, ossia medici specializzati in medicina legale e uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, ex art. 15 della legge Gelli-Bianco; iii) la durata del procedimento e le conseguenze per l'inosservanza del termine, ex art. 8, comma 3. La durata massima del procedimento di consulenza conciliativa è fissata normativamente dall'art. 8, comma 3, in sei mesi, ed il termine è espressamente definito come perentorio. Detto termine inizia il suo corso con il deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. L'attributo del carattere della perentorietà non è agevolmente comprensibile, giacché impedisce al giudice, in particolare in controversia in cui gli aspetti tecnici risultino particolarmente complessi, ed il semestre non sia stato impiegato invano, di concedere una qualunque proroga nonostante l'indagine svolta sia ormai in dirittura d'arrivo. Se il termine rimane inosservato si concretizza la condizione di procedibilità, senza però che l'attività svolta possa per questo essere considerata invalida o inefficace. Parimenti, se le parti non si conciliano, viene ad esistenza la condizione di procedibilità. Stabilisce l'art 8, comma 3, che «ove la conciliazione non riesca ..., la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro 90 giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'art. 281-undecies c.p.c.». Il danneggiato ha dunque l'onere, ai fini della salvezza degli effetti della domanda, di instaurare il giudizio risarcitorio nelle forme – con l'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 – del procedimento semplificato di cognizione, che ha sostituito il sommario, entro il termine di novanta giorni dal deposito della relazione. Riguardo agli effetti della domanda, il dato normativo è da intendere nel senso che il deposito del ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. produce gli stessi effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale. Instaurato il giudizio secondo nelle forme del procedimento semplificato ciascuna parte può chiedere che la relazione peritale sia acquisita agli atti del giudizio di merito, a norma dell'art. 696-bis, comma 5, c.p.c. Resta da dire che, in tema di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 8 della l. n. 24 del 2017, il rinvio all'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c. fa sì che il provvedimento con cui il giudice affermi o neghi la propria competenza per territorio a provvedere sulla relativa istanza non assuma alcuna efficacia preclusiva o vincolante nel successivo giudizio di merito, con la conseguenza che il mancato rilievo d'ufficio dell'incompetenza (derogabile o inderogabile), o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti, non determina il consolidamento della competenza, in capo all'ufficio giudiziario adito, anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni delineato, per il giudizio a cognizione piena, dall'art. 38 (Cass. n. 5046/2022). Le spese Il giudice delle leggi aggiudicato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, l. 8 marzo 2017, n. 24, censurato per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto, nel disciplinare il regime delle spese processuali relative all'accertamento tecnico preventivo, stabilisce che, quando ha avuto normalmente corso l'accertamento tecnico preventivo ed è giunto a conclusione con il deposito dell'elaborato peritale, il giudice non può provvedere sulle spese. La disposizione censurata è giustificata in quanto nel procedimento ex art. 8 della legge n. 24 del 2017 non è prevista alcuna verifica, da parte del giudice, in ordine all'accordo delle parti sull'esito dell'accertamento peritale, cosicché, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice non avrebbe un criterio per regolare le spese della consulenza tecnica preventiva. Il differimento della regolamentazione delle spese processuali, comprensive delle spese della consulenza tecnica, all'esito del giudizio di merito avente ad oggetto la pretesa risarcitoria è pertanto giustificato e non crea un ostacolo, eccessivo e rigido, che – in ragione delle condizioni economiche del ricorrente, in ipotesi precarie, ma non tali da consentire l'accesso al patrocinio a spese dello Stato – possa pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale. Inoltre, la disposizione censurata non determina una disparità rispetto al diritto di accesso al giudice a seconda delle condizioni economiche delle parti, poiché la disciplina in materia di patrocinio dello Stato ha anch'essa natura processuale di talché nella conformazione della stessa il legislatore gode di ampia discrezionalità ed il correlato limite della non manifesta arbitrarietà della regolamentazione non è superato in un assetto nel quale la regolamentazione delle spese della consulenza tecnica come spese processuali è differita all'esito del giudizio di merito avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria sulla base della soccombenza (Corte cost. n. 87/2021). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per le fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Rinvii Nel presente capitolo si è esaminata la disciplina della condizione di procedibilità costituita dalla consulenza tecnica conciliativa, espletata secondo il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., sicché non vi sono ulteriori considerazioni da svolgere sulle azioni processuali, riservate alla trattazione dei profili sostanziale. 4. ConclusioniLa legge Gelli-Bianco prevede per le controversie risarcitorie in materia di responsabilità medica un ulteriore condizione di procedibilità alternativa alla mediazione obbligatoria, già in precedenza contemplata dall'ordinamento. Ove il paziente danneggiato introduca il giudizio di merito senza aver dato corso ad alcuna condizione di procedibilità, ovvero avendo intrapreso il procedimento di consulenza conciliativa senza averlo completato, il giudice assegna un termine per la formulazione dell'istanza ex art. 696-bis c.p.c. ovvero per il suo completamento. |