La consulenza tecnica


1. Bussole di inquadramento

Il rilievo che la consulenza tecnica ha in ambito di responsabilità medica non ha neppure bisogno di essere sottolineato, il che è testimoniato dalla stessa previsione introdotta dalla legge Gelli-Bianco, la quale prevede la pena di improcedibilità un procedimento volto alla soluzione conciliativa della controversia proprio sulla base di un'indagine tecnica.

Con particolare riguardo alla responsabilità medica, poi, occorre rammentare che la consulenza tecnica d'ufficio ha perlopiù natura percipiente, e, cioè, verte su elementi pur già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico è in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. n. 13736/2020). Perlopiù, perché anche in materia di responsabilità professionale medica vi sono casi in cui la consulenza tecnica ha un valore soltanto deducente, come nel caso della consulenza tecnica effettuata, in caso di decesso del paziente, sulla sola documentazione disponibile.

La natura percipiente della consulenza tecnica d'ufficio è poi particolarmente rilevante giacché consente al giudice di discostarsi dall'accertamento effettuato in sede tecnica solo a particolari condizioni, e cioè ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni dell'ausiliare (Cass. n. 36638/2021; Cass. n. 200/2021; Cass. n. 22225/2014).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quali sono i recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di consulenza tecnica d'ufficio?

In breve, aumentano i poteri dell'ausiliare e si attenuano le preclusioni

L'atteggiarsi della consulenza tecnica d'ufficio, tradizionalmente qualificata come strumento di ausilio del giudice, e non come mezzo di prova in senso proprio, ha subito una recente rivisitazione dalle importanti ricadute applicative.

Le Sezioni Unite hanno affermato che, in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, purché non si tratti dei fatti principali, e può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che ritiene necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, sempre che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare.

Tale innovativa pronuncia determina una notevolissima dilatazione dell'azione del consulente tecnico d'ufficio, e nello stesso tempo pone numerosi problemi applicativi, sia dall'angolo visuale della giurisprudenza di merito ― che perlopiù guarda a dette decisioni con atteggiamento fortemente critico ―, sia per quanto attiene ai riflessi applicativi pratici.

L'acquisizione di documenti da parte del consulente tecnico d'ufficio

Le Sezioni Unite, in una delle pronunce rese sul tema, si sono cimentate con la esistenza di un potere del consulente tecnico d'ufficio di acquisire documentazione non prodotta nei termini, sia pure in ipotesi di consulenza tecnica d'ufficio contabile. In un altro caso, il consulente tecnico d'ufficio, nello svolgimento dell'incarico affidatogli, aveva rinvenuto un documento non presente nelle produzioni delle parti, del quale non aveva informato né l'attore, né il convenuto, che dunque ne avevano constatato l'esistenza solo dalla bozza di relazione, a fronte della quale, tuttavia, non avevano spiegato doglianze, censure o contestazioni di sorta. Conseguentemente, il consulente tecnico d'ufficio aveva depositato la relazione definitiva nei termini assegnati dal Tribunale. All'udienza fissata per la verifica del deposito della consulenza tecnica d'ufficio, il difensore degli attori aveva eccepito la tardiva introduzione del documento, senza il consenso dei medesimi, aveva addirittura chiesto la ricusazione del CTU. Il Tribunale prima e la Corte d'appello poi avevano disatteso l'eccezione di tardività dell'acquisizione del menzionato documento.

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 3086/2022; Cass. S.U., n. 650/2022) ha fissato i seguenti principi:

– in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d'ufficio;

– in materia di consulenza tecnica d'ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio;

– in materia di esame contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni;

– in materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso;

– in materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

Inapplicabilità delle preclusioni istruttorie

In entrambi i casi le Sezioni Unite disattendono la soluzione indicata da Cass. n. 31886/2019, che aveva ritenuto applicabile alle attività del consulente tecnico in ordine all'acquisizione di documentazione il regime preclusivo previsto per le parti, in buona sostanza sulla elementare ed obbiettivamente insuperabile constatazione che, se una determinata cosa non la possono fare le parti, e non la può fare nemmeno il giudice, quale far entrare nel processo un documento dopo lo spirare dei termini al riguardo previsti, salvo il caso della rimessione in termini, la stessa determinata cosa la può meno ancora fare il consulente tecnico, che è uno strumento di lavoro del giudice, l'«occhiale del giudice», secondo la nota definizione.

Difatti, mentre la valutazione tecnica dei fatti che il consulente tecnico ha esaminato è sempre utilizzabile dal giudice, i fatti di cui è menzione nella consulenza tecnica possono costituire prove soltanto se regolarmente acquisiti secondo gli ordinari strumenti processuali. Come è stato detto, «la consulenza tecnica costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti... non un mezzo di soccorso volto a sopperire l'inerzia delle parti stesse» (Cass. n. 132/1996). Entrambe le pronunce, servendosi di un frasario immaginifico, indicano la consulenza tecnica di ufficio quale mezzo mediante il quale il giudice di merito esce dalla «dalla torre di cristallo nella quale lo pongono l'operare congiunto del principio dispositivo e delle preclusioni istruttorie e riesce a rompere il diaframma tra gli atti di causa e la realtà materiale che egli può di regola conoscere solo per il tramite dell'attività delle parti».

Le criticità del nuovo indirizzo

Si manifesta qui, un andamento pendolare, ed in definitiva una profonda confusione negli orientamenti, della giurisprudenza di legittimità, che, con riguardo agli aspetti medico-legali in particolare, inclina talora ad un rigido controllo delle attività del consulente tecnico di ufficio, prendendo posizione su questioni di natura tecnica, come nel caso del danno differenziale, ovvero della scelta dello specifico baréme da applicare nella valutazione del danno (Cass. n. 11724/2021), mentre talaltra sembra voler conferire al consulente tecnico d'ufficio una sorta di delega, assegnandogli un potere alquanto indiscriminato di andare a caccia di fatti non allegati: senza che possa attribuirsi grande rilievo la distinzione tra fatti principali e fatti secondari, giacché ciò che davvero possiede importanza è che quei fatti finiscono per spostare la vittoria dal campo dell'uno a quello dell'altro dei contendenti. Né il lettore, che in percentuale prossima alla totalità è un avvocato, può pensare che un simile orientamento, che si ascrive il merito dell'antiformalismo, sia favorevole al ceto forense: non è così, è agevole pensare al caso in cui l'avvocato che sta leggendo avrebbe vinto la causa, se il consulente tecnico non avesse pescato nel sacco un documento che nessuno aveva invocato e che in fin dei conti dà torto al suo cliente.

Un orientamento volto a valorizzare l'intervento del giudice sul consulente tecnico d'ufficio, e dunque ad evidenziare come quest'ultimo non possa che collocarsi rispetto al primo in una posizione ancillare, contrariamente a quanto in definitiva emerge dalle pronunce delle Sezioni Unite, secondo le quali il consulente tecnico d'ufficio per ciò che il giudice non vede, si ravvisa proprio nella disciplina introdotta dalla legge Gelli-Bianco. Le previsioni dettate da quest'ultima in tema di conciliazione, il cui verbale deve contenere le intese intervenute tra le parti, tra cui l'entità del risarcimento concordato, ossia un aspetto che richiede conoscenza e familiarità con aspetti che non fanno parte del bagaglio di conoscenza del medico legale, stanno a testimoniare, sebbene non ce ne fosse bisogno, che è il giudice che indica la strada al medico-legale, entro la quale questi deve muoversi, senza giammai esorbitare dal percorso prefissato, e non certo il contrario.

A seguire le Sezioni Unite, diviene elevatissimo il rischio che la consulenza tecnica d'ufficio si trasformi in un mezzo inquisitorio di ricerca della prova, appropriato forse in campo penale quando le indagini sono commesse non dal giudice ma dal pubblico ministero: una delega in bianco da parte del giudice, volta all'accertamento, come si diceva in sciatte ordinanze di conferimento dell'incarico peritale, fortunatamente molto remote nel tempo, di «quant'altro rilevante a fini di giustizia».

Che senso abbia, in questo quadro, l'impellente indicazione, altrimenti senz'altro sensata, data al giudice a non recepire acriticamente le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio (Cass. n. 8460/2020) non è agevole comprendere.

La ragione addotta dalle Sezioni Unite rispetto alla deroga ai principi generali nel caso della consulenza tecnica contabile, e cioè che la complessità delle questioni tecniche da affrontare dovrebbe consentire al consulente una più ampia libertà di indagine, può poi risultare applicabile anche all'ambito medico legale e, in particolare, alla consulenza in ambito di responsabilità professionale sanitaria. E qui è lecito paventare un ampio interventismo del consulente tecnico d'ufficio, tanto più pericoloso in un campo in cui una certa vischiosità nell'atteggiamento dell'ausiliare rispetto al collega che va a giudicare è sempre stata sotto la lente del giudice attento a verificare che la consulenza tecnica d'ufficio non divenga uno strumento inidoneo allo scopo per il quale è previsto.

Va da sé che si presenteranno casi in cui il consulente acquisirà fuori dal contraddittorio, o comunque nell'ambito di un contraddittorio dimezzato, quale è quello che coinvolge anzitutto i consulenti tecnici di parte e solo di riflesso gli avvocati difensori ed il giudice, documenti rilevanti per i fini della decisione. Né può dirsi che i problemi pratici che tali condotte porranno potranno essere superati attraverso la fragile distinzione tra fatti principali e fatti secondari.

È difatti evidente, per chi voglia stare con i piedi per terra, che ben difficilmente il consulente tecnico d'ufficio medico-legale potrà governare una simile distinzione e, dopo aver compreso in astratto cosa sono i fatti principali e cosa sono quelli secondari, riuscirà poi ad applicare la distinzione astratta al caso concreto.

In definitiva, la sostanza della decisione delle Sezioni Unite sulla consulenza tecnica d'ufficio, ripropone il sempiterno tema della «verità» alla base delle decisioni giudiziarie. Tema che qui non v'è certo modo di esaminare, ma che ha in realtà una soluzione sostenuta dall'evidenza cartesiana: l'evidente stoltezza del credere che un processo possa essere giusto quando non sia rispettoso delle disposizioni di legge che lo regolano, ma che sia giusto quando abbia attinto la verità. Giacché, se così fosse, il principio del giusto processo inscritto nella Costituzione andrebbe logicamente gettato nel secchio della spazzatura, in favore di un processo improntato piuttosto al rispetto delle Istructiones di Tomás de Torquemada, che a modo suo non era in fondo un giurista da disprezzare.

È soltanto un'illusione pensare che si possa raggiungere la verità sostanziale ― ammesso e non concesso che una verità sostanziale, nei tradizionali termini aristotelici, possa essere ancora concepita oggi ― scardinando le regole processuali e trasformandole in un optional che il consulente tecnico d'ufficio non è tenuto a rispettare. Tutto ciò al prezzo, per di più, di complicare il lavoro dei giudici di merito, di rendere ovviamente più lunga la durata dei processi, e in definitiva anche nell'allontanare, se si vuole, le prospettive di raggiungimento degli obiettivi del PNRR.

Si tenga presente, difatti, che, come si diceva, il problema delle acquisizioni effettuate dal consulente tecnico d'ufficio, in presenza delle eccezioni delle controparti interessate, dovrà scontare l'intervento del giudice finalizzato di volta in volta a verificare se si sia al cospetto di fatti principali o secondari, il che inserirà nel processo temi destinati a dar luogo a motivi d'appello ed in seguito a motivi di cassazione, e, così, ad appesantire il processo, cosa della quale è difficile sentire il bisogno. Per non dire delle eccezioni di nullità che verranno fatte in relazione al comportamento del consulente, con ulteriore aggravamento delle questioni processuali inserite nel processo a mo' di bomba a orologeria.

Ciò, poi, nel campo della responsabilità professionale medica, e ancor più aggravato dal fatto che la consulenza espletata nella fase di merito è stata normalmente preceduta da una consulenza effettuata a fini conciliativi: sicché, se un certo documento agli atti non v'è, sarebbe semmai da supporre che deliberatamente le parti non abbiano voluto mettere a disposizione, come è nel loro potere, del giudice.

Le contestazioni rivolte contro la consulenza tecnica

Lo scardinamento di elementari regole volte a far funzionare il processo civile presto e bene, con riguardo allo svolgimento della consulenza tecnica d'ufficio, si sono manifestate anche sulla diversa questione dello sbarramento preclusivo alla formulazione di osservazioni alla consulenza tecnica.

A tal riguardo, la SC (Cass. S.U., n. 5624/2022) si è pronunciata sul conflitto sorto tra le sezioni semplici in ordine sull'ammissibilità in comparsa conclusionale delle osservazioni in merito alla consulenza tecnica di ufficio.

A tal proposito, Cass. n. 30139/2018, aveva osservato «come l'art. 195 c.p.c. ... abbia introdotto una sorta di sub procedimento nella fase conclusiva della consulenza tecnica d'ufficio, regolando, attraverso scansioni temporali rimesse alla concreta determinazione del giudice, i compiti del c.t.u. e le facoltà difensive delle parti nel momento del deposito della relazione scritta. La novella ha perseguito l'obiettivo di garantire la piena esplicazione di un contraddittorio tecnico e, quindi, del diritto di difesa delle parti anche nella fase dell'elaborazione dei risultati dell'indagine peritale. La dialettica tra l'ausiliario officioso e gli esperti di fiducia delle parti si realizza così in maniera anticipata rispetto alla sottoposizione degli esiti peritali al giudice, consentendogli di esercitare un effettivo esercizio della funzione di peritus peritorum e di conoscere già all'udienza successiva al deposito della relazione i rilievi delle parti, nonché le repliche e controdeduzioni del consulente d'ufficio, con conseguente accelerazione dei tempi del processo».

Sul tema si è manifestato un primo orientamento, largamente maggioritario, secondo cui le contestazioni alla relazione di consulenza tecnica d'ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell'art. 157 c.p.c., così da dover essere dedotte a pena di decadenza nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. n. 20829/2018; Cass. n. 29099/2017; Cass. n. 19427/2017; Cass. n. 4448/2014; Cass. n. 24996/2010; Cass. n. 12231/2002). Ed infatti, come è stato osservato, eventuali critiche alla c.t.u. introduttive di nuovi elementi di indagine medico-legale su situazioni già ritenute esistenti all'epoca della stessa, devono essere fatte oggetto di osservazione nell'ambito della stessa, in modo da consentire agli ausiliari del giudice di prendere posizione sul punto alla luce delle conoscenze medico-legali loro proprie, non potendo essere, invece, introdotte per la prima volta quando ormai il contraddittorio tecnico si è già esaurito.

Secondo un diverso orientamento, visto che il giudice può rimettere la causa in istruttoria, bisogna ammettere che gli interessati, con la comparsa conclusionale, possano svolgere nuove ragioni di dissenso e contestazione, avverso le valutazioni e conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che non amplino l'ambito oggettivo della controversia (Cass. n. 2809/2000), tanto più che la valutazione delle ragioni che giustificano la rinnovazione della consulenza è rimessa al giudice (Cass. n. 3105/2004). Di qui si è tratta la conclusione che le contestazioni riguardanti il contenuto della consulenza, costituendo mere argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico-giuridico, sono sottratte al regime delle preclusioni, sicché non vi è alcuna violazione del contraddittorio laddove tali argomentazioni siano contenute nella comparsa conclusionale, proprio perché la controparte ha la possibilità di rispondere con la memoria di replica (Cass. n. 15418/2016; Cass. n. 20829/2018; Cass. n. 2516/2019).

Le Sezioni Unite, nel richiamare una pronuncia secondo cui: «La consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all'art. 345 c.p.c., è ammissibile anche in appello» (Cass. n. 13902/2013) hanno ribadito il principio espresso con Cass. S.U., n. 3086/2022, ossia la assoggettabilità delle censure sul procedimento al regime delle preclusioni exarticolo 157 c.p.c., in quanto nullità relative, e come tali da sollevare nella prima difesa utile, a pena di inammissibilità.

Dopodiché è stata richiamata la distinzione tra i vizi procedimentali, e quelli contenutistici, questi ultimi riferibili «a questioni scientifiche e/o comunque valutative e, quindi, connessi al tema della ricerca di una giusta soluzione della controversia». Ne è stata desunta l'applicabilità dell'art. 157 c.p.c. alle sole nullità processuali e procedimentali distinte dalle questioni attinenti al merito delle indagini ed alle conclusioni dell'ausiliare.

Di qui la affermazione dei seguenti principi di diritto:

– le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d'ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del Giudice in relazione a tale mezzo istruttorio;

– in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il secondo termine previsto dell'art. 195 c.p.c., u.c., così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, ovvero l'analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell'ausiliare; pertanto la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello;

– qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d'ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all'uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. e, in applicazione dell'art. 92 c.p.c., comma 1, u.p., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per le fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Rinvii

Nel presente capitolo si è esaminata la disciplina della consulenza tecnica d'ufficio in relazione a recenti interventi delle sezioni unite della corte di cassazione di grande importanza, sicché non vi sono ulteriori considerazioni da svolgere sulle azioni processuali, riservate alla trattazione dei profili sostanziale.

4. Conclusioni

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono di recente intervenute sul tema della consulenza tecnica d'ufficio con decisioni di particolare rilievo anche sistematico, quantunque senz'altro perniciose per il funzionamento lineare, rapido ed efficiente nel giudizio civile. Nella prima si dice che il consulente tecnico d'ufficio ha il potere di acquisire documenti e di introdurre fatti che nelle parti né il giudice hanno il potere di acquisire ed introdurre, sia pur limitatamente a fatti secondari. Nella seconda si dice che le contestazioni di merito rivolte contro la consulenza tecnica si possano fare anche nella comparsa conclusionale, sicché non è dato capire a che scopo si debba in precedenza perdere tempo e denaro nel subprocedimento di consulenza tecnica che si svolge in contraddittorio tra il consulente d'ufficio e di consulenti di parte.

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