La responsabilità della struttura sanitaria


1. Bussole di inquadramento

La responsabilità medica come responsabilità contrattuale

Al generico ambito della «responsabilità medica» — facendo riferimento qui alla sola responsabilità civile — occorre ricondurre non soltanto la responsabilità in senso stretto del medico e quella del personale paramedico o ausiliario, su cui si tornerà più avanti, ma anche la responsabilità della struttura sanitaria, pubblica o privata, in cui il medico sovente opera.

Sotto la rubrica: «Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, l'art. 7 della l. 8 marzo 2017, n. 24, nota come legge Gelli-Bianco, stabilisce, al comma 1, che: «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose».

La responsabilità delle strutture ospedaliere, nel senso più ampio, nei confronti dei pazienti ha dunque natura contrattuale e può conseguire, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni gravanti su di essa (Cass. n. 13953/2007; Cass. n. 18610/2015).

Il riparto degli oneri probatori

La distribuzione dell'onere della prova, in tema di responsabilità della struttura sanitaria, si atteggia come segue.

Il paziente che si assume danneggiato deve:

— provare l'esistenza del contratto (o se del caso, nei termini che si vedranno, del contatto sociale), per il che è sufficiente la dimostrazione dell'esecuzione della prestazione all'interno della struttura sanitaria;

— allegare l'inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, ed in altri termini descrivere l'azione od omissione (ascrivibile direttamente alla struttura ovvero al personale operante) tali da cagionare il danno lamentato.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come si giunge all'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria in ambito contrattuale?

Orientamento consolidato

La previsione recepita dal citato art. 7, comma 1, si fonda sulla sedimentata giurisprudenza della S.C., secondo la quale costituisce pacifico principio che il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata, o ente ospedaliero, ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi nei confronti del paziente, ed entro limiti che si vedranno di terzi, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo — che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente —, insorgono a carico della casa di cura, o dell'ente ospedaliero, accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze od emergenze.

Non ha dunque rilievo la circostanza che la struttura sanitaria abbia natura privata o pubblica.

La responsabilità dell'ente ospedaliero deve essere in ogni caso inquadrata nella responsabilità contrattuale perché l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero, o anche di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 24801/2013). È insomma l'ingresso del paziente nella struttura sanitaria per sottoporsi a diagnosi e cure a determinare, esso stesso, la conclusione di un contratto tra il nosocomio ed il paziente, contratto atipico e a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) e sottoposto alle regole ordinarie sull'inadempimento.

Tale percorso interpretativo, ha trovato conferma in più decisioni della S.C., le quali valorizzano la complessità e atipicità del legame che si instaura tra struttura sanitaria e paziente, che, al di là della fornitura di prestazioni alberghiere, comprende anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore — «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di ... risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria ... è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente capo ... l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale» — rende manifesto che il previo accesso al procedimento di mediazione riguarda qualunque causa di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio dell'attività medica, indipendentemente dalla circostanza che la domanda venga proposta nei confronti del medico, o di altro personale sanitario, o della struttura sanitaria, ed altresì indipendentemente dalla natura del pregiudizio lamentato, sia che esso concerna l'integrità psicofisica del paziente, sia che abbia ad oggetto il suo diritto di autodeterminazione nelle scelte attinenti alla sfera sanitaria, come accade nell'ipotesi di intervento operato in mancanza del necessario consenso informato. Si rammenta che il tema della mediazione, applicato alla responsabilità professionale medica, è stato ulteriormente approfondito nel caso «La mediazione» (Parte X – Aspetti processuali).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. L'art. 8 l. 8 marzo 2017, n. 24, stabilisce che: «Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente», soggiungendo che: «La presentazione del ricorso di cui al comma 1 costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento». Dopo di che la norma fa «salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28», cui si è poc'anzi fatto cenno. In questo caso la disposizione sembra avere una portata più ampia di quella dettata dalla legge sulla mediazione, giacché, mentre quest'ultima si riferisce alle domande risarcitorie, l'art. 8 della legge Gelli-Bianco non contempla tale limitazione, il che induce a ritenere che la norma abbia ad oggetto anche eventuali domande di mero accertamento. Rimane in ogni caso rimesso alla scelta in capo all'attore se avvalersi dell'una o dell'altra procedura conciliativa.

L'art. 669-bis c.p.c., cui rinvia la legge Gelli-Bianco, disciplina un accertamento tecnico preventivo che prevede l'obbligo, per il consulente tecnico, di effettuare un tentativo di conciliazione sulla base di quanto accertato in sede di indagine tecnica. L'art. 8 della citata legge stabilisce l'obbligatorietà della partecipazione al procedimento di accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 696-bis c.p.c. anche a carico dell'assicurazione, che è soggetta ad un obbligo di formulazione di una proposta risarcitoria. La mancata partecipazione al tentativo di conciliazione comporta la condanna al pagamento delle spese di lite oltre ad una sanzione pecuniaria in favore della parte che abbia partecipato al tentativo di conciliazione. Il procedimento si avvia con ricorso innanzi al giudice competente per il giudizio di merito. È previsto un termine massimo di sei mesi decorrenti dal deposito del ricorso per la conclusione del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. Se le parti si conciliano, se ne forma processo verbale dotato di efficacia di titolo esecutivo.

Il ricorso per accertamento tecnico preventivo ai fini della conciliazione della lite deve contenere gli elementi previsti dall'art. 125 c.p.c., che menziona l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza. Non è tuttavia indispensabile indicare l'oggetto della futura domanda di merito, dal momento che il procedimento non riveste natura cautelare anticipatoria, ma appunto conciliativa.

Quando la domanda giudiziale sia stata proposta senza farla precedere dalla consulenza tecnica preventiva o dalla mediazione obbligatoria, il giudice, su eccezione del convenuto o a seguito di rilievo d'ufficio non oltre la prima udienza, dispone che si dia ingresso, o se del caso si prosegua, il procedimento di consulenza conciliativa.

Si rammenta infine che il tema della consulenza conciliativa prevista dalla legge Gelli-Bianco è approfondito nel caso «La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi » (Parte X- Aspetti processuali).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. L'efficacia della conciliazione raggiunta in sede di mediazione è sostanzialmente sovrapponibile a quella dell'accordo raggiunto sulla base della consulenza tecnica preventiva: entrambi gli accordi sono riconducibili sul terreno negoziale alla disciplina dell'art. 1372 c.c., e su quello esecutivo alla previsione dell'art. 474, comma 2, n. 1, e comma 3, c.p.c.

Non mancano però rilevanti diversità tra i due istituti, relative non solo alla non sovrapponibilità dell'attività svolta dal mediatore e dal consulente tecnico, ma soprattutto al rilievo istruttorio che detta attività assume, dal momento che la relazione tecnica redatta dal consulente nominato dal giudice va fisiologicamente a far parte del corredo istruttorio della causa di merito, mentre le risultanze dell'attività svolta nel procedimento di mediazione può al più costituire prova atipica rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Trib. Roma 17 marzo 2014). In tale prospettiva non sembra possano negarsi i vantaggi del procedimento di consulenza tecnica preventiva volta alla composizione della lite, rispetto alla mediazione, che ha invece il suo punto forte nella garanzia di riservatezza, oltreché nell'approccio compositivo che è proprio dell'attività di mediazione.

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. In generale, la competenza territoriale si individua alla luce delle previsioni dettate dagli artt. 18-20 c.p.c.: foro del convenuto, forum contractus e forum destinatae solutionis, con l'avvertenza che forum contractus (per l'azione contrattuale contro la struttura) e forum commissi delicti (per l'eventuale azione extracontrattuale contro il medico) si radicano nel luogo in cui si è svolta l'attività sanitaria, che normalmente è quello in cui sorge, perlopiù per facta concludentia, il contratto. Il forum destinatae solutionis di cui alla seconda parte dell'art. 20 c.p.c., trattandosi di obbligazione risarcitoria per sua natura illiquida, coincide con il foro del convenuto di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c.

Sorge però immediato il quesito se l'attore nel giudizio volto al risarcimento del danno da responsabilità medica possa avvalersi del foro del consumatore ai sensi dell'art. 66-bis del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), secondo cui la competenza spetta al giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato. In proposito occorre distinguere tra strutture sanitarie pubbliche ovvero operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale e strutture invece private. Nel primo caso, quello delle strutture pubbliche o convenzionate, il foro del consumatore non opera, sia perché, pur essendo l'organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l'assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicché se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la ratio sottesa all'individuazione del foro del consumatore, sia perché la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come imprenditore o professionista. La disciplina di cui al Codice del consumo è dunque inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate (Cass. n. 18536/2016; Cass. n. 8093/2009; Cass. n. 16767/2021). La possibilità di attrarre alla competenza del foro del consumatore le prestazioni rese in ambito sanitario nel contesto del servizio pubblico o convenzionato deve ritenersi limitata ai soli casi in cui tra l'utente e la struttura sanitaria sia intercorso un vero e proprio contratto avente ad oggetto una prestazione esulante dalle dall'ambito di operatività del servizio sanitario nazionale, con addebito all'utente dei costi, non già delle sole prestazioni accessorie di supporto alberghiero, bensì delle procedure sanitarie e delle prestazioni rese dagli altri medici della struttura, atteso che, solo in tale specifico caso la struttura sanitaria si pone nei confronti dell'utente come professionista (Cass. n. 22133/2001; Cass. n. 27391/2014).

Perciò, riassumendo, chi intende agire nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche o convenzionate deve proporre la domanda dinanzi al giudice del luogo in cui le stesse hanno la loro sede, che è in pari tempo foro del convenuto, foro in cui è sorto il contratto e foro di adempimento dell'obbligazione fatta valere in giudizio.

Viceversa, se si intende convenire in giudizio una struttura privata non convenzionata, è ben possibile avvalersi del foro del consumatore, sicché il paziente può adire il tribunale del proprio luogo di residenza (Cass. n. 22133/2016).

Qualora il danneggiato si avvalga della facoltà di cumulare le azioni contro la struttura sanitaria, il medico e le eventuali compagnie assicuratrici, nell'ipotesi marginale di applicazione del foro esclusivo consumatore, questo attrarrà tutte le domande; nell'ipotesi in cui non trovi invece l'applicazione del foro del consumatore, potrà farsi applicazione dell'art. 33 c.p.c. in tema di litisconsorzio passivo, convenendo tutte le parti dinanzi al foro di residenza, domicilio o sede di uno dei convenuti, ivi inclusa la compagnia assicuratrice, in base ai criteri generali di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c.

Si rammenta che alla competenza territoriale nel campo della responsabilità medica è dedicato il caso «La competenza territoriale nelle domande risarcitorie» (Parte X- Aspetti processuali).

Competenza per valore

La competenza per valore si determina per il giudice di pace in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.: perciò sono devolute alla competenza del giudice di pace tutte le domande di risarcimento dei danni che l'attore quantifichi in misura contenuta nei limiti della sua competenza per valore. Quando invece tale soglia sia superata o l'attore non quantifichi il credito azionato, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti, la competenza apparterrà al tribunale.

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, previsto dagli artt. artt. 281-decies ss., introdotti dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. L'esperimento del procedimento di mediazione non è dunque idoneo a sottrarre dette cause dall'ambito di applicabilità del procedimento ordinario di cognizione: il giudizio di merito potrà perciò essere introdotto, senza limiti temporali, nelle forme di cui agli artt. 163 ss. c.p.c.. Viceversa, se il danneggiato sceglie la strada della consulenza tecnica preventiva diretta alla composizione della lite, l'eventuale successivo giudizio risarcitorio deve essere necessariamente introdotto nelle forme del rito semplificato di cognizione. Difatti, l'art. 8, comma 3, della legge Gelli-Bianco stabilisce che: «Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 281-undecies del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; e procede con le forme del rito semplificato di cognizione a norma degli articoli 281-decies e seguenti». È in proposito da credere che detto ultimo rinvio, attesa l'abrogazione del procedimento sommario di cognizione e la sua sostituzione con il sovrapponibile procedimento semplificato di cognizione, debba oggi essere riferito a quest'ultimo.

Il giudice è dunque il medesimo che ha trattato il procedimento di consulenza tecnica preventiva, che deve fissare l'udienza di comparizione delle parti. La proposizione della domanda giudiziale deve avvenire entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi stabilito per la durata del procedimento. Solo in tal caso, secondo l'art. 8, citato, rimangono salvi gli effetti della domanda, e così anzitutto l'interruzione della prescrizione. Se l'instaurazione del giudizio di merito ha luogo in maniera errata, e cioè con citazione anziché con ricorso, gli effetti detti si producono con il deposito della citazione notificata, sempre che questo abbia luogo entro il termine previsto.

Una volta instaurato il processo, «ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito» (art. 696-bis, comma 5, c.p.c.). Resta da dire che la previsione del rito semplificato di cognizione, ove il paziente abbia optato per la consulenza tecnica preventiva, non esclude l'applicazione del complesso delle regole che disciplinano tale rito: il che vuol dire, in altre parole, che nulla esclude la trasformazione del rito semplificato di cognizione in rito ordinario qualora il giudice lo ritenga ai sensi dell'art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c. Orientativamente, può dunque ritenersi che il giudice proceda con rito semplificato in caso di acquisizione della consulenza tecnica preventiva, ove non ritenga necessari ulteriori accertamenti, mentre disponga la trasformazione del rito in caso di mancata acquisizione della consulenza tecnica o di ritenuta insufficienza di essa. Non può mancarsi di svolgere una finale osservazione sull'alternativa tra i due riti: e cioè che la citata riforma del 2022 sembra aver determinato un ingessamento del procedimento di cognizione ordinaria, con il susseguirsi di termini di decadenza, una volta previsti dall'art. 183 c.p.c., collocati addirittura prima della prima udienza: parrebbe insomma che il più duttile procedimento semplificato di cognizione presenti minori incognite di quello che una volta era il procedimento in cui naturalmente andava ad incanalarsi qualunque ordinaria controversia civile.

Si rammenta che la questione dell'alternativa tra i riti è approfondita nel caso «Il ricorso introduttivo» (Parte X - Aspetti processuali).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente, di cui si dirà a suo tempo), può agire in via risarcitoria:

— nei confronti della struttura sanitaria che, «nell'adempimento della propria obbligazione», si sia avvalsa «dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa», la quale «risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose» (art. 7, comma 1, legge Gelli-Bianco); ciò anche in caso di «prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina» (art. 7, comma 2, legge Gelli-Bianco);

— nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2», il quale, se operante all'interno di una struttura, o in situazione equiparata, quello che in seguito chiameremo «medico strutturato», utilizzando una diffusa espressione, «risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 del codice civile» (art. 7, comma 3, legge Gelli-Bianco);

— nei confronti dello stesso esercente nell'ipotesi in cui «abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente» (art. 7, comma 3, legge Gelli-Bianco);

— nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente, «entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione» (art. 12, comma 1, legge Gelli-Bianco).

Nel giudizio così introdotto possono innestarsi:

— il giudizio di rivalsa dell'impresa di assicurazione contro l'esercente la professione sanitaria in caso di dolo o colpa grave (art. 9, comma 1, legge Gelli-Bianco);

— il giudizio di responsabilità amministrativa, per dolo o colpa grave, nei confronti dell'esercente la professione sanitaria, da parte del pubblico ministero presso la Corte dei conti in caso di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica (art. 9, comma 5, legge Gelli-Bianco);

— il giudizio di regresso promosso dal Fondo di garanzia nei confronti del responsabile (art. 14, legge Gelli-Bianco).

Contenuto dell'atto introduttivo

L'assetto della responsabilità medica dopo la legge Gelli-Bianco, la quale stabilisce che la struttura sanitaria pubblica o privata, ove convenzionata, risponde a titolo di responsabilità contrattuale, mentre il medico strutturato risponde per responsabilità aquiliana, è volta a rendere preferibile per il danneggiato intraprendere l'azione risarcitoria nei confronti della sola struttura. In questa prospettiva la collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona normalmente per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. A tale ultimo riguardo parte della giurisprudenza di merito ha affermato essere necessaria una precisa e dettagliata indicazione nell'atto introduttivo degli aspetti in cui si concreti la colpa medica posta a fondamento della pretesa risarcitoria. Emblematica in tal senso è una decisione che ha respinto la domanda per il fatto che gli attori non avevano assolto al proprio onere di allegazione, non avendo individuato una condotta alternativa lecita che, se tenuta, avrebbe avuto serie possibilità di scongiurare l'evento dannoso (Trib. Frosinone 16 marzo 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 89). Egualmente è stato considerato non assolto l'onere di allegazione da parte dell'attore, poiché quest'ultimo non aveva indicato «il comportamento specifico che i sanitari avrebbero posto in essere in violazione delle regole di diligenza, prudenza e perizia» (Trib. Santa Maria Capua Vetere 24 febbraio 2012). La giurisprudenza della S.C. ritiene però che l'onere di allegazione gravante sul paziente non richieda di individuare specificamente gli aspetti tecnici in cui la responsabilità professionale si concreta, essendo sufficiente la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie di un non-professionista che, espletando la professione di avvocato, conosca comunque (o debba conoscere) l'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (Cass. n. 9471/2004). Questo è un aspetto fondamentale nella redazione dell'atto introduttivo della domanda di risarcimento del danno da responsabilità medica: la S.C., cioè, richiede per questa via non già la deduzione del puro e semplice inadempimento, inteso come peggioramento delle condizioni di salute, o anche come inalterazione delle medesime, ma la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (p. es. Cass. n. 20547/2014). Insomma, l'inadempimento che occorre dedurre non va rapportato al risultato delle cure che si assume non raggiunto, ma alla condotta del sanitario che ha in tesi cagionato il danno. Si tenga presente che l'esigenza di deduzione di un «inadempimento qualificato» trova applicazione anche al di fuori della domanda introdotta nei confronti della struttura sanitaria e va commisurata alle peculiarità del caso concreto e dell'obbligazione gravante sul sanitario: così, a titolo di esempio, se si lamentano i danni cagionati da un intervento chirurgico a causa di fattori riconducibili sia all'operato del chirurgo che dell'anestesista, occorre che venga individuato, nei limiti in cui la giurisprudenza della S.C. lo richiede, sia l'inadempimento dell'uno che dell'altro professionista.

Infine, occorre richiamare gli oneri connessi all'individuazione del quantum debeatur, per il che si rinvia al caso «La specificazione delle voci di danno» (Parte X - Aspetti processuali).

4. Conclusioni

La responsabilità della struttura sanitaria, pubblica o privata, ha natura contrattuale, il che comporta l'applicazione delle regole relative nel loro complesso, prima tra tutte quella concernente il riparto degli oneri probatori, che gravano sul paziente limitatamente alla dimostrazione dell'esistenza del contratto, dovendo egli limitarsi per il resto a dedurre l'inadempimento. Contro la struttura sanitaria il danneggiato, previo esperimento di una delle due procedure conciliative previste, la mediazione o la consulenza tecnica preventiva diretta alla composizione della lite, può agire per il risarcimento dinanzi al giudice competente per valore, che sarà normalmente il tribunale, e per territorio, in applicazione delle regole di cui agli artt. 18-20 c.p.c. La domanda può essere simultaneamente proposta presso lo stesso giudice nei confronti della struttura sanitaria, del medico, o del diverso personale sanitario, e dell'assicuratore.

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