Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato1. Bussole di inquadramentoLa responsabilità medica come responsabilità contrattuale Al generico ambito della «responsabilità medica» — facendo riferimento qui alla sola responsabilità civile — occorre ricondurre non soltanto la responsabilità in senso stretto del medico, e quella del personale paramedico o ausiliario, ma anche la responsabilità della struttura sanitaria, pubblica o privata, in cui il medico sovente opera. Sotto la rubrica: «Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, l'art. 7 della l. 8 marzo 2017, n. 24, nota come legge Gelli-Bianco, stabilisce, al comma 1, che: «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose». La responsabilità delle strutture ospedaliere, nel senso più ampio, nei confronti dei pazienti ha dunque natura contrattuale e può conseguire, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni gravanti su di essa (Cass. n. 13953/2007; Cass. n. 18610/2015). Il riparto degli oneri probatori La distribuzione dell'onere della prova, in tema di responsabilità della struttura sanitaria, si atteggia come segue. Il paziente che si assume danneggiato deve: - provare l'esistenza del contratto (o se del caso, nei termini che si vedranno, del contatto sociale), per il che è sufficiente la dimostrazione dell'esecuzione della prestazione all'interno della struttura sanitaria; - allegare l'inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, ed in altri termini descrivere l'azione od omissione (ascrivibile direttamente alla struttura ovvero al personale operante) tali da cagionare il danno lamentato). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Come si ripartisce l'onere della prova in materia di responsabilità medica?
L'evoluzione degli orientamenti La giurisprudenza sul riparto degli oneri probatori di cui or ora si è schematicamente dato conto si è modificata nel corso del tempo, anche in conseguenza dell'evoluzione del dato normativo, a seguito della promulgazione della legge Gelli-Bianco. In generale, il riparto discende dall'inquadramento della responsabilità medica quale responsabilità contrattuale. Bisogna tuttavia tener presente che l'assetto degli oneri probatori si modifica a seconda che sia convenuta in giudizio la struttura sanitaria, od un medico con cui il paziente abbia instaurato un diretto rapporto contrattuale oppure che sia convenuto in giudizio il medico operante nella struttura sanitaria. Quanto a quest'ultimo caso occorre rinviare al caso dedicato a: «La responsabilità del medico»: il medico operante nella struttura sanitaria risponde a titolo di responsabilità aquiliana, sicché grava in questo caso sull'attore la prova della colpa. Per il resto si deve rammentare che la S.C. ha in passato affermato che, se l'intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell'aggravamento della sua situazione morbosa o l'insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando all'obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente, e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (v. Cass. n. 6141/1978; Cass. n. 6220/1998; Cass. n. 3492/2002). Tale orientamento è stato poi riesaminato alla luce del principio enunciato in termini generali dalla S.C. in tema di onere della prova dell'inadempimento (Cass. S.U. , n. 13533/2001). Le Sezioni Unite hanno affermato che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è al debitore convenuto che incombe di dare la prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Analogo principio è stato posto con riguardo all'inesatto adempimento. Al creditore è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando sul debitore l'onere di dimostrare di avere esattamente adempiuto. Applicando tale principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico si è affermato che il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore (medico e/o struttura sanitaria) l'onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta (per il riferimento all'evento imprevisto ed imprevedibile v. p. es. Cass. n. 12362/2006; Cass. n. 22894/2005). Questo principio non muta qualora si versi in caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. L'art. 2236 c.c., secondo la S.C., non vale come criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma solo ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario (v. Cass. n. 10297/2004; Cass. n. 11488/2004). Sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, insomma, non rileva la distinzione tra interventi «facili» e «difficili», in quanto l'allocazione del rischio non può essere rimessa alla maggiore o minore difficoltà della prestazione. Perciò, in ogni caso di «insuccesso» incombe alla struttura sanitaria o al medico (o al personale sanitario in genere) dare la prova della particolare difficoltà della prestazione. In definitiva, quale che sia la difficoltà dell'intervento, provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell'attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe sul medico dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza che lo stesso ha impedito di ottenere. E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale exartt. 1218 e 2697 c.c. il medesimo rimane soccombente. Si è così consolidato l'orientamento riassunto nella massima secondo cui, in materia di responsabilità medica, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. S.U., n. 577/2008).
Domanda
Su chi incombe la prova del nesso di causalità materiale?
L'orientamento attualmente consolidato Il principio è così riassunto si è ulteriormente precisato in anni recenti con riguardo al profilo della prova del nesso di causalità. Secondo l'indirizzo formatosi sulla scia di Cass. S.U., n. 13533/2001, difatti, il paziente che domandava il risarcimento del danno da responsabilità medica doveva semplicemente provare l'esistenza del contratto e dedurre l'inadempimento, sotto specie di peggioramento (o anche di non miglioramento) delle sue condizioni di salute. Allo stato attuale, invece, si è formato ed assestato l'orientamento secondo cui, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del «più probabile che non», causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 3704/2018). E cioè, la giurisprudenza più recente, contro la quale gran parte della dottrina ha espresso opinioni severamente critiche, pone a carico del paziente danneggiato l'onere della prova anche del nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno. È stato in tal senso sostenuto (Cass. n. 28991/2019) che negare che incomba sul paziente creditore l'onere di provare l'esistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento ed il pregiudizio alla salute significherebbe espungere dalla fattispecie costitutiva del diritto l'elemento della causalità materiale. Il creditore, al contrario, è tenuto a provare, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e il danno lamentato. Solo successivamente a tanto sorgono poi gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l'adempimento o che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Se è vero, come affermato da Cass. S.U., n. 13533/2001, che è onere del debitore provare l'adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione, mentre l'inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore, è altrettanto vero, tuttavia, che il ragionamento non si attaglia al campo della responsabilità medica. Quando viene in considerazione una prestazione professionale, ove l'interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all'interesse primario del creditore, causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi, perché il danno evento consta non della lesione dell'interesse alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione, ma della lesione dell'interesse presupposto a quello contrattualmente regolato, sicché la causalità materiale non è assorbita dall'inadempimento. Così si esprime la S.C.: tradotto il tutto in italiano corrente, ciò sta a significare che il paziente non ha interesse a ricevere la prestazione del medico, ma a guarire, il che, come si diceva un tempo, riposa sulle ginocchia di Giove. L'inadempimento — prosegue ancora la sentenza — coincide con la lesione dell'interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione dell'interesse presupposto, e dunque allegare l'inadempimento non significa allegare anche il danno evento, il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall'inadempimento. Si riespande così, anche sul piano funzionale, la distinzione fra causalità ed imputazione soggettiva. Persiste, nonostante l'inadempienza, la questione pratica del nesso eziologico fra il danno evento (lesione dell'interesse primario) e la condotta materiale suscettibile di qualificazione in termini di inadempimento. Il creditore ha l'onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico e, posto che il danno evento non è immanente all'inadempimento, ha anche l'onere di provare quella connessione, e lo deve fare sul piano meramente naturalistico sia perché la qualifica di inadempienza deve essere da lui solo allegata, ma non provata (appartenendo gli oneri probatori sul punto al debitore), sia perché si tratta del solo profilo della causalità materiale, il quale è indifferente alla qualifica in termini di valore rappresentata dall'inadempimento dell'obbligazione ed attiene esclusivamente al fatto materiale che soggiace a quella qualifica (negli stessi termini, più di recente, Cass. n. 10050/2022; Cass. n. 14702/2021; Cass. n. 26907/2020). Allo stato, come si premetteva, questo indirizzo, che in buona sostanza trae spunto dalla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, di cui si parlerà più avanti, è fermo. Il rilievo delle linee guida e buone pratiche. Al rilievo delle linee guida e buone pratiche nella valutazione della imperizia da parte del medico aveva già fatto riferimento l'art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in l. 8 novembre 2012, n. 189, che però non aveva indicato quali esse fossero. Oggi l'art. 3 della legge Gelli-Bianco ha previsto l'istituzione di una struttura specificamente destinata alla relativa rilevazione. L'art. 5, comma 1, della stessa legge stabilisce inoltre che gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie, «si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida... In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali». L'art. 590-sexies, comma 2, c.p. prevede ancora che: «Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Dopo di che l'art. 7, comma 3, della legge già menzionata dispone che: «L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'art. 590-sexies c.p. ...». Il sistema delle linee guida, che pur mantengono la veste di mere raccomandazioni, sono state in tal modo istituzionalizzate, così da incidere sulla valutazione della condotta del professionista non solo ai fini penali, ma anche in funzione del risarcimento del danno. Ma è chiaro che l'osservanza di dette linee guida, che il medico deve doverosamente rispettare («si attengono»), salvo non debba discostarsene in ragione delle peculiarità del caso concreto, finisce per riflettersi anche sul riparto degli oneri probatori, ogni qual volta sia stata dedotta l'imperizia del medico. Ed infatti, introdotto il giudizio risarcitorio a titolo di responsabilità contrattuale, nel quale il paziente, ove agisca nei confronti della struttura sanitaria, deve soltanto allegare l'inadempimento, va da sé che la convenuta struttura sanitaria spetterà la dimostrazione dell'assenza di colpa, avendo il medico tenuto una condotta corrispondente alle linee guida (o alle buone pratiche) stabilite in relazione al caso concreto oppure la necessità di discostarsene completamente a causa della specificità del caso concreto: fermo restando che l'osservanza delle linee guida conduce tendenzialmente ad escludere l'imperizia, occorrendo di volta in volta a verificare quale influenza l'osservanza delle linee guida abbia prodotto sul piano della negligenza e dell'imprudenza. Per converso, ove il paziente promuova il giudizio di risarcimento a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti del medico, spetta ad esso allegare e provare gli elementi della fattispecie e, quindi, anche la condotta che il professionista stesso avrebbe dovuto correttamente tenere in base alle linee guida tipizzate o alle buone pratiche clinico-assistenziali. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processsuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria». 4. ConclusioniCon l'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco è istituzionalizzato il congegno in forza del quale grava sull'attore, il quale agisca in giudizio nei confronti della struttura sanitaria, l'onere della prova del contratto e la semplice deduzione dell'inadempimento. La giurisprudenza ha però chiarito che la prova si estende al nesso di causalità, la qual cosa sta a significare che, ove l'eziologia del danno subito dal paziente rimanga incerta, la domanda è rigettata. Se, viceversa, l'attore agisce in giudizio nei confronti del medico, trovano applicazione le regole della responsabilità extracontrattuale. Nell'uno e nell'altro caso, ai fini della verifica dell'osservanza dell'onere probatorio occorre tener conto del rilievo acquisito per effetto dell'istituzionalizzazione del sistema delle linee guida. |