Spetta al giudice riqualificare d'ufficio il rito applicabile alla controversia
20 Aprile 2023
Massima
La scelta del rito appalti di cui all'art. 120 c.p.a. applicabile alla controversia non è nella disponibilità delle parti, atteso l'interesse pubblico sotteso alla disciplina legislativa di tale rito, sicché compete al Giudice l'esercizio del potere officioso di riqualificazione del rito in caso di erronea o omessa indicazione ad opera delle parti. Il caso
Il presente giudizio aveva ad oggetto la esclusione da una gara di appalto pubblico e si era perciò correttamente celebrato in primo grado con applicazione del rito appalti di cui all'art. 120 c.p.a., nonché con pagamento, da parte della ricorrente, in primo grado, del contributo unificato nella misura prevista per tale rito.
Il ricorso in appello all'esame del Consiglio di Stato, sebbene proposto nel rispetto dei termini propri del rito ex art. 120 c.p.a., non recava tuttavia la specifica indicazione di tale rito. Segnatamente, parte appellante non aveva indicato nel modulo di deposito la corretta tipologia di atto, ossia “appello avverso sentenza nel rito ex art. 120 c.p.a.”, avendo invece indicato “appello avverso sentenza” e avendo perciò provveduto a versare il contributo unificato nella misura prevista per il rito ordinario e non nella misura maggiore prevista per il rito ex art. 120 c.p.a.
Il ricorso in appello era rimasto quindi pendente con la qualificazione di rito ordinario e messo nello stato “assegnato a sezione”, difettando l'apposita istanza di fissazione udienza sul presupposto che si trattasse di rito ordinario.
Il decreto in esame procede quindi alla riqualificazione officiosa del rito applicabile come rito ex art. 120 c.p.a. disponendo i conseguenti adempimenti ai fini della immediata calendarizzazione del giudizio e dell'integrazione del contributo unificato. La questione
La decisione in commento è chiamata a chiarire se sussista o meno il potere-dovere del giudice di disporre d'ufficio la riqualificazione del rito applicabile alla controversia, laddove parte ricorrente, all'atto del deposito, abbia errato nella indicazione dello stesso (pur avendo rispettato le formalità del rito corretto). La soluzione giuridica
Il decreto in esame fonda il potere giudiziale di riqualificazione officiosa del rito sul principio per cui la scelta del rito non è nella disponibilità delle parti, specie laddove a venire in rilievo sia il rito appalti, atteso l'interesse pubblico sotteso alla disciplina legislativa di quel rito.
Tale riqualificazione reca con sé due conseguenze di particolare rilievo:
a) il fascicolo deve passare dallo stato “assegnato a sezione” allo stato “pronto per udienza” in quanto nel rito ex art. 120 c.p.a. non occorre istanza di fissazione di udienza e il ricorso va calendarizzato d'ufficio;
b) la parte è tenuta ad integrare il versamento del contributo unificato.
Degna di nota, inoltre, è la trasmissione del decreto in commento al Segretario generale della giustizia amministrativa e al Presidente del Consiglio di Stato per le valutazioni di competenza in ordine a eventuali misure organizzative al fine della corretta qualificazione della tipologia di appello ad opera delle parti e dell'ufficio ricorsi nonché ai fini della prevenzione di condotte elusive del versamento del contributo unificato nella misura dovuta. Il provvedimento in esame muove infatti dalla considerazione che, presso la V Sezione del Consiglio di Stato, è piuttosto diffuso il caso di appelli su sentenze rese in giudizi ex art. 120 c.p.a., con erronea indicazione del rito ad opera della parte appellante, così ingenerandosi ritardi nella calendarizzazione e omissioni di versamento della corretta misura del contributo unificato. Osservazioni
La soluzione a cui perviene il decreto in commento merita di essere condivisa, dovendo necessariamente riconoscersi in capo al Giudice il potere-dovere di riqualificare d'ufficio il rito erroneamente indicato dalle parti.
Se, in effetti, non v'è dubbio che il Giudice debba sempre verificare il rispetto delle regole processuali proprio del rito corretto (ad esempio in ordine all'osservanza dei termini per impugnare), e ciò a prescindere dalla indicazione fornita dalle parti, deve analogamente ritenersi che, pure laddove non sia in discussione il rispetto delle regole strettamente processuali proprio del rito corretto, il Giudice sia comunque tenuto a correggere l'erronea indicazione nominalistica ad opera delle parti, specie laddove tale attività qualificatoria sia produttiva di conseguenze di particolare rilievo.
Laddove la legge preveda che talune controversie debbano essere obbligatoriamente trattate secondo un preciso rito (come è in materia di appalti), l'individuazione del rito non può evidentemente rientrare nella disponibilità delle parti. Ragionando diversamente, infatti, si consentirebbero condotte potenzialmente elusive del dato normativo, che impone la trattazione di talune controversie secondo specifici moduli processuali (e, come nel caso del rito ex art. 120 c.p.a., impone la rapida calendarizzazione del giudizio ed il versamento in misura maggiorata del contributo unificato).
Pare perciò opportuna la stessa sollecitazione che si rinviene nel decreto in commento tesa a favorire la predisposizione di misure organizzative che consentano ex ante di individuare la corretta qualificazione del rito applicabile alla controversia. |