Il rispetto dei limiti dimensionali dell'atto processuale rileva anche nella fase cautelare monocratica
28 Aprile 2023
Rilevato, d'ufficio, che l'appello proposto eccedeva il limite dimensionale di caratteri fissato dall'art. 3, comma 1, lettera b), del D.P.C.S. 22 dicembre 2016, nonché quello autorizzabile ai sensi dell'art. 5, comma 1, del citato D.P.C.S., il collegio ha dichiarato inammissibile l'istanza di concessione di misure cautelari monocratiche, in quanto le relative domande erano contenute nelle pagine finali dell'atto di appello, ovvero nelle porzioni eccedenti dell'atto processuale.
Il Collegio ha, infatti, ritenuto che l'articolo 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione del c.p.a., non ha demandato al giudice di poter conoscere, o meno, delle questioni ulteriori a quelle svolte nei limiti dimensionali dell'atto processuale secondo il suo soggettivo apprezzamento, in quanto quello amministrativo è un processo di parti (ossia di c.d. giurisdizione soggettiva), per cui alla “benevolenza” che fosse offerta a una parte conseguirebbe inevitabilmente un pregiudizio “ingiusto” per le controparti processuali, a seguito della violazione di una norma del codice processuale.
Del resto, i fondamentali principi di terzietà e di imparzialità del giudice inducono necessariamente a ritenere che la suindicata disposizione configuri un obbligo (negativo) del giudice, piuttosto che una sua facoltà, di non esaminare le questioni (e, dunque, di non conoscere delle domande) trattate nelle porzioni dell'atto processuale che eccedano i suoi limiti normativamente fissati: fatte salve, le facoltà “riparatorie” concesse dall'art. 7, comma 1, del cit. D.P.C.S. |