Divieto di destinazione dell'appartamento a studio medico1. Bussole di inquadramentoAspetti generali sul regolamento di condominio Il regolamento di condominio è lo strumento di regolamentazione della vita della collettività. L'art. 1138 c.c. – che, preme subito chiarire, fa esclusivo riferimento ai regolamenti di condominio assembleari – individua un elenco di materie che necessitano di essere regolamentate: l'elencazione non è però da intendersi come tassativa, ben potendo, come nella prassi accade, che i regolamenti di condominio disciplinino questioni ulteriori rispetto al contenuto minimo essenziale prescritto dal legislatore. Dunque, in base al suo contenuto, il regolamento condominiale si distingue in assembleare e contrattuale. Il contenuto del primo si rinviene nell'art. 1138 c.c. e si estrinseca nelle norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio ed alla amministrazione condominiale. Il regolamento assembleare non può in alcun modo comprimere le facoltà dei singoli condomini connesse alle proprietà esclusive o al godimento delle proprietà comuni. Nel regolamento contrattuale, invece, si rinvengono norme che comprimono le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive o che limitano (o estendono) il godimento di quelle comuni. Solitamente questo tipo di regolamento “esterno” viene predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'immobile ed accettato dai condomini al momento dell'acquisto delle singole unità. Nulla vieta, tuttavia, che regole limitative o estensive dei diritti possano essere assunte in un momento successivo, dai condomini, con l'unanimità dei consensi. Le clausole del regolamento Nell'àmbito dei regolamenti contrattuali (di origine sia esterna sia interna), occorre distinguere le clausole con contenuto tipicamente “regolamentare”, dirette a disciplinare la conservazione, l'uso ed il godimento delle parti comuni, nonché l'apprestamento e la fruizione dei servizi comuni – di regola, concernenti il contenuto c.d. necessitato del regolamento di cui al comma 1 dell'art. 1138 c.c. – e le clausole di natura “contrattuale”, che incidono sull'utilizzabilità e destinazione delle parti esclusive o che comportino restrizioni al diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni. Ad esempio, rivestono natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca). Le limitazioni del regolamento contrattuale Accade di frequente che i regolamenti c.d. contrattuali contengano, tra le altre, clausole limitative dei diritti di ciascun condomino sulla sua proprietà esclusiva, le quali sovente si traducono in limiti alla fruizione o destinazione dei locali non comuni a specifiche attività che possano arrecare disturbo alla vita del condominio. Sull'efficacia di simili clausole si è, a più riprese, pronunciata la giurisprudenza di legittimità, affermando in maniera costante che qualunque divieto o limite all'uso di parti di proprietà esclusiva deve risultare da espressioni chiare e incontrovertibili idonee ad attestare il chiaro intento delle parti rispetto a tali limitazioni del diritto. Di solito, i divieti ed i limiti di destinazione delle proprietà individuali sono formulati nei regolamenti condominiali sia mediante elencazione delle attività vietate – pensione, locanda, discoteca, cinema, sala da ballo, scuola di canto o di musica, studio medico, postribolo, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, uffici aperti al pubblico, ecc. – sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare – turbamento della quiete, dell'amenità e della tranquillità dei condomini, contrarietà all'igiene, alla signorilità ed al decoro dell'edificio, ecc. – non escludendo che si possa anche imporre specifiche destinazioni – attività industriali o commerciali, vendita al minuto o all'ingrosso, ecc. – stabilendo quindi degli obblighi di fare. È sufficiente, per stabilire se una data destinazione sia vietata o limitata, verificare se la stessa destinazione sia inclusa o meno nell'elenco tassativo, ritenendosi che, già in sede di redazione del regolamento, siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi, sicché la semplice indicazione nello stesso di una data destinazione delle unità immobiliari non può precluderne altre diverse. A seguito della trascrizione del regolamento contrattuale, inserito o allegato al contratto di compravendita, si attua la funzione di rendere conoscibile ai terzi l'assetto giuridico degli immobili trasferiti, e, in particolare, si determina l'opponibilità agli aventi causa che non potranno contestare la complessiva situazione giuridica impressa all'edificio in condominio. Di converso, l'omessa trascrizione del regolamento nei registri immobiliari determina solo l'inopponibilità, ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale, delle clausole limitative dei diritti esclusivi di proprietà spettanti a ciascun condomino. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
I condomini possono destinare il proprio immobile a studio medico in presenza di limitazioni presenti nel regolamento di condominio?
Divieti in condomino e interpretazione delle clausole del regolamento Nell'interpretare la clausola del regolamento di condominio contenente il divieto di destinare gli appartamenti a determinati usi, si deve considerare che l'esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere all'intenzione comune delle parti, allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, proprio di determinate nozioni specialistiche, non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Pertanto, tenuto conto che sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, purché formulate in modo espresso o comunque non equivoco – sì da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni – le norme regolamentari possono imporre limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c. Ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell'immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento (Cass. II, n. 23/2004). Per meglio dire, secondo questo orientamento giurisprudenziale, restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni. Pertanto, trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo ad un'interpretazione estensiva delle relative norme (Cass. II, n. 9564/1997). L'identificazione dello studio medico privato in edificio Lo studio medico privato deve identificarsi come il luogo di esercizio dell'assistenza sanitaria, caratterizzata dalla prevalenza del profilo professionale su quello organizzativo. Al contrario, deve qualificarsi come ambulatorio, per il cui esercizio occorre il preventivo rilascio dell'autorizzazione da parte della competente Azienda sanitaria, ogni struttura sanitaria aziendale con individualità ed organizzazione propria per la complessità della struttura e per il tipo delle attrezzature impiegate, in cui l'attività imprenditoriale prevale rispetto a quella professionale del singolo sanitario, destinata alla diagnosi e/o alla terapia medica extraospedaliera. In tema, come sottolineato dai giudici di legittimità, deve qualificarsi come ambulatorio, per il cui esercizio è richiesta, l'autorizzazione da parte della competente azienda USL, ogni struttura aziendale destinata alla diagnosi e/o alla terapia medica extraospedaliera; mentre, deve ritenersi semplice studio medico, quello nel quale si eserciti un'attività sanitaria il cui profilo professionale si appalesi come assolutamente prevalente rispetto a quello organizzativo, senza che, contro tale interpretazione, possa legittimamente invocarsi altra e diversa nozione di ambulatorio (Cass. II, n. 6719/2010). Inoltre, come sostenuto dai giudici amministrativi, lo studio medico di medicina generale, anche quando gestito in forma associata, non muta per ciò solo la sua natura giuridica ai fini del regime autorizzatorio sul piano sia sanitario sia urbanistico, salvo eventuali differenziazioni tra studio medico singolo e studio medico associato che possono venire in rilievo, astrattamente, nelle ipotesi di diversa disciplina dei rapporti condominiali (con regolamenti aventi natura contrattuale) ovvero in sede di esercizio della potestà regolamentare comunale; in ogni caso, lo studio medico associato, sotto un profilo squisitamente urbanistico, e solamente sotto tale aspetto, non appare incompatibile con la connotazione residenziale dell'edificio, voluta dalle norme tecniche di attuazione del P.R.G. (T.A.R. Sicilia Palermo 5 agosto 2010, n. 9199). In definitiva, l'ambulatorio viene indentificato con una struttura aziendale aperta, spersonalizzata ed organizzata imprenditorialmente in vista di un'affluenza di un pubblico indeterminato, e dove la componente organizzativa prevale decisamente su quella professionale – tanto da richiedere l'autorizzazione da parte della Regione – mentre lo studio medico si connota per la netta prevalenza dell'apporto professionale mediante esercizio individuale dell'attività sanitaria (Cass. II, n. 6719/2010). È consentito ai condomini adibire il proprio immobile a studio medico pur in presenze di clausole limitative del regolamento In materia di condominio, l'adibizione di una stanza dell'appartamento a studio medico in condominio non contrasta necessariamente con la clausola del regolamento che consente solo l'uso ai fini residenziali e abitativi. Il giudice dovrà, infatti, valutare se nell'uso residenziale abitativo siano ricompresi usi promiscui, compatibili con la funzione dell'abitare (Cass. VI, n. 18082/2019). Difatti, l'apertura dello studio medico per l'esercizio di attività di rilascio di prescrizioni farmacologiche, visite specialistiche e pareri sanitari è legittimo se e in quanto non rientra nelle attività espressamente vietate dal regolamento di condominio (Trib. Roma 11 dicembre 2018; Trib. Gela 9 giugno 2018). Anche l'attività di medico pediatra di base, svolta in un appartamento facente parte di un fabbricato in regime condominiale, non è in contrasto con la clausola che vieta di destinare le singole unità immobiliari ad uso laboratorio, clinica o ambulatorio, ma ne consente l'uso per studio privato professionale (Trib. Milano 28 maggio 1990). Invero, su tale ultimo aspetto, pur in presenza di un divieto regolamentare di adibizione di unità condominiali a “gabinetto per cure di malattie infettive e contagiose”, deve ritenersi consentita la destinazione di un appartamento a studio di medicina di base, posto che la mera occasionalità con cui tali prestazioni vengano rese da un medico di base esclude il configurarsi di una violazione del divieto stesso (Trib. Napoli 30 dicembre 1997). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale La parte che intende fare valere una determinata violazione al regolamento di condominio – nella fattispecie qui considerata relativa ad una destinazione d'uso vietata nello stesso documento condominiale – ha l'onere di contestare preliminarmente con una lettera raccomandata od una posta elettronica certificata gli estremi della violazione, indicando le ragioni a supporto della pretesa che intende fare valere dinanzi alla competente sede al dichiarato fine di tentare un approccio che anche in via informale vale a rie prima ancora di interessare i rispettivi legali, possa generare una soluzione stragiudiziale della nascente controversia. In tale ambito temporale – che precede qualsiasi iniziativa legale non confortata da un particolare carattere d‘urgenza – può intavolarsi una discussione diretta del suddetto tema tra l'amministratore del condominio e la parte interessata dalla suddetta violazione, sia in sede assembleare, al fine di valutare la possibilità di confermare l'esistenza senza eccezioni del divieto ovvero prendendo atto di una situazione che possa comportare la sua esclusione nel singolo caso specifico, ovviamente corroborata da valide argomentazioni scritte di cui deve considerarsi onerata la stessa parte destinataria della violazione di una specifica norma regolamentare, a maggiore ragione se confortata da ulteriori elementi che possano fare ritenere la probabile contrarietà del divieto in parola con determinate norme cogenti di rango primario. Funzione e natura del giudizio La comparsa di costituzione e risposta, con annessa eventuale proposizione di domanda riconvenzionale, è l'atto con il quale la parte evocata in un giudizio ordinario di cognizione si costituisce nel rispetto dei termini di legge al fine di prendere tempestivamente posizione sulla domanda attorea, contestandone i presupposti in fatto ed in diritto, ed eventualmente instando a sua volta per la tutela di un suo diritto connesso che assume leso per effetto delle conclusioni formulate nell'altrui domanda principale. La natura e funzione del giudizio è, dunque, quella propria di una cognizione ordinaria che eventualmente può assumere anche le forme della cognizione sommaria a seconda degli elementi già in possesso della parte istante al momento dell'introduzione della causa e delle successive attività e strategie difensive sviluppate dalla parte evocata in giudizio all'atto della relativa costituzione. Aspetti preliminari Mediazione La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente al legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile. La domanda di mediazione ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione dei commi 2, 4, 5, 6, e disponendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice”, siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità per contrasto con l'art. 1138 c.c. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione. Competenza Secondo l'opinione giurisprudenziale dominante, la controversia in cui si discute della negazione del diritto d'uso nei confronti di un singolo condomino di un determinato servizio o bene comune rientra, attualmente, nella competenza del Tribunale (Cass. VI, n. 36967/2021: per la quale, le controversie in cui viene messo in discussione il diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune non rientrano nella competenza del Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c., come “cause relative alla misura e alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case”, ma del Tribunale). Legittimazione La legittimazione attiva compete all'amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio ex art. 1130, comma 1, n. 1), c.c., per tale ragione, essendo legittimato ad agire in giudizio per ottenere la cessazione degli abusi posti in essere da un condomino, il quale ultimo è invece legittimato passivo. Profili di merito Onere della prova L'onere di provare la violazione di una specifica disposizione del regolamento di condominio grava sulla parte istante, che deve allegarne l'esistenza, mentre quella evocata in giudizio è onerata della prova contraria, concernente l'inesistenza della dedotta violazione, sollevando eccezioni ad hoc che possano valere a paralizzare la domanda di parte attrice. Contenuto della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale La costituzione del convenuto in un ordinario giudizio di cognizione – od anche in quello inizialmente intrapreso con il procedimento semplificato di cognizione – consiste nella predisposizione di un atto in forma di comparsa di costituzione contenente ove esistano i relativi presupposti anche una domanda riconvenzionale, in cui premessa l'indicazione compiuta delle esatte generalità della parte evocata in giudizio e del relativo codice fiscale, nonché di quelle dell'avvocato da cui è patrocinata, il quale, oltre ad indicare il domicilio eletto nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario adito ed il proprio codice fiscale, deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo di posta elettronica certificata per le comunicazioni o notificazioni riguardanti il medesimo procedimento, deve altresì curare l'indicazione sintetica ma al tempo stessa precisa e esaustiva dei fatti di causa, con le relative argomentazioni in diritto in virtù delle quali, si ritiene del tutto insussistente la pretesa violazione del regolamento di condominio così come addotta dalla controparte, rispettando il principio di sinteticità nella redazione degli atti giudiziari fatto proprio dalla recente riforma del processo civile. In particolare, per effetto della riforma attuata dal d.lgs. n. 149/2022, l'attuale testo dell'art. 166, comma 1, c.p.c. prevede che il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione depositando la comparsa di cui all'art. 167 c.p.c. con la copia della citazione notificata, la procura ed i documenti che offre in comunicazione. Inoltre, il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione in modo chiaro e specifico, tant'è che, nelle conclusioni della comparsa, la parte convenuta dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate al rigetto della domanda attorea, e nel caso in cui venga proposta domanda riconvenzionale – ad esempio, per il risarcimento del danno conseguente alla stessa richiesta così come formulata – vanno specificate le relative causali, con la formulazione dell'importo. L'atto va sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente alla restante documentazione ad esso allegata va depositato telematicamente nel fascicolo informatico già pendente presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario adìto. Richieste istruttorie L'amministratore di condominio che agisce per conseguire la condanna del condomino a rispettare le singole norme del regolamento di condominio, da un lato, deve preventivamente produrre quest'ultimo, al fine di provare l'esistenza dell'obbligo in parola, e, dall'altro, deve altresì allegare la prova della sua violazione da parte del medesimo condomino che ad esempio, nella fattispecie qui considerata ha adibito l'unità immobiliare ad attività di studio medico contravvenendo alla disposizione condominiale ad hoc che la vieta. La parte convenuta deve, invece, allegare i fatti che renderebbero priva di fondamento la tesi contraria, a tale fine preliminarmente formulando istanza di ammissione dell'interrogatorio formale dell'amministratore – e tale mezzo istruttorio può anche essere deferito reciprocamente da quest'ultimo al condomino convenuto – seguito dall'articolazione di una prova testimoniale i cui capitoli dovrebbero contenere circostanze dirette a dimostrare l'infondatezza della violazione delle norme del regolamento da parte del condomino, e dunque, l'effettiva destinazione della unità immobiliare in parola ad un uso non vietato dal regolamento. L'amministratore potrà, a sua volta, chiedere l'ammissione della prova testimoniale con i condomini che sono invece a conoscenza del via vai di clientela dall'unità abitativa destinata a studio medico professionale. Inoltre, al fine sopra considerato, potrà essere utile, ovviamente con i dovuti accorgimenti previsti ex lege a tutela della privacy chiedere al giudice l'acquisizione delle immagini di videosorveglianza – laddove il relativo impianto interno risulti in dotazione all'amministrazione condominiale – al fine di monitorare per ragioni di sicurezza in un arco di tempo limitato, l'eventuale transito costante di persone estranee al condominio. 4. ConclusioniSecondo la Cassazione, la legittimazione processuale dell'amministratore di condominio consegue dalla sua responsabilità nei confronti dei condomini per i danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e, in genere, da qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari. Infatti, l'amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 1), c.c., è altresì legittimato ad agire in giudizio per ottenere la cessazione degli abusi posti in essere da un condomino (Cass. VI, n. 35315/2021). Pertanto, l'amministratore, ai sensi della richiamata normativa codicistica, è pienamente legittimato, senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione, oltre che a proporre la domanda riconvenzionale di inibizione, altresì ad avanzare quella risarcitoria, non solo in esecuzione di una delibera assembleare, ma in ogni caso al fine di garantire l'osservanza di una specifica disposizione del regolamento condominiale, laddove volta a limitare determinati usi delle proprietà esclusive (Cass. II, n. 21562/2020; Cass. II, n. 16240/2003). Ciò non significa, però, che dall'omesso adempimento dell'obbligo dell'amministratore di curare l'osservanza del regolamento di condominio ex art. 1130, comma 1, n. 1), c.c. consegua anche automaticamente un'ipotetica responsabilità ricadente nella sfera giuridica dell'intero condominio, con la sussistenza della legittimazione passiva di quest'ultimo, rappresentato in giudizio dall'amministratore ai sensi dell'art. 1131, comma 2, c.c., in ordine alla pretesa del singolo rivolta ad accertare le violazioni regolamentari perpetrate da altri partecipanti ed ad ottenere una conseguente condanna risarcitoria del condominio stesso. In tale ottica sovviene la finalità dell'art. 1131, comma 2, c.c. è quella di facilitare i terzi nell'evocazione in giudizio di un condominio, consentendo loro di notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini, i quali restano però parti sostanziali e perciò reali destinatari degli effetti della sentenza, e per tale ragione, non si vede perché tutti i partecipanti al condominio debbano essere convenuti avvalendosi della rappresentanza dell'amministratore, rispondendo anche in sede risarcitoria delle violazioni del regolamento condominiale poste in essere da singoli partecipanti trasgressori in danno di altri (Cass. II, n. 2943/2004). Un'ultima annotazione si impone sul piano della legittimazione passiva che, spetta non solo al condomino ma anche al conduttore, avendo la giurisprudenza chiarito che può sussistere la responsabilità del proprietario dell'unità immobiliare per le violazioni del regolamento condominiale poste in essere dal conduttore di quest'ultima, posto che anche in questa particolare ipotesi esiste sempre l'obbligo per il condomino di rispettare il regolamento condominiale da cui discende la sua responsabilità nei confronti della compagine condominiale per la violazione del regolamento compiuta dal conduttore, in un'ottica volta a prevenirne le possibili violazioni, anche con la cessazione del rapporto locatizio (Cass. II, n. 11859/2011; Trib. Milano 22 febbraio 2018). Il locatore, in questo caso, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostra di essersi prontamente attivato in misura adeguata a fare cessare al conduttore la destinazione abusiva da parte di quest'ultimo dell'unità immobiliare (Cass. II, n. 11383/2006). |