Legge - 24/11/1981 - n. 689 art. 1 - Principio di legalità.

Alessandra Petronelli
aggiornato da Francesco Caringella

Principio di legalità.

Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.

Inquadramento

Con la l. n. 689/1981 l'ordinamento italiano ha configurato la disciplina generale dell'illecito amministrativo ricalcando quella del reato e ancor di più quella della contravvenzione; il legislatore ha infatti abbracciato una visione penalistica dell'illecito e richiamato i principi che lo sottendono.

La l. n. 689/1981 rappresenta, in particolare, il primo tentativo di regolare in via generale ed organica la materia delle sanzioni amministrative, dopo che la relativa disciplina è stata a lungo caratterizzata da un quadro normativo frammentato e disorganico, in cui hanno convissuto tipi di sanzioni molto diverse tra loro, quanto ad origine e specifiche finalità.

Nel momento in cui il legislatore ha ritenuto di dettare una disciplina di carattere generale in materia di sanzioni amministrative, lo ha fatto mediante l'introduzione di «Modifiche al sistema penale» e, dunque, attraverso la depenalizzazione di numerose fattispecie di reato, che si è tradotta, nei casi individuati dalla legge stessa, nella sostituzione della multa o dell'ammenda con la sanzione amministrativa pecuniaria.

Autorevole dottrina (Paliero, Travi, 359) evidenzia come la l. n. 689/1981 rappresenti la volontà del Legislatore di dettare una disciplina generale dell'istituto della sanzione amministrativa, nella quale siano ravvisabili gli elementi necessari per la tipizzazione di un'autonoma fattispecie giuridica; emerge, in particolare, un modello di sanzione i cui caratteri costitutivi, quelli di tipicità, antigiuridicità, colpevolezza, si compendiano nella finalità di prevenzione generale e speciale della stessa, valorizzando la specificità e autonomia del sistema sanzionatorio amministrativo come strumento di controllo sociale. Più nello specifico, uno strumento di controllo intrinsecamente collegato all'Amministrazione e alla sua funzione costituzionalmente delimitata, in cui gli stessi parametri costituzionali di riferimento non sono quelli tipici della sanzione penale, bensì quelli dell'organizzazione e dell'attività amministrativa (artt. 23 e 97 Cost.).

La disciplina in commento presenta un forte aggancio al diritto positivo (con particolare riguardo alle disposizioni costituzionali) ed ha necessitato, nel corso degli anni, del ruolo di definizione e completamento degli istituti fornito dalla evoluzione giurisprudenziale, stante il carattere generale delle disposizioni normative ivi contenute.

Proprio con riguardo ai principi generali dettati dalla l. n. 689/1981, va premesso che essi operano sul piano delle fonti (principio di legalità), della successione delle leggi nel tempo (principio di irretroattività), della interpretazione (principio di analogia).

Deve essere altresì evidenziato che i principi sostanziali e processuali, fissati dalla legge e definiti dalla dottrina dell'illecito amministrativo, trovano applicazione limitatamente al solo diritto penale (o punitivo) amministrativo e, più precisamente – come recita l'art. 12 della l. n. 689/1981 – «in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale, con esclusione delle violazioni disciplinari».

Come rilevato dalla dottrina maggioritaria, trattasi di principi per lo più traslati dalla disciplina penalistica che devono necessariamente fare i conti con i limiti connaturati alla diversità ontologica della struttura degli illeciti.

Volendo schematizzare si può affermare che: – un primo gruppo di principi (art. 2: capacità; art. 3: elemento soggettivo; art. 4: esimenti; art. 5: concorso di persone; art. 6: solidarietà; art. 8: concorso formale di illeciti amministrativi) riguarda la condotta; – un secondo gruppo (art. 7: non trasmissibilità dell'obbligazione; articolo 10: limiti quantitativi; art. 11: criteri di determinazione; art. 23: modificazione da parte del giudice dell'entità della sanzione; art. 28: prescrizione del diritto a riscuotere le somme; art. 29: devoluzione dei proventi) attiene alle caratteristiche della sanzione amministrativa.

La sanzione

La nozione di «sanzione» è di per sé generica e indeterminata: nel linguaggio comune, la sanzione è la minaccia di una male conseguente alla violazione di una regola di condotta; in conseguenza della violazione sono perciò rinvenibili diverse tipologie di sanzioni (giuridiche, morali, sociali, religiose ecc.) e all'interno di queste si distinguono atti con finalità diverse (punitive o ripristinatorie).

La nozione giuridica di sanzione amministrativa è, ovviamente, più ristretta e necessita di alcune premesse di carattere generale per poter essere compresa.

Il concetto giuridico di sanzione è quello di «pena in senso tecnico», ovvero di «freno all'attività degli uomini»: la sanzione è indirizzata al trasgressore e su tale soggetto è parametrata, in modo da risultare sempre adeguata in vista della prevenzione, sia generale che speciale.

La sanzione è dunque la reazione dell'ordinamento alla violazione di un precetto e si caratterizza per la portata punitiva nei confronti del responsabile della violazione medesima e per la finalità di prevenzione speciale e generale: punire il singolo trasgressore in maniera adeguata (tramite la graduazione della sanzione fra un minimo ed un massimo edittali, fissati dal legislatore) scoraggia infatti non solo quel medesimo soggetto dal reiterare il comportamento vietato – prevenzione speciale –, ma anche verosimilmente la generalità dei consociati dal tenere condotte analoghe – prevenzione generale.

Peraltro, alla violazione del precetto si può accompagnare un'ulteriore conseguenza indesiderabile, vale a dire la produzione di un danno materiale.

Tuttavia, la sanzione non mira a porre riparo al danno materiale cagionato: è la violazione in sé di un precetto ad essere sanzionata, a prescindere dal fatto che essa si possa concretare solo nel pericolo potenziale (c.d. violazione formale) e non attuale per il bene protetto.

La sanzione si distingue, dunque, nettamente dai provvedimenti atti a imporre il ripristino della situazione materiale anteriore alla violazione: si tratta di provvedimenti frequentemente previsti nella legislazione, si pensi ad esempio a quelli che la pubblica amministrazione adotta a tutela dell'ordine urbanistico, dei beni culturali e paesaggistici, dell'ambiente ecc.

In definitiva, le reazioni dell'ordinamento alla violazione di un precetto possono concretarsi, da un lato, in vere e proprie «pene in senso tecnico» (sanzioni penali o amministrative) e, dall'altro, in misure ripristinatorie.

L'applicazione delle prime non restaura alcuna situazione di legalità materiale, ma è diretta solo a punire il responsabile dell'illecito, mentre con le seconde l'amministrazione interviene per restaurare una situazione concreta d'illegalità, conseguente ad un'infrazione.

A conferma della circostanza che la sanzione svolge una funzione disomogenea rispetto alla misura ripristinatoria, essa può essere prevista anche quando alla violazione di un precetto non consegua alcuna alterazione dell'equilibrio materiale tutelato. La scelta del legislatore di prevedere una sanzione anche in assenza di un danno materiale dipende in larga misura dall'interesse protetto; questo può richiedere tutela anche in relazione a violazioni che si concretano solo in un pericolo potenziale e non in un effettivo danno; nei casi in cui alla violazione di un precetto di tal fatta consegua un danno, alla sanzione si aggiunge abitualmente anche la misura ripristinatoria.

Gli esempi nel diritto positivo sono, a tal proposito, numerosi: si pensi, ad esempio, alla condotta vietata consistente nell'abbandono di rifiuti (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 22/1997) ove è prevista sia una misura ripristinatoria (il Sindaco ha il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti, nonché il ripristino dello stato dei luoghi: art. 14, comma 2, d.lgs. n. 22/1997), sia una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 50, comma 1, d.lgs. n. 22/1997). È invece prevista la sola sanzione in relazione a condotte vietate che rappresentano esclusivamente un pericolo per il bene protetto: è il caso, ad esempio, del produttore di rifiuti che non compili gli appositi registri (art. 52, comma 2, d.lgs. n. 22/1997).

La distinzione tra sanzione penale e sanzione amministrativa

Il carattere della personalità e lo scopo di prevenzione (generale e speciale) costituiscono tratti comuni della sanzione amministrativa e della sanzione penale: entrambe, infatti, sono «pena in senso tecnico».

Questi elementi comuni non possono però offuscare le profonde differenze fra le due tipologie di sanzione.

Tradizionalmente, tali differenze sono state individuate nel giudizio etico-sociale particolarmente squalificante che si ricollega solo alla condanna penale (c.d. stigma criminale), negli effetti giuridici propri solo della condanna penale (ad esempio l'iscrizione nel casellario giudiziario), nel fatto che le sanzioni penali sono applicate da un giudice, mentre quelle amministrative sono applicate da un organo dell'amministrazione (salvo il caso dell'art. 24, l. n. 689/1981).

È stato tuttavia osservato che questi tre ordini di differenze non rendono pienamente la differenza fra sanzione penale e sanzione amministrativa e che non risponde al vero la considerazione secondo cui la distinzione fra le due tipologie di sanzioni sarebbe da rintracciare nella maggiore gravosità di quella penale: infatti alcune sanzioni amministrative pecuniarie possono avere un ammontare ben superiore a quello delle sanzioni pecuniarie penali (cfr. l'art. 15, l. n. 287/1990, in base al quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ove ravvisi la violazione delle regole inerenti alle intese restrittive della libertà di concorrenza o all'abuso di posizione dominante, applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato dalle imprese) e spesso l'imputato nel processo penale ha una posizione indubbiamente più vantaggiosa rispetto al soggetto interessato da un procedimento sanzionatorio amministrativo (si pensi, ad esempio alla guida senza patente: con la sanzione penale il trasgressore poteva ottenere il processo immediato e patteggiare la pena, vedendosi quindi applicata una pena pecuniaria minima, mentre la sanzione amministrativa non prevede tale tipo di possibilità).

La distinzione fra sanzioni penali e sanzioni amministrative è stata anche cercata nell'ambito degli interessi protetti: tradizionalmente, la tutela penale viene ritenuta connaturale agli interessi di maggior rilevanza, mentre la sanzione amministrativa sarebbe posta solo a presidio di interessi di minore rilevanza.

Tale tesi è stata chiaramente smentita dalla Corte costituzionale che ha affermato come, in materia ambientale, – che la Consulta qualifica «bene primario» in considerazione della tutela apprestata dall'art. 9 Cost. – «la repressione penale non costituisce, di per sé, l'unico strumento di tutela di interessi come quello ambientale, ben potendo risultare altrettanto e persino più efficaci altri strumenti, anche sanzionatori» (Corte cost. n. 456/1998).

Per comprendere la differenza, occorre a questo punto guardare non agli interessi protetti dal precetto cui si accompagna la sanzione, ma ai beni giuridici dei destinatari su cui le sanzioni (penali e amministrative) incidono.

Le sanzioni amministrative non possono mai sostanziarsi in una restrizione delle libertà fondamentali del destinatario: in particolare le limitazioni alla libertà personale – salvo casi eccezionali e temporalmente circoscritti – richiedono un atto motivato dell'autorità giudiziaria (art. 13 Cost.) e di conseguenza non possono mai essere imposte con un atto dell'amministrazione.

La particolare rilevanza di alcuni beni giuridici (come appunto la libertà personale) ha fatto in modo che le sanzioni atte ad incidere su di essi possano essere applicate solo da un giudice in esito ad un procedimento giurisdizionale caratterizzato da forti garanzie, quale appunto è il processo penale.

A ciò si collega un altro aspetto fondamentale nella distinzione fra sanzioni penali e sanzioni amministrative: l'onere di dimostrare la colpevolezza per il fatto illecito (cioè la sussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa) grava sul Pubblico Ministero e «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» (art. 27, comma 2, Cost.); viceversa, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, nelle sanzioni amministrative viene in rilievo una presunzione di sussistenza dell'elemento psicologico (in un contesto nel quale la «condanna» al pagamento della sanzione proviene dall'amministrazione con un atto esecutivo).

Laddove il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere una sanzione che possa incidere sulla libertà personale, nel bilanciamento dei diversi interessi in gioco (interesse protetto e libertà personale), ha dovuto necessariamente dare prevalenza alla garanzia rispetto all'effettività ed all'immediatezza della pena.

Nel caso delle sanzioni amministrative i beni giuridici dei destinatari che possono essere incisi sono di natura essenzialmente patrimoniale (e comunque non investono mai la libertà personale); ciò è verificabile per tutte le tipologie di sanzioni amministrative.

Dunque, l'irrogazione delle sanzioni amministrative non rappresenta l'esercizio di un potere amministrativo in senso tecnico, cioè la cura di un interesse pubblico attraverso l'adozione di un provvedimento. L'interesse (o, se si vuole, il bene giuridico) tutelato è già individuato dal legislatore in sede di configurazione della condotta vietata: l'amministrazione non è compie alcuna valutazione sugli interessi coinvolti, ma applica, ove ne ricorrano le condizioni, una «pena». Da tutto ciò emerge che la posizione soggettiva del soggetto sanzionato è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

Quindi, secondo autorevole dottrina (Sandulli, 1 e ss.), si ha una sanzione amministrativa in senso stretto «ogni volta che l'ordinamento, di fronte a un atto antigiuridico, considerata la turbativa che reca all'ordine pubblico generale, reputa per ciò stesso (imprescindibilmente) necessario commisurare una conseguenza dannosa (un male) a carico di chi ne è responsabile, prescindendo dall'eventuale secondaria soddisfazione che possa derivare al portatore dell'interesse leso».

La «pena» amministrativa per antonomasia è la sanzione pecuniaria, il cui modello più diffuso è la sanzione graduata fra un minimo ed un massimo fissati dal legislatore.

Le sanzioni amministrative si limitano dunque ad imporre una prestazione personale o patrimoniale e perciò per esse viene in rilievo solo l'art. 23 Cost. e la riserva relativa di legge ivi prevista; ai fini della loro applicazione non viene invece in rilievo la riserva di «atto giurisdizionale», prevista dall'art. 13 Cost. per i provvedimenti limitativi della libertà personale.

La giurisprudenza sulle  sanzioni amministrative ritenute sostanzialmente penali

 

Si è concluso nel senso del carattere convenzionalmente criminale della seguenti misure formalmente amministrative :

 

1)le sanzioni antitrust (Menarini 2012: sanzione amministrativa pecuniaria di 6 milioni di euro per pratiche anticoncorrenziali sul mercato dei test diagnostici del diabete: si ricava la  qualificazione in termini penali dalla natura pubblicistica degli interessi tutelati  nonché dalla finalità repressiva e general-preventiva della sanzione inflitta e dalla severità della stessa;

2)le sanzioni Consob di cui in materia di insider trading secondario (manipolazione del mercato) ex art. 187 ter  dlgs 58/98 (Grande Stevens 2014, che ha fatto leva sull'eccessiva severità delle sanzioni  – sia per l'importo delle sanzioni pecuniarie che per l'incisività di quelle  accessorie  – oltre che per  la gravosità degli effetti sulle libertà fondamentali e considerata la rilevanza degli interessi generali);

2.1)sono state considerate, in particolare, afflittive le sanzioni   accessorie di cui all'art. 187 quater (interdizione dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso soggetti autorizzati, interdizione temporanea dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate, la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per i partecipanti al capitale dei soggetti indicati alla lett. a), che incidono su diritti e libertà fondamentali riguardo alle concrete estrinsecazioni professionali, imprenditoriali e manageriali della persona.

2.2) sul carattere penale della confisca per equivalente per insider trading ex 187sexiesTU58/1998 (Corte cost. 223.2018 sul divieto di retroattività)

3)le sanzioni più significative del codice della strada (confisca del veicolo per guida in stato d'ebbrezza);

4)le sanzioni tributarie diretta a un obiettivo punitivo/preventivo, che impongano una rettifica/sovrattassa incompatibile con il fine meramente ripristinatorio  (Jusila/Finlandia 2006, che ha ritenuto punitiva la sanzione a prescindere dall'esiguità dell'importo; forte è l'oscillazione, in materia fiscale, tra un approccio civilistico attento all'aspetto del rapporto obbligatorio patrimoniale, e uno pubblicistico che valorizza il potere autoritativo di imposizione);

5)le sanzioni più severe previste dalla legislazione doganale;

6)la sanzione di cui all'art. 174 bis della  sulla protezione diritto d'autore 633/1941 (C. Cost. 149/2022, dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 649 cpp in ema di ne bis in idem eterogeneo);

7) le sanzioni dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti ai sensi degli artt. 12,13 e 14 dlgs 129/2015;

8)le sanzioni dell'ANAC, comprensive dell'iscrizione nel casellario informatico delle notizie rilevanti in sede di gara (Cons. Stato, V, 10197/2022 e 491/2022 sui termini perentori di inizio e conclusione del procedimento  ai sensi degli artt. 80, comma 12, e 213 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50)); è stata, invece, rimessa alla Corte di giustizia la questione della natura punitiva e sproporzionata della misura dell' incameramento della cauzione provvisoria in via automatica, ai sensi del previgente codice dei contatti pubblici 163/2006,  ai danni del concorrente non aggiudicatario che per quei stessi fatti abbia già subito la sanzione antitrust (Cons. Stato,  V, ord. 2033/2023;  3264/2023  nel  senso del carattere non punitivo della cauzione., acvente un carattere di garanzia degli obblighi legali, Corte Cost. 198/2022);

9)la sanzione dell'acquisto gratuito di opera abusiva e sedime  in caso  di violazione dell'ordine di demolizione ex art. 31 tu edilizia (Cons stato, II, 714/2023 e CGA 70/23 cfr. applicano il termine per la contestazione di 90 giorni dalla conoscenza-conoscibilità dell'illecito ex art. 14 legge 689/1981);

9.1.)le sanzioni pecuniarie previste dalle leggi statali (art. 31 cit.) e regionali in materia urbanistica ed edilizia, che non perseguano solo un mero  scopo riparatorio (Valico/Italia 2006);  questo principio non è in conflitto, per quanto sopra detto, con l'assenza di potestà penale delle regioni ex art. 25, comma 2, Cost.);

10) le eccezionali sanzioni disciplinare afflittive  (Cooper/Regno Unito 2003);  in generale, le sanzioni disciplinari (ad es applicate a notai, avvocati, medici,  militari,  giudici), che normalmente vertono su diritti e obblighi civili,  sono state considerate punitive nei casi straordinari in cui sia in gioco la libertà personale (Albert/Belgio 1983); Cooper /RU 2003:  caso in cui la sanzione comportava  la posticipazione della liberazione condizionale (cd  early relaase). La Corte Edu ha escluso la natura penale  anche  ove la condotta integri reato o sia stata applicata una sanzione pecuniaria e non interiettiva; anche la Cassazione ha escluso il carattere penale di tali procedimenti, visto che la sanzione è preordinata all'effettivo adempimento  dei doveri d'ufficio; nondimeno, la Corte ha  reputato applicabile  il principio di  civiltà giuridica della difesa ex artt. 24 Cost. e 6Cedu(Cass., 15523/2006).

11)l'applicazione della detenzione sostituiva finalizzata a garantire il pagamento di una multa ed eseguita in danno del debitore che non versava in stato d'insolvenza (Jamil Francia 1995):

12) la sanzione punitiva per l'oltraggio alla Corte (Zaicvus Lettonia 2007);

i)la confisca urbanistica senza condanna (GIEM/Italia 2018; SS,UU. 15229/22);

m)la confisca del veicolo per il caso di guida in stato d'ebbrezza (articolo 186, comma 2, codice della strada); la confisca dell'auto a seguito di violazioni fiscali; la confisca edilizia per abuso edilizio (art. 31 cit); la confisca del provento del reato di traffico di  stupefacenti in caso di condanna penale (Welch cit).;

13)le misure di sicurezza post-delictum che mostrino carattere repressivo in ragione della  loro esecuzione in regime di carcere ordinario e della durata pressoché illimitata (G/Germania 2013).

I  casi in cui la giurisprudenza  ha escluso la natura penale della sanzione amministrativa

E' stata invece esclusa la natura criminale di queste misure:

1) le sanzioni Consob estranee alla materia della manipolazione del mercato (Cass. n. 20689/2018);

3) le sanzioni della Banca d'Italia ex art. 144 tu n. 385/1993 (prima della riforma di cui al d.lgs. n. 72/2005) per la non assimilabilità della gravità della sanzione all' insider trading quanto a gravosità economica ed incidenza sui diritti e libertà fondamentali, avuto riguardo alle concrete estrinsecazioni professionali, imprenditoriali e manageriali della persona (Cass. n. 16517/2020, con riferimento all'irrogazione, nella qualità di  componente del Consiglio di amministrazione della Banca MPS, la sanzione pecuniaria di Euro 116.500,00, per la violazione di obblighi dichiarativi  con riferimento a 'operazioni di aumento di capitale; secondo la Corte, nel  caso in esame, mentre il criterio della qualificazione della sanzione nel sistema nazionale depone inequivocabilmente nel senso della qualificazione delle sanzioni de quibus come amministrative, il criterio della natura della sanzione non offre un risultato univoco, giacché, se la sanzione è posta a tutela di interessi generali (la tutela del credito e del risparmio) ed ha una funzione non solo ripristinatoria ma anche deterrente, essa, tuttavia, risulta destinata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione o i dipendenti delle banche e degli altri intermediari di cui al testo unico bancario), il che limita la generalità della portata della norma. Quanto all'afflittività, la relativa valutazione non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce; in tale prospettiva, non sembra potersi dubitare che, nell'ordinamento sezionale del credito e della finanza (che contempla sanzioni penali finanche detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di Euro), una sanzione pecuniaria compresa, come quella applicabile ratione temporis, tra il minimo edittale di Euro 2.580 ed il massimo edittale di Euro 129.110, non corredata da sanzioni accessorie né da confisca, non può ritenersi connotata da una afflittività così spinta da trasmodare dall'ambito amministrativo a quello penale.

4)le sanzioni disciplinari degli ordini professionali (secondo Peleki-Grecia 2019 esse   riguardano i diritti  civili, salvo che non siano di gravità tale da limitare la libertà personale posticipando la libertà condizionata: cd "early detention");

4) gli atti incidenti sui diritti politici (Lovric/Croazia; Sobaci/Tirchia 2006 suloa decadenza dal mandato elettorale, con conseguente ineleggibilità, a seguito dello scioglimento o di un partito politico );

4.1.)misure interdittive e decadenziali dalle cariche politiche previste dalla legge Severino (art. 63 legge 190/2012) e dal relativo decreto di attuazione (d.lgs. n.  235/2012) (Corte Edu Galan/Italia 2021: non sono misure penali o effetti penali, ma determinazioni che fissano incandidabilità  e misure restrittive dell'elettorato passivo in ragione del venir meno di un requisito soggettivo di idoneità funzionale stabilito dalla legge  nell'interesse pubblico; sull'ineleggibilità di  un presidente della Repubblica a seguito di impeachment (Paksas/Lituania 2011);

5) l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo ex art. 31 TU edil 380/2001 (sono ablazioni obbligatore aventi carattere ripristinatorio e  reintegratorio secondo Plen. 8/2017, salvo il caso di enorme tardività dell'ordine rispetto ai fatti storici: sentenza Ivanova/Bulgaria 2016, coniugi bulgari  gravati dalla demolizione di una ridente abitazione costruita sulla cosa del mar nero senza i dovuti permessi in area paesaggisticamente vincolata;  Edicke Gemania 1982,  secondo cui ha natura di sanzione penale, oltre a incidere sul diritto all'abitazione ex art. 8, un ordine di demolizione intervenuto a distanza di anni, ove non sia provata la volontà del sogegtto sanzionato di ostacolare le indagini da parte del soggetto colpito dalla misura);

5.1.)le misure (anch'esse ablazioni obbligatorie) di reintegrazione e riparazione in forma specifica in materia di danno ambientale (artt. 305 e 311 del codice dell'ambiente) e  paesaggistico (art. 160 TU42/2004);

6)le misure di prevenzione in senso stretto (corte Cost. 24/2019):  personali  artt. 1 e seguenti codice antimafia(le misure questorili del foglio di via obbligatorio e dell' avviso orale e quelle  giudiziarie della sorveglianza speciale di polizia, divieto e obbligo di soggiorno: 1994, Raimondo Italia, che rivendica il diverso statuto della tutela della libertà di circolazione id cui all'articolo 2,  protocollo 4) e reali (sequestro e confisca giudiziaria, anche per equivalente, ex artt. 20,24 e 25 del codice antimafia; sulla confisca di prevenzione ai danni dei mafiosi (1991 M.Italia con rifermento a misura che non richiede la condanna penale);

7))le misure di prevenzione in senso lato (o atipiche):

7.1.)DASPO  urbano del Sindaco  (art. 6 DL. n.  14/17, modificato dal D.l. 113/18, e successivamente dal d.l. 130/20), e sportivo del Questore  (artt. 6 e seguenti  legge 401/1989: vedi Cass. 23644/2020 sulla compatibilità della procedura di convalida con il diritto di difesa) Srezinc/Croazia 2018 ha  ritenuto che il provvedimento che vieta al tifoso di assistere a competizioni sportive previsto dalla legislazione croata – in tutto simile, come gli stessi giudici di Strasburgo rilevano, al DASPO italiano – non costituisca una sanzione penale ai sensi della Convenzione, stante la sua eminente funzione preventiva; e che, pertanto, la misura in questione possa essere disposta anche in relazione ai medesimi fatti di reato che hanno comportato l'inflizione di una (vera e propria) pena da parte del giudice, senza che ciò dia luogo a un bis in idem . Con sentenza n. 4123/2021, la III Sez. del Consiglio di Stato, a sua volta,  ha aderito a un'interpretazione estensiva secondo cui   “è legittimo il provvedimento di Daspo inflitto per minacce all'arbitro durante un allenamento calcistico, potendo l'allenamento rientrare nella “manifestazione sportiva”: le condotte legittimanti l'adozione del provvedimento inibitorio di che trattasi non sono esclusivamente quelle commesse “in occasione di una manifestazione sportiva” (e quindi, fondamentalmente, durante la partita), ma anche quelle verificatesi “a causa” della manifestazione sportiva e, dunque, anche in un momento antecedente o successivo alla stessa, purché, però, avvinte da un rapporto di diretta causalità con la manifestazione medesima;

7.2.)l'interdittiva antimafia prefettizia (artt. 84-91 codice antimafia) oggi conosciuta nella sola forma c.d. tipica, essendo stata abrogata l'altra ipotesi alternativa c.d. ‘atipica', i cui effetti non erano cogenti per la p.a., ma le lasciavano un margine di discrezionalità valutativa sull'opportunità di interrompere o meno i rapporti in essere con i destinatari del provvedimento  (non si tratta di 'intervento su di “uno status generale di capacità giuridica” bensì, Della previsione di “limiti e divieti temporanei e specifici di contrattazione con la pubblica amministrazione e di esercizio di attività economiche sottoposte a vaglio autorizzativo a tutela di interessi pubblici generali” nonché a tutela della stessa possibilità di un loro libero esercizio da parte di tutti i competitori economici, nel rispetto dei principi di libertà d'iniziativa economica privata e di concorrenza sanciti dall'art. 41 della Costituzione e dal Trattato UE ; la tipizzazione giurisprudenziale dei presupposti supera i problemi di compatibilità con il principio di legalità;  Plenaria  3/2022  ha escluso la  legittimazione degli amministratori e dei soci di una persona giuridica ad impugnare l'interiettiva antimafia)

7.3. l'ammonimento orale del Questore  per atti persecutori (stalking: art. 8 D.L 11/2009: invito a tenere una condotta conforme alla legge): sul carattere preventivo e cautelare di queste ablazioni obbligatore vedi C.d.S., Sez. III., n. 2545/2020);

8)le misure  cautelari (sequestro, per cui si pone il problema del rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 41 e 42al primo protocollo con riferimento alla durata della misura e al tempo decorrente tra inflizione ed esecuzione);

9)la confisca  delle armi ex art. 6 legge 152/1975 (misura ablatoria obbligatoria applicata, anche i caso di estinzione del reato, al fine di limitare la circolazione delle ami in  una logica di tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica)

10)le misure sire di sicurezza personali, a carattere special-preventivo ( Cass. 50458/2017)

11) la concessione dell'estradizione (“il diritto a non essere estradato” non figura né nella Convezione né nei protocolli: Salgado/Spagna 2002);

12) l'espulsione dello straniero (estranea alla materia punitiva al pari degli atti relativi a immigrazione, ingresso e soggiorno degli stranieri; nel senso dell'estraneità anche alla materia civile Mamatukov/Turchia 2005,che richiama le garanzie procedurali dell'articolo 1 del protocollo 7; resta salvo il caso in cui l'interdizione  (nella specie della durata di 10 anni) risulti sostituiva della pena detentiva (nella specie 18 mesi) (Gurguchiani/Spagna 2009, che ha messo in rilievo la lesione dei diritti difensivi prodotta dall'adozione automatica della citata conversione senza audizione dell'interessato); è stato considerato privo di natura penale anche il trasferimento del condannato nel suo Paese d'origine per favorire il suo reinserimento sociale: Szabo/Sveza 2006).

13) mandato d'arresto europeo (Cass. 18650/2015sulla compatibilità con le garanzie processuali della procedura di mandato d'arresto cd. “processuale” che si svolga in camera di consiglio invece che in pubblica udienza);

14)removal della Banca d'Italia (Consiglio Stato, VI, 6254/2022 sugli  artt. 69 octies decies e vices semel  TU 385/1993: è una misura cautelare di rimozione, commissariamento e sostituzione dei componenti degli organi di amministrazione e   vigilanza al fine di evitare la degenerazione del processo di crisi e ripristinare la sana gestione aziendale);

15)confisca pronunciata nell'ambito di un'azione penale avviata contro terzi (Bowler/Francia 2009, in fattispecie relativa alla confisca di bambole appartenenti al terzo ricorrente, perché contenenti droga oggetto di traffici da parte dell'imputato);

16)le misure limitative imposte in sede di lock down (Theres/Romania 2021 ha anche escluso la limitazione  del diritto alla libertà personale ex articolo 5 CEDU, non venendo in rilievo una vera detenzione domiciliare, stanti l'assenza di controlli e le deroghe all'obbligo di permanenza nel domicilio):

17)la revoca/decadenza della patente (Escoubet/Belgio 1999) o di altre autorizzazioni amministrative (licenza  per vendita di alcoolici: Traktorer/Svezia 1989) per venir meno dei requisiti o per violazioni che evidenzino l'incompatibilità del mantenimento del titolo con l'interesse pubblico tutelato dalla norma di settore;

18)l'iscrizione nel registro dei sex offeders (G/Franzia 2009) o dei responsabili di condotte diffamatorie;

19)La carcerazione preventiva (Lawless/Iralanda ; Mucci/Italia 1998)

20)la misura di sicurezza detentiva con finalità terapeutiche  (Sicherungverwahrung) rispetto a turbe sessuali (Germania 2018)

21) la sanzione di tre fine settima di isolamento in carcere (A. Spagna 1986); isolamento sociale imposto al detenuto non per provvedimento ma in considerazione del fatto di essere il solo carcerato (Ocalan/Turchia 2014, soluzione discutibile, visto che di fatto l'isolamento è, in questo caso.  frutto della vol0ntò dell'autorità);

22)la sospensione dei diritti pensionistici all'esito di un procedimento disciplinare  (Haioun/ Francia 2004);

23)il prelievo e la conservazione in una banca dati dei campioni delle persone condannate ( Van Der Valden/Paesi bassi 2006);

24)la  confisca volta ad apprendere beni di origine illecita di  responsabili di reati contro la pa e loro congiunti i (Gogitidze/Georgia 2015);

24)misura di sicurezza  applicata a soggetto penalmente non responsabile (ricovero obbligatorio in ospedale ( Berland/Framcia 2015);

25)il recupero  d'imposta senza penalità (Oxygene/Francia 2016);

26)revoca dell'iscrizione all'albo dei commissari liquidatori fallimenti (Rola/Slovenia 2019);

27)  sospensione disciplinare in un contesto sportivo professionistico (Platini Sviezzera 2020);

28) misure di sorveglianza amministrativa irrogata dopo l'esecuzione della pena per fronteggiare  reiterazioni (Timofeyev/Russia, 2021, anche con riferimento a casi di incisione lignificati della libertà di circolazione e di altri diritti fondamentali).

Si deve, in conclusione, rilevare che l'esclusione della natura criminale è compensata dalla soggezione di tali misure alla  tutela del diritto al ricorso effettivo ex  13 della Convenzione e dall'articolo 47 della Carta di Nizza nonché ai limiti imposti sul piano della legalità e proporzionalità a tutela dei diritti civili ex art. 6 cedu in tema di libertà' personale ex art. 5, circolazione art. 2 protocollo 4, diritto di proprietà protocollo 1, vita privata art. 8 e libertà di riunione e associazione ex art. 8):

Da ultimo, Corte cost. n 148/2022 ha escluso la natura punitiva delle sanzioni amministrative di cui all 'art. 75 comma 1 DPR n. 309/1990.

Ambito di applicazione

Le sanzioni amministrative sono soggette, come si è detto, alla riserva relativa di legge posta dall'art. 23 Cost.

Tuttavia, l'art. 1, l. n. 689/1981, contenuto nel Capo I «principi generali», riprende in maniera quasi letterale l'art. 25, comma 2, Cost., attribuendo alla legge un ruolo assai più intenso: esso infatti stabilisce che «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione».

Dunque, per le sanzioni amministrative vige un principio di stretta legalità, nel senso che fonti prive del valore di legge non possono introdurre fattispecie di illecito amministrativo. Le differenze con l'analogo principio di matrice penalistica sono, tuttavia, rilevanti.

In primo luogo, il principio di legalità, inteso come riserva assoluta di legge, in diritto penale ha rango costituzionale; al contrario, per le sanzioni amministrative esso ha fondamento in una disposizione legislativa, in quanto la disposizione costituzionale di riferimento, il soprarichiamato art. 23 Cost., prevede solo una riserva relativa.

Per questa ragione, il principio di legalità nelle due materie assume rilievo giuridico assai diverso: in materia penale esso non ammette deroghe da parte della legislazione ordinaria, mentre una legge ordinaria ben potrebbe derogare alla l. n. 689/1981, prevedendo che la condotta sanzionata sia delineata in una fonte secondaria.

Invero, come precisato dalla Consulta, il principio della irretroattività delle leggi è stato costituzionalizzato soltanto con riguardo alla materia penale, mentre per le restanti materie l'osservanza del principio stesso è rimessa alla prudente valutazione del legislatore (Corte cost. n. 68/1984).

Il principio di legalità si concreta anche nel principio, di matrice penale, di divieto di applicazione retroattiva della disposizione che introduce la sanzione amministrativa. Tuttavia, a parte la regola per cui un soggetto non può essere punito in forza di una legge entrata in vigore dopo la commissione del fatto, non esiste per le sanzioni amministrative un principio analogo a quello enunciato nell'art. 2, comma 2 e 3, c.p. (applicazione della norma più favorevole al reo): in base all'art. 1, comma 2, l. n. 689/1981, le leggi che introducono sanzioni amministrative si applicano solo nei casi e per i tempi da esse considerati e tale disposizione è stata interpretata nel senso che, nel caso di successione temporale di leggi, si applica comunque la legge vigente al momento di commissione del fatto, quand'anche meno favorevole al trasgressore: è stata quindi esclusa la possibilità di applicare alle sanzioni amministrative il principio desumibile dall'art. 2, comma 2 e 3, c.p..

Si determina, pertanto, in ragione del principio tempus regit factum, applicabile «esclusivamente alle regole procedimentali (ovvero all'iter volto all'adozione della sanzione) e non a quelle sostanziali (ovvero ai suoi presupposti di irrogazione ed alla sua entità), l'ultravigenza del regime punitivo precedente, nonostante la successiva innovazione legislativa dagli effetti benefici per il trasgressore. Tale ricostruzione, condivisa sia in dottrina (Cerbo, 11) che in giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cass., sez. lav., n. 14959/2009), non esclude che il legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, possa modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore, in considerazione delle materie oggetto di disciplina; la retroattività della legge più favorevole è stata, ad esempio, espressamente prevista per gli illeciti amministrativi tributari e valutari (Cons. St. VI, n. 3497/2010).

L'art. 1, comma 2, l. n. 689/1981 – secondo il quale le leggi che prevedono sanzioni si applicano «soltanto nei casi» in esse considerati – introduce anche un divieto di analogia, in nome di un'esigenza di certezza e determinatezza della fattispecie (esigenza che si concreta in diritto penale nel principio del nullum crimen, nulla poena sine lege). Il principio in commento vieta, in sostanza, di estendere la portata, tramite il c.d. procedimento analogico, delle norme che prevedono sanzioni amministrative (analogia in malam partem) a casi simili e materie analoghe.

In tema di illeciti amministrativi, l'adozione del principio di legalità ed il divieto di integrazione analogica di cui all'art. 1 l. n. 689/1981, comportano l'assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina previgente meno favorevole (Cons. St. II, n. 412/2000).

Potestà sanzionatoria delle regioni in materia di competenza residuale

In ordine al procedimento sanzionatorio complessivamente inteso ed introdotto, come detto, in maniera organica ed uniforme solo a partire dal 1981 con la legge in commento, degna di nota risulta una recentissima sentenza resa dalla Corte Costituzionale, relativa alla potestà sanzionatoria delle Regioni nelle materie di competenza residuale (Corte cost. n. 5/2021).

La Corte costituzionale si è pronunciata sulla l. Regione Veneto n. 25/2019, la quale aveva stabilito (art. 1) che nelle materie di «competenza esclusiva» della Regione non può essere irrogata alcuna sanzione amministrativa, «se prima non sia consentita la regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione da parte del soggetto interessato»; al contempo, la disposizione aveva demandato alla Giunta regionale l'individuazione non soltanto degli adempimenti o delle regolarizzazioni richieste in relazione a ciascuna violazione, ma anche delle stesse violazioni per le quali non fosse ammissibile alcuna forma di sanatoria.

Dall'analisi della sentenza resa dalla Consulta, emerge che nelle materie di legislazione residuale le Regioni non siano del tutto libere di discostarsi dalla l. n. 689/1981 nella configurazione di propri sistemi sanzionatori: le Regioni sono ancora fortemente condizionate dalla legislazione statale nella ‘costruzione' di propri sistemi sanzionatori. Invero, l'interconnessione necessaria fra procedimento penale e procedimento sanzionatorio amministrativo – resa ancora più stretta dalla giurisprudenza convenzionale sul ne bis in idem – rende molto problematica la costruzione di sistemi sanzionatori completamente autonomi ad opera di ciascuna Regione.

Tutto ciò non implica però che le Regioni debbano giocoforza uniformarsi al modello imposto dalla legislazione statale, ricalcando pedissequamente la l. 689/1981 nella costruzione dei propri sistemi sanzionatori; al contrario, ben possono individuare soluzioni alternative che – non interferendo con la potestà punitiva in ambito penale – risultino tuttavia compatibili con essa.

Questioni applicative

1) In quali casi le sanzioni amministrative sono considerate penali ai sensi degli articoli 6 e 7 della CEDU?

La Corte di Strasburgo – al deliberato scopo di evitare la cd. «truffa delle etichette», ossia l'eventualità che gli Stati membri eludano l'applicazione delle garanzie convenzionali facendo leva sulle proprie categorie giuridiche interne di carattere formale – ha coniato, a fini convenzionali, un'autonoma nozione di «pena» e «reato» e, più in generale, di «materia penale». A partire dalla nota sentenza 23 settembre 1976, n. 22, Engel e altri c. Paesi Bassi, la Corte EDU ha chiarito che per stabilire la natura penale o meno di un illecito (e della relativa sanzione) previsto da uno Stato membro, occorre fare applicazione dei seguenti criteri (denominati «criteri Engel», dal nome, appunto, della storica pronuncia nella quale sono stati per la prima volta enucleati): a) la qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, con la precisazione che non si tratta di un criterio vincolante laddove la natura sostanzialmente penale dello stesso sia comunque accertata in applicazione degli altri parametri; b) la natura e lo scopo della sanzione che deve avere una funzione prevalentemente afflittivo/punitiva e non meramente riparatoria e risarcitoria; c) la gravità della sanzione, avendo riguardo al massimo edittale previsto in astratto dalla legge.

In applicazione di detti criteri, la Corte EDU è così giunta a riconoscere natura sostanzialmente penale a numerose sanzioni – pecuniarie e interdittive – che, sul piano nazionale, hanno natura formalmente amministrativa, con la conseguenza di estendere a esse le garanzie processuali e sostanziali di cui agli artt. 6 e 7 CEDU: si pensi, ad esempio, alle sanzioni pecuniarie previste dalla l. n. 689/1981, a quelle contenute nel codice della strada, a quelle irrogate dalle Autorità amministrative Indipendenti sulla base delle rispettive discipline di settore nonché a svariate forme di confisca. Al contrario, proprio perché prive di natura afflittiva, sono, in linea di principio, rimaste escluse dall'attrazione alla «materia penale» a fini convenzionali, 1. Cosa si intrende per «diritto amministrativo punitivo»? le sanzioni (cd. in senso lato) che hanno una prevalente finalità ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell'interesse pubblico pregiudicato dal comportamento illecito, quali, tipicamente, le sanzioni edilizie; ovvero misure eminentemente precauzionali, preventive o inibitorie come i daspo, le informative antimafia, l'espulsione degli stranieri irregolari, scioglimenti o commissariamenti di enti pubblici e privati e, in generale, le misure amministrative di prevenzione.

2) Quali sono le garanzie procedurali applicabili alle sanzioni amministrative sostanzialmente penali?

La qualificazione della sanzione nazionale formalmente amministrativa in termini di sanzione sostanzialmente penale implica, innanzitutto, la necessità che il procedimento volto alla sua irrogazione sia improntato alle garanzie dell'equo processo di cui all'art. 6, par. 1-3 CEDU.

Sul punto si impongono due considerazioni.

Per un verso, molte delle garanzie in questione – ci si riferisce, ad esempio, ai principi del contraddittorio, della completezza e della pubblicità dell'istruttoria, dell'obbligo di motivazione del provvedimento conclusivo, della ragionevole durata del procedimento – sono già previste a livello nazionale dalla l. n. 689/1981 e dalla legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990.

Per altro verso, risulta evidente come, se intesa in senso radicale, la compiuta conformità del procedimento amministrativo ai canoni dell'equo processo avrebbe effetti dirompenti: a rigore, infatti, sarebbe pienamente conforme alle prescrizioni convenzionali solo un procedimento amministrativo paragiurisdizionale, nel quale le parti si trovino in condizione di totale parità di fronte a un'autorità decidente terza rispetto a esse e, al contempo, indipendente dall'esecutivo e da ogni influenza esterna (Allena).

Tale modello è, tuttavia, estraneo al nostro ordinamento amministrativo. Si pensi, emblematicamente, alla garanzia – tipica dell'equo processo ex art. 6 CEDU – che l'autorità decidente sia «indipendente [e imparziale]»: in disparte il modello delle Autorità amministrative indipendenti, si tratta di una prerogativa del tutto estranea al nostro sistema amministrativo nel quale le connessioni fra P.A. e potere esecutivo sono, non solo fisiologiche ma, invero, indispensabili ai fini dell'esercizio del potere di indirizzo politico-amministrativo che l'art. 95 Cost. attribuisce al Governo. Consapevole che il modello del procedimento amministrativo quasi judicial non è in linea di principio accolto nei tradizionali sistemi di diritto amministrativo continentale, la Corte di Strasburgo ha assunto un approccio elastico affermando che, ai fini convenzionali, le garanzie dell'equo e giusto procedimento non vanno tutte necessariamente soddisfatte nella fase amministrativa, potendo essere recuperate nella successiva fase giurisdizionale davanti a un giudice che sia investito del potere di riesaminare in fatto e in diritto la fattispecie con un sindacato pieno equivalente a quello dell'autorità amministrativa. In altri termini, la Corte EDU ha fatto propria una soluzione flessibile basata sulla concezione unitaria di procedimento e processo amministrativo: tutte le volte in cui non viene data concreta attuazione alle garanzie dell'art. 6 CEDU nel corso del procedimento amministrativo, assume rilevanza la successiva fase processuale come luogo di possibile correzione, sia pure ex post e in via eventuale, dei deficit di tutela che si siano verificati in sede procedimentale.

Tanto premesso, occorre rilevare che, per avere tale capacità correttiva, il processo dovrebbe costituire luogo di compiuto riesame della scelta amministrativa: la giurisdizione amministrativa, per poter effettivamente compensare le garanzie mancate in sede procedimentale, dovrebbe, cioè, necessariamente avere carattere pieno e sostitutivo (così Cons. St. VI, n. 4990/2019, che rivendica un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust, in ragione della necessità di un accesso pieno e diretto del giudice al fatto ai fini dell'autonoma verifica dei presupposti dell'illecito sanzionato; la sentenza del Consiglio di Stato è stata confermata da Cass. S.U., n. 26920/2021, in Foro it., 1/2021, con commento di A. Caringella).

Al riguardo, dette caratteristiche sono rinvenibili nel giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative ai sensi della l. n. 689/1981, posto che tale giudizio si configura come rivolto all'accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria, investendo la legittimità formale e sostanziale di detto provvedimento attraverso i mezzi istruttori propri del processo civile. Con riferimento, invece, alle sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del G.A., ivi comprese quelle irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti, l'art. 134 c.p.a. riconduce tali fattispecie alla giurisdizione di merito, sì che in tali casi – dando piena attuazione al parametro convenzionale della full jurisdiction – il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica di cui tali sanzioni sono espressione dovrebbe ritenersi forte, pieno e interamente sostituivo, attribuendosi al giudice non solo il potere di rideterminare il quantum della sanzione irrogata, ma anche, più a monte, il potere di sostituirsi all'amministrazione nelle valutazioni compiute in ordine all'accertamento del fatto illecito sanzionato.

Sul punto, deve, tuttavia, rilevarsi che, con peculiare riferimento alle sanzioni pecuniarie irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti (sulle quali si è maggiormente incentrato il dibattito giurisprudenziale interno in tema di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica), parte della giurisprudenza amministrativa, nonostante, come detto, disponga di una giurisdizione estesa al merito ex art. 134 c.p.a., sembra (inspiegabilmente) opporre una certa resistenza a esercitare pienamente tutti i poteri decisori e sindacatori che il legislatore gli ha messo a disposizione (Cimini), limitando, anche in tali casi, il proprio sindacato – sia pur intrinseco – a un sindacato di tipo «debole». Da un filone della giurisprudenza amministrativa emerge cioè che l'intensità dello scrutinio sulle valutazioni tecniche sottostanti i provvedimenti sanzionatori adottati dalle A.A.I. non potrebbe in ogni caso superare il limite delle valutazioni tecniche «opinabili»: «il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità dell'Autorità si svolge non soltanto riguardo ai vizi dell'eccesso di potere (logicità, congruità, ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza del provvedimento sanzionatorio e del relativo impianto motivazionale), ma anche attraverso la verifica dell'attendibilità delle operazioni tecniche compiute, quanto a correttezza dei criteri utilizzati e applicati, con la precisazione che resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché al giudice amministrativo è consentito censurare la sola violazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, di modo che il relativo giudizio non divenga sostitutivo con l'introduzione di una valutazione parimenti opinabile (Cons. St. VI, n. 2302/2014 e Cons. St. VI, n. 13211/2019). Ne consegue, pertanto, che, secondo questo orientamento, nonostante la previsione legislativa di una giurisdizione di merito, il giudice amministrativo potrebbe esercitare un sindacato pieno solamente per il profilo della quantificazione della sanzione pecuniaria, senza possibilità di sostituire la propria valutazione tecnica a quella della P.A. per quanto attiene all'an della sanzione e, dunque, all'accertamento, di fatto e di diritto, dell'illecito.

L'impostazione giurisprudenziale descritta è stata oggetto di plurime critiche in dottrina. In materia vedi sulle sanzioni inflitte dalle Autorità indipendenti, ove si approfondisce la ricostruzione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 11929/2019 dei principi espressi dalla giurisprudenza in ordine ai limiti sul controllo giurisdizionale relativo ai provvedimenti resi dalle Autorità indipendenti. Per un verso si sostiene che il giudice amministrativo, nei confronti di provvedimenti amministrativi di sua spettanza, non potrebbe non avere gli stessi poteri riconosciuti al giudice ordinario; per altro verso, sul piano logico, ci si domanda come il sindacato pieno e sostitutivo sul quantum sanzionatorio possa andare disgiunto da un sindacato altrettanto pieno e sostitutivo sull'an dell'illecito, che della sanzione e del suo ammontare è il presupposto logico (Cimini). Pare, insomma, che almeno là dove la legge espressamente lo consente prevedendo una giurisdizione estesa al merito, non ci siano ragioni per escludere un sindacato integralmente sostitutivo esteso non solo alla quantificazione della sanzione, ma anche ai presupposti dell'illecito e, dunque, a ogni valutazione di fatto e di diritto rilevante per il suo accertamento.

Vedi poi Cons. St. IV, n. 3809/2021: «In tema di sindacato del giudice amministrativo sull'attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore; l'unico limite in cui si sostanzia l'intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l'Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all'esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall'Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell'Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate (sul piano tecnico), che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto. Ha affermato la Sezione che nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale; quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l'attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l'interesse pubblico concreto che l'atto mira a soddisfare.»

3) La CEDU tutela il diritto al silenzio dell'imputato (nemo tenetur se detegere) nei procedimenti amministrativi sostanzialmente punitivi?

La natura afflittiva e sostanzialmente «punitiva» delle sanzioni irrogate dalle Authorities ha fatto emergere, recentemente, una serie di profili di particolare importanza relativi all'applicabilità nel procedimento sanzionatorio delle garanzie fondamentali riconosciute in ambito penale in relazione al diritto di difesa, all'applicazione retroattiva delle modifiche sanzionatorie in mitius e al principio di proporzionalità della pena (vedi sul rapporto tra sanzioni principali e accessorie, Cons. St. II, n. 3548/2020: e sul divieto dio sanzioni ultrattive Cons. St. V, udienza 4 giugno 2020, causa n. 1292/2020).

Sotto il profilo delle garanzie connesse al diritto di difesa, viene in rilievo, la recente giurisprudenza nazionale ed europea sull'applicazione, nel procedimento sanzionatorio, del principio nemo tenetur se detegere.

La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha chiarito che il “diritto al silenzio” che spetta a chi potrebbe essere incolpato di un reato vale anche davanti alla CONSOB per gli illeciti di sua competenza, rilevando che, per il diritto unionale chi è sospettato di market abuse abbia il diritto di non rispondere alle domande della Consob nell'ambito della sua attività di vigilanza sui mercati finanziari ( Corte Giust. Grande Camera, 2 febbraio 2021, C. 489/19 ).

Richiamando la propria costante giurisprudenza, la Corte Costituzionale ha quindi ritenuto che il «diritto al silenzio» dell'imputato – pur non godendo di espresso riconoscimento costituzionale – costituisca un “corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa” riconosciuto dall'art. 24 Cost. Tale diritto garantisce all'imputato la possibilità di rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, più in generale, di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande del giudice o dell'autorità competente per le indagini (Corte cost. n. 84/2021).

4) Quali sono le garanzie sostanziali CEDU in materia di sanzioni amministrative sostanzialmente penali?

La qualificazione, a fini convenzionali, della sanzione nazionale formalmente amministrativa in termini di sanzione sostanzialmente penale implica, poi, l'estensione alla stessa delle garanzie sostanziali connesse al principio di legalità ex art. 7 CEDU, sì come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

In argomento, occorre rilevare, per un verso, che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo – attesa la presenza fra i sottoscrittori della CEDU anche di Stati di common law – ha ricompreso nella nozione di «legge», ai fini di cui all'art. 7 CEDU, non solo il diritto di origine legislativa ma anche quello di fonte giurisprudenziale. Per altro verso, e di conseguenza, la Corte EDU, disinteressandosi della fonte formale nella quale è contenuto il precetto penale (ossia di quel corollario del principio di legalità che sul piano nazionale coinciderebbe con la riserva di legge) è costante nel declinare il principio di legalità in termini essenzialmente sostanziali/funzionali, come chiara prevedibilità ex ante delle conseguenze sanzionatorie che il diritto nazionale – vigente e vivente – ricollega a una determinata condotta. In questo senso, le norme di diritto interno che introducono una «pena» – e, dunque, seguendo l'interpretazione della Corte di Strasburgo, anche una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale – devono non solo enunciare in modo sufficientemente chiaro, preciso e puntuale la fattispecie sanzionata, ma devono essere anche accessibili e prevedibili mettendo il cittadino nelle condizioni di «poter conoscere, a partire dal testo della norma e, se necessario, per mezzo dell'interpretazione datane dai tribunali, quali atti e omissioni comportano la sua responsabilità penale».

Così, con la sentenza del 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, la Corte di Strasburgo, muovendo dalla qualificazione in termini di «pena» della confisca urbanistica in materia di lottizzazione abusiva ex art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, ha ravvisato la violazione dell'art. 7 CEDU nella misura in cui la suddetta confisca era stata inflitta sulla base di una normativa poco chiara, irrispettosa dei necessari requisiti di conoscibilità e prevedibilità. Al riguardo, la Corte ha preso atto della circostanza che la Cassazione nazionale aveva assolto gli imputati dal reato di lottizzazione abusiva, riconoscendo loro un errore inevitabile e scusabile nell'interpretazione delle norme violate (art. 5 c.p.), atteso che la legge regionale applicabile, unita alla legge nazionale, era «oscura e mal formulata», che la sua interferenza con la legge nazionale in materia aveva prodotto una giurisprudenza contraddittoria e, infine, che i responsabili del Comune avevano autorizzato la lottizzazione e rassicurato i ricorrenti quanto alla sua regolarità. Alla luce di tali specifiche circostanze – riconosciute e accertate dallo stesso Supremo consesso nazionale – la Corte EDU ha concluso nel senso che la base giuridica del reato non rispondeva ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità, sì che era impossibile prevedere che sarebbe stata inflitta una sanzione.

Sulla spinta della consolidata giurisprudenza di Strasburgo formatasi in ordine alla portata degli artt. 6 e 7 CEDU, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che le sanzioni amministrative che abbiano natura sostanzialmente penale a fini convenzionali devono considerarsi, in linea di principio, come penali anche per l'ordinamento interno e, per l'effetto, soggette alle medesime garanzie. Più in particolare, la Consulta – superando il proprio granitico orientamento per cui il principio di legalità per le sanzioni amministrative avrebbe trovato positivizzazione solo a livello di legge ordinaria, a opera dell'art. 1 della l. n. 689/1981 (ai sensi del quale «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione») – è giunta a riconoscere che l'art. 25, co. 2 Cost. – tradizionalmente riferito alle sole sanzioni penali – deve ritenersi applicabile, in ragione dell'ampiezza della sua formulazione, anche alle sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo, con la conseguenza che «ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile – in senso stretto – a vere e proprie misure di sicurezza) è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (Corte cost. n. 4/2010; Corte cost. n. 104/2014; Corte cost. n. 49/2015).

Se, per questa via la Consulta è giunta a estendere alle sanzioni amministrative di carattere punitivo le principali garanzie costituzionali afferenti alla materia penalistica, essa ha, tuttavia, sempre tradizionalmente escluso una completa sovrapponibilità tra sanzione formalmente e sostanzialmente penale e sanzione solo sostanzialmente penale ma formalmente amministrativa.

Più in particolare, la Consulta, se ha riconosciuto l'applicabilità alle sanzioni amministrative di carattere afflittivo del contenuto essenziale e inaffievolibile delle garanzie costituzionali in materia penale, costituito, innanzitutto, dai principi di irretroattività sfavorevole ex art. 25, comma 2 Cost. (cfr., ad esempio, Corte cost. n. 196/2010 in cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione che introduceva, in via retroattiva, l'obbligo di confisca del veicolo in caso di condanna per guida in stato di ebbrezza) e di colpevolezza ex art. 27 Cost. (cfr. Cass. S.U., n. 14484/2014, che, sempre in tema di confisca del veicolo per guida in stato di ebbrezza, ne hanno escluso l'eseguibilità nei confronti di chi sia rimasto del tutto estraneo al fatto di reato, nella specie la società di leasing proprietaria dell'autovettura), ha tradizionalmente escluso la generalizzata estensione a tali sanzioni di tutti i principi e le garanzie previste dalla legge per le sanzioni penali, invocando, in proposito, l'esistenza di un margine di apprezzamento in capo al legislatore statale (Cimini).

Così, in applicazione del predetto margine di apprezzamento, l'orientamento consolidato della Consulta è sempre stato nel senso di escludere l'applicabilità, in via generale, alle sanzioni amministrative punitive del principio di retroattività della lex mitior. Tale principio, come noto, pur non essendo oggetto di espressa considerazione né nel testo della CEDU né in quello della Costituzione, è comunque da entrambi ricavabile in via interpretativa, trovando implicito fondamento, rispettivamente, nell'art. 7 CEDU (secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo a partire dalla sentenza Scoppola c. Italia del 2009) e nei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.

Orbene, anche le descritte tradizionali resistenze alla generalizzata penetrazione del principio della retroattività favorevole nel sistema del diritto amministrativo punitivo sembrano essere state, oggi, definitivamente superate dalla Consulta con la recente sentenza del 21 marzo 2019, n. 63 che, pur se dettata con riferimento alla specifica fattispecie sanzionatoria di cui all'art. 187-bis TUF (illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate) è senz'altro espressiva di principi di portata generale.

Con tale pronunciamento, la Corte Costituzionale ha affermato che, quando una sanzione amministrativa ha natura e finalità punitiva, a essa non può che estendersi l'intero complesso dei principi CEDU relativi alla materia penale, ivi compreso, pertanto, il principio di retroattività favorevole ricavabile dall'art. 7 della Convenzione. A tal fine – precisa la Consulta – non è necessario che esista un precedente della Corte di Strasburgo relativo alla medesima fattispecie che ne affermi la natura sostanzialmente penale, dovendosi respingere l'idea che l'interprete non possa applicare le garanzie CEDU se non con riferimento ai casi che siano già stati oggetto di puntuali pronunce da parte della Corte di Strasburgo. L'estensione generalizzata del principio di retroattività della lex mitior alle sanzioni amministrative aventi natura e funzione punitiva è del resto coerente – secondo il rinnovato indirizzo della Consulta – alla logica sottesa alla giurisprudenza sviluppatasi, sulla base dell'art. 3 Cost., in ordine alle sanzione propriamente penali. Invero, laddove la sanzione amministrativa abbia natura penale non vi sarà di regola (cioè salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale che resistano al vaglio positivo di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.) alcun motivo per continuare a farne applicazione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito, né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva e sproporzionata rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell'illecito da parte dell'ordinamento (vedi anche Corte cost. n. 32/2020, che estende il principio di irretroattività della legge sfavorevole anche alle norme relative all'esecuzione della pena che abbiano un'incidenza negativa sullo status libertatis, e da ultimo Corte cost. n. 68/2021 , che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4 della l. n. 87/1953, nella parte in cui, come interpretato dalla giurisprudenza della Cassazione, non comporta la cessazione dell'esecuzione (oltre che delle sanzioni penali, anche) delle sanzioni amministrative accessorie sostanzialmente punitive applicate da una sentenza passata in giudicato applicativa di legge dichiara incostituzionale. In quest'ultima fattispecie si trattava della revoca della patente di guida disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, del codice della strada).

5) Che ruolo gioca il principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative?

Altro profilo di particolare importanza è anche quello che attiene all'applicabilità del principio di proporzionalità della pena alle sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo e quindi una natura sostanzialmente punitiva (Corte cost. n. 112/2019).

La Corte costituzionale ha dichiarato incompatibile con la Costituzione la previsione dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58/1998 (sia nel testo originario che nella versione introdotta ex art. 4, comma 14, del d.lgs. n. 107/2018), nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito, e non del solo profitto.

La Corte ha ritenuto che, mentre la confisca del «profitto» ha natura meramente «ripristinatoria», e come tale rappresenta la naturale e legittima reazione dell'ordinamento all'illecito arricchimento realizzato dal soggetto, la confisca del «prodotto» e dei «beni utilizzati» per commettere l'illecito hanno invece natura propriamente «punitiva» e, cumulandosi con le già severe sanzioni pecuniarie del Testo unico, portano a risultati sanzionatori sproporzionati. Secondo la Corte, questa sproporzione emerge in modo evidente nel caso esaminato, in cui – a fronte di un profitto di circa 27.000 euro ricavato dall'operazione illecita – il soggetto è stato sottoposto a una sanzione patrimoniale complessiva di circa 350.000 euro, la cui componente «punitiva» è circa tredici volte superiore all'effettiva utilità economica ricavata dall'operazione. La Corte ha pertanto dichiarato illegittima la previsione della confisca del «prodotto» e dei «beni utilizzati» per commettere gli illeciti previsti dal testo unico sulla finanza, mentre rimangono ferme, invece, le altre sanzioni pecuniarie e la confisca del «profitto» tratto dalla commissione dell'illecito.

Vedi anche Corte cost. n. 185/2021 sulle sanzioni in tema di gestione di sale gioco, che ha reputato eccesiva la sanzione amministrativa fissa di 50.000 euro prevista dall'articolo 7 comma 6 del d.l. Balduzzi n. 158/2012 a carico dei concessionari del gioco e dei titolari di sale giochi e scommesse, p0er la violazione degli obblighi di avvertimento sui rischi di dipendenza dal gioco d'azzardo previsti dal comma 5 della stessa disposizione.

6) Quali connotati devono permeare un'autorità amministrativa sanzionatoria per essere equiparata a un giudice penale?

Con la sentenza 10 dicembre 2020, Edizioni Del Roma Società Cooperativa A.R.L. e altra contro Italia (ricorsi n. 68954/13 e n. 70495/13) la Corte di Strasburgo, così, ha respinto il ricorso di alcune società secondo le quali le sanzioni pecuniarie inflitte dall'AGCOM, con consequenziale perdita dei finanziamenti pubblici, erano in contrasto con la Convenzione. Sia il Tribunale amministrativo di Roma, sia il Consiglio di Stato avevano rigettato i ricorsi avviati dalle due società che si sono rivolte a Strasburgo.

La Corte Europea dei diritti dell'uomo si pronuncia sulla natura penale, secondo i c.d. criteri Engel, delle sanzioni pecuniarie irrogate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCom) e ribadisce la sussistenza dei requisiti di indipendenza e di imparzialità del giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi sulla legittimità, o meno, di tali sanzioni.

Con la sentenza in rassegna la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) si è pronunciata sull'applicabilità dei c.d. criteri Engel con riguardo alle sanzioni pecuniarie irrogate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCom), ritenendole assoggettate – a determinate condizioni – all'art. 6 della Convenzione EDU, con conseguente necessità che l'incolpato sia ascoltato nell'ambito di una «udienza pubblica», pur di fronte all'autorità amministrativa procedente.

La fattispecie portata all'esame della Corte di Strasburgo coinvolgeva due imprese romane che erano state sanzionate dall'AGCom per aver usufruito indebitamente dei contributi per l'editoria previsti dalla legge n. 416 del 1981.

Le sanzioni erano state impugnate dinnanzi al T.A.R. Lazio, sezione II, il quale, con sentenza 25 giugno 2012, n. 5785 (in Giurisdiz. amm., 2012, II, 1020), ha respinto il ricorso di primo grado.

Con sentenza 22 aprile 2013, n. 2241 (in Giurisdiz. amm., 2012, ant., 1066), il Consiglio di Stato, sezione III, ha respinto l'appello che era stato promosso dalle due imprese, in particolare affermando che «La disciplina generale sulla partecipazione nel procedimento amministrativo contenuta nella l. n. 241/1990, non prevede l'imprescindibile diritto alla discussione orale davanti all'autorità che adotta la decisione conclusiva del procedimento, dovendo essere comunque garantito il contraddittorio, che, nella fattispecie relativa a sanzioni applicate dall'AGCom, è assicurato dagli avvisi inviati alle parti interessate che possono poi accedere agli atti della procedura e presentare, in relazione ad essi, propri scritti difensivi ed, infine, possono essere ascoltati dal responsabile del procedimento» e che «Il legislatore ha istituito un sistema di aiuti pubblici all'editoria (per favorirne l'indipendenza), con la contropartita di un sistema di pubblicità, o trasparenza, degli assetti proprietari ed imprenditoriali, che «serve primariamente a consentire il controllo dell'opinione pubblica sulla genuinità delle fonti di informazione, e, secondariamente, a prevenire casi di abnorme concentrazione di potere editoriale»; in conseguenza l'inosservanza degli obblighi connessi al sistema di trasparenza (obblighi di denuncia, di registrazione, etc.) è sanzionata dalla legge a prescindere dagli effetti che ne siano derivati e, perché la sanzione venga applicata, è sufficiente che chi vi era tenuto abbia omesso di denunciare il fatto di essere titolare di un potere di controllo sull'impresa editoriale di un giornale quotidiano, pur se si tratti di un potere acquisito ed esercitato con la massima correttezza desiderabile».

Le due imprese hanno avanzato ricorso dinnanzi alla CEDU che, con la sentenza in epigrafe, ha affermato quanto segue:

a) anzitutto, in punto di ricevibilità del ricorso, e quanto alla natura della sanzione che, nella specie, era stata inflitta dall'AGCom, la Corte di Strasburgo richiama la propria giurisprudenza consolidata secondo la quale:

a1) per determinare se sussista la natura «penale», occorre tenere conto di tre criteri, tra di loro alternativi e non cumulativi: la qualificazione giuridica della misura in questione nel diritto nazionale; la natura stessa di quest'ultima; e la natura e il grado di severità della «sanzione» (sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A, n. 22, in Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, 2006, 201);

a2) rileva, pertanto, la natura «penale» dell'illecito rispetto alla Convenzione EDU, ai sensi dell'art. 6 di quest'ultima, circostanza che ricorre anche quando un illecito abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientra in linea generale nell'ambito della «materia penale»; è possibile, peraltro, adottare «un approccio cumulativo», che consideri i tre requisiti contemporaneamente, qualora «l'analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara in merito alla sussistenza di un'«accusa in materia penale»» (sentenza 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, n. 73053/01, par. 30 e 31, in Rass. trib., 2007, 216, con nota di Greggi, in Riv. giur. trib., 2007, 389, con note di Marcheselli e Glendi, ed in Riv. dir. trib., 2007, IV, 53, con nota di La Scala; sentenza 31 luglio 2007, Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, par. 31);

a3) nella specie, si tratta di una sanzione che il diritto nazionale qualifica come «amministrativa», ma le indicazioni del diritto interno hanno solo « un valore relativo» (sono qui richiamate, della Corte EDU: sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, par. 52, serie A n. 73, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, 894, con nota di Paliero; sentenza 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, n. 43509/08, par. 39, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 414, solo massima, con nota di D'ancona; sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10, in Foro it., 2015, IV, 129; in Dir. e pratica trib., 2015, II, 282, con nota di Vinciguerra, ed in Bollettino trib., 2015, 1014, con nota di Azzoni);

a4) l'AGCom ha il compito di «promuovere la trasparenza nella struttura delle imprese e delle società che operano nel settore dell'informazione affinché quest'ultima sia libera e accessibile, e non concentrata nelle mani di centri di potere economico», venendo dunque in considerazione « interessi generali della società normalmente protetti dal diritto penale» (cfr. sentenza A. Menarini Diagnostics s.r.l., cit., par. 40; nonché Società Stenuit c. Francia, rapporto della Commissione europea dei diritti dell'uomo del 30 maggio 1991, § 62, serie A n. 232 A), nella specie protetti da «norme che perseguono uno scopo sia preventivo – dissuadere le interessate dal ricominciare – che repressivo» (cfr. sentenza Jussila, cit., par. n. 38);

a5) la «pena» nella specie irrogata, pari ad euro 103.000,00, accompagnata dalla misura del divieto di accesso ad ulteriori forme di finanziamento, deve considerarsi «severa» e tale da comportare, per le ricorrenti, «conseguenze patrimoniali importanti», sicché essa non può non rientrare nell'ambito penale (cfr., nello stesso senso, sentenza Öztürk, cit., par. n. 54, nonché, a contrario, la decisione del 2001 Inocêncio c. Portogallo, n. 43862/98);

a6) del resto, già in passato la Corte di Strasburgo ha dichiarato che il profilo penale dell'articolo 6 della Convenzione EDU è applicabile alle sanzioni inflitte dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (sentenza A. Menarini Diagnostics s.r.l., cit., par. n. 44), dalla Corte di disciplina di bilancio e finanziaria (sentenza del 2000 Guisset c. Francia, n. 33933/96, par. n. 59), dal Consiglio dei mercati finanziari (decisione 27 agosto 2002, Didier c. Francia, n. 58188/00), dal Consiglio della concorrenza (decisione 3 dicembre 2002, Lilly Francia S.A. c. Francia, n. 53892/00), dalla Commissione delle sanzioni dell'Autorità dei mercati finanziari (decisione 19 maggio 2009, Messier c. Francia, n. 25041/07), dalla Commissione bancaria (sentenza 11 giugno 2009, Dubus S.A. c. Francia, n. 5242/04, par. n. 38), e dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa CONSOB (sentenza Grande Stevens, cit., par. n. 101);

b) sulla questione se il procedimento dinanzi all'AGCom sia stato, nella specie, equo, e sulla correlata questione se tale autorità amministrativa possa considerarsi un tribunale indipendente e imparziale, la Corte di Strasburgo conclude in senso negativo, affermando che «il procedimento dinanzi all'AGCom non [ha] rispettato tutte le esigenze dell'articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e lo svolgimento di un'udienza pubblica che permettesse un confronto orale»; ciò, secondo il seguente percorso argomentativo:

b1) pur avendo le imprese ricorrenti usufruito della possibilità di difendersi nel corso del procedimento sanzionatorio, esse, tuttavia, non hanno avuto accesso al rapporto della Guardia di finanza, sul quale è stata poi fondata la decisione finale;

b2) il procedimento si è svolto in forma essenzialmente scritta, senza alcuna « udienza pubblica», nonostante che quest'ultimo elemento – ribadisce la Corte – costituisca «un principio fondamentale sancito dall'articolo 6 § 1» della Convenzione EDU (sentenza Jussila, cit., par. n. 40);

b3) è pur vero, comunque, «che l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non è assoluto» (sentenza 21 febbraio 1990, Håkansson e Sturesson c. Svezia, par. n. 66, serie A n. 171-A), e che «l'articolo 6 non esige necessariamente che si tenga un'udienza in tutti i procedimenti, soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilità o non si prestano a controversie sui fatti che rendano necessario un confronto orale, e nell'ambito delle quali i giudici possono pronunciarsi in maniera equa e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel fascicolo» (sono qui richiamate: sentenza 12 novembre 2002, Döry c. Svezia, n. 28394/95, par. n. 37; decisione 25 novembre 2003, Pursiheimo c. Finlandia, n. 57795/00; sentenza Jussila, cit., par. n. 41; decisione 17 maggio 2011, Suhadolc c. Slovenia, n. 57655/08);

b4) pur ricordando che, in materia penale, i tribunali possono talvolta astenersi dal tenere un'udienza pubblica, qualora i fatti contestati non abbiano «alcun carattere infamante per gli interessati», posto che le «accuse in materia penale non hanno tutte lo stesso peso» (sentenza Jussila, cit., par. n. 43), anche al di là dell'importanza che un determinato procedimento possa avere per la situazione personale di un ricorrente (decisione 16 maggio 2006, Pirinen c. Finlandia, n. 32447/02), la Corte tuttavia precisa che «il rigetto di una domanda volta a ottenere che si tenga un'udienza può essere giustificato solo in rare occasioni» (sentenza 8 febbraio 2005, Miller c. Svezia, n. 55853/00, par. n. 29, e sentenza Jussila, cit., par. n. 42);

b5) nel caso di specie, secondo la Corte, l'udienza pubblica era necessaria, posto che, «al di là della sua severità sul piano economico, la sanzione nella quale incorrevano le ricorrenti era di natura tale da pregiudicare la loro rispettabilità professionale e il loro prestigio»;

b6) inoltre, con riguardo alle varie fasi del procedimento sanzionatorio dinnanzi all'AGCom, il responsabile incaricato delle indagini e la commissione chiamata ad adottare la decisione finale risultano «operanti sotto l'autorità e la supervisione di uno stesso presidente», ciò traducendosi in un cumulo tra funzioni di indagine e di giudizio che, in materia penale, non è compatibile con l'esigenza di imparzialità di cui all'art. 6, par. 1, della Convenzione EDU (sono qui richiamate: sentenza 1° ottobre 1982, Piersack c. Belgio, parr. nn. 30-32, serie A n. 53, in Foro it., 1983, IV, 109; sentenza 26 ottobre 1984, De Cubber c. Belgio, parr. 24-30, serie A n. 86, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, 929, con nota di Ruggieri; sentenza Grande Stevens, cit., par. n. 137).

7) Quali soni i caratteri della «full jurisdiction» e i requisiti della giurisdizione in sede di controllo giudiziario sulle sanzioni amministrative sostanzialmente penali?

Nella vicenda di cui al punto precedente, infine, la Corte EDU passa ad affrontare la questione se le imprese ricorrenti, nella specie, abbiano o meno avuto accesso a un tribunale con piena giurisdizione; al riguardo afferma che:

c1) se, in linea di principio, la scelta del singolo Stato di affidare ad un'autorità amministrativa (nella specie, l'AGCom) il compito di perseguire e punire gli illeciti non è incompatibile con la Convenzione EDU, «occorre tuttavia sottolineare che l'interessato deve poter impugnare qualsiasi decisione adottata in questo modo nei suoi confronti dinanzi a un tribunale che offra le garanzie dell'articolo 6» (sono richiamate: sentenza 2 settembre 1998, Kadubec c. Slovacchia, par. n. 57; sentenza 16 novembre 2004, Čanády c. Slovacchia, n. 53371/99, par. n. 31; sentenza A. Menarini Diagnostics s.r.l., cit., par. n. 58);

c2) pertanto, non può escludersi che una «pena» possa essere imposta da un'autorità amministrativa (cfr. sentenza 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, par. n. 254, in Foro it., 2018, IV, 389, con nota di De Marzo, in Dir. pen. e proc., 2018, 1501, con nota di Quattrocchi, in Danno e resp., 2018, 567, con nota di Santoro, in Guida al dir., 2018, 31, 13, con nota di Minnella, in Processo penale e giustizia, 2019, 99, con note di Pulvirenti e Lo Giudice, in Urb. e appalti, 2018, 759, con nota di Scarcella, e in Giur. cost., 2018, 2151, con nota di Epidendio);

c3) ciò nondimeno, la decisione di un'autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni di cui all'art. 6 CEDU deve essere « sottoposta a un controllo a posteriori da parte di un organo giudiziario con piena giurisdizione» (sentenza 6 novembre 2018, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, par. n. 132), il quale deve avere «il potere di riformare interamente, in fatto e in diritto, la decisione emessa da un organo di grado inferiore» (sono qui richiamate: sentenza 13 febbraio 2003, Chevrol c. Francia, n. 49636/99, par. n. 77; sentenza 4 marzo 2004, Silvester's Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, par. n. 27; sentenza A. Menarini Diagnostics s.r.l., cit., par. n. 59);

c4) nella fattispecie – precisa la Corte – le imprese ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono avvalse, di contestare le sanzioni inflitte dall'AGCom dinnanzi al T.A.R. e al Consiglio di Stato, ossia davanti a organi giurisdizionali;

d) di seguito, quindi, la Corte di Strasburgo passa ad occuparsi della questione se tali organi giurisdizionali possano essere considerati, secondo la stessa giurisprudenza EDU, degli «organi giudiziari con piena giurisdizione»; al riguardo, la Corte afferma quanto segue:

d1) la nozione di «indipendenza» di un tribunale, ai sensi dell'art. 6, par. n. 1, della Convenzione EDU, richiede di esaminare le modalità di designazione e la durata del mandato dei suoi componenti, l'esistenza di una tutela contro le pressioni esterne e se vi sia o meno una apparenza di indipendenza (sentenza 25 febbraio 1997, Findlay c. Regno Unito, par. n. 73);

d2) pur se la nozione di separazione tra il potere esecutivo e quello giudiziario ha acquisito un'importanza sempre maggiore nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo (cfr. sentenza 28 maggio 2002, Stafford c. Regno Unito [GC], n. 46295/99, par. n. 78), tuttavia «né l'articolo 6 né altre disposizioni della Convenzione obbligano gli Stati a conformarsi a una qualsiasi nozione costituzionale teorica relativa alla possibilità di limitare l'interazione tra i poteri» (sentenza 6 maggio 2003, Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98 e altri 3, par. n. 193, in Foro it., 2004, IV, 565);

d3) la nozione di imparzialità, generalmente definita come «assenza di pregiudizio o di partito preso», va valutata sia secondo un approccio soggettivo, «tenendo conto della convinzione personale e del comportamento del giudice», sia secondo un approccio oggettivo (prevalente nella giurisprudenza di Strasburgo), «che consiste nel determinare se il tribunale offrisse, soprattutto attraverso la sua composizione, delle garanzie sufficienti per escludere qualsiasi dubbio legittimo circa la sua imparzialità» (si vedano, ad esempio, sentenza 15 dicembre 2005, Kyprianou c. Cipro [GC], n. 73797/01, par. n. 118, in Cass. pen., 2006, 1602, solo massima, e sentenza Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, par. n. 93, in Guida al dir., 2010, Dossier 2, 121, solo massima; sentenza 23 aprile 2015, Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, par. n. 75); in particolare, la Corte ha già affermato che «in casi in cui può essere difficile fornire prove che permettano di contestare la presunzione di imparzialità soggettiva del giudice, la condizione di imparzialità oggettiva rappresenta una garanzia importante in più» (sentenza 10 giugno 1996, Pullar c. Regno Unito, n. 22399/93, par. n. 32);

d4) nel caso di specie, il presidente dell'AGCom aveva ricevuto il titolo di presidente onorario del Consiglio di Stato, «ma non ha mai esercitato funzioni giudiziarie presso tale organo», mentre «la maggior parte dei giudici amministrativi sono nominati mediante concorso pubblico e che, ai sensi della Costituzione italiana, la legge garantisce l'indipendenza del Consiglio di Stato rispetto al governo» (decisione 8 giugno 1999, Predil Anstalt s.a. c. Italia, n. 31993/96); nella fattispecie, non sussistono elementi, neppure allegati dalle parti, dai quali si potesse evincere che il presidente onorario abbia potuto, in alcun modo, influenzare i giudici, sicché si deve concludere che il doppio ruolo rivestito dal presidente dell'AGCom «non è di natura tale da mettere in discussione l'indipendenza e l'imparzialità oggettiva dell'alta giurisdizione che è stata chiamata a decidere sui ricorsi presentati dalle ricorrenti»;

e) quanto, infine, al procedimento giurisdizionale che si è tenuto dinnanzi al T.A.R. e al Consiglio di Stato, la Corte di Strasburgo osserva che le udienze si sono tenute pubblicamente, «il che ha permesso un confronto orale tra le parti e il rispetto del principio della parità delle armi». In proposito:

e1) secondo la giurisprudenza della Corte, merita di essere chiamato «tribunale», ai sensi dell'articolo 6, par. n. 1, della CEDU, «soltanto un organo dotato di piena giurisdizione e che rispetta una serie di requisiti come l'indipendenza nei confronti dell'esecutivo e delle parti in causa» (sono qui richiamate: sentenza 16 luglio 1971, Ringeisen c. Austria, par. n. 95, serie A n. 13, in Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, 2006, 168; sentenza 23 giugno 1981, Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, par. n. 55, serie A n. 43, in Foro it., 1982, IV, 1; sentenza 29 aprile 1988, Belilos c. Svizzera, par. n. 64, serie A n. 132, in Riv. dir. internaz., 1989, 642; sentenza 24 novembre 1994, Beaumartin c. Francia, parr. nn. 38 e 39, serie A n. 296 B);

e2) la natura di un procedimento amministrativo può differire, sotto diversi aspetti, dalla natura di un procedimento penale nel senso stretto del termine; se queste differenze non possono esonerare gli Stati contraenti dal loro obbligo di rispettare tutte le garanzie offerte dall'art. 6 CEDU, esse possono tuttavia influenzare le modalità della loro applicazione (sentenza A. Menarini Diagnostics s.r.l., cit., par. n. 62);

e3) nel caso di specie, osserva la Corte, «i giudici amministrativi hanno esaminato i vari motivi di fatto e di diritto sui quali è basato il ricorso delle società ricorrenti, e hanno pertanto valutato gli elementi di prova raccolti dall'AGCom»; di conseguenza, la loro competenza non si è limitata a un «semplice controllo di legalità», ma essi «hanno potuto verificare se, con riguardo alle circostanze particolari della causa, l'AGCom avesse fatto un uso appropriato dei suoi poteri, e hanno potuto esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte dell'AGCom», il che conduce ad escludere che sia stata commessa una violazione dell'art. 6, par. n. 1, della Convenzione EDU.

IV. – Per completezza, si consideri quanto segue:

f) sul requisito di imparzialità oggettiva dell'organo giurisdizionale cfr., nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la sentenza del 6 maggio 2003, Kleyn, cit. (menzionata dalla decisione in rassegna), secondo cui «Non costituisce di per sé violazione dell'art. 6, § 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, relativamente al diritto ad un giudice indipendente ed imparziale, il fatto che la struttura istituzionale del Consiglio di Stato olandese consenta che alcuni dei suoi componenti possano esercitare contemporaneamente funzioni consultive e funzioni giurisdizionali»;

g) in generale, può notarsi che la giurisprudenza di Strasburgo, così come quella di Lussemburgo, sono molto rigorose nel rinvenire, in concreto, una lesione della imparzialità del giudice; in particolare, al riguardo, quanto alla Corte EDU:

g1) la già richiamata sentenza Kleyn ha ritenuto non giustificati i sospetti di parzialità, in senso oggettivo, rivolti nei confronti della sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato che aveva giudicato su ricorsi avverso l'esecuzione della pianificazione delle infrastrutture di una rete ferroviaria, rispetto alla quale il Consiglio stesso aveva espresso parere favorevole, non potendosi parlare di «stessa questione» o di «stessa decisione»);

g2) in sostanza, in tal modo la Corte di Strasburgo afferma che il dubbio della parte sulla mancanza di apparente imparzialità del giudice deve essere obiettivamente giustificabile; in questo filone è possibile inserire la sentenza qui in rassegna, nella parte in cui (cfr. supra, punto d4) afferma che la sostenuta «influenza» sull'organo giurisdizionale – derivante, in tesi, dalla circostanza che il suo presidente onorario riveste anche la carica di presidente dell'autorità amministrativa che ha emesso l'atto oggetto di scrutinio – debba trovare riscontro in elementi oggettivi, con onere della parte di allegarli in giudizio;

g3) per un riepilogo della giurisprudenza della Corte EDU, cfr., da ultimo, Cass. pen. VI, n. 41975/2019, secondo cui «l'art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, ratificata in Italia con la l. n. 848/1955, sancisce il diritto di ogni individuo ad essere giudicato ‘da parte di un tribunale indipendente e imparziale', con la precisazione che l'imparzialità va apprezzata come assenza di pregiudizi o preconcetti, suscettibile di accertamento in diversi modi (cfr. Kyprianou v. Cyprus (GC), p. 118; Micallef v. Malta (GC), p. 93). Relativamente ai criteri per la valutazione dell'imparzialità, la Corte EDU ha teorizzato la distinzione fra ‘approccio soggettivo' e ‘approccio oggettivo': il primo è diretto ad accertare la manifestazione della personale convinzione del magistrato sul caso di cui trattasi, ovvero la sussistenza di un interesse del magistrato medesimo nel giudicare lo specifico caso; il secondo è invece volto a determinare se il giudice abbia offerto garanzie tali da dissipare ogni legittimo dubbio in ordine alla sua imparzialità (Kyprianou v. Cyprus, cit.; Piersack v. Belgium, p. 30; Grieves v. United Kingdom (GO), p. 69). La stessa Corte EDU ha comunque rappresentato che le due nozioni non sono suscettibili di una netta separazione, atteso che la condotta tenuta da un magistrato potrebbe far sorgere dubbi sulla sua imparzialità dal punto di vista dell'osservatore esterno (approccio oggettivo), ma potrebbe anche essere spia sintomatica del personale convincimento di cui il suddetto è portatore (approccio soggettivo). In concreto, peraltro, stante la riconosciuta difficoltà di dimostrare la violazione dell'art. 6 sotto il profilo dell'assenza d'imparzialità soggettiva – in considerazione altresì del fatto che la personale imparzialità del giudice va presunta fino a prova contraria: Kyprianou v. Cyprus (GC), p. 119; Hauschildt v. Denmark, p. 47 – la Corte ha principalmente concentrato il proprio sindacato sull'esame obiettivo, a tale riguardo venendo in considerazione tipicamente l'accertamento di rapporti gerarchici o di diverso tipo fra il giudice e le altre parti coinvolte nel procedimento, tali da giustificare obiettivamente dubbi circa l'imparzialità del giudice, che in una società democratica deve godere della fiducia dei cittadini e degli utenti della Giustizia, come pure l'esercizio di differenti funzioni da parte del giudice nel medesimo procedimento, esclusa l'ipotesi della pronuncia di decisioni di tipo meramente formale e procedurale»;

h) quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la c.d. imparzialità oggettiva è intesa nel senso di riferirsi alla «equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l'oggetto di quest'ultima» (così la sentenza della sez. II, 31 gennaio 2013, C-175/2011, H.I.D. e B.A., par. n. 96); in particolare:

h1) secondo una prospettiva di carattere «esterno», l'organo giurisdizionale deve risultare tutelato «da interventi o pressioni dall'esterno idonei a mettere a repentaglio l'indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte» (in tal senso: sentenza 19 settembre 2006, C-506/04, Wilson, punti 50 e 51, in Foro it., 2006, IV, 553, con nota di L. Carbone, in Dir. e giustizia, 2006, 38, 94, con nota di Rossi, ed in Guida al dir.- Dir. comunitario e internaz., 2006, 5, 52, con nota di Pizzolante; sentenza 22 dicembre 2010, C-517/09, RTL Belgium, par. n. 39, in Raccolta, 2010, I, 14093);

h2) secondo una prospettiva di carattere «interno», il concetto di terzietà «si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l'equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l'oggetto di quest'ultima» (in tal senso, sentenze Wilson, cit., par. n. 52, e RTL Belgium, cit., par. n. 40);

h3) tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano «l'esistenza di disposizioni, relative in particolare alla composizione dell'organo, alla nomina, alla durata delle funzioni, nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all'impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti», sicché, per considerare soddisfatta la condizione relativa all'indipendenza dell'organo di rinvio, la Corte di giustizia UE esige, in particolare, «che i casi di revoca dei membri di tale organo siano determinati da espresse disposizioni di legge» (cfr. ordinanza del 14 maggio 2008, C-109/07,sul valore della indipendenza del potere giudiziario quale fondamento della rule of law, nel diritto europeo, cfr.: Corte di giustizia UE, grande sezione, 24 giugno 2019, C-619/18, Commissione c/Polonia (in Foro it., 2019, IV, 533), secondo cui «La Repubblica di Polonia, prevedendo, da un lato, l'applicazione della misura consistente nell'abbassare l'età per il pensionamento dei giudici presso il Sąd Najwyższy (Corte suprema) ai giudici in carica nominati prima del 3 aprile 2018, e attribuendo, dall'altro, al Presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva dei giudici di tale organo giurisdizionale oltre l'età per il pensionamento di nuova fissazione, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 19, par. 1, 2° comma, TUE»; Corte di giustizia UE, sentenza 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas (in Foro it., 2018, IV, 189), secondo cui il requisito dell'indipendenza – di cui all'art. 47, comma 2, della CDFUE –, che è funzionale all'attuazione del diritto fondamentale ad un ricorso effettivo, «si impone non soltanto a livello dell'Unione, per i giudici dell'Unione e gli avvocati generali della corte, come previsto dall'art. 19, par. 2, comma 3, TUE, ma anche a livello degli Stati membri, per i giudici nazionali» (par. n. 42); l'indipendenza dei giudici nazionali «è essenziale, in particolare, per il buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria costituito dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 TFUE, in quanto [...] tale meccanismo può essere attivato unicamente da un organo, incaricato di applicare il diritto dell'Unione, che soddisfi, segnatamente, tale criterio di indipendenza» (par. n. 43); la nozione di indipendenza presuppone che «l'organo di cui trattasi eserciti le sue funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, e che esso sia quindi tutelato da interventi o pressioni dall'esterno idonei a compromettere l'indipendenza di giudizio dei suoi membri e ad influenzare le loro decisioni» (par. n. 44); Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, sentenza 23 giugno 2016, Baka (in Foro it., 2016, IV, 509, con note di R. Romboli e S. Marinai).

8) I procedimenti sanzionatori presso le Autorità Indipendenti soggiacciono ai principi generali in tema di immediatezza della contestazione, certezza temporale della procedura sanzionatoria e perentorietà dei termini?

Secondo Cons. St. VI, n. 512/2020, le norme di principio, relative ad una immediatezza della contestazione o comunque a una non irragionevole dilatazione dei suoi tempi, contenute nel Capo I della l. n. 689/1981, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all'art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è applicata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro, compresa la materia dell'Antitrust.

In termini applicativi, il fatto che l'Autorità Antitrust deliberi l'avvio dell'istruttoria a distanza di vari mesi – ma non di vari anni – dalla segnalazione della possibile infrazione non può essere considerato come una violazione dei diritti delle imprese coinvolte, né un superamento dei termini procedimentali, in quanto la stessa valutazione dell'esigenza di avviare o meno l'istruttoria può presentarsi complessa; di conseguenza, il termine di novanta giorni previsto dal comma 2 dell'art. 14, l. n. 689/1981 inizia a decorrere solo dal momento in cui è compiuta – o si sarebbe dovuta ragionevolmente compiere, anche in relazione alla complessità della fattispecie – l'attività amministrativa intesa a verificare l'esistenza dell'infrazione, comprensiva delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi dell'infrazione stessa.

Ha chiarito il Supremo Consesso Amministrativo che (l'intento del Legislatore è stato quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati sia che conseguano ad illeciti qualificati «ab origine» come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie. La preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l'indicazione delle circostanze di tempo e di luogo (idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all'emissione dell'ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell'interessato), attiene ai principi del contraddittorio ed è garantito dalla l. n. 689/1981, attraverso la prescrizione di una tempestiva contestazione la cui l'osservanza è assicurata mediante la previsione espressa dell'inapplicabilità della sanzione.

Il termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha infatti pacificamente natura perentoria avendo la precisa funzione di garanzia di consentire un tempestivo esercizio del diritto di difesa. L'ampia portata precettiva è esclusa soltanto dalla presenza di una diversa regolamentazione da parte di fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre deroga alla norma generale e di principio. Lo stesso art. 31 della l. n. 287/1990 prevede infatti l'applicazione delle norme generali di cui alla l. n. 689/1981 «in quanto applicabili». Ebbene, con specifico riferimento alla disciplina della potestà sanzionatoria dell'Autorità non emergono le condizioni per derogare al sistema di repressione degli illeciti amministrativi per mezzo di sanzione pecuniaria ivi delineato. Il d.P.R. n. 217/1998 non reca indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti, e quindi non può far ritenere «diversamente stabilita» la scansione procedimentale e, quindi, inapplicabile il termine di cui si discute. Tale interpretazione è preferibile anche in quanto orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa.

Per il carattere generalmente perentorio dei ermini relativi ai procedimenti sanzionatori presso le Autorità Indipendenti vedi Cons. St. VI, n. 584/2021, analizzata sub art. 12.

9)E' applicabile retroattivamente la sanzione di cui all'art. 31, comma 43 bis, del d.P.R. 380/2001 ?

Negativa la risposa di Cos. St. Ad Plan. 16/2023 :    la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere irrogata nei confronti di chi – prima dell'entrata in vigore della legge n. 164 del 2014 – abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all'ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore.

L'Adunanza plenaria, sotto questo profilo, ha chiarito che rilevano i seguenti tre principi: 1) il principio di irretroattività, desumibile nella materia sanzionatoria dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, oltre che dall'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile; 2) il principio di certezza dei rapporti giuridici, perché chi non ha ottemperato all'ordine di demolizione, facendo decorrere il termine di 90 giorni prima dell'entrata in vigore della legge n. 164 del 2014, ha compiuto una omissione in un quadro normativo che prevedeva ‘unicamente' la conseguenza della perdita della proprietà e non anche quella della irrogazione della sanzione pecuniaria; 3) il principio di tipicità e il principio di coerenza, poiché col decorso del termine di 90 giorni il responsabile non può più demolire il manufatto abusivo, poiché non è più suo, sicché non è più perdurante l'illecito omissivo (in quanto si è ‘consumata' la fattispecie acquisitiva), sicché l'applicazione dell'art. 31, comma 4-bis, anche alle ipotesi in cui il termine di 90 giorni era già decorso prima della sua entrata in vigore, comporterebbe l'applicazione di una sanzione per una omissione giuridicamente non più sussistente, essendo preclusa ogni modifica del bene in assenza di ulteriori determinazioni del Comune sulla gestione del bene divenuto ormai suo.

Bibliografia

Cagnazzo Toschei (a cura di), La sanzione Amministrativa - principi generali, Torino, 2011; Caringella, Manuale unico - I fondamenti comuni di diritto civile, penale e amministrativo, Roma, 2021; Cassese, Trattato di Diritto Amministrativo, Milano, 2003; Cerbo, Successione di leggi nel tempo e applicazione della disciplina più favorevole per gli autori di violazioni amministrative, in Foro it., Rep. 2003, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione; Fratini, L'opposizione alle sanzioni dinanzi al giudice amministrativo, in Fratini (a cura di), Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, Padova, 2011, 1313; Paliero, Travi, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989; Romano, Complessità delle fonti e sistema penale. Leggi regionali, ordinamento comunitario, Corte costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008; Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie. Principi sostanziali e procedimentali, Napoli, 1983; Sandulli, Sanzione (Sanzioni amministrative), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992.

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