Comportamenti della P.A. che costituiscono inottemperanza al giudicato e formazione del silenzio assenso

La Redazione
28 Giugno 2023

Il Comune che dopo anni di inerzia riavvia l'istruttoria, non tenendo conto delle risultanze processuali già acquisite, è inottemperante.

Il caso in esame riguarda il ricorso proposto, ai sensi dell'art. 114 c.p.a., contro il Comune di Roma Capitale, per l'ottemperanzadella sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto l'appello avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio di rigetto del ricorso proposto per l'annullamento del provvedimento di diniego di condono, nonché dell'ingiunzione a demolire e dell'intimazione a non proseguire le attività commerciali.

Infatti, a fronte della perdurante inerzia degli uffici comunali, il ricorrente dapprima ha diffidato il Comune di Roma Capitale ad avviare e concludere il procedimento di rilascio del condono, dopo ha chiesto l'ottemperanza della favorevole pronuncia del Consiglio di Stato, se del caso mediante un Commissario ad acta.

Il Comune di Roma Capitale nel chiedere il rigetto del ricorso, ha giustificato il ritardo all'avvio della riedizione del potere con le problematiche organizzative per la pandemia da COVID 19, quindi per dimostrare il riavvio del procedimento ha prodotto la richiesta al ricorrente di copiosa documentazione integrativa.

Il Collegio, in via preliminare osserva che il tardivo avvio di un procedimento sottoposto al regime del silenzio assenso, come nel caso in esame, con la richiesta di ulteriore documentazione senza l'indicazione del termine di conclusione della procedura, oppure delle sopravvenienze a giustificazione della nuova documentazione, considerate le situazioni di fatto e di diritto già stabilite nel giudicato, non può essere assimilato alla ottemperanza del giudicato stesso.

Infatti, la sentenza pone in rilievo che il silenzio assenso abbia una finalità acceleratoria dell'agire amministrativo, che impone all'Amministrazione e al privato un comportamento secondo correttezza e buona fede, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 241/1990, comma 2-bis. Il ritardo ingiustificato nell'avvio dell'istruttoria di un procedimento ad istanza di parte comporta la decorrenza del termine di maturazione del silenzio assenso, salvo l'assenza dei requisiti minimi per l'esame dell'istanza oppure la sua “inconfigurabilità”, con riferimento alle ipotesi di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza, che, tuttavia, ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge n. 241/1990, non escludono l'obbligo di provvedere, sia pure in forma semplificata.

Ad avviso del Collegio, a meno che siano sopravvenuti elementi idonei a confutare le precedenti risultanze istruttorie, il ricorrente, dopo tanti anni trascorsi dalla prima diffida, ha ormai compiutamente adempiuto al suo onere probatorio, di modo che ogni ulteriore richiesta documentale costituisce un inammissibile aggravio procedimentale, ai sensi dell'art. 2, comma 7, della l. n. 241/1990.

La doverosità dell'azione amministrativa e dei suoi tempi è una declinazione del principio di legalità, non solo come limite negativo all'esercizio del potere, ma soprattutto in positivo dell'obbligo dell'esercizio del potere in un tempo utile, in adempimento del principio di buon andamento. Perciò, le criticità per la pandemia non giustificano il precedente ritardo protrattosi senza soluzione di continuità, a fronte del quale la ripresa del servizio avrebbe dovuto imporre al Comune un doveroso sforzo acceleratorio, ottimizzando al massimo le risultanze procedurali già acquisite.

Dunque, il Collegio ritiene che il comportamento del Comune di Roma Capitale, pure dopo il formale (ri)avvio dell'istruttoria del procedimento, senza l'indicazione del tempo di conclusione dello stesso, integra il presupposto dell'inottemperanza al giudicato. Inoltre, la libertà di azione rivendicata dal Comune, mediante la richiesta di integrazione documentale, dopo molti anni, rappresenta una esplicita ammissione di non avere valutato l'effetto conformativo del giudicato e, con riferimento al tempo di conclusione del procedimento, ne rappresenta una protratta elusione, piuttosto che una violazione.

Quindi il Collegio ha dichiarato l'obbligo del Comune di Roma Capitale di dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato e, pertanto, di rieditare il proprio potere secondo le statuizioni ivi contenute.

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