Quesito in tema di rifiuti (natura di rifiuto/corretto codice CER)

Angelo Salerno

Inquadramento

La disciplina dei rifiuti delineata dal d.lgs. n. 152/2006 (codice dell'ambiente) impone un accertamento preliminare, diretto ad identificare la natura di oggetti e sostanze, tenuto conto di molteplici categorie merceologiche escluse dal regime ordinario, e poi se del caso a consentire una precisa classificazione dei rifiuti, verificandone la natura urbana o speciale e la eventuale pericolosità, apponendo il corretto codice previsto dal catalogo europeo dei rifiuti.

Formula

n..... /.... R.G.N.R.

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI....

Accerti il consulente tecnico [1], presa visione degli atti del fascicolo di ogni altra documentazione esistente presso Uffici pubblici, previo sopralluogo in ogni sito di interesse e, ove necessario, previa acquisizione ed analisi di ulteriori campioni oltre a quelli già oggetto di sequestro [2] (sollecitando se del caso a questo Ufficio i necessarî ulteriori provvedimenti),

– la natura dei rifiuti in sequestro, procedendo alla loro classificazione e all'attribuzione del corretto codice CER;

– se sia avvenuta miscelazione dei rifiuti;

– se siano presenti sottoprodotti [3] o materiali qualificabili come terra e rocce da scavo [4] ;

– se taluni degli oggetti o delle sostanze abbiano cessato la qualità di rifiuto a seguito di recupero [5] ;

– la provenienza delle sostanze liquide presenti nel sito.... e la conseguente natura di rifiuti liquidi ovvero di scarichi ai sensi dell'art. 137, d.lgs. n. 152/2006[6].

Riferisca, infine, di ogni ulteriore elemento egli ritenga necessario per l'accertamento dei fatti e comunque utile ai fini di giustizia.

[1]Il quesito, oltre che a un consulente tecnico, può essere anche posto direttamente a competente personale della polizia giudiziaria, non necessariamente con le forme degli accertamenti ex art. 359 c.p.p.

[2]La raccolta di campioni (di acqua, di aria, di liquidi contaminanti, di porzioni del suolo o del sottosuolo, anche mediante carotaggi) è attività solitamente precedente gli accertamenti tecnici in senso stretto e, in linea di massima, riconducibile alla disciplina degli accertamenti urgenti sui luoghi e sulle cose (posti in essere dalla polizia giudiziaria) ovvero delle ispezioni di luoghi o cose (mezzo di ricerca della prova attribuito al pubblico ministero, che può procedervi personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria) e dei conseguenti sequestri probatori di cui agli artt. 246,253 e 354 c.p.p.

[3]Ai sensi dell'art. 184-bis, d.lgs. n. 152/2006, deve essere qualificato come “sottoprodotto” e non come “rifiuto” qualsiasi oggetto o sostanza che al contempo:

– sia originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

– sarà sicuramente utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

– potrà essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

– soddisfa, per tale utilizzo specifico, tutti i requisiti di legge riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente;

– non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

[4]Il regime dei sottoprodotti è esteso alle terre e rocce da scavo, anche di gallerie, da riutilizzare per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati, purché:

– siano impiegate direttamente nell'ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;

– sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell'integrale utilizzo;

– l'utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;

– sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;

– sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica;

– le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette;

– sia certo il loro integrale utilizzo.

[5]Una sostanza o un oggetto perdono la propria precedente natura di rifiuto quando sono stati sottoposti a operazioni di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, in conformità ai criteri specifici, normativamente individuati nel rispetto delle seguenti condizioni:

– siano comunemente utilizzati per scopi specifici;

– esista un mercato o una domanda;

– soddisfino i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettino la normativa e gli standard esistenti;

– il loro utilizzo non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni (art. 184-ter, d.lgs. 152/2006).

[6]La natura liquida della sostanza non esclude l'applicazione della disciplina in materia di rifiuti, quando lo smaltimento non avvenga tramite scarico diretto.

Commento

Le fattispecie incriminatrici a tutela dell'ambiente sono ripartite tra il codice penale e la legislazione speciale (in particolare, le molteplici disposizioni del d.lgs. n. 152/2006, cosiddetto codice dell'ambiente, in tema di difesa del suolo e tutela delle acque, gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati, tutela dell'aria e riduzione delle emissioni).

Le ipotesi previste dalla normativa speciale, pressoché soltanto contravvenzionali, nella complessiva logica dell'ordinamento, rivestono la funzione di tutela anticipata, andando a colpire quelle condotte (in astratto) prodromiche rispetto a situazioni di inquinamento di una qualche consistenza o ad altri eventi di danno o di pericolo per l'ecosistema e la vita e la salute delle persone, oggetto di specifiche previsioni codicistiche.

Per quanto riguarda la materia dei rifiuti, occorre muovere dalla definizione offerta dall'art. 183, comma 1 lett. a) d.lgs. n. 152/2006: è rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.

La lettera della legge esige dunque che la qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l'agente si disfa consegua a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza di utilità per il detentore dei predetti materiali. Ciò appare conforme e conseguente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che muove da una nozione omnicomprensiva di rifiuto, da cui discende un obbligo di interpretazione estensiva, nell'ottica preminente della tutela della salute umana e dell'ambiente, indipendentemente dalla possibilità di riutilizzo o dall'inserimento in un processo di produzione industriale, secondo i principi di precauzione e prevenzione (Cass. III, n. 19206/2017, relativa all'abbandono in un'area agricola di rifiuti speciali, tra cui materiali di risulta di attività edile, sfabbricidi, pneumatici, fusti, tubi e rocce da scavo, di cui era stata correttamente esclusa la destinazione all'utilizzo, trattandosi di materiali accatastati alla rinfusa e parzialmente ricoperti da vegetazione spontanea).

Una volta acquisita la qualità di rifiuto di determinate sostanze e materiali in base ad elementi positivi (il fatto che si tratti di beni residuo di produzione di cui il detentore vuole disfarsi) e negativi (che non abbiano i requisiti del sottoprodotto), tale conclusione non viene meno in ragione di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico dei beni stessi riconosciuto nel medesimo accordo: occorre infatti fare riferimento alla condotta e volontà del cedente di disfarsi dei beni e non all'utilità che potrebbe ritrarne il cessionario (Cass. III, n. 5442/2016, che ha affermato la natura di rifiuto di segatura e truciolati, costituenti scarti di lavorazioni in legno, a nulla rilevando che gli stessi fossero stati regolarmente ceduti dal detentore a terzi).

Ai sensi dell'art. 178, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, la gestione dei rifiuti deve dunque essere effettuata (secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica e nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali), conformemente ai principi

– di precauzione,

– di prevenzione,

– di sostenibilità,

– di proporzionalità,

– di responsabilizzazione,

– di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti,

nonché del principio “chi inquina paga”.

Lo stato fisico di un rifiuto è qualificato secondo una delle suddette categorie:

– Solido pulverulento

– Solido non pulverulento

– Fangoso palabile

– Liquido.

La classificazione dei rifiuti si fonda su due criteri basilari, ai sensi dell'art. 184, d.lgs. n. 152/2006:

– la loro origine (distinguendosi pertanto tra rifiuti urbani e rifiuti speciali);

– la loro pericolosità (distinguendosi pertanto tra rifiuti non pericolosi e rifiuti pericolosi).

A sua volta, il Regolamento UE n. 1357/2014 ricomprende le seguenti classi di pericolo dei rifiuti,

– Esplosivo (HP1: rifiuto che può, per reazione chimica, sviluppare gas a una temperatura, una pressione e una velocità tali da causare danni nell'area circostante. Sono inclusi i rifiuti pirotecnici, i rifiuti di perossidi organici esplosivi e i rifiuti autoreattivi esplosivi);

– Comburente (HP2: rifiuto capace, in genere per apporto di ossigeno, di provocare o favorire la combustione di altre materie);

– Infiammabile (HP3:

•  rifiuto liquido infiammabile: rifiuto liquido il cui punto di infiammabilità è inferiore a 60 °C oppure rifiuto di gasolio, carburanti diesel e oli da riscaldamento leggeri il cui punto di infiammabilità è superiore a 55°C e inferiore o pari a 75°C;

•  rifiuto solido e liquido piroforico infiammabile: rifiuto solido o liquido che, anche in piccole quantità, può infiammarsi in meno di cinque minuti quando entra in contatto con l'aria;

•  rifiuto solido infiammabile: rifiuto solido facilmente infiammabile o che può provocare o favorire un incendio per sfregamento;

•  rifiuto gassoso infiammabile: rifiuto gassoso che si infiamma a contatto con l'aria a 20°C e a pressione normale di 101,3 kPa;

•  rifiuto idroreattivo: rifiuto che, a contatto con l'acqua, sviluppa gas infiammabili in quantità pericolose;

– altri rifiuti infiammabili: aerosol infiammabili, rifiuti autoriscaldanti infiammabili, perossidi organici infiammabili e rifiuti autoreattivi infiammabili);

– Irritante – Irritazione cutanea e lesioni oculari (HP4: rifiuto la cui applicazione può provocare irritazione cutanea o lesioni oculari);

– Tossicità specifica per organi bersaglio/Tossicità in caso di aspirazione (HP5: rifiuto che può causare tossicità specifica per organi bersaglio con un'esposizione singola o ripetuta, oppure può provocare effetti tossici acuti in seguito all'aspirazione);

– Tossicità acuta (HP6: rifiuto che può provocare effetti tossici acuti in seguito alla somministrazione per via orale o cutanea, o in seguito all'esposizione per inalazione);

– Cancerogeno (HP7: rifiuto che causa il cancro o ne aumenta l'incidenza);

– Corrosivo (HP8: rifiuto la cui applicazione può provocare corrosione cutanea);

– Infettivo (HP9: rifiuto contenente microrganismi vitali o loro tossine che sono cause note, o a ragion veduta ritenuti tali, di malattie nell'uomo o in altri organismi viventi);

– Tossico per la riproduzione (HP10: rifiuto che ha effetti nocivi sulla funzione sessuale e sulla fertilità degli uomini e delle donne adulti, nonché sullo sviluppo della progenie);

– Mutageno (HP11: rifiuto che può causare una mutazione, ossia una variazione permanente della quantità o della struttura del materiale genetico di una cellula);

– Liberazione di gas a tossicità acuta (HP12: rifiuto che libera gas a tossicità acuta (Acute Tox. 1, 2 o 3) a contatto con l'acqua o con un acido);

– Sensibilizzante (HP13: rifiuto che contiene una o più sostanze note per essere all'origine di effetti di sensibilizzazione per la pelle o gli organi respiratori);

– Ecotossico (HP14: rifiuto che presenta o può presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali);

– Rifiuto che non possiede direttamente una delle caratteristiche di pericolo summenzionate ma può manifestarla successivamente (HP15).

Ogni rifiuto deve essere classificato prima di essere allontanato dal luogo di produzione, con indicazione del codice determinato sulla base del Catalogo Europeo dei Rifiuti (come modificato dalla decisione della Commissione 2014/955/UE).

Il codice CER è composto di sei cifre per ogni singolo rifiuto:

– le prime due identificano l'attività di produzione del rifiuto (ad esempio, “10” – Rifiuti prodotti da processi termici);

– le due cifre successive identificano il processo che ha prodotto il rifiuto e le ultime due le sue caratteristiche specifiche (ad esempio – 10 13 09 * Rifiuti della fabbricazione di amianto cemento, contenenti amianto).

È ovviamente possibile che un determinato stabilimento debba classificare le proprie attività in capitoli diversi.

Quando un rifiuto può risultare pericoloso o non pericoloso a seconda di particolari concentrazioni di sostanze o altre sue peculiarità chimico-fisiche suscettibili di misurazione, sono previste due voci distinte del Catalogo: una, contraddistinta da un asterisco che ne evidenzia formalmente la natura di rifiuto pericoloso, l'altra, immediatamente successiva, riservata alla medesima tipologia di rifiuti che non superino però le soglie o i limiti di legge e debbano pertanto essere qualificati come “non pericolosi” (“codice specchio”). Quando da una medesima operazione o processo produttivo possano derivare, in alternativa, un rifiuto pericoloso o non pericoloso, il produttore/detentore è tenuto, per classificare il rifiuto e attribuire il codice, ad eseguire le necessarie analisi volte ad accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose ed il superamento delle soglie di concentrazione, e solo nel caso in cui siano accertati in concreto l'assenza o il mancato superamento di dette soglie, il rifiuto potrà essere classificato come non pericoloso (Cass. III, n. 46897/2016). Occorre dunque procedere alla classificazione secondo questi step:

– i rifiuti classificati con un codice CER non pericoloso privo di codice specchio pericoloso, sono qualificati non pericolosi senza alcuna ulteriore specificazione;

– i rifiuti classificati con un codice CER pericoloso privo di codice specchio non pericoloso, sono qualificati pericolosi senza alcuna ulteriore specificazione e se ne determina la classe di pericolosità secondo la scala da H1 ad H15;

– i rifiuti classificabili con codice CER speculari devono essere sottoposti a specifiche analisi di approfondimento che ne individuino la composizione e stabiliscano se le concentrazioni superino gli specifici limiti soglia, attribuendo poi un codice pericoloso in caso di superamento ovvero, in applicazione del principio di precauzione, anche in caso di esiti incerti. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte di Giustizia, 29 marzo 2019, C-487/2017, C-488/2017, C-489/2017) e affermando che, alla luce di quanto affermato dal giudice europeo, il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici CER cd. “a specchio”, cioè rispettivamente corrispondenti a rifiuto pericoloso oppure non pericoloso, è tenuto a ricercare le sole sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi, non utilizzando a tal fine, esclusivamente, campionamenti e analisi chimiche. Qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso, esso si trovi nell'impossibilità di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo sussistenti, è tenuto, per il principio di precauzione, a classificare il rifiuto come pericoloso (Cass. III, n. 47288/2019).

La gestione dei rifiuti (nozione generale che ricomprende ogni attività ipotizzabile: deposito temporaneo, raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio, intermediazione) è soggetta al controllo stringente della pubblica amministrazione. Qualsiasi attività gestionale posta in essere in difetto delle prescritte autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni, salva l'integrazione di ulteriori reati, è comunque illecita penalmente (art. 256, d.lgs. n. 152/2006). Quando la gestione illecita ha per oggetto ingenti quantitativi di rifiuti ed è realizzata, per un fine di ingiusto profitto, con più operazioni e mediante allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, integra il più grave delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, già previsto e punito dall'art. 260, d.lgs. n. 152/2006 e oggi trasfuso nell'art. 452-quaterdecies c.p. a seguito del d.lgs. n. 21/2018 sulla riserva di codice.

La l. n. 68/2015 ha introdotto la nuova parte VI-bis del codice dell'ambiente, che regola l'estinzione anticipata degli illeciti contravvenzionali a seguito di adempimento delle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza, secondo l'esempio già offerto dalle analoghe modalità estintive previste dal d.lgs. n. 81/2008, in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. L'ambito applicativo è molto vasto: tutte le contravvenzioni previste dal suddetto d.lgs. n. 152/2006 concernenti il regime autorizzativo delle attività produttive, della gestione dei rifiuti, della tutela del suolo e delle acque e dell'atmosfera, punite con l'ammenda, con la pena alternativa dell'ammenda o dell'arresto e con la pena congiunta dell'ammenda e dell'arresto (ma non con il solo arresto), che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (art. 318-bis, d.lgs. n. 152/2006).

L'organo di vigilanza ovvero la polizia giudiziaria impartiscono al contravventore un'apposita prescrizione, asseverata tecnicamente, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, fissando per l'adempimento un termine adeguato (e prorogabile per una sola volta, in presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore). Gli accertatori riferiscono comunque al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione (art. 318-ter, d.lgs. n. 152/2006).

Alla scadenza del termine concesso o prorogato, l'organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità indicate dalla prescrizione. Quando risulta il rituale adempimento, il contravventore è ammesso a pagare in sede amministrativa, entro trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 318-quater d.lgs. n. 152/2006). La contravvenzione si estingue se il contravventore, dopo avere adempiuto alla prescrizione, provvede anche al pagamento suddetto nei termini fissati. Qualora l'ottemperanza alle prescrizioni sia avvenuta oltre i termini o in difformità dalle indicazioni della pubblica amministrazione, ma in un tempo congruo e in maniera adeguata, il reato diventa oblabile, anche in difetto dei requisiti edittali (art. 318-septies, d.lgs. n. 152/2006).

Se il pubblico ministero acquisisce aliunde notizia di una contravvenzione ambientale, ne dà comunicazione all'organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria affinché si provveda agli adempimenti in questione. In ogni caso, ai sensi dell'art. 318-quinquies, d.lgs. n. 152/2006, il procedimento penale resta sospeso dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato fino alla comunicazione degli esiti delle prescrizioni e dei pagamenti.

La sospensione non impedisce:

– la richiesta di archiviazione;

– l'assunzione delle prove con incidente probatorio;

– gli atti urgenti di indagine preliminare;

– il sequestro preventivo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario