Atto di nomina del difensore di fiducia (artt. 96 e 327-bis)

Leonardo Suraci

Inquadramento

La nomina del difensore di fiducia costituisce l'atto che instaura il rapporto difensivo tra il soggetto del procedimento e il professionista. Essa presenta connotazioni diverse a seconda che il soggetto che conferisce l'incarico sia l'imputato (o la persona sottoposta alle indagini) ovvero una diversa parte privata o, infine, la persona offesa dal reato. Diversificati sono, altresì, gli effetti della nomina a seconda della provenienza di essa.

Formula

TRIBUNALE DI.... SEZIONE.... PENALE [1]

ATTO DI NOMINA DI DIFENSORE DI FIDUCIA

il Sig....., nato a...., il...., residente in...., via...., n....., persona sottoposta alle indagini [2] nell'ambito del procedimento penale n....., pendente dinnanzi a codesto On.le Tribunale [3],

NOMINA

suo difensore di fiducia l'Avv....., con studio in...., via...., n......

Elegge domicilio presso lo studio legale del difensore [4].

Conferisce al difensore procura speciale affinché chieda di essere ammesso, nel proprio interesse, al giudizio abbreviato – semplice o condizionato – o al procedimento di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. ovvero chieda la sospensione del procedimento con messa alla prova [5].

Luogo e data....

Firma....

Visto per autentica....

Luogo e data....

Firma....

Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022.

[1]Oppure: “Preg.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di.... ” o “Preg.mo Sig. Pubblico Ministero presso la Il Tribunale di.... ”.

[2]Ovvero: “persona offesa” o “imputato”.

[3]Oppure “Preg.mo Giudice”.

[4]Oppure, “presso la propria abitazione, nel su indicato indirizzo di residenza” o, ancora, “presso.... ”, qualora il luogo sia diverso. Ovviamente l'elezione di domicilio è soltanto eventuale. La persona offesa è, ai sensi dell'art. 33 disp. att. c.p.p., domiciliato presso il difensore.

[5]La procura speciale è, ovviamente, soltanto eventuale potendo essere conferita in qualsiasi momento, qualora l'atto non sia compiuto personalmente. Essa si riferisce alla nomina proveniente dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini.

Commento

Principi generali

L'art. 327-bis, comma 1, c.p.p., come è noto, stabilisce che, fin dal momento dell'incarico professionale – risultante, precisa la norma, da atto scritto – il difensore ha la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.

La norma fissa, dunque, un principio di carattere generale dal quale è possibile fare emergere un vero e proprio diritto della parte privata di svolgere investigazioni a tutela della propria posizione processuale.

È necessario distinguere, delle indagini difensive, un fine immediato ed uno, invece, mediato.

Il “fine mediato” dell'attività investigativa del difensore va individuato analizzando il sistema, di talché va desunto dall'esame coordinato delle disposizioni che ammettono la parte privata a sottoporre alla valutazione giudiziale elementi a sostegno delle proprie asserzioni probatorie.

In altre parole, esso si sostanzia nell'esercizio della fondamentale situazione giuridica processuale quale è il diritto alla prova, mancando il quale una facoltà investigativa non avrebbe senso, o, comunque, avrebbe lo scarso significato che gli è stato attribuito nel sistema precedente.

Il “fine immediato” dell'attività d'indagine difensiva è, invece, correttamente identificato, dallo stesso art. 327-bis, comma 1, c.p.p., nel “ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito”.

Due finalità distinte, ma strettamente collegate all'interno di una sequenza logica i cui termini sono: investigazione-risultato-utilizzazione.

Tra gli elementi di essa è facile cogliere la relazione di sequenzialità ed inscindibilità che ne connota il legame, se solo si riflette sul fatto che la (attività di) ricerca ed individuazione di elementi di prova sarebbe dotata di scarsissimo rilievo se non fosse preordinata alla prospettazione diretta delle relative risultanze ad un organo dotato del potere di valutazione, confluendo in direzione di uno scenario in cui l'esplicarsi di efficacia probatoria riempie di senso le attività pregresse.

I limiti temporali del diritto alla prova

L'attività investigativa del difensore non soggiace a limitazioni di carattere temporale.

Sia pure con formula poco persuasiva, l'art. 327-bis, comma 2, c.p.p. stabilisce, infatti, che la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito può essere (rectius: è!) attribuita in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione.

La mancata previsione di limiti temporali diretti costituisce un ulteriore, fondamentale elemento di differenziazione rispetto all'attività investigativa preliminare del Pubblico Ministero, vincolata a termini stabiliti dal legislatore sulla base di un meccanismo che, a seguito della riforma attuata con il d.lgs. n. 150/2022, può essere sottoposto a verifica sul versante dell'effettiva osservanza. Il d.lgs. 150/2022 ha, infatti, introdotto nell'ambito del codice il nuovo art. 335-quater, il quale compendia un complesso sistema di controllo della tempestività dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato. In primo luogo, il Pubblico Ministero stesso può, in virtù delle modifiche apportate dal d.lgs. 150/2022 all'art. 335 c.p.p., procedere alla determinazione della data in cui l'iscrizione deve intendersi effettuata, scindendo così il momento dell'iscrizione dal momento di produzione degli effetti di essa.

In secondo luogo, la persona sottoposta alle indagini – ovvero, non trattandosi di atto personale, il difensore – può rivolgersi al Giudice che procede – durante le indagini preliminari, ovviamente, sarà competente il g.i.p. – affinché verifichi la tempestività dell'iscrizione e ne disponga la retrodatazione. L'istanza, la quale deve contenere a pena di inammissibilità le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo, deve essere proposta – a pena di inammissibilità anche in questo caso – entro venti giorni da quello in cui il richiedente ha avuto la possibilità di prendere conoscenza degli atti dimostrativi del ritardo. Ulteriori istanze, precisa il comma 3 della disposizione, devono fondarsi su atti diversi e in precedenza non conoscibili.

Durante le indagini preliminari, l'istanza di retrodatazione può essere proposta nell'ambito di procedure incidentali in cui sia previsto l'intervento del P.M. e dell'indagato – allorché, precisa la norma, la retrodatazione sia rilevante ai fini della decisione – ed è trattata e decisa con le forme dei procedimenti in cui si inseriscono. Durante l'udienza preliminare ed in fase di giudizio, invece, l'istanza viene tratta e decisa in udienza.

L'itinerario è abbastanza complesso dal momento che, fatti salvi i casi in cui è presentata in udienza o nell'ambito di un procedimento incidentale, la richiesta deve essere depositata in cancelleria con la prova della notificazione al P.M. Si instaura, quindi, un contraddittorio cartolare necessario e, in via eventuale, un successivo contraddittorio orale previa fissazione di un'udienza in camera di consiglio.

Il provvedimento conclusivo dell'itinerario ha forma di ordinanza la quale è suscettibile di riesame – ad iniziativa della persona sottoposta alle indagini o del P.M., a seconda che sia di rigetto o di accoglimento – secondo le scansioni previste dall'art. 335-quater, comma 8, c.p.p. e, infine, allorché pronunciata dal Giudice dibattimentale, impugnabile ai sensi dell'art. 586, commi 1 e 2, c.p.p.

La mancata previsione di limiti diretti, tuttavia, non priva di operatività, anche rispetto alle risultanze dell'azione investigativa difensiva, le norme che disciplinano il profilo temporale dei percorsi acquisitivi afferenti ai diversi momenti di intervento del Giudice nella fase preliminare e tese ad assicurare, mediante la tempestiva discovery, l'effettività del diritto al contraddittorio di tutte le parti del processo.

In altre parole, e ferma restando la facoltà del difensore di presentare la documentazione relativa alle indagini espletate al di fuori ed a prescindere dai frangenti decisori stabiliti e previamente conosciuti (art. 391-octies, comma 2, c.p.p.), l'attività d'indagine difensiva può esplicarsi in ogni stato e grado del procedimento, ma la relativa documentazione non potrebbe essere utilizzata se prodotta in condizioni tali – evidentemente difformi dalle specifiche previsioni normative afferenti a singoli contesti utilizzativi – da pregiudicare, mediante l'impossibile attivazione di una effettiva discovery, il diritto al contraddittorio delle altre parti interessate al provvedimento giudiziale sul cui contenuto si vorrebbe, tramite essa, influire.

Pertanto, il difensore che intende avvalersi della documentazione di atti d'indagine in un contesto di procedura disciplinato dall'art. 127 c.p.p. ha l'onere di depositarla “fino a cinque giorni prima dell'udienza”, mentre, qualora l'atto sia destinato all'utilizzazione in udienza preliminare, dovrà essere prodotto entro il termine stabilito dall'art. 421, comma 3, c.p.p., ossia “prima dell'inizio della discussione”.

Devono essere sempre rispettati, dunque, i principi connotativi del modulo processuale ed infatti, rispetto a siffatto profilo, la Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinché i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova (Cass. VI, n. 1400/2014).

È stato, quindi, sottolineato che i risultati delle indagini difensive devono essere sottoposti alla valutazione del Giudice secondo la scansione stabilita, nel dibattimento, dagli artt. 468 ss. c.p.p. e, in relazione al giudizio d'appello, dagli artt. 568 ss. c.p.p. (Cass. V, n. 21005/2016).

Il principio generale correlato alla necessaria osservanza dei termini stabiliti in relazione a singole e specifiche scansioni procedurali è stato ribadito anche in relazione al giudizio abbreviato. Difatti, i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del Pubblico Ministero prima dell'ammissione al rito speciale, per cui, nell'ipotesi di giudizio abbreviato a seguito di udienza preliminare, tali atti possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito abbreviato, a norma dell'art. 438 c.p.p. (Cass. II, n. 9198/2017).

Caratteri delle investigazioni difensive

Per conseguire questi risultati l'ordinamento permette al difensore ed ai suoi ausiliari – l'art. 327-bis, comma 3, c.p.p. li individua nelle figure del sostituto, consulente tecnico ed investigatore privato autorizzato – di svolgere – in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione – un'attività d'indagine connotata da caratteri essenziali che, per molti aspetti, la distinguono significativamente dall'investigazione del Pubblico Ministero.

Prima di esaminarli, tuttavia, merita di essere sufficientemente posto in rilievo, considerata la peculiarità della tematica, come anche l'atto investigativo del difensore debba connotarsi della necessaria, rigorosa osservanza della prescrizione generale contenuta nell'art. 188 c.p.p.

La norma, come è noto, assicura la libertà morale della persona e sancisce un limite generale ed assoluto prevedendo che nell'ambito del procedimento penale non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti.

Intesa quale componente della libertà personale, la libertà morale si sostanzia nell'integrità della facoltà della persona fonte di prova di determinarsi liberamente rispetto agli stimoli e, al fine di garantire un margine di garanzia esteso, la norma scompone siffatto diritto fondamentale nella libertà di autodeterminazione e nella capacità di ricordare e valutare i fatti, vietando il ricorso a metodi e tecniche che possano menomare l'una ovvero l'altra.

La regola ribadisce, con riferimento alla materia delle prove, quanto stabilito in via generale dall'art. 64, comma 2, c.p.p. in relazione all'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini e, con riferimento alle prove atipiche, opera come limite di ammissibilità.

Accanto alla tutela della libertà morale da mezzi coercitivi della volontà, la norma, attraverso il divieto in essa contenuto, mira, altresì, a garantire la genuinità dei risultati probatori, stante la scarsa attendibilità delle tecniche attraverso cui possono realizzarsi eventuali compressioni della capacità di orientarsi coscientemente.

A differenza dell'attività d'indagine del Pubblico Ministero, la quale, essendo finalizzata al conseguimento di risultati di carattere pubblicistico, non può che essere “necessaria”, l'indagine privata, come è stato correttamente rilevato dalla dottrina, presenta innanzitutto il carattere della “facoltatività”, nel senso che il difensore può compiere attività d'indagine in quanto lo ritenga necessario ed opportuno ai fini della tutela della posizione della persona assistita, la quale deve disporre, d'altra parte, delle risorse finanziarie necessarie per sostenere gli ingenti costi che essa comporta.

Inoltre, l'attività investigativa del difensore è connotata – di regola, ma non necessariamente – dal requisito della “monodirezionalità”, nel senso che questi deve ricercare ed individuare elementi di prova “esclusivamente” a favore del proprio assistito, anche se non v'è ragione di escludere il riconoscimento, in particolare in capo al difensore della persona sottoposta alle indagini, di un potere di accertamento di elementi meramente dimostrativi della responsabilità di terzi e da canalizzare verso il Pubblico Ministero ovvero, una volta avviato l'iter processuale, in direzione del Giudice.

L'investigazione difensiva può presentare carattere di “frammentarietà”, il difensore essendo, infatti, libero nella scelta degli atti investigativi da compiere e delle risultanze di essi da portare a conoscenza della controparte e, quindi, da sottoporre alla valutazione giudiziale.

Le uniche eccezioni a siffatto principio sono costituite dagli atti irripetibili compiuti con la partecipazione del Pubblico Ministero o della polizia giudiziaria all'uopo delegata e dagli accertamenti tecnici irripetibili compiuti a norma dell'art. 360 c.p.p.

In questi casi, infatti, l'art. 391-decies c.p.p. prescrive che la relativa documentazione sia depositata nel fascicolo del Pubblico Ministero ed in quello del difensore.

Dall'esame della disciplina complessiva delle investigazioni difensive sembra potersi acquisire, quale principio ispiratore ulteriore ma non di secondario rilievo, quello della “consensualità”, non essendo conferita ai soggetti dell'investigazione privata la titolarità di poteri coattivi in relazione ai casi in cui il compimento di un atto d'indagine – gli atti investigativi a carattere dichiarativo ne costituiscono l'esempio più evidente – richiede, in quanto si ponga in contrasto con i diritti di libertà di determinati soggetti, la necessaria adesione di essi e questa non venga prestata.

La giurisprudenza ha, poi, enucleato un principio che potremmo definire di “territorialità” delle investigazioni difensive, stabilendo che, in base ai principi generali del codice, l'unico strumento utilizzabile per la raccolta di elementi di prova situati all'estero è la rogatoria internazionale (Cass. I, n. 23967/2007).

L'ovvia conseguenza è costituita dal fatto che il difensore non è direttamente abilitato ad esperire le indagini ex art. 391-bis c.p.p. in territorio estero, di talché, volendolo fare, deve rivolgersi all'autorità giudiziaria italiana affinché attivi una domanda di assistenza giudiziaria internazionale.

La Corte di Cassazione letteralmente afferma: «In relazione alla inutilizzabilità delle investigazioni difensive deve rilevarsi che la stessa discende dai principi generali del codice di procedura penale e, pur non essendo esplicitamente affermato che il difensore non può recarsi all'estero a svolgere dette investigazioni, discende dall'ordinamento tale divieto, essendo evidente che, ai fini dell'utilizzabilità di atti compiuti all'estero, per tutte le parti processuali, deve essere esperita la procedura prevista dal codice in materia di rogatorie. Poiché non è prevista la possibilità per il difensore di ricorrere alla rogatoria all'estero, ne discende che tale tipo di atto non è esperibile dal difensore mediante la disciplina prevista dall'art. 391-bis c.p.p. ed egli ha l'obbligo di passare attraverso la richiesta al P.M. o al G.I.P., affinché costoro attivino la procedura della rogatoria internazionale. D'altronde, tramite le indagini difensive non è esperibile ogni tipo di atto [in quanto] il legislatore ha limitato l'oggetto delle indagini all'assunzione di dichiarazioni, alla richiesta di documentazione, all'accesso ai luoghi, ma ad esempio non ha previsto la possibilità di effettuare accertamenti tecnici irripetibili, in relazione ai quali il difensore ha l'obbligo di inoltrare richiesta al P.M.».

Da ultimo, con recente pronuncia è stato stabilito quanto segue: In tema di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, il giudizio di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è regolato, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. n. 109/2006, dalle norme processuali penali nella fase della proposizione del ricorso, anche per quanto riguarda l'ammissibilità di documenti allegati all'atto di impugnazione della sentenza disciplinare: ne consegue che non è ammissibile la produzione, per la prima volta in sede di legittimità, di documentazione nuova, ulteriore rispetto a quella già presente nel fascicolo di merito e diversa da quella di natura tale da non costituire “nuova prova”, né l'art. 327-bis, comma 2, c.p.p. – nell'attribuire al difensore la facoltà di svolgere in ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito – può essere interpretato nel senso di consentire la produzione nel giudizio d'impugnazione di documentazione attinente al merito della contestazione ed all'applicazione degli istituti sostanziali, potendosi derogare a tale principio solo per i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (e, comunque, in coerenza con la struttura e la finalità del giudizio di cassazione, purché non attinenti al merito della re giudicanda), nonché per quelli che riguardino l'applicazione dello “ius superveniens”, di un giudicato sostanziale, di cause estintive o di disposizioni più favorevoli (Cass. S.U., n. 22302/2021).

Per una sorta di principio di insostituibilità delle investigazioni difensive, poi, sono state ritenute inutilizzabili le dichiarazioni di persone informate dei fatti acquisite dal difensore senza il rispetto delle forme e garanzie dettate dagli artt. 391-bis ss. c.p.p. ed introdotte nel procedimento quali allegati ad una memoria difensiva. Difatti, tali dichiarazioni non possono essere considerate documenti, in quanto strettamente funzionali al procedimento e formate nell'ambito dello stesso (Cass. VI, n. 12921/2019). Nel frattempo, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito, in relazione al giudizio abbreviato, che nell'ambito del rito speciale sono utilizzabili le dichiarazioni rese in sede stragiudiziale, ancorché non siano state assunte con le forme previste dall'art. 391-bis c.p.p., trattandosi di documenti acquisiti al di fuori delle indagini difensive, che assumono valore probatorio per effetto della richiesta di celebrazione del processo nelle forme del rito alternativo (Cass. VI, n. 5218/2019).

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