Mandato a svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa l'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione (artt. 96 e 327-bis)InquadramentoLa nomina del difensore di fiducia costituisce l'atto che instaura il rapporto difensivo tra il soggetto del procedimento e il professionista. Essa presenta connotazioni diverse a seconda che il soggetto che conferisce l'incarico sia l'imputato (o la persona sottoposta alle indagini) ovvero una diversa parte privata o, infine, alla persona offesa dal reato. Diversificati sono, altresì, gli effetti della nomina a seconda della provenienza di essa. In generale, tuttavia, da essa consegue la legittimazione a svolgere attività di investigazione difensiva ai sensi dell'art. 327-bis c.p.p., non essendo previsto uno specifico mandato investigativo. FormulaTRIBUNALE DI.... SEZIONE.... PENALE [1] ATTO DI NOMINA DI DIFENSORE DI FIDUCIA il Sig....., nato a...., il...., residente in...., via...., n....., persona sottoposta alle indagini [2] nell'ambito del procedimento penale n....., pendente dinnanzi a codesto On.le Tribunale [3], NOMINA suo difensore di fiducia l'Avv....., con studio in...., via...., n...... Elegge domicilio presso lo studio legale del difensore [4]. Conferisce al difensore procura speciale affinché chieda di essere ammesso, nel proprio interesse, al giudizio abbreviato – semplice o condizionato – o al procedimento di cui agli artt. 444 ss. c.p.p., ovvero richieda la sospensione del procedimento con messa alla prova [5]. Ai sensi degli artt. 96 e 327-bis c.p.p. conferisce altresì al difensore medesimo espresso mandato a svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a proprio favore in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa l'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. Lo autorizza ad avvalersi di sostituti, di investigatori privati autorizzati e, qualora fossero necessarie specifiche competenze, di consulenti tecnici. Luogo e data.... Firma Avv..... Visto per autentica.... Luogo e data.... Firma Avv..... Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. [1]Oppure: “Preg.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di.... ” o “Preg.mo Sig. Pubblico Ministero presso la Il Tribunale di.... ”. [2]Ovvero: “persona offesa” o “imputato”. [3]Oppure “Preg.mo Giudice”. [4]Oppure, “presso la propria abitazione, nel su indicato indirizzo di residenza” o, ancora, “presso.... ”, qualora il luogo sia diverso. Ovviamente l'elezione di domicilio è soltanto eventuale. La persona offesa è, ai sensi dell'art. 33 disp. att. c.p.p., domiciliato presso il difensore. [5]La procura speciale è, ovviamente, soltanto eventuale potendo essere conferita in qualsiasi momento, qualora l'atto non sia compiuto personalmente. Essa si riferisce alla nomina proveniente dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini. CommentoI soggetti dell'investigazione difensiva L'art. 327-bis c.p.p. prevede che l'attività di ricerca e individuazione di elementi di prova a favore dell'assistito venga esercitata dal difensore – fin dal momento dell'incarico professionale risultante, precisa la norma, da atto scritto – ovvero su suo incarico, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. La catalogazione contenuta nella disposizione induce ad escludere, da un lato, che le investigazioni difensive possano essere svolte direttamente dalla persona alla quale l'attività difensiva si riferisce, dall'altro, la configurabilità di un autonomo potere investigativo del sostituto, dell'investigatore privato ovvero del consulente tecnico, sulla base di un incarico direttamente conferito dall'assistito. Anche se la giurisprudenza ha temperato la rigidità della strutturazione normativa generale stabilendo che è legittima ed utilizzabile l'attività svolta da un investigatore privato, prima della iscrizione della notizia di reato, al di fuori dell'ambito applicativo dell'art. 391-nonies c.p.p., atteso che l'attivazione dello statuto codicistico previsto per l'attività investigativa preventiva è rimessa alla volontà del soggetto, avendo natura del tutto facoltativa (Cass. IV, n. 13110/2019). Tuttavia, ha precisato la Suprema Corte, il sostituto, come il sostituito, deve essere in possesso della necessaria abilitazione professionale, altrimenti gli atti compiuti sono inutilizzabili. Nell'occasione, la Corte di Cassazione ha ritenuto inutilizzabile la documentazione di investigazioni difensive svolte, nell'ambito di un procedimento di competenza del Tribunale in composizione collegiale, da praticante avvocato non abilitato al patrocinio di fronte al predetto organo giudiziario (Cass. III, n. 25431/2015). La possibilità di avvalersi di collaboratori nell'espletamento dell'attività investigativa assume un ruolo centrale nell'organizzazione di essa, poiché consente al difensore di modulare l'intervento di soggetti variamente specializzati a seconda delle necessità e delle caratteristiche della specifica investigazione. La finalità perseguita dal legislatore è, senza dubbio, quella di fornire alla difesa un ausilio che sopperisca, almeno in parte, alla disparità operativa con l'accusa, la quale, come è noto, ha a disposizione ben altri mezzi, poteri e strutture, anche se dall'art. 327-bis, comma 1, c.p.p. emerge, è stato evidenziato dalla dottrina, chiaramente la posizione di “supremazia” del difensore nell'ambito dell'ufficio difensivo, nel senso che egli è il solo titolare del “diritto di investigazione”, anche qualora ritenga opportuno avvalersi dell'opera di sostituti, investigatori privati o consulenti tecnici, delegando loro le investigazioni. Il difensore, quale titolare di una specifica funzione investigativa, diviene senza dubbio soggetto del procedimento penale e gli atti che compie nell'esercizio della funzione investigativa medesima sono da considerarsi ad ogni effetto atti del procedimento penale. È stato fin da subito rilevata la laconicità dell'art. 327-bis c.p.p. in punto di individuazione dei soggetti legittimati a conferire un mandato difensivo efficace anche rispetto al profilo concernente la legittimazione al compimento di atti d'indagine difensiva. La norma, infatti, utilizza una nozione – quella, cioè, di “assistito” – la cui portata deve essere delineata in maniera chiara poiché da essa dipende l'attribuzione o meno di poteri d'indagine al difensore di soggetti processuali diversi dall'imputato. La dottrina che si è occupata di siffatto profilo problematico, tuttavia, ritiene che il “difensore” al quale si riferisce l'art. 327-bis c.p.p. non è soltanto quello della persona sottoposta alle indagini, ovvero dell'imputato o condannato, ma anche quello delle altre parti del processo penale. Al preciso riferimento normativo contenuto nell'art. 327-bis, comma 1, c.p.p., il quale utilizza, come appena detto, un'espressione ben estensibile a tutte le parti processuali, si affiancano gli inequivocabili spunti esegetici offerti, innanzitutto, dall'art. 512 c.p.p., il quale, come modificato dall'art. 18 della legge sulle investigazioni difensive, indica espressamente tra gli atti d'indagine suscettibili di lettura dibattimentale, in caso di sopravvenuta irripetibilità, anche quelli assunti “dai difensori delle parti private”. Seguendo la medesima direttrice generale, inoltre, l'art. 391-octies c.p.p., nel disciplinare il fascicolo del difensore, fa espresso riferimento alla “parte privata”. L'ampia modellabilità dell'espressione “assistito” contenuta nell'art. 327-bis c.p.p., nella lettura della quale si impone, d'altro canto, un puntuale riferimento ai principi costituzionali del giusto processo, permette, inoltre, di configurare senza particolari sforzi esegetici una legittimazione al compimento di atti investigativi in capo alla persona offesa dal reato. Sul versante contrapposto a quello della persona sottoposta alle indagini, anzi, l'attribuzione di un potere investigativo alla persona offesa assume una rilevanza essenziale, posto che soltanto attraverso il compimento di specifici atti investigativi quest'ultima può porsi in una posizione qualificata nella fase del procedimento dedicata alla raccolta di elementi d'indagine, assumendo un ruolo di supplenza rispetto ad eventuali lacune che il Pubblico Ministero, per sottovalutazione o per qualsiasi altro motivo, non intende colmare nemmeno in accoglimento di puntuali sollecitazioni. Ed infatti, proprio in vista dell'esercizio compiuto delle facoltà difensive di cui è titolare, l'art. 335 c.p.p. autorizza anche la persona offesa dal reato a richiedere ed ottenere la comunicazione delle iscrizioni effettuate dal Pubblico Ministero nel registro delle notizie di reato. Oltre a ciò, merita di essere sottolineato il dato, di carattere storico, costituito dal fatto che il difensore della persona offesa era espressamente indicato quale soggetto legittimato a svolgere investigazioni difensive dall'art. 38, comma 2-bis, disp. att. c.p.p., di talché, volendo ritenere oggi il contrario, «la riforma attuata con la l. n. 397/2000 si risolverebbe, paradossalmente, in una riduzione di garanzie per il difensore dell'offeso dal reato». Qualche dubbio potrebbe residuare in relazione alla persona danneggiata dal reato che non rivesta, allo stesso tempo, la qualifica di persona offesa. La figura, a seguito della riforma attuata con il d.lgs. n. 150/2022, equivale in parte a quella “vittima del reato”, definita dall'art. 42 del decreto medesimo come «la persona fisica che ha subito direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona». Come è noto, il codice vigente «ha operato una netta distinzione tra i soggetti portatori di pretese non penali e quelli titolari, invece, di vere e proprie pretese penali, configurandoli in modo del tutto autonomo sia per quanto concerne i tempi di intervento sia per quel che attiene ai loro poteri processuali». Tuttavia, la funzionalizzazione delle attività difensive del danneggiato rispetto alla successiva costituzione di parte civile e, quindi, all'esercizio di poteri e facoltà processuali a quest'ultima riservati dall'ordinamento potrebbe, nel momento della formalizzazione del ruolo di parte processuale, tradurre un ipotetico limite di poteri d'indagine in un pericoloso vuoto di tutela, essendo l'effettività di tale ruolo svuotata dalla proiezione processuale del pregresso limite in relazione allo snodo fondamentale costituito dal diritto alla prova. Da ultimo, con recente pronuncia è stato stabilito quanto segue: In tema di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, il giudizio di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è regolato, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. n. 109/2006, dalle norme processuali penali nella fase della proposizione del ricorso, anche per quanto riguarda l'ammissibilità di documenti allegati all'atto di impugnazione della sentenza disciplinare: ne consegue che non è ammissibile la produzione, per la prima volta in sede di legittimità, di documentazione nuova, ulteriore rispetto a quella già presente nel fascicolo di merito e diversa da quella di natura tale da non costituire “nuova prova”, né l'art. 327-bis, comma 2, c.p.p. – nell'attribuire al difensore la facoltà di svolgere in ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito – può essere interpretato nel senso di consentire la produzione nel giudizio d'impugnazione di documentazione attinente al merito della contestazione ed all'applicazione degli istituti sostanziali, potendosi derogare a tale principio solo per i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (e, comunque, in coerenza con la struttura e la finalità del giudizio di cassazione, purché non attinenti al merito della re giudicanda), nonché per quelli che riguardino l'applicazione dello “ius superveniens”, di un giudicato sostanziale, di cause estintive o di disposizioni più favorevoli (Cass. S.U., n. 22302/2021). Il mandato difensivo Il potere investigativo difensivo scaturisce dal conferimento dell'incarico, fermo restando che rientra fra le facoltà dell'assistito quella di rinunciare alle investigazioni, ossia di concordare con il difensore l'esclusione dall'oggetto del mandato professionale delle facoltà investigative. In tal senso dispone l'art. 2 delle “Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive” del 14 luglio 2001: la norma, infatti, stabilisce che il conferimento dell'incarico professionale, rilasciato con atto scritto, legittima il difensore a svolgere investigazioni difensive senza necessità di specifico mandato. La fonte genetica del potere investigativo difensivo risiede, dunque, nell'incarico professionale, di talché la legittimazione al compimento di atti d'indagine da parte del difensore prescinde dal conferimento di specifici poteri in tal senso, costituendo implicito connotato del negozio di mandato sottostante alla nomina. La prescrizione normativa secondo cui l'incarico professionale deve avere forma scritta è giustificata, invece, dalla necessità di disporre di uno strumento probatorio certo in punto di effettivo conferimento di un incarico difensivo costituente la premessa legittimante il compimento di atti d'indagine. |