Richiesta di sequestro in caso di diniego da parte della pubblica amministrazione ovvero di privati (art. 391-quater)InquadramentoIl codice, come interpolato dalla l. n. 397/2000, prevede espressamente la possibilità di formulare una specifica richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione. Essa è interamente dislocata all'interno del procedimento penale, di talché di esso reperisce gli strumenti tipici ed i rimedi al sempre possibile insuccesso dell'iniziativa difensiva. Ovviamente, non disponendo di poteri coercitivi, questi ultimi implicano la indispensabilità di un momento di contatto con il potere giudiziario affinché venga disposto il sequestro dello specifico documento. FormulaPROCURA DELLA REPUBBLICA TRIBUNALE DI ... RICHIESTA DI SEQUESTRO DI DOCUMENTI (art. 391-quater c.p.p.) L'Avv. ... con studio in ..., via ..., n. ..., difensore di ..., persona sottoposta alle indagini nell'ambito del procedimento penale n. ..., iscritto dalla procura della repubblica presso il Tribunale di ..., premesso: 1. che ai fini delle indagini difensive relative al predetto procedimento penale ritiene necessario acquisire a sue spese copia dei seguenti documenti in possesso della Pubblica Amministrazione ... [1]; 2. che tali documenti risultano essere stati formati e detenuti stabilmente dall'Ufficio ... di ...; 3. che il dirigente del predetto Ufficio ha opposto un netto rifiuto adducendo che ... come risulta da ...; 4. che l'acquisizione della predetta documentazione è indispensabile ai fini delle indagini difensive, dal momento che .... Tutto ciò premesso, con il presente atto rivolge istanza affinché la S.V. Ill.ma voglia, ai sensi dell'art. 391-quater, comma 3, c.p.p., disporre il sequestro dei predetti documenti presso il predetto ufficio. Luogo e data ... Firma Avv. ... 1. La formula è utilizzabile anche rispetto ad una richiesta indirizzata a soggetti privati. CommentoLa richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione ed a soggetti privati L'art. 391-quater c.p.p. attribuisce al difensore una facoltà di accesso agli atti della pubblica amministrazione che, interamente dislocata all'interno del procedimento penale, reperisce negli strumenti tipici di esso i rimedi all'insuccesso dell'iniziativa difensiva. Prima dell'emanazione della legge sulle investigazioni difensive, la facoltà del difensore di accedere ai documenti in possesso della pubblica amministrazione era regolata dalla l. n. 241/1990, come è noto recante norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. L'art. 22 della legge sul procedimento amministrativo dispone che, allo scopo di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale, è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse, per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, il diritto di accesso ai documenti amministrativi. La normativa sulla c.d. trasparenza amministrativa non consentiva, tuttavia, di soddisfare in modo adeguato le esigenze peculiari delle investigazioni difensive, essendo, il diritto di accesso, molto spesso vanificato sia da resistenze talvolta opposte dagli uffici, sia dai cronici tempi lunghi nell'evasione delle richieste, ulteriormente aggravati in caso di controversie e, quindi, di intervento della giurisdizione amministrativa. La disposizione di recente introduzione delinea una disciplina della fattispecie investigativa articolandola su di un duplice livello di rapporti, di cui il primo realizza una relazione diretta tra il difensore e la pubblica amministrazione, l'altro una connessione mediata dall'intervento dell'autorità giudiziaria. Innanzitutto, l'art. 391-quater c.p.p. stabilisce che il difensore può chiedere, ai fini delle investigazioni difensive, i documenti in possesso della pubblica amministrazione – a nozione di pubblica amministrazione deve essere intesa in senso ampio, dunque, in conformità con quanto disposto dall'art. 23, l. n. 241/1990, comprensiva delle amministrazioni statali, degli enti pubblici in genere e dei concessionari di pubblici servizi – ovvero di estrarne copia a sue spese, mediante un'istanza da rivolgere all'amministrazione che ha formato il documento o che, comunque, lo detiene stabilmente. La delimitazione dell'ambito operativo della disposizione è inequivocabile ed esclude che essa possa trovare applicazione rispetto ai documenti detenuti da soggetti privati. La mancata previsione non implica, tuttavia, che siffatta attività sia preclusa al difensore, fermo restando che il destinatario della richiesta stessa può disattenderla, anche tacitamente, e, in tal caso, il difensore, il quale in generale non dispone di poteri coercitivi, può sollecitare il Pubblico Ministero utilizzando i medesimi strumenti previsti dall'art. 391-quater, comma 3, c.p.p. Infatti, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che è da escludere che l'art. 391-septies c.p.p., nel prevedere la possibilità di accesso del difensore, su motivato decreto di autorizzazione del Giudice, a luoghi privati o non aperti al pubblico, conferisca al medesimo difensore anche il potere di prendere visione e trarre copia di atti o documenti ivi custoditi, potendo il difensore avere accesso, ai sensi dell'art. 391-quater c.p.p., solamente alla documentazione in possesso della pubblica amministrazione mentre, con riguardo a quella detenuta da privati di cui questi rifiutino l'esibizione, può soltanto avanzare richiesta, ai sensi dell'art. 367 c.p.p., per l'adozione di un provvedimento di sequestro (Cass. II, n. 42588/2005). L'intervento dell'autorità giudiziaria L'inoltro dell'istanza di esame, ed eventualmente acquisizione di copia, dell'atto in possesso della pubblica amministrazione non determina in capo a quest'ultima un obbligo di accettazione, ben potendo, l'ufficio di destinazione, rifiutare l'accesso sia mediante l'adozione di un provvedimento espresso di diniego, sia mediante un comportamento concludente che, ovviamente, non può che consistere nel silenzio protratto per un certo periodo di tempo. L'art. 391-quater, comma 3, c.p.p. disciplina gli effetti del rifiuto delineando una fattispecie incentrata sulle previsioni contenute negli artt. 367 e 368 c.p.p. La prima disposizione stabilisce, come è noto, che, nel corso delle indagini preliminari, i difensori hanno facoltà di presentare memorie e richieste scritte al Pubblico Ministero. Mentre le memorie, è stato rilevato, mirano a puntualizzare dati aventi ad oggetto questioni di fatto – in particolare, quando il fatto risulti di peculiare complessità o sia necessario chiarire taluni rilevanti dettagli – o di diritto – qualora occorra richiamare l'elaborazione dottrinale o giurisprudenziale, o prospettare una certa interpretazione giuridica – oppure, ancora, tecniche – ove l'indagine richieda la soluzione di problemi tecnico-scientifici – le richieste tendono all'adozione di un'iniziativa o di uno specifico provvedimento da parte dell'autorità giudiziaria. Dunque, l'istante può rivolgersi al Pubblico Ministero, eventualmente per sollecitare – mediante una richiesta le cui motivazioni sono liberamente valutabili, quindi illimitatamente spendibili, dal destinatario – l'adozione di un provvedimento funzionale al raggiungimento dello scopo investigativo perseguito, anche se rimane non chiarito di che tipo di provvedimento potrebbe trattarsi – verosimilmente, di un ordine di esibizione ai sensi dell'art. 256 c.p.p. – e, soprattutto, se esso sia idoneo a provocare un effetto acquisitivo direttamente riferibile alla sfera del difensore oppure a quella del Pubblico Ministero richiedente. Nonostante il tentativo di saldare, in chiave sistematica, l'art. 367 c.p.p. all'art. 358 c.p.p. – norma che obbliga il Pubblico Ministero a svolgere anche gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini – al fine di porre rimedio, in via esegetica, alla lacuna derivante dal fatto che, a differenza dell'art. 121, comma 2, c.p.p., l'art. 367 c.p.p. non impone al destinatario di provvedere senza ritardo in relazione alle richieste ritualmente formulate dalla parte, sembra chiaro che l'eventuale inerzia del Pubblico Ministero è comunque priva di qualsivoglia sanzione processuale. Qualsiasi tentativo, dunque, di fondare sul richiamo della disposizione predetta la potenziale instaurazione di un rapporto tra soggetti procedimentali contrapposti, al fine di procurare alla parte privata un succedaneo idoneo ed efficace, ovvero uno strumento rafforzativo dell'efficacia persuasiva dell'istanza di accesso, proveniente dalla parte pubblica e dotato della forza di vaglio preliminare di legittimità, in chiave investigativa, della stessa – sotto forma, per esempio, di visto o di autorizzazione – è destinato a scontrarsi sia con il limite intrinseco ad un sistema sprovvisto della previsione di sanzioni, sia con le giustificate remore connesse alla necessità di dovere fare affidamento, al fine di sostituire o “blindare” l'istanza destinata alla pubblica amministrazione, all'accondiscendenza di chi, magari persuaso della possibilità di reperire utili spunti d'indagine, potrebbe essere indotto ad intraprendere un autonomo percorso acquisitivo. Non rimane, allora, che saldare tra loro le due disposizioni richiamate dall'art. 391-quater, comma 3, c.p.p., la seconda delle quale prevede che, allorquando la richiesta rivolta al Pubblico Ministero sia finalizzata ad ottenere il sequestro di un bene – nel caso che ci occupa, del documento di cui la pubblica amministrazione ha rifiutato la consegna – e questi ritenga di non procedere in conformità, deve trasmettere la richiesta, corredata di un suo parere, al Giudice per le indagini preliminari. Sembra evidente che un eventuale parere negativo deve esporre argomentazioni pertinenti con la prospettiva investigativa tracciata dal difensore nella richiesta sotto il particolare profilo della finalità probatoria perseguita, esulando dalla meccanica dell'atto eventuali valutazioni riferite alle esigenze delle indagini preliminari e relazionate ad un eventuale giudizio, nell'ambito della correlata prospettazione, di inutilità probatoria. Il codice non disciplina, si è già visto, una facoltà di richiesta di documenti a soggetti diversi dalla pubblica amministrazione. Tuttavia, la mancata previsione non implica che siffatta attività sia preclusa al difensore, fermo restando che il destinatario della richiesta stessa può disattenderla, anche tacitamente, e, in tal caso, il difensore potrà, soltanto, sollecitare il Pubblico Ministero utilizzando i medesimi strumenti previsti dall'art. 391-quater, comma 3, c.p.p. Se non che, trattandosi di un'attività priva di specifica disciplina e non delineata chiaramente quale atto investigativo difensivo, o la si colloca nell'ambito delle attività investigative atipiche – di talché della categoria generale viene recuperata la funzione e, quindi, i modelli dinamici di sviluppo – oppure, di necessità, il difensore dovrà dimostrare che l'attività acquisitiva si pone in linea con le finalità delle indagini preliminari e dovrà, rispetto ad esse, argomentare circa l'utilità probatoria dell'atto richiesto. Sulla richiesta di sequestro probatorio il Giudice deve decidere – con gli stessi limiti valutativi tracciati in relazione al Pubblico Ministero – entro il termine di cui all'art. 121, comma 2, c.p.p., con ordinanza emessa de plano, la quale non è suscettibile di impugnazione. Ovviamente, il sequestro probatorio che eventualmente consegue all'iniziativa difensiva produce un esito acquisitivo che, mancando qualsiasi specificazione, ha, come effetto, l'inserimento nel fascicolo del Pubblico Ministero del documento del quale è stata inizialmente rifiutata la consegna, fatta salva la facoltà di accesso disciplinata dall'art. 366 c.p.p. |