Atto di presentazione di elementi investigativi difensivi al Giudice (art. 391-octies, comma 1)

Leonardo Suraci

Inquadramento

La legge sulle investigazioni difensive, superando una delle più importanti lacune del regime previgente, disciplina gli strumenti di utilizzazione delle risultanze acquisite dal difensore. L'art. 391-octies c.p.p., invero, prevede una duplice possibilità di veicolazione della documentazione investigativa nell'ambito processuale, affiancando alla possibilità di presentazione diretta al Giudice – sotto forma di presentazione in via preventiva ovvero nel contesto di un'attività decisionale già in corso – la facoltà di presentazione al Pubblico Ministero. In entrambi i casi si verifica una fuoriuscita dell'atto investigativo dalla sfera di disponibilità del difensore ed un effetto acquisitivo stabile, idoneo a rendere l'atto utilizzabile a prescindere dai programmi difensivi.

Formula

TRIBUNALE DI.... UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

proc. pen. n.....

ATTO DI PRESENTAZIONE DI ELEMENTI DI PROVA

(ART. 391-OCTIES, comma 2, c.p.p.)

l'Avv....., con studio in....; via...., n....., difensore di fiducia di...., persona sottoposta alle indagini nell'ambito del procedimento penale n.....,

PREMESSO

a) che in data è venuto a conoscenza dell'esistenza del procedimento penale n..... a carico di....;

b) che, nell'ambito del procedimento predetto, ha svolto attività investigativa acquisendo i seguenti elementi investigativi:....;

c) che è intenzione di fare acquisire la documentazione di cui sopra al proprio fascicolo difensivo ex art. 391-octies, comma 3, c.p.p.

Tutto ciò premesso, con il presente atto trasmette alla S.V. Ill.ma, ai sensi dell'art. 391-octies, comma 3 e dell'art. 111-bis c.p.p., gli elementi di prova sopra indicati affinché voglia esaminarli e tenere conto di essi ai fini di ogni valutazione che vorrà adottare.

Luogo e data....

Firma Avv.....

Commento

La presentazione degli elementi difensivi al Giudice

Il difensore che ha svolto attività d'investigazione – e ne ha documentato le relative risultanze in conformità con il dettato normativo – dispone di un'estesa facoltà di utilizzazione, potendo veicolare i propri atti nell'ambito del procedimento attraverso due distinti canali comunicativi.

Il primo ha come destinatario il Pubblico Ministero, al quale il difensore, ai sensi dell'art. 391-octies, comma 4, c.p.p., può presentare gli elementi acquisiti a favore del proprio assistito.

Si tratta di un itinerario acquisitivo noto al sistema processuale e, per certi versi, complementare ad esso, dal momento che, già prima della riforma attuata con la legge sulle investigazioni difensive, gli artt. 367 e 415-bis c.p.p. ponevano il difensore nelle condizioni di relazionarsi con il Pubblico Ministero al fine di presentare “memorie e richieste scritte” ovvero, ai sensi della seconda disposizione, “depositare documentazione relativa ad investigazioni” eventualmente compiute.

Il secondo strumento di acquisizione delle risultanze delle investigazioni difensive nel contesto procedimentale consiste nella presentazione diretta al Giudice, nel corso delle indagini preliminari ovvero dell'udienza preliminare.

La trasmissione, precisa l'art. 111-bis c.p.p., introdotto dal d.lgs. n. 150/2022, deve in ogni caso avvenire con modalità telematiche, trattandosi della modalità esclusiva di deposito di atti provenienti da soggetti del procedimento, fatta salva l'ipotesi di atti compiuti personalmente dalle parti private.

Nell'ambito delle predette fasi, dispone infatti l'art. 391-octies, comma 1, c.p.p., quando il Giudice deve adottare una decisione con l'intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito.

La previsione presuppone, in relazione alla fase delle indagini preliminari, l'attivazione di un qualsiasi frangente in cui un soggetto del procedimento sia legittimato ad interloquire, in vista dell'adozione di un determinato provvedimento giurisdizionale.

L'assenza di specifici riferimenti soggettivi relativamente alla fase procedimentale richiamata – la norma, infatti, identifica nel Giudice il destinatario degli atti investigativi, senza, però, specificare che debba trattarsi necessariamente del Giudice per le indagini preliminari – consente, senza forzature di sorta, di ritenere che il difensore sia legittimato a produrre le proprie risultanze investigative a qualsiasi autorità giurisdizionale che intervenga nel corso del procedimento, incluso, quindi, il Giudice del riesame e dell'appello in materia cautelare.

D'altra parte, la Suprema Corte ha ritenuto legittima la presentazione di elementi investigativi difensivi direttamente al Giudice del riesame, puntualizzando che la nuova disciplina delle indagini difensive, nel prevedere un'amplissima possibilità, per i difensori delle parti private, di assumere prove, delinea per le stesse un'equiparazione, sotto i profili dell'utilizzabilità e della forza probatoria, a quelle raccolte dalla pubblica accusa nelle diverse fasi del procedimento – indagini preliminari, udienza preliminare e dibattimento – con la conseguenza che, allorché al Giudice del riesame vengano dalla difesa della persona sottoposta alle indagini offerti elementi di prova in favore del proprio assistito, il tribunale ha l'obbligo di valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento, attraverso argomentazioni logico-giuridiche adeguatamente corrette (Cass. II, n. 13552/2002).

D'altra parte, sempre In relazione alle indagini difensive prodotte nel corso del procedimento di riesame, la Corte ha evidenziato che l'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti non può essere data per presupposta, ma deve essere valutata in concreto, tenendo conto del suo grado di coinvolgimento nei fatti di causa, del conseguente interesse rispetto all'esito del procedimento, del se, nel momento in cui ha reso le dichiarazioni, fosse o meno a conoscenza che l'ordinanza cautelare era stata emessa anche valorizzando sul piano accusatorio i suoi rapporti con l'indagato (Cass. VI, n. 9386/2017).

Rispetto ad un profilo delicatissimo e differenziato, invece, la Suprema Corte ha statuito che l'obbligo dell'autorità procedente di trasmettere al tribunale del riesame gli atti di cui all'art. 291, comma 1, c.p.p., riguarda anche i risultati delle investigazioni difensive posti a disposizione del Giudice per le indagini preliminari all'atto dell'emissione dell'ordinanza cautelare, in quanto formati anteriormente alla richiesta di applicazione della misura e già contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero; ne consegue che la loro omessa trasmissione al Giudice del riesame determina la caducazione del provvedimento impugnato qualora essi incidano in modo decisivo sul quadro cautelare, spettando all'indagato l'onere di indicare le ragioni per le quali gli atti in questione rivestano tale carattere (Cass. I, n. 50906/2018).

Nonostante la previsione normativa sembri limitare l'ambito operativo del meccanismo acquisitivo alla fase propriamente investigativa, la possibilità di attivare un procedimento incidentale anche successivamente alla chiusura di siffatto segmento procedurale impone, per ragioni di coerenza sistematica e di ragionevolezza, di ritenere che la possibilità di presentazione di elementi a favore dell'assistito sia riconosciuta anche relativamente alle procedure incidentali instaurate nel corso del giudizio.

In questo senso, in ogni caso, è orientata la Suprema Corte, la quale ha chiarito che il Giudice chiamato a provvedere sull'istanza di revoca di una misura cautelare personale, formulata da un imputato già condannato in primo grado, ha l'obbligo di valutare gli elementi nuovi emersi dalle investigazioni difensive anche successivamente alla sentenza di condanna (Cass. V, n. 21713/2003).

L'acquisizione “preventiva”

L'art. 391-octies, comma 2, c.p.p. introduce un meccanismo acquisitivo di tipo diverso, perché sganciato dalla previa instaurazione di una fase specificamente caratterizzata dalla partecipazione del difensore e, quindi, da una finalizzazione delle risultanze investigative rispetto all'adozione di una determinata decisione.

La norma prevede, infatti, che, nel corso delle indagini preliminari, il difensore che abbia conoscenza di un procedimento penale possa presentare gli elementi favorevoli al proprio assistito direttamente al Giudice, perché ne tenga conto anche nel caso in cui debba adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della parte assistita.

La disposizione non impone che il difensore debba documentare le modalità di conoscenza “formale” della pendenza di un procedimento penale nei confronti del proprio assistito, di talché il dato legittimante la presentazione ed utilizzazione degli atti investigativi può essere costituito da qualsiasi notizia da cui si possa evincere, in maniera anche indiretta, la predetta pendenza.

Potrebbe rivelarsi sufficiente, quindi, una produzione che sia correlata ad un procedimento penale del quale vengano, semplicemente, esposti i dati di identificazione formale.

È chiaro che, una volta avvenuta, la presentazione rende gli elementi utilizzabili anche in contesti decisionali partecipati, ma la caratteristica essenziale del modello in esame consiste proprio nell'utilizzabilità generale degli atti nell'ambito del procedimento penale al quale accedono, estesa, dunque, a qualsiasi ipotetico ed in anticipo non pronosticabile intervento del Giudice per le indagini preliminari.

Il Giudice deve, ovviamente, tenere conto degli elementi presentati dal difensore in tutti i casi in cui sia chiamato a decidere una questione determinata, dando conto in motivazione dei criteri di valutazione adottati e dei risultati ai quali è, sulla base di essi, pervenuto.

La presentazione di elementi difensivi al Giudice dell'udienza preliminare

Per quel che concerne l'udienza preliminare, invece, le risultanze dell'investigazione difensiva, acquisite successivamente alla conclusione delle indagini preliminari, ovvero, nel corso di esse ma non prodotte in precedenza, potranno essere presentate direttamente in udienza e sottoposte alla valutazione del Giudice in vista dell'adozione del provvedimento acquisitivo previsto dall'art. 421, comma 3, c.p.p.

La facoltà, riconosciuta al difensore dall'art. 391-octies c.p.p., di presentare gli elementi di prova va, dunque, esercitata prima dell'inizio della discussione, non potendo il principio di continuità investigativa consentire di aggirare il disposto dell'art. 419, comma 3, c.p.p.: norma, quest'ultima, dalla quale si evince che, dopo l'inizio della discussione, le parti non possono più chiedere l'ammissione di atti o documenti non prodotti in precedenza.

Come specificato recentemente dalla Corte di Cassazione, la violazione dell'obbligo di immediato deposito nella segreteria del Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 430, comma 2, c.p.p., della documentazione relativa all'attività integrativa di indagine compiuta dal difensore dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio è priva di specifica sanzione processuale, essendo tuttavia demandato al Giudice del merito il compito di adottare gli opportuni provvedimenti che, se adeguatamente motivati, sono insindacabili in sede di legittimità, volti a reintegrare la pubblica accusa nelle prerogative di prendere visione degli atti ed estrarne copia. Nella fattispecie in esame, la Corte ha ritenuto che correttamente il tribunale, rilevato il mancato deposito del verbale relativo alle dichiarazioni scritte di persona informata sui fatti raccolte dal difensore, aveva negato la loro utilizzazione ai fini delle contestazioni, non reputando sufficiente a garantire la parità delle parti la mera ostensione del verbale al Pubblico Ministero prima dell'utilizzo (Cass. III, n. 51830/2018).

Dopo l'inizio della discussione, tuttavia, non è precluso ai difensori delle parti, proprio in virtù del principio di continuità delle indagini, lo svolgimento di ulteriori attività investigative, ma gli esiti delle stesse, eventualmente richiamati ed illustrati durante la discussione, non possono essere acquisiti dal Giudice, ma potranno soltanto essere utilizzati per sollecitare i poteri di integrazione probatoria di cui all'art. 422 c.p.p.

La necessità di veicolare ritualmente le risultanze delle investigazioni difensive, in conformità delle disposizioni che compendiano le fattispecie acquisitive, è stata ribadita dalla giurisprudenza, laddove dispone che Sono state ritenute inutilizzabili le dichiarazioni di persone informate dei fatti acquisite dal difensore senza il rispetto delle forme e garanzie dettate dagli artt. 391-bis ss. c.p.p. ed introdotte nel procedimento quali allegati ad una memoria difensiva. Difatti, tali dichiarazioni non possono essere considerate documenti, in quanto strettamente funzionali al procedimento e formate nell'ambito dello stesso (Cass. VI, n. 12291/2019).

Il giudizio abbreviato

Il tema del rapporto tra le investigazioni difensive ed il giudizio abbreviato presenta profili di problematicità dotati di significativo rilievo anche sul versante dei principi costituzionali, legati per lo più al combinarsi di due settori del sistema processuale penale sorretti dal principio dispositivo.

L'investigazione privata, come è stato già messo in evidenza allorquando sono stati esaminati i principi generali del sistema investigativo difensivo, presenta il carattere della “disponibilità”, nel senso che il difensore non è gravato da un dovere investigativo, ma compie atti d'indagine soltanto in quanto li ritenga funzionali alla piena attuazione della propria strategia difensiva.

Essa può, inoltre, presentare carattere di “frammentarietà”, da intendersi come libertà del difensore di scegliere gli atti investigativi da compiere e le risultanze da portare a conoscenza dell'antagonista pubblico e, quindi, da sottoporre alla valutazione giudiziale.

Il giudizio abbreviato, a sua volta, è divenuto, a seguito della riforma attuata con la l. n. 479/1999, una modalità processuale suscettibile di essere attivata su iniziativa dell'imputato, secondo uno schema introduttivo nell'ambito del quale il Pubblico Ministero è stato privato di qualsiasi funzione ed il Giudice, qualora si tratti di una richiesta semplice, di un effettivo spazio di delibazione.

La previsione di un meccanismo che rimette all'imputato la formazione diretta della prova da utilizzare nell'ambito di un modello processuale al quale ha il diritto di accedere ha posto al centro dell'attenzione i problemi connessi ad una soluzione normativa che, in termini assolutamente innovativi, pone l'attività d'investigazione difensiva al centro del sistema processuale.

Orbene, non può revocarsi in dubbio che il sistema legittimi la piena utilizzabilità degli atti dell'indagine difensiva – da qualsiasi parte provengano – nell'ambito del rito speciale e, in questo senso, è orientata la giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene pienamente utilizzabili, nell'ambito del giudizio abbreviato, le dichiarazioni assunte dai difensori della persona offesa e depositate prima dell'udienza preliminare (Cass. III, n. 33898/2010).

Deve osservarsi, però, che l'estromissione del Pubblico Ministero dalla dinamica probatoria interna al giudizio abbreviato, soprattutto in relazione ai casi in cui la produzione delle risultanze investigative acquisite dall'imputato è contestuale al deposito dell'istanza di ammissione, ha posto problemi di coerenza sistematica e uno stato di tensione con il principio di parità delle parti al quale si è, in un primo momento, cercato di porre rimedio ipotizzando di assimilare la richiesta di giudizio speciale semplice accompagnata dal contestuale deposito di risultanze investigative difensive ad una richiesta condizionata, in modo da consentire al Pubblico Ministero di recuperare il diritto alla prova contraria previsto dall'art. 438, comma 5, c.p.p. in relazione a questo tipo di richiesta.

La proposta è stata formulata prospettando quale alternativa possibile quella di imporre alla difesa il deposito della documentazione delle investigazioni svolte in concomitanza delle indagini preliminari appena conclusa tale fase. La soluzione non poteva, però, essere accolta in quanto è incompatibile con la disciplina del profilo temporale dell'investigazione difensiva, la quale non contempla termini perentori assimilabili a quelli delle indagini preliminari.

La possibilità offerta alla difesa dell'imputato di influenzare, con atti formati unilateralmente, la decisione conclusiva del giudizio abbreviato, accompagnata dalla mancanza di strumenti attuativi del “diritto alla prova” a favore del Pubblico Ministero – il quale, estromesso dalla fase introduttiva del giudizio speciale, non ha spazi per interloquire sulle scelte difensive implicanti la trasformazione funzionale del materiale investigativo – ha quindi indotto autorevoli voci dottrinarie ad individuare nel binomio indagini difensive-giudizio abbreviato una combinazione notevolmente pregiudizievole del valore della parità delle parti, questa volta incrinato, nel suo equilibrio, a vantaggio della difesa.

Ne è scaturita l'insorgenza di dubbi circa la legittimità costituzionale di una disciplina che non contempla reciprocamente la necessità del consenso di tutte le parti processuali ai fini dell'inserimento dei rispettivi atti d'indagine nel fascicolo utilizzabile dal Giudice nell'ambito della fase propriamente processuale.

L'impostazione dottrinale contraria all'utilizzo delle risultanze dell'investigazione difensiva nell'ambito del rito speciale secondo una dinamica introduttiva che prescinda dal consenso del Pubblico Ministero è stata definitivamente censurata dalla Corte costituzionale, sulla base di una ricostruzione della relazione sussistente tra il profilo oggettivo del contraddittorio e il diritto di difesa secondo la quale il primo costituirebbe soltanto un aspetto di quest'ultima (Corte cost., n. 184/2009).

Ha destato non poche perplessità, pertanto, la modifica dell'art. 438 c.p.p. realizzata con la l. n. 103/ 2017, per effetto della quale la richiesta di giudizio abbreviato immediatamente preceduta dal deposito dei risultati delle investigazioni difensive – eventualità che, si badi, si era verificata nel giudizio in cui era stata sollevata la questione di costituzionalità risolta dalla Corte, ove la documentazione difensiva era stata prodotta “a sorpresa” immediatamente prima della richiesta di giudizio abbreviato – rimette in termini – sessanta giorni, si legge nella norma modificata – il Pubblico Ministero che ne faccia richiesta per l'espletamento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa.

La giurisprudenza ha, in chiave restrittiva, precisato che in tema di rito abbreviato, il termine “indagini difensive” di cui all'art. 438, comma 4, c.p.p. si riferisce esclusivamente alle attività di cui agli artt. 391-bis e ss. c.p.p., poiché solo il deposito dei “risultati” dell'attività di indagine difensiva può giustificare l'assegnazione al Pubblico Ministero di un termine per svolgere ulteriori attività investigative al fine di contrastare i suddetti risultati onde riportare le parti su un piano di parità (Cass. V, n. 20802/2019).

Ha anche precisato, però, che sono utilizzabili nell'ambito del rito speciale le dichiarazioni rese in sede stragiudiziale, ancorché non siano state assunte con le forme previste dall'art. 391-bis c.p.p., trattandosi di documenti acquisiti al di fuori delle indagini difensive, che assumono valore probatorio per effetto della richiesta di celebrazione del processo nelle forme del rito alternativo (Cass. VI, n. 5281/2019).

Allo stesso modo, alla luce del disposto dell'art. 391-bis, comma 6, c.p.p., il quale vieta, a pena di inutilizzabilità, solo richiedere alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero notizie sulle domande formulate o sulle risposte date, la Corte di Cassazione ha stabilito che le dichiarazioni rese al proprio difensore nell'ambito di indagini difensive dalla persona offesa esaminata in precedenza nel corso di un incidente probatorio sono utilizzabili ai fini della decisione, ove depositate prima dell'ammissione del rito, non sussistendo alcun divieto che precluda lo svolgimento di tale attività investigativa (Cass. III, n. 2341/2018. Nello stesso senso si era espressa, in precedenza, Cass. III, n. 33898/2010).

Sul versante cronologico, è stato ribadito che i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione nell'ambito del giudizio abbreviato a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del Pubblico Ministero prima dell'ammissione al rito speciale, con la conseguenza che nell'ipotesi di giudizio abbreviato a seguito di udienza preliminare, tali atti possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito abbreviato, a norma dell'art. 438 c.p.p. (Cass. II, n. 9198/2017).

Allo stesso modo, ovviamente, poiché la richiesta di giudizio abbreviato c.d. “secco”, di cui all'art. 438, comma 1, c.p.p., comporta la definizione del processo allo stato degli atti, nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita – e questo vale anche per la richiesta di produzione dei verbali delle indagini difensive – salva la facoltà dell'imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il Giudice all'esercizio dei poteri di cui all'art. 441, comma 5, c.p.p. (Cass. IV, n. 51950/2016).

Il fascicolo del difensore

La documentazione degli atti d'indagine difensiva, in originale o, se il difensore ne richiede la restituzione, in copia è inserita nel fascicolo del difensore, compendio formato e conservato presso l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari.

Con questa disposizione, l'art. 391-octies, comma 3, c.p.p. individua la sede materiale – o, per meglio dire, informatica, dal momento che l'art. 391-octies c.p.p. stabilisce che la documentazione investigativa difensiva è inserita nella parte del fascicolo informatico riservata al difensore, mentre quella depositata in formato analogico continua ad essere conservata nel fascicolo cartaceo – di custodia delle risultanze delle investigazioni difensive che il difensore ha ritenuto conveniente presentare direttamente al Giudice durante le indagini preliminari ovvero nel corso dell'udienza preliminare.

Il nesso di consequenzialità che lega la formazione del fascicolo alla produzione degli atti investigativi difensivi induce, ovviamente, a ritenere che può anche accadere che un fascicolo del difensore non venga mai formato nell'ambito di un determinato procedimento, non essendo immaginabile che la cancelleria del Giudice per le indagini preliminari possa procedere alla formazione di un fascicolo senza che via sia stato il deposito di, quantomeno, un atto d'indagine difensiva.

Sembra, questa, l'unica interpretazione possibile dell'art. 391-octies c.p.p., salvo voler riempire le cancellerie dei giudici per le indagini preliminari di migliaia di fascicoli “vuoti”.

A voler ragionare diversamente, rimarrebbe comunque aperto il problema della conoscenza, da parte dell'ufficio, di un procedimento ancora mai pervenuto a fasi di contatto con il Giudice per le indagini preliminari.

È, allora, facile ipotizzare che, nella prassi, sia il difensore a formare effettivamente il proprio fascicolo, ossia a confezionarlo materialmente depositando in cancelleria un compendio già strutturato e suscettibile di ulteriori immissioni, legate allo svolgimento di investigazioni difensive successive.

La distinzione tra le forme di presentazione degli atti a seconda del soggetto che ne è destinatario – Pubblico Ministero o Giudice – imponeva, può dirsi, una differenziazione anche sotto il profilo della destinazione degli atti investigativi, essendo privo di coerenza sistematica un sistema che, una volta sdoppiati i meccanismi di veicolazione, avesse considerato irrilevante l'una, ovvero, l'altra forma di conservazione.

Ed allora, se gli atti presentati al Pubblico Ministero sono inseriti nel fascicolo delle indagini preliminari, quelli destinati al Giudice non potevano che avere quale luogo di destinazione un fascicolo creato appositamente per assicurarne la custodia e, all'occorrenza, l'utilizzazione.

Chiaramente, dal momento della presentazione – alla quale segue, inevitabilmente, l'inserimento nel relativo fascicolo – la documentazione degli atti investigativi difensivi rimane definitivamente acquisita al procedimento e di essa non potrà essere richiesta la restituzione, sebbene dovesse, a posteriori, emergere il carattere pregiudizievole degli elementi acquisiti rispetto alla posizione della persona assistita.

La necessità di salvaguardare quella forma di segreto investigativo difensivo connesso alla piena osservanza dei divieti informativi stabiliti dagli artt. 351 e 363 c.p.p. ha determinato l'introduzione di una previsione volta ad evitare che la documentazione inserita nel fascicolo del difensore possa entrare immediatamente nella disponibilità del Pubblico Ministero.

L'art. 391-octies, comma 3, c.p.p. stabilisce, infatti, che questi possa prendere visione e, ritenendolo necessario, estrarre copia degli atti depositati dal difensore soltanto prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento, «il che significa che, se non si è in vista di una decisione di tal genere, il Pubblico Ministero non ne ha facoltà, né il titolo per una generale discovery anticipata».

La norma non chiarisce secondo quali meccanismi possa garantirsi la conoscenza dell'avvenuta formazione del fascicolo difensivo al Pubblico Ministero, di talché è stata prospettata la soluzione di porre, in capo al Giudice investito della definizione di una questione secondo modalità implicanti la discovery degli atti difensivi, l'onere di avvisare la parte pubblica della facoltà di esaminare ed estrarre copia degli atti in esso contenuti.

Siffatto adempimento, però, non è imposto da alcuna disposizione per cui, non potendosi nemmeno configurare un onere informativo a carico del difensore, è necessario che sia il Pubblico Ministero, una volta avuta conoscenza della pendenza di un itinerario incidentale attivato dalle parti private – ovvero nel cui ambito esse hanno titolo ad interloquire – ad attivarsi presso il Giudice competente al fine di acquisire notizie circa l'avvenuta formazione di un fascicolo difensivo ed il suo contenuto.

Lo stesso ordine di problemi si pone relativamente al potere delle parti private di esaminare la documentazione prodotta da un'altra parte e contenuta nel fascicolo del difensore di pertinenza di quest'ultima, posto che difetta, anche rispetto a siffatto profilo di dinamica procedurale, un'espressa previsione normativa.

Evidenti ragioni di simmetria nella configurazione dei poteri e delle facoltà delle parti, unite ad esigenze connesse alla garanzia piena e completa del diritto di difesa, rendono preferibile la tesi che estende a ciascuna di esse gli aspetti temporali e modali dell'accesso al fascicolo difensivo previsti in relazione al Pubblico Ministero.

Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore, fino a quel momento custodito presso la cancelleria del Giudice per le indagini preliminari, deve essere inserito nel fascicolo disciplinato dall'art. 433 c.p.p.

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