Dichiarazione di assenso all'utilizzo del braccialetto elettronico (art. 275-bis)

Costantino De Robbio

Inquadramento

Con questo atto l'indagato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari esprime il proprio consenso all'applicazione del braccialetto elettronico. Presupposto della dichiarazione è dunque l'emissione da parte del giudice che procede della misura cautelare prevista dall'art. 284 c.p.p. (arresti domiciliari), sia ex novo che in sostituzione della misura della custodia in carcere o di altra misura non custodiale.

Il giudice può privare l'indagato/imputato della libertà personale ingiungendogli di non allontanarsi senza autorizzazione dal proprio domicilio o da altro luogo di privata dimora ovvero, se ricoverato, da un luogo di cura o ancora da una casa familiare protetta. Si tratta di una misura cautelare detentiva, parificata a tutti gli effetti alla custodia in carcere. Il tempo trascorso agli arresti domiciliari viene dunque scomputato, in caso di condanna, dalla pena detentiva da scontare (cosiddetto “presofferto”).

Il provvedimento è emesso inaudita altera parte, su richiesta del Pubblico Ministero.

Per la sua adozione occorre motivare in merito alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato per un reato punito con pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione e di almeno una delle tre esigenze cautelari tipizzate dall'art. 274 c.p.p.: a) inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga; c) pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie di quelli per cui si procede. Gli arresti domiciliari possono essere adottati solo se ogni altra misura meno afflittiva risulti inadeguata: deve dunque essere specificata la ragione per cui si ritiene che le esigenze cautelari non siano adeguatamente tutelate con l'adozione di una misura non custodiale

Il giudice deve infine dare conto del fatto che, in caso di condanna, la pena non sarà sospesa, dunque sarà superiore al limite di due anni di reclusione e non vi siano motivi per ritenere che l'imputato commetta altri reati (artt. 275 comma 2-bis c.p.p., 163 e 164 c.p.).

Alla misura degli arresti domiciliari può essere aggiunta, quale particolare modalità di controllo, lo strumento di controllo del braccialetto elettronico (art. 275-bis c.p.p.), qualora disponibile.

In questo caso, al momento della notificazione dell'ordinanza, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria dovranno acquisire dal destinatario della misura una dichiarazione di assenso o di dissenso, che deve essere immediatamente trasmessa all'Autorità Giudiziaria procedente.

In caso di dissenso l'ordinanza non potrà essere eseguita.

Formula

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

DICHIARAZIONE DI ASSENSO ALL'UTILIZZO DEL BRACCIALETTO ELETTRONICO ART. 275- BIS C.P.P.

Il sottoscritto...., nato a.... il...., elettivamente domiciliato in....,

difeso dall'Avv..... con studio in....

PREMESSO CHE

con ordinanza emessa in data.... il Giudice delle Indagini Preliminari (oppure il Tribunale di.... in composizione monocratica nella persona del) Dott./Dott.ssa.... ha disposto nei confronti del sottoscritto la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, notificatami in data odierna;

ESPRIME

Il proprio consenso all'adozione del braccialetto elettronico come strumento di controllo a distanza e conseguentemente.

SI IMPEGNA

ad agevolare le procedure di installazione del braccialetto elettronico e degli altri strumenti tecnici necessari al suo funzionamento nonché ad osservare le altre prescrizioni imposte dall'ordinanza applicativa della misura cautelare del Giudice.

Luogo e data....

Firma....

Commento

La misura cautelare in esame presenta comunque indubbie potenzialità poiché consente un controllo dei movimenti del destinatario pressocché totale, garantendo l'adempimento delle medesime prescrizioni cui è preordinata la misura cautelare degli arresti domiciliari, senza dover ricorrere alla collaborazione del soggetto a cui è applicata.

Essa risponde in particolare alle esigenze cautelari del pericolo di fuga, che è materialmente impedito dall'attivazione dello strumento elettronico – salvi i casi di evasione, naturalmente, ma in questo caso teoricamente nemmeno la custodia in carcere è a prova di violazione – ed a quella del pericolo di reiterazione di delitti, in particolare nei casi in cui le condotte delittuose si svolgano lontano dal domicilio dell'indagato.

Infine, essa può impedire indirettamente le condotte di inquinamento probatorio, ancora una volta nei casi in cui tali condotte presuppongono in concreto l'allontanamento del soggetto interessato dal proprio domicilio.

L'adozione di questa misura presuppone che il giudice consideri pienamente tutelate le esigenze cautelari del caso mediante gli arresti domiciliari e non ci sia bisogno (o non ci sia più bisogno, nel caso si tratti di ordinanza di sostituzione della misura della custodia in carcere originariamente adottata) della misura di massimo rigore.

Conseguenza rilevantissima di questa impostazione è che la mancanza di disponibilità dello strumento elettronico comporta che il soggetto dovrà essere tradotto agli arresti domiciliari tradizionali: se in concreto e per motivi contingenti ed estranei al ragionamento che ha sorretto la motivazione dell'ordinanza del giudice emittente la misura cautelare rimane priva di quello strumento ulteriore di controllo costituito dall'attivazione del braccialetto, cionondimeno la misura spiega compiutamente la sua efficacia di limitare la circolazione del destinatario confinandolo nel domicilio eletto a fini cautelari.

Molti Giudici hanno reagito alla cronica carenza di strumenti elettronici con adozione di ordinanze in cui è prevista, in caso di mancanza di disponibilità del braccialetto, l'adozione (o il ripristino, nel caso di ordinanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico) della misura della custodia in carcere.

Tali ordinanze sono basate sul presupposto che le esigenze cautelari non siano tutelabili mediante adozione degli arresti domiciliari tradizionali, a meno che l'osservanza delle relative prescrizioni non sia resa certa ed effettiva dall'adozione dello strumento elettronico.

Il giudice, in altri termini, non ritiene sufficiente la misura cautelare prevista dall'articolo 284 del codice di procedura penale proprio perché questa deve necessariamente fare affidamento sul corretto adempimento delle prescrizioni da parte del destinatario.

L'introduzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dà però ora al giudice una nuova possibilità in tal senso, che egli è obbligato a considerare prioritariamente in virtù del principio generale di gradualità delle misure cautelari.

Discende ancora dal principio di residualità della custodia in carcere il “nuovo” obbligo del giudice di motivare anche il perché, nel disporre la custodia in carcere, non ritenga sufficiente l'adozione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Tale obbligo motivazionale è oggi sancito da specifica disposizione di legge: l'art. 4 comma 3-bis della l. n. 47/2015 ha infatti introdotto il nuovo comma 3-bis all'art. 275 c.p.p., sicché oggi, “nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'art. 275-bis comma 1”.

La misura cautelare in esame sembra dunque diventata quella di elezione del nostro sistema, relegando la custodia in carcere a casi residuali.

Tuttavia, la scarsità degli strumenti elettronici di cui si è detto rende di fatto vani gli sforzi del legislatore.

La norma in esame statuisce che, nel provvedimento di applicazione della misura cautelare in esame, il giudice preveda che, qualora l'imputato non dia il consenso all'adozione del braccialetto elettronico, sia disposta la misura cautelare della custodia in carcere.

La sensibile limitazione alla libertà di movimento è stata avvertita dal legislatore come talmente importante da doversi richiedere dunque il consenso del destinatario della misura.

Tale previsione desta qualche perplessità: tutte le misure cautelari sono basate sulla coercizione e prescindono dunque dalla volontà del soggetto, sicché non si comprende per quale motivo solo per questo specifico caso sia stato previsto il consenso.

Se è vero infatti che l'adozione dello strumento elettronico può essere sentita dall'indagato/imputato come una forma umiliante di assoggettamento a coercizione per di più visibile a terzi, va considerato che tale strumento è reso necessario per la tutela di esigenze della collettività dell'ordine pubblico ritenute più pressanti in quel momento dei diritti individuali, come accade in tute le misure cautelari, e che a monte dell'emanazione dell'ordinanza il giudice ha già compiuto una scelta che tiene conto della comparazione tra i diritti del singolo e quelli collettivi.

In tale contesto la necessità di ottenere il consenso appare del tutto fuori sistema, soprattutto in considerazione che analogo consenso non è richiesto per l'adozione di alcuna delle altre misure cautelari, nemmeno di quella assai più gravosa che è la custodia in carcere.

Peraltro, è esplicitamente previsto come si è detto in precedenza che la mancanza del predetto consenso comporta automaticamente la sostituzione dell'ordinanza con quella della custodia in carcere.

Ben si comprende la ratio di questa disposizione: evitare che il soggetto interpellato possa, esercitando la facoltà che gli è concessa dalla legge, ottenere un trattamento di favore (gli arresti domiciliari tradizionali) vanificando di fatto ogni possibilità di adozione in concreto della norma.

E tuttavia, l'effetto della previsione normativa in esame appare paradossale: il legislatore, consapevole della gravosità degli effetti della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, ha previsto che sia necessario il consenso dell'interessato, salvo poi di fatto “estorcere” tale consenso con la minaccia in caso di dissenso di una misura assai più gravosa.

L'effetto pratico, alquanto ovvio, è che non si registrano nella prassi casi di rifiuto del consenso, ciò che rafforza il convincimento che ci si trovi di fronte tutto sommato ad un consenso a dir poco “viziato”.

Parimenti ambigua è infine la previsione dell'obbligo del destinatario della misura di “agevolare le procedure di installazione” dello strumento elettronico: è evidente infatti che come formulata la norma appare del tutto superflua, poiché in caso di resistenza (attiva o passiva) al momento dell'installazione il soggetto appare addirittura passibile di denuncia per violazione dell'articolo 337 del codice penale (con conseguente arresto in flagranza di reato ed applicazione della misura cautelare della custodia in carcere).

Può ipotizzarsi che la condotta di agevolazione imposta dall'art. 275-bis ultimo comma del codice di procedura penale si estenda anche alla collaborazione nella ricerca e nella messa a disposizione di un luogo all'interno del domicilio ove sistemare la centralina addetta al segnale da inviare all'ufficio di polizia giudiziaria addetta al controllo, ma si tratta anche in questo caso di condotte la cui violazione può agevolmente farsi rientrare nella norma penale sopra richiamata.

Infine, considerazioni analoghe possono essere ripetute per l'ultimo inciso dell'art. 275-bis, comma 3 c.p.p. in esame, secondo cui il destinatario della misura è tenuto ad osservare le prescrizioni imposte dalla misura stessa: anche in questo caso si tratta di norma superflua, poiché la violazione delle misure cautelari è già disciplinata analiticamente dal successivo art. 276 del codice medesimo.

Infine, la collocazione sistematica dell'istituto in esame come modalità esecutiva degli arresti domiciliari e non come misura cautelare autonoma comporta rilevanti conseguenze anche in tema di impugnazione della stessa: si ritiene in dottrina che non possa essere esperito ricorso per riesame ex art. 309 c.p.p. limitato al solo provvedimento di imposizione dello strumento elettronico di controllo a distanza, in quanto la finalità del ricorso per il riesame è di sostituire ovvero di revocare in toto la misura e non semplicemente di modificare le modalità esecutive della stessa.

È invece esperibile appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p., in aderenza all'interpretazione che considera impugnabili con tale mezzo tutti i provvedimenti che contribuiscono ad inasprire o ad attenuare il grado di afflittività della misura.

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