Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299)InquadramentoCon questo atto il destinatario di una misura cautelare coercitiva o interdittiva, direttamente o tramite il difensore di fiducia o quello di ufficio, può chiedere al giudice la revoca o la sostituzione della misura cautelare. L'istanza non deve essere diretta al giudice che ha emesso la misura ma al giudice “che procede”: dunque al G.I.P. se si è in fase di indagini preliminari, al G.U.P. se in udienza preliminare, al Tribunale se in dibattimento, alla Corte di Appello se in grado di Appello, alla Corte di Cassazione se il giudizio pende innanzi alla Corte di Cassazione. Poiché la misura cautelare è basata sui presupposti indefettibili indicati negli artt. 273 e 274 c.p.p., l'istanza dovrà contenere le ragioni per le quali la misura dovrebbe essere secondo la prospettazione difensiva revocata o attenuata: il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza e/o il venir meno o l'attenuazione di una delle esigenze cautelari. A tal fine l'istanza potrà contenere argomentazioni logiche o fattuali o basarsi su una rivisitazione giuridica del compendio indiziario. Qualora basata su argomentazioni nuove, potrà contenere allegati (documenti, indagini difensive e così via). Se il procedimento nel quale è stata emessa la misura cautelare riguarda “delitti commessi con violenza alla persona”, prima di depositare l'istanza al giudice competente l'istante è tenuto a notificare l'atto alla persona offesa, tramite il difensore di questa o in mancanza direttamente alla persona offesa. L'inosservanza di quest'onere dà luogo ad inammissibilità dell'istanza. FormulaAL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI DEL TRIBUNALE DI.... (oppure indicare altro ufficio competente) ISTANZA DI REVOCA/SOSTITUZIONE DI MISURA CAUTELARE Il sottoscritto...., nato a.... il...., codice fiscale...., recapito telefonico.... (casa/ufficio), recapito cellulare (....), email.... @...., residente a...., OPPURE Il sottoscritto Avv..... nella qualità di difensore di fiducia/di ufficio di.... PREMESSO CHE con ordinanza emessa in data.... il Giudice delle Indagini Preliminari (oppure il Tribunale di.... in composizione monocratica nella persona del) Dott./Dott.ssa.... ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere (oppure indicare la misura in atto) nei confronti di...., indagato/imputato nel presente procedimento; rilevato che (indicare le ragioni poste a base dell'istanza) RIVOLGE ISTANZA Al Giudice affinché voglia revocare la misura cautelare (oppure sostituire la misura cautelare con quella...., in caso di delitti con violenza alla persona aggiungere anche: Allega copia della notificazione dell'istanza eseguita ai sensi e per gli effetti previsti dall'art. 299 comma 3 c.p.p. alla persona offesa (o al difensore della persona offesa). Si allegano i seguenti documenti. 1)....; 2)....; 3)..... Luogo e data.... Firma.... (È autentica) (Firma....) Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. CommentoLe misure cautelari personali sono provvedimenti del giudice – in forma di ordinanza – con cui si comprime la libertà dell'indagato al fine di proteggere (cautelare) il procedimento penale nella fase di accertamento che precede il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Il primo requisito per l'applicazione di una misura cautelare personale è costituito dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (accertamento interinale sulla fondatezza della ricostruzione accusatoria). Le dichiarazioni della persona offesa possono costituire da sole elemento idoneo all'adozione di una misura cautelare, anche in assenza di riscontri estrinseci, quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (così Cass. II, n. 26764/2013). La verifica della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza è finalizzata ad evitare l'applicazione di misure cautelari basate su fatti che non potranno essere utilizzati per la decisione, per ridurre al minimo il rischio di assoluzioni dopo la carcerazione preventiva. Il secondo requisito è la verifica delle esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del delitto, pericolo di fuga, pericolo di inquinamento probatorio). Ratio è la cautela del processo penale, intesa come protezione del procedimento di accertamento della verità processuale dagli attacchi o comunque dai fattori di disturbo esogeni. Le esigenze cautelari devono essere attuali: la situazione di pericolo deve essere il più possibile riferibile al momento dell'intervento del giudice. In merito l'arresto giurisprudenziale più significativo è Cass. S.U., n. 40538/2009, che ha precisato che “in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all'art. 292, comma 2, lett. c) c.p.p., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari”. Pericolo di inquinamento probatorio: la necessità di intervenire deve essere dovuta ad esigenze “specifiche ed inderogabili”. Non può essere desunto dalla mancata confessione o dall'esercizio della facoltà di non rispondere. Solo per questo caso è previsto un termine di scadenza della misura cautelare in relazione alla prevedibile durata delle indagini da compire. Pericolo di fuga. Condotte sintomatiche: l'acquisto di biglietti aerei per una località estera, il trasferimento di fondi in un conto corrente sito al di fuori del territorio nazionale, la preparazione di valigie o di operazioni di trasloco. Valgono anche motivazioni basate sul tenore di vita del soggetto, sulla mancanza di stabili legami in territorio nazionale o di fissa dimora, o viceversa l'accertata esistenza di legami con paesi esteri o con coindagati di nazionalità straniera in grado di reperire una dimora ed una sistemazione nel loro paese, nonché lo stato di disoccupazione e i precedenti penali. Dopo le modifiche apportate alla norma in esame dalla l. n. 47/2015, la gravità della sanzione a cui l'indagato è esposto non potrà più essere unico criterio di valutazione per la sussistenza dell'esigenza cautelare in esame. Pericolo di reiterazione: deve risultare sia da “specifiche modalità e circostanze del fatto” che dalla “personalità della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato”. Questa esigenza cautelare deve poi essere riferita ad una delle quattro categorie di reati seguenti: a) gravi delitti con uso di armi; b) gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale; c) delitti di criminalità organizzata; d) delitti della stessa specie di quello per cui si procede. Nell'ambito del petitum, il giudice sceglie la misura avendo come obiettivo il massimo risultato (principio di adeguatezza) con il minimo sacrificio della libertà del destinatario (proporzionalità). La custodia cautelare in carcere potrà essere adottata solo quando tutte le altre misure coercitive e interdittive, anche applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Oggi la legge consente dunque al giudice non solo di scegliere tra i vari modelli di misura cautelare disegnati dal codice ma di disegnare modelli nuovi, adattandoli al caso concreto. È però evidente che, proprio in virtù dell'importanza fondamentale degli interessi in gioco (la libertà personale è tra i diritti che godono di maggiore tutela anche a livello costituzionale), il sacrificio imposto all'indagato deve trovare la sua giustificazione nella tutela delle esigenze cautelari e nella valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non solo nel momento genetico della misura ma durante tutta la sua vigenza. È conseguentemente compito del giudice verificare costantemente la permanenza delle ragioni che hanno portato all'adozione della misura ed adeguare immediatamente lo status libertatis del destinatario della stessa al mutare delle stesse, provvedendo alla revoca immediata dell'ordinanza al venir meno di queste. In alternativa alla revoca, qualora le esigenze cautelari non siano venute meno ma si siano semplicemente attenuate, il giudice ha il potere-dovere di sostituire la misura cautelare in atti con una misura meno afflittiva o di modificare in senso migliorativo per l'indagato le prescrizioni inerenti una misura in corso. Va peraltro rilevato che la richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare può essere avanzata in qualsiasi momento, sia in fase di indagini preliminari che nel corso del processo, e non è soggetta ad alcuna limitazione. Teoricamente, il difensore potrebbe avanzare la stessa richiesta, basta su identiche motivazioni, un numero indefinito di volte, anche ogni giorno per tutta la durata della stessa o fino alla revoca. Per evitare eventuali abusi dello strumento in esame, che potrebbero portare di fatto alla paralisi del processo, la giurisprudenza ha dunque elaborato il concetto di “giudicato cautelare”: si è affermato il principio secondo cui il giudice a cui è richiesta la revoca o la sostituzione della misura può limitarsi a richiamare i provvedimenti precedenti di rigetto, se la richiesta è basata sulle medesime argomentazioni giuridiche o sulle stesse questioni di fatto già valutate. Ulteriori interessanti considerazioni in merito al concetto di “fatto sopravvenuto” sono rinvenibili in Cass. sez. fer., n. 35585/2010, che ha precisato che “ai fini della revoca o della sostituzione di misura cautelare chiesta dall'imputato, il “fatto sopravvenuto” che legittima una rivisitazione del materiale indiziario dopo il negativo espletamento della procedura di riesame deve essere rappresentato da risultanze processuali nuove o anche preesistenti, ma non valutate in precedenza. Ne consegue che esso non può essere dato dalla decisione di merito assunta, nei confronti di coimputato, con la quale sia stato derubricato uno dei reati associativi contestati, ma dal complesso degli elementi eventualmente acquisiti o valutati nel giudizio per la prima volta rispetto al quadro indiziario già posto a base della misura a carico dell'istante”. In questo modo, si è ottenuto l'effetto indiretto di obbligare la parte richiedente a prospettare elementi nuovi per l'attivazione del procedimento, pena un sostanziale provvedimento di non luogo a provvedere che non solo ne frustra le ragioni difensive ma consente al giudice di evitare l'incombente di motivare entrando nel merito delle argomentazioni prospettate. Naturalmente, le istanze di revoca o sostituzione sono sempre reiterabili: anche a fronte di un provvedimento del giudice che attesti il formarsi del giudicato cautelare su una o più questioni, non esiste alcuna preclusione alla reiterazione di istanze fondate su motivi differenti rispetto a quelli esaminati. Tuttavia, il concetto di “giudicato cautelare” ha preso piede nella giurisprudenza in modo talmente pregnante da giustificare ordinanze di inammissibilità della richiesta di revoca o sostituzione: non si tratta dunque solo di un “comodo” motivo di rigetto dell'istanza ma di un elemento che legittima il giudice a respingere la stessa senza esaminarla nemmeno formalmente. A tal fine, è richiesto un certo grado di “consolidamento” della decisione precedentemente resa, costituito secondo l'interpretazione accolta dalla conferma dell'ordinanza di custodia cautelare davanti al Tribunale del Riesame. Non occorre dunque che si sia pronunciata la Cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p.p. perché il giudice procedente dichiari l'istanza difensiva inammissibile, non corrispondendo il giudicato cautelare ad un inesistente “passaggio in giudicato” della pronuncia cautelare. È però innegabile che una volta formatosi il giudicato cautelare, solo la sopravvenienza di fatti nuovi può giustificare la rivalutazione di quelli già apprezzati e rendere possibile la revoca o la modifica della misura applicata. Idoneo al superamento del giudicato cautelare è sempre un “fatto” nuovo: non rilevano rivalutazioni giuridiche compiute dal giudice in relazione ad altre posizioni processuali di coindagati, a meno che esse non siano state basate su allegazioni non precedentemente valutate in sede di emissione dell'ordinanza cautelare. Un cenno particolare merita la verifica dell'attualità delle esigenze cautelari, principale causa di revoca o modifica delle misure prima del termine di scadenza. La valutazione che compie il giudice al momento dell'emissione dell'ordinanza è infatti necessariamente legata alla situazione contingente, sicché il decorso del tempo è di per sé elemento potenzialmente idoneo ad inficiarne i presupposti. È dunque necessario valutare se, trascorso un certo periodo di vigenza della misura cautelare, il progredire delle indagini preliminari a tutela delle quali si è intervenuto, e lo stesso effetto di deterrenza conseguente alla privazione della libertà personale, non abbiamo eliminato o attenuato il periculum libertatis. Fanno eccezione le ipotesi previste dall'art. 275, comma 3 c.p.p., per le quali vi è una presunzione di adeguatezza e proporzionalità delle esigenze cautelari che investe non solo il momento genetico della misura ma anche le vicende successive, come di recente ribadito da Cass. S.U., n. 34473/2012. Naturalmente, il mero decorso del tempo non giustifica di per sé la revoca o la sostituzione della misura cautelare, ma può essere valutato unitamente ad altri fattori quali quelli testè evidenziati; è però innegabile che laddove sia trascorso un considerevole lasso di tempo non solo dal momento dell'emissione dell'ordinanza che ha applicato la misura cautelare, ma altresì dalla data di commissione del fatto, è richiesta una particolare attenzione ed un obbligo di motivare analiticamente le eventuali ragioni per cui si ritiene che tale fattore non abbia inciso elidendo o attenuando le esigenze cautelari, soprattutto alla luce delle modifiche apportate al sistema cautelare dalla l. n. 47/2015, che come si è visto ha trasformato l'attualità nel vero pilastro dei provvedimenti cautelari. Ogni modificazione della contestazione, sia in fatto che in diritto, ogni fatto o allegazione acquisita al fascicolo delle indagini preliminari o – successivamente all'esercizio dell'azione penale – prova assunta nel processo è potenzialmente idonea ad una rivisitazione del quadro indiziario e cautelare sotteso alla misura in corso: spetta alle parti scegliere se e quando attivare il potere-dovere del giudice di rivalutare l'ordinanza emanata e decidere se confermarla, modificarla o revocarla. L'apertura del procedimento è normalmente demandata alle parti. La chiara dizione dell'art. 299, comma 3 c.p.p. non lascia dubbi in ordine al fatto che ordinariamente non è possibile una revoca o una sostituzione d'ufficio della misura cautelare: il primo periodo di questo lungo e articolato comma stabilisce infatti che “il pubblico ministero e l'imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza”. Il provvedimento del giudice deve intervenire “entro cinque giorni dal deposito della richiesta”: si tratta di un termine meramente ordinatorio, non essendo prevista alcuna sanzione o conseguenza in caso di deposito in ritardo. Prima di decidere, il giudice dovrà comunque acquisire il parere del Pubblico Ministero A tale scopo, egli è tenuto a trasmettere l'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare al magistrato inquirente ed attenderne le determinazioni: non potrà emettere ordinanza di revoca, modifica o rigetto dell'istanza prima che siano trascorsi due giorni dall'invio al Pubblico Ministero. In caso di mancata osservanza dei predetti adempienti l'ordinanza è nulla e legittima il Pubblico Ministero ad impugnare il provvedimento. Trattasi di nullità relativa ed a regime intermedio. L'ordinanza del giudice dovrà essere motivata, sia in caso di rigetto dell'istanza di parte, che di accoglimento della stessa, facendo riferimento sia al quadro indiziario e cautelare che – in caso di sostituzione con altra misura meno afflittiva – alle circostanze per cui si ritiene la misura applicata in sostituzione della precedente rispondente ai canoni di adeguatezza e proporzionalità. In merito Cass. II, n. 25378/2015 ha recentemente precisato che “ai fini della sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, nell'indagine volta ad accertare l'adeguatezza di quest'ultima, non può riconoscersi rilevanza esclusiva ed assorbente al fatto che sia venuta meno, nelle more, una parte delle accuse in origine contestata, dovendosi, piuttosto, fornire specifica indicazione delle ragioni per le quali la misura meno afflittiva viene ritenuta idonea allo scopo e proporzionata all'entità e gravità dei fatti di reato oggetto di indagine e di cautela”. A proposito dell'obbligo di motivazione non si può non richiamare la nota sentenza resa da Cass. V, n. 2926/2013 che ha censurato la tecnica motivazionale definita del “copia e incolla”, precisando che “è illegittima l'ordinanza con la quale il Tribunale – in sede di appello cautelare ex art. 310 c.p.p. – rigetti l'istanza di revoca della misura cautelare dell'obbligo di dimora richiamando – con la tecnica del copia-incolla informatico – argomentazioni e valutazioni contenute in decisioni conclusive di precedenti procedure de libertate, ritenendo apoditticamente gli argomenti difensivi inidonei ad inficiare il quadro cautelare già valutato e omettendo di valutare e dar conto, con congrua motivazione, di fatti sopravvenuti e, pertanto, nuovi indicati dalla difesa, quali la revoca di analoga misura nei confronti di altri coindagati unitamente all'ulteriore decorso del tempo, tali da rilevare in sede di attualità delle esigenze cautelari”. È invece consentita una motivazione collettiva dell'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca presentata da più indagati, in quanto tale tipo di motivazione non viola l'obbligo di individualizzazione delle decisioni nei casi in cui la sovrapponibilità delle situazioni consenta anche una sovrapponibilità delle argomentazioni (Cass. II, n. 5566/2014). Il procedimento speciale previsto nei delitti commessi con violenza alle persone Con l. n. 119/2013 sono state introdotte importanti modifiche al codice di procedura penale per rafforzare la risposta repressiva nei delitti contro le persone commessi con violenza. Tra le nuove norme, l'art. 299 contiene ora una sorta di procedimento speciale da adottare nel caso di revoca o sostituzione delle misure cautelari adottate nei confronti degli indagati, finalizzate a consentire alla persona offesa un'interlocuzione prima della decisione del giudice. La richiesta di revoca o sostituzione deve infatti essere notificata a cura della persona richiedente, a pena di inammissibilità, alla persona offesa attraverso il difensore (o in mancanza, personalmente alla persona offesa presso il domicilio eletto), a condizione, in quest'ultimo caso, che essa abbia eletto domicilio (sul punto da ultimo Cass. S.U., n. 17156/2021, Gallo). Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare deve essere notificata, a cura del richiedente, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa, a condizione, in quest'ultimo caso, che essa abbia dichiarato o eletto domicilio. Fa eccezione l'istanza di revoca o sostituzione avanzata nel corso dell'interrogatorio di garanzia, che non deve essere notificata e segue il procedimento ordinario. Ricevuta la notificazione, la persona offesa ha la possibilità di intervenire nel procedimento, presentando memorie ed osservazioni ai sensi dell'art. 121 c.p.p. Il giudice è tenuto ad attendere due giorni – lo stesso termine concesso al Pubblico Ministero per esprimere il suo parere – prima di adottare la sua decisione. Infine, a norma del comma 2-bis dell'art. 299 del codice di procedura penale, il giudice deve notificare ai servizi sociali e alla stessa parte offesa l'eventuale provvedimento di revoca o sostituzione adottato. Previsto in un primo momento come strumento a tutela dei delitti commessi nell'ambito familiare, nella sua formulazione definitiva il procedimento sembrerebbe applicabile in ogni caso di utilizzo di violenza nella commissione di un reato: non solo dunque nel caso di maltrattamenti in famiglia ed atti persecutori, ma anche in quelli di estorsione, violenza privata, omicidio, lesioni e persino rapina. All'interpretazione formale della norma ora evidenziata si sta tuttavia sostituendo un'interpretazione maggiormente restrittiva, che ha ricevuto di recente i primi avalli da parte della Corte di Cassazione. Ci si è infatti chiesti quale fosse la ratio dell'estensione del procedimento incidentale di revoca o sostituzione della misura cautelare alla persona offesa nel caso in cui la violenza esercitata dall'indagato fosse stata solo occasionalmente rivolta contro un determinato soggetto. L'interlocuzione con la vittima del reato è stata infatti inserita nel nostro sistema cautelare per tutelare le persone offese dal rischio di recidivanza del soggetto e consentire a chi ha subito il reato a causa del rapporto esistente con il reo possa conoscere in anticipo l'eventuale ritorno in libertà o l'attenuazione delle prescrizioni imposte al suo aggressore. D'altronde, si rileva, solo chi ha un rapporto diretto e non occasionale con l'aggressore può fornire validi elementi di valutazione al giudice attraverso la redazione delle memorie ex art. 121 c.p.p.: “fuori da questo ambito, il rapporto di maggiore tutela, rivolto indiscriminatamente a tutte le vittime di reati con violenza alla persona, appare ridursi ad un mero formalismo, in quanto alla vittima occasionale della rapina, di regola solo casualmente – anche nella scelta dell'aggressore. vittima del reato, non può derivare ragionevolmente alcun pregiudizio dalla circostanza che all'imputato si revochi o si modifichi l'originaria misura cautelare”. L'interpretazione restrittiva prende le mosse, peraltro, dalla ratio legis dichiarata al momento di emanazione della stessa, allorquando si fece chiaro riferimento alla necessità di dare attuazione a Direttive CE in tema di tutela delle “fasce deboli”. Si discute in dottrina sulle conseguenze della mancata osservanza delle norme procedimentali ora richiamate: l'ordinanza di revoca o sostituzione adottata senza avere chiesto il parere alla persona offesa dovrà essere dichiarata inammissibile dal giudice, ma nulla è detto per il caso in cui quest'ultimo non proceda alla notificazione del provvedimento. La tassatività delle ipotesi previste dall'art. 178 c.p.p. induce a ritenere che non possa essere dichiarata la nullità del provvedimento, né del resto è stata introdotta negli artt. 300 e ss. c.p.p. una nuova causa di inefficacia. Pertanto non manca in dottrina chi ritiene che si tratti di norma priva di conseguenze sul piano processuale, e dunque sostanzialmente inutile; di contrario avviso, una parte della dottrina che ritiene possa farsi ricorso in casi del genere alla norma che prevede la nullità per violazione dell'art. 178 lett. c) trattandosi di un caso di partecipazione necessaria della persona offesa al procedimento. Va infine rilevato che, con importante pronuncia a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha precisato che “nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, la persona offesa non è legittimata ad impugnare, neanche con il ricorso per cassazione, l'ordinanza che abbia disposto la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in violazione del diritto di intervento per mezzo di memorie riconosciutole dall'art. 299, comma 3, c.p.p., ma può chiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione ai sensi dell'art. 572 c.p.p.” (Cass. S.U., n. 36784/2022). La revoca o sostituzione per motivi di salute (299, comma 4- ter) La richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare per motivi di salute è statisticamente frequentissima nei nostri Tribunali, probabilmente perché è l'unica sottratta almeno in parte alla discrezionalità del giudice ed affidata a valutazioni oggettive extra-giuridiche. Ogni volta che il difensore di soggetto sottoposto a misura cautelare ha a disposizione un quadro clinico-medico di apprezzabile gravità, sa di poter attivare un procedimento particolarmente garantista, come del resto è giusto che sia attesa la rilevanza costituzionale del diritto alla salute, che non può non essere considerato – a certe condizioni – prevalente rispetto alle esigenze cautelari. Naturalmente, le esigenze di salute risultano assai più pressanti nel caso di misura custodiale (custodia in carcere o arresti domiciliari), ma è possibile invocare un'incompatibilità con qualsiasi delle misure coercitive e teoricamente anche con le interdittive. È evidente che il terreno di elezione della disciplina dell'incompatibilità per motivi di salute è ricollegabile alla totale compressione della libertà di movimento ed alle particolari (e spesso insalubri) condizioni di vita della custodia in carcere, ed in misura minore degli arresti domiciliari (che comportano una compressione della libertà di movimento a volte invocata come foriera di conseguenze nefaste per la cura di alcune patologie). La disciplina dell'art. 275 c.p.p. prevede che nel caso in cui il destinatario della misura cautelare sia affetto da patologie tali da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario, ed in ogni caso se è affetto da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria accertata, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere; se tuttavia sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, può essere disposta la misura cautelare massima prevista dall'art. 285 c.p.p., ma stante l'incompatibilità di cui al punto precedente tra condizioni di salute ed ambiente carcerario, dovrà essere disposta la misura degli arresti domiciliari presso un ospedale o un luogo di cura. È inoltre prevista la possibilità di ripristinare la misura custodiale se dopo l'applicazione della misura applicata in luogo del carcere per incompatibilità per motivi di salute o dopo l'applicazione degli arresti domiciliari presso una casa di cura l'indagato commette altro reato e questo reato è tra quelli per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza: in questo caso potrà essere disposta la custodia in carcere nonostante la predetta incompatibilità delle condizioni di salute, a meno che la patologia sia in fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti. In quest'ultimo caso la custodia in carcere non potrà essere applicata comunque. Normalmente, le condizioni di salute dell'indagato non risultano agli atti prima dell'emissione della misura cautelare (in quanto il profilo delle condizioni di salute non è normalmente oggetto di indagini da parte degli inquirenti), e la questione dell'incompatibilità delle condizioni di salute è prospettata al giudice in sede di istanza di revoca o sostituzione della misura ai sensi dell'art. 299 c.p.p. Il comma 4-ter della norma invocata prevede in questo caso un procedimento connotato da una particolarità che lo rende unico rispetto al sistema cautelare: il giudice è obbligato a disporre perizia medica, a meno che non ritenga che l'istanza vada accolta ictu oculi. In altri termini, non esiste alcuna possibilità che il giudice rigetti un'istanza di revoca o sostituzione basata su condizioni di salute, se prima non ha chiesto il parere di un tecnico. Si tratta di un parere obbligatorio (anche se non vincolante), ed una limitazione alla discrezionalità del giudice che non ha riscontri in tutto il codice di procedura penale. Il giudice ha infatti un'alternativa secca: o si convince, sulla base della documentazione medica allegata all'istanza, che l'indagato non può continuare a stare in carcere e procede alla revoca o alla sostituzione della misura nel senso prospettato, oppure deve disporre perizia medica, anche se ritiene l'istanza del tutto infondata o pretestuosa. In questo caso il giudice dovrà seguire il procedimento previsto dagli artt. 220 ss. c.p.p., convocando le parti innanzi a sé, nominando un perito ed assegnando allo stesso un quesito, cui quest'ultimo sarà tenuto a rispondere negli strettissimi termini imposti dallo stesso art. 299 c.p.p. L'udienza (camerale) sarà dunque rinviata ad una successiva data, nella quale il perito dovrà essere esaminato nel contraddittorio delle parti. All'esito di questa procedura, il giudice è libero di determinarsi in ordine all'istanza di revoca o sostituzione presentata dalla parte, naturalmente decidendo liberamente ed anche se ritiene in senso diverso da quello prospettato dal perito, come avviene in tutti i casi di perizia. In particolare, potrà decidere di ritenere le condizioni di salute subvalenti rispetto alle esigenze cautelari, facendo riferimento alle ipotesi previste dall'art. 275, comma 3 c.p.p. o all'eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari, o semplicemente ritenendo le condizioni di salute non incompatibili con il regime carcerario. Non esiste alcun limite alla possibilità di invocare l'incompatibilità delle condizioni carcerarie con le condizioni di salute, soprattutto in riferimento alle patologie, che possono essere sia di carattere fisico che psichiatrico. L'incompatibilità può risultare non solo dalla impossibilità di sottoporsi alle cure necessarie in relazione alla patologia sofferta, ma anche dalla difficoltà di essere sottoposto ai controlli periodici da parte dei sanitari che hanno in cura l'indagato. |