Memoria difensiva (art. 419, comma 2)

Angelo Salerno
Marco Nassi

Inquadramento

Diversamente da altri atti che ricevono nel codice di rito una regolamentazione dettagliata quanto al contenuto, nel caso delle memorie il legislatore ha omesso di fornire indicazioni precise. La facoltà di presentare memorie è strettamente connessa con la difesa tecnica e corrisponde ad un atto tipico con il quale si mettono a disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico. La memoria è finalizzata ad illustrare le ragioni della difesa in relazione alle questioni che il processo pone all'attenzione del giudicante, siano esse di fatto, di diritto ovvero ancora di tipo tecnico. Secondo gli arresti più recenti della giurisprudenza di legittimità, l'omessa valutazione delle memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, potendo al più influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive.

Formula

TRIBUNALE DI.... UFFICIO DEL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

MEMORIA DIFENSIVA

(ART. 419, COMMA 2, C.P.P.)

Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., quale difensore e procuratore speciale, come da procura speciale già depositata e presente in atti, di

1....., nato a.... il....;

imputato nel procedimento penale n..... /.... R.G.N.R.,

per il reato previsto e punito dall'art. (dagli artt.)....

presa visione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero a seguito della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari nonché della ulteriore documentazione di indagine trasmessa ai sensi dell'art. 419, comma 3 c.p.p.;

osserva quanto segue:

.....

Luogo e data....

Firma....

Commento

Premessa

La presentazione della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero segna il passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella dell'udienza preliminare.

Ai sensi dell'art. 416 c.p.p. con la richiesta di rinvio a giudizio – che contiene, tra gli altri elementi, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge – il pubblico ministero trasmette il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate, i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari e il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti ove non debbano essere custodite altrove.

Nel caso in cui il pubblico ministero abbia compiuto ulteriori indagini dopo la presentazione della richiesta di rinvio a giudizio è previsto che egli sia tenuto a trasmetterne la relativa documentazione alla cancelleria del giudice dell'udienza preliminare prima della data dell'udienza fissata dal giudice e comunicata con l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (art. 419, comma 3, c.p.p.).

L'avviso di fissazione dell'udienza preliminare contiene altresì l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmesse dalla segreteria del pubblico ministero all'atto della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, e di presentare memorie e produrre documenti (art. 419, comma 2, c.p.p.).

Le previsioni in parola hanno lo scopo di mettere l'imputato ed il suo difensore nella condizione di potersi determinare consapevolmente in ordine al successivo sviluppo processuale, poiché solo prendendo visione di tutti gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero sino a quel momento è possibile adottare la scelta processuale più conveniente.

La disposizione normativa che riconosce all'imputato e al suo difensore la facoltà di presentare memorie e produrre documentazione a sostegno rappresenta specificazione nell'ambito dell'udienza preliminare della facoltà dettata in via generale dall'art. 121, comma 1, c.p.p. (collocato nel titolo che contiene le disposizioni generali del Libro II sugli atti processuali), secondo cui in ogni stato e grado del procedimento le parti ed i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria.

Contenuto e finalità

Diversamente da altri atti che ricevono nel codice di rito una regolamentazione dettagliata quanto al contenuto, nel caso delle memorie il legislatore ha omesso di fornire qualsivoglia tipo di indicazione.

Le numerose disposizioni disseminate nel codice che riguardano la facoltà per le parti (ma non solo, dato che l'art. 90 c.p.p. l'attribuisce alla persona offesa che parte non è) di presentare memorie hanno una formulazione assolutamente generica e non offrono indicazioni prescrittive di tipo contenutistico.

L'art. 90 (“Diritti e facoltà della persona offesa dal reato”) dispone che la persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge, può presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento e indicare elementi di prova con l'esclusione del giudizio di cassazione. L'art. 121 (“Memorie e richieste delle parti”) dispone, nuovamente, che in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria. L'art. 127 (“Procedimento in camera di consiglio”) prevede al comma 2 che fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria. In tema di consulenza tecnica eseguita nei casi in cui non è stata disposta una perizia, l'art. 233, comma 1 (“Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia”) prevede che al giudice possano essere presentate memorie che contengono il parere del consulente. L'art. 268-ter in materia di intercettazioni (“Acquisizione al fascicolo delle indagini”, articolo abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. q), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv., con modif., dalla l. n. 7/2020) riconosceva al P.M. e ai difensori di presentare memorie e integrare le proprie richieste sino alla decisione del giudice nel procedimento avente ad oggetto l'acquisizione delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ritenute rilevanti ai fini di prova. A seguito della riforma della disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni adottata con il d.l. n. 161/2019 citato, seppure sia testualmente venuto meno il richiamo alla facoltà di presentare memorie, il difensore ha mantenuto in ogni caso il diritto di interloquire con il giudice per l'acquisizione delle conversazioni rilevanti, mediante il richiamo agli artt. 121,367 c.p.p. e all'art. 415-bis, comma 2-bis e comma 3. L'art. 299, comma 3 (“Revoca e sostituzione delle misure”) riconosce alla persona offesa e al suo difensore la facoltà di presentare memorie in caso di richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari personali previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitto commessi con violenza alla persona. L'art. 367 (“Memorie e richieste dei difensori”) sancisce la facoltà per il difensore nel corso delle indagini preliminari di presentare al pubblico ministero memorie e richieste scritte. L'art. 406, comma 3 (“Proroga del termine”) riconosce alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato che ne abbia fatto richiesta, la facoltà di presentare memorie per interloquire sulla richiesta del pubblico ministero di proroga del termine di durata delle indagini preliminari. L'art. 410-bis, comma 3 (“Nullità del provvedimento di archiviazione”) riconosce alle parti la facoltà di presentare memorie nel procedimento camerale di reclamo innanzi al tribunale in composizione monocratica avente ad oggetto la nullità del provvedimento di archiviazione emesso dal giudice per le indagini preliminari. L'art. 415-bis, comma 3 (“Avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari”) dispone che l'avviso di conclusione delle indagini preliminari contenga l'avvertimento che la persona sottoposta alle indagini ha la facoltà di presentare memorie entro venti giorni dalla notifica dell'avviso stesso. L'art. 482 (“Diritto delle parti in ordine alla documentazione”) prevede che sia allegata al verbale dell'udienza dibattimentale la memoria scritta presentata dalle parti a sostegno delle proprie richieste. L'art. 595, comma 3 (“Appello incidentale”) prevede la facoltà per l'imputato di presentare memorie o richieste scritte mediante deposito in cancelleria entro quindici giorni dalla notificazione dell'impugnazione presentata dalle altre parti. L'art. 611 (“Procedimento in camera di consiglio”) in tema di giudizio di cassazione prevede che nel procedimento in camera di consiglio tutte le parti possano presentare memorie e memorie di replica, sottoscritte a pena di inammissibilità da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione, fino, rispettivamente, a quindici e cinque giorni prima dell'udienza. La facoltà di presentare memorie è prevista infine nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma 3, c.p.p.) e nel procedimento di estradizione (artt. 703 e ss. c.p.p.).

La facoltà di presentare una memoria riceve tanta e tale considerazione da parte dell'ordinamento da essere previsto, qualora l'imputato (e la persona sottoposta alle indagini ex art. 61 c.p.p.) decidano di esercitarla, il diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore al fine di presentare nel corso del procedimento una richiesta o una memoria (art. 143 c.p.p.). Previsione di simile portata, seppure di tenore letterale non altrettanto netto, è stata prevista dal d.lgs. n. 212/2015 (“Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI”, pubblicato nella Gazz. Uff. 5 gennaio 2016, n. 3) con l'inserimento degli artt. 90-bis e 143-bis c.p.p..

Neppure la legge delega offre indicazioni di sistema che siano di aiuto per la soluzione della questione relativa al contenuto minimo della memoria (art. 2, comma 1, n. 3 l. n. 81/1987).

L'assenza di indicazioni prescrittive è inevitabilmente collegata alla funzione della memoria quale strumento di interlocuzione scritta e anticipata della parte in un processo improntato all'oralità, e veicolo mediante il quale viene instaurato un rapporto diretto con l'autorità giudiziaria (generalmente il giudice, ma ai sensi dell'art. 367 c.p.p. anche con il pubblico ministero durante la fase procedimentale delle indagini preliminari) al di fuori del contraddittorio orale che trova la sua massima espansione nel corso dell'udienza. La variabilità dei messaggi da trasmettere e dei fini perseguibili dalla parte rende il contenuto della memoria di fatto irriducibile all'interno di spazi angusti creati da una regolamentazione rigida della sua struttura.

La facoltà di presentare memorie è valorizzata dalla giurisprudenza di legittimità in quanto strettamente connessa con la difesa tecnica e corrispondente ad un atto tipico con il quale si mettono a disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico (Cass. IV, n. 18385/2018). In altre occasioni è stato sottolineato che la memoria è finalizzata ad illustrare le ragioni della difesa in relazione alle questioni che il processo pone all'attenzione del giudicante, siano esse “di fatto” – specialmente allorché la vicenda si segnali per la sua complessità dal punto di vista della ricostruzione storica, o per la presenza di dettagli destinati a rivestire peculiare importanza ai fini della soluzione da adottarsi – ovvero “di diritto” – qualora il difensore ritenga opportuno illustrare la propria interpretazione giuridica dell'accaduto, oppure anche solo per richiamare l'elaborazione giurisprudenziale e/o dottrinaria sul tema proposto dal processo – ovvero ancora “di tipo tecnico”, come nel caso in cui la decisione della vicenda passi attraverso la soluzione di problemi tecnico-scientifici (Cass. VI, n. 38757/2016).

La memoria difensiva nell'udienza preliminare

La sinteticità della disposizione dell'art. 419, comma 2, c.p.p. – ma, lo si è visto, lo stesso è a dirsi per tutte le altre norme del codice di rito che riconoscono la facoltà di presentare memorie – e la derivazione di tutte le ipotesi specificamente previste dal comune archetipo previsto dalla disposizione generale dell'art. 121 c.p.p. permettono di interpretare l'art. 419, comma 2, c.p.p. alla luce degli approdi cui si è giunti in relazione alla norma di portata generale, tuttavia mai dimenticando il contesto speciale dell'udienza preliminare.

A differenza di altre disposizioni (artt. 127 comma 2, 299 comma 3, 406 comma 3, 410-bis comma 3, 415-bis comma 3, 595 comma 3, 611 comma 1, 666 comma 3, 703 e 704 c.p.p.) l'art. 419 c.p.p. non detta termini per il deposito della memoria, né sono previste altre formalità, quali ad esempio la notifica o la comunicazione della memoria stessa alle controparti.

Sul punto possono quindi senz'altro trovare applicazione le soluzioni ermeneutiche previste con riferimento all'art. 121 c.p.p. Nella relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale (pubb. nella Gazz. Uff. n. 250/1988 – Suppl. Ordinario n. 93) si chiariva che “nel Progetto preliminare l'art. 121 (120) comma 1 prevedeva la facoltà delle parti, in ogni stato e grado del processo, di presentare al giudice memorie o richieste scritte mediante deposito in cancelleria, ma senza obbligo di comunicazione alle altre parti. La Commissione parlamentare, pur esprimendo parere favorevole quanto alla conformità della norma alla delega, ha sottolineato ‘l'opportunità di prevedere che gli atti vengano notificati a tutte le parti processuali e che queste possano chiederne copia' (un analogo rilievo era stato formulato dalla Commissione consultiva a proposito dell'art. 115 del Progetto del 1978). Il rilievo è sembrato da condividere, per l'esigenza di assicurare un effettivo contraddittorio tra le parti. Peraltro, poiché la regola è il contraddittorio e, quindi, la comunicazione o la notificazione, non è apparsa necessaria, sul punto, una esplicita precisazione, risultando sufficiente sopprimere l'inciso finale del comma 1”.

Dal punto di vista teorico parrebbe dunque preferibile la tesi della comunicazione o notificazione della memoria che la parte andrà a depositare prima dell'udienza preliminare, deposito anticipato che pur non soggetto a termini dovrà comunque intervenire in tempi adeguati per permettere al giudice dell'udienza preliminare di prenderne cognizione, senza tuttavia che si integrino ipotesi di nullità in caso di sua inosservanza.

Nella concreta esperienza giurisprudenziale di merito (nel giudizio di legittimità il deposito delle memorie è oggetto di espressa previsione in seno all'art. 611 del codice di rito, ritenuto pacificamente estensibile anche ai giudizi in pubblica udienza: v. Cass. III, n. 50200/2015, e I, n. 19925/2014) accade infatti di assistere al deposito della memoria contemporaneamente alla formulazione delle conclusioni, o – il che è nella sostanza lo stesso – immediatamente dopo, pressoché senza soluzione di continuità, con finalità meramente riepilogativa. In tali ipotesi si è in presenza di mere prassi, in cui l'irritualità del deposito che non avviene in cancelleria è compensata dall'accordo delle parti e comunque in assenza di effettive lesioni ai diritti delle parti medesime, per la ricordata funzione riepilogativa che è propria della memoria e che nulla aggiunge alla discussione orale (Cass. VI, n. 38757/2016).

Il contenuto, richiamandosi quanto già detto, può coprire qualunque aspetto della regiudicanda, sia sotto il profilo della ricostruzione storica della vicenda fattuale che del suo inquadramento giuridico, ovviamente nei limiti della pertinenza.

Tra le varie possibilità riempitive del contenitore “memoria” merita segnalare l'eventualità che si renda opportuno sottoporre al giudice argomentazioni di tipo tecnico, specialmente ove nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero abbia proceduto ad accertamenti tecnici irripetibili con la nomina di un proprio consulente nelle forme dell'art. 360 c.p.p..

Può dirsi ormai acquisita da lungo tempo nella giurisprudenza di legittimità la possibilità che il difensore presenti al giudice una memoria difensiva allegandovi e facendolo proprio un parere scritto fornitogli da un soggetto estraneo al processo, a nulla rilevando che nel corso dell'istruttoria abbia nominato un consulente tecnico e che questi non abbia formulato osservazioni in ordine alla perizia (Cass. I, n. 4521/1973). Quest'ultimo arresto, reso peraltro nella vigenza del precedente codice di rito, unitamente all'attuale disposizione normativa che consente di presentare al giudice memorie contenenti il parere tecnico reso da consulenti (art. 233 c.p.p.) mostra con tutta evidenza come la memoria rappresenti una formidabile occasione di contatto con il giudice – con finalità di chiarificazione di aspetti anche complessi e con caratteristica di “stabilità” del contributo argomentativo rispetto alla “volatilità” della discussione orale – che può senz'altro rivestire un ruolo di grande utilità per il giudice (e, nel senso anzidetto, di “occasione” per la parte) al momento della decisione e per la redazione della sua motivazione.

Del resto, l'influenza della memoria difensiva sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione deriva dalla stessa natura delle memorie di parte che tramite l'argumentum ampliano l'ambito dell'argomentazione (Cass. V, n. 9114/2018, Trunio, non massimata; Cass. V, n. 51117/2017).

Rispetto alla fase del dibattimento in cui le regole valutative sono altre, nella fase dell'udienza preliminare il contenuto della memoria deve confrontarsi con le peculiarità del giudizio del giudice dell'udienza preliminare e della funzione di filtro che questa riveste rispetto ad esercizi dell'azione penale non adeguatamente solidi e meditati.

È quindi opportuno che nella memoria venga argomentata l'inutilità del dibattimento rispetto ad una piattaforma probatoria insuscettibile di rafforzamento o sviluppo nella fase successiva, piuttosto che una ricostruzione sul piano del merito che meglio si attaglia alla fase del giudizio. Nella giurisprudenza di legittimità è orientamento consolidato quello secondo cui ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere il G.U.P. deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in dibattimento, senza poter effettuare una complessa ed approfondita disamina del merito del materiale probatorio, né formulare un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato, essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui gli elementi di prova acquisiti a carico di quest'ultimo si prestino a valutazioni alternative, aperte o, comunque, tali da poter essere diversamente valutati in dibattimento anche alla luce delle future acquisizioni probatorie (Cass. II, n. 15942/2016; si veda anche Cass. IV, n. 32574/2016, secondo cui il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza dell'imputato, ma l'inutilità del dibattimento, anche in presenza di elementi probatori contraddittori od insufficienti; ne consegue che, nell'ipotesi di diverse ed opposte valutazioni tecniche, non spetta al G.U.P. decidere quale perizia sia maggiormente attendibile, dovendo egli solo verificare se gli elementi acquisiti a carico dell'imputato risultino irrimediabilmente insufficienti o contraddittori, in ragione di eventuali manifeste incongruenze del contributo dell'esperto posto a sostegno dell'accusa o dell'errata piattaforma fattuale assunta ovvero della palese insipienza tecnica del metodo o dell'elaborazione).

Un contenuto più “centrato” su simili aspetti riguardanti il profilo della colpevolezza/innocenza può semmai essere opportuno laddove successivamente al deposito della memoria l'imputato formuli richiesta di giudizio abbreviato, posto che una volta ammesso il rito speciale i parametri valutativi del giudice dell'udienza preliminare sono improntati dall'esigenza di scrutinio del merito e non della sussistenza delle condizioni per l'emissione del decreto di cui all'art. 429 c.p.p.

L'omessa valutazione della memoria

La questione dell'omessa valutazione della memoria da parte del giudice e dei suoi riflessi sul piano della validità o invalidità della decisione adottata è stata risolta nella giurisprudenza di legittimità in modo difforme (vds. per un'attenta ricostruzione la recente Cass. IV, n. 18385/2018).

Secondo un orientamento più risalente, l'omessa valutazione di una memoria difensiva determinerebbe la nullità di ordine generale prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) perché impedisce all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, così comportando in definitiva la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato stesso oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione al necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l'atto di impugnazione (Cass. VI, n. 13085/2013; Cass. I, n. 37531/2010; Cass. I, n. 31245/2009; Cass. I, n. 45104/2005; Cass. I, n. 23789/2005). Le ragioni dell'esposta opzione interpretativa risiedono nella constatazione della natura della memoria e della sua funzione illustrativa delle ragioni della difesa, che può investire sia questioni di fatto che di diritto: il giudice, al quale viene presentata una memoria o un'istanza, deve pertanto prendere in considerazione il contenuto delle memorie e assumerlo a tema dell'indagine, facendolo quindi (direttamente o indirettamente) oggetto della formulazione del proprio giudizio. L'inosservanza di un siffatto dovere si profilerebbe sotto le spoglie della violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, nonché sotto quello dell'integrazione di una nullità ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. b) e c), generalmente comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato e delle altre parti private e perfino del pubblico ministero. Ciò, in buona sostanza, significherebbe ridurre le parti alla situazione di comparse eventuali, disconoscendone la funzione di protagonisti della dialettica processuale (in tali termini Cass. I, n. 45104/2005).

Secondo un più recente e convincente orientamento, al contrario, l'omessa valutazione delle memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, potendo al più influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Cass. I, n. 26536/2020; Cass. V, n. 51117/2017; Cass. V, n. 4031/2015; in tema di giudizio abbreviato Cass. VI, n. 44419/2015; Cass. VI, n. 269/2013). Infatti, oltre al fatto che la nullità della sentenza per l'omessa valutazione della memoria non trova conforto nelle ipotesi di nullità previste dalla legge, è stato osservato che per avere rilevanza l'omessa considerazione di memorie deve incidere effettivamente sulla logica ricostruttiva del fatto o sulla correttezza logico-giuridica della motivazione, essendo la facoltà di presentare memorie strettamente connessa con la difesa tecnica e, dunque, corrispondente ad un atto tipico con il quale si mettono a disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico. Con la conseguenza che quando le memorie delle parti presentino argomentazioni difensive tese ad invalidare la ricostruzione fattuale o a porre in discussione l'esegesi fatta propria dal giudicante, questi ha il dovere di esaminarle, fallendo altrimenti il compito motivazionale; quando invece esse contengano la mera ripetizione di difese già svolte oppure siano inconferenti rispetto all'oggetto del giudizio, non può ritenersi che il loro mancato esame invalidi il percorso logico-motivazionale del provvedimento decisorio, perché, altrimenti si costringerebbe il giudice a rispondere a tutti i rilievi avanzati dalle parti, anche se del tutto incongrui e addirittura formulati con scopi diversivi (Cass. IV, n. 18385/2018).

Se l'omessa valutazione di memorie difensive, essendo suscettibile di incidere sulla congruità e correttezza logico-giuridica dell'argomentazione del provvedimento emesso all'esito della fase o del grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive, rileva sul piano del difetto motivazionale della decisione impugnata, è tuttavia onere della parte indicare quale argomento decisivo per la ricostruzione del fatto era contenuto nella memoria e non è stato valutato dal giudice nel provvedimento impugnano, peccando, altrimenti, di genericità il motivo di impugnazione proposto sul punto (Cass. I, n. 26536/2020; Cass. V, n. 24437/2019). È stata invece ravvisata una causa di nullità per omessa valutazione di una memora difensiva nella specifica materia delle impugnazioni di misure cautelari, allorché l'omissione da parte del giudice del riesame riguardi memorie in cui risultino articolate specifiche deduzioni che non si limitino ad approfondire argomenti a fondamento di quelle già prospettate ex art. 309, comma 6, c.p.p., ma contengano autonome e inedite censure del provvedimento impugnato, che rivestano carattere di decisività (Cass. V, n. 11579/2022).

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