Richiesta di declaratoria di causa di non punibilità (art. 129)

Lottini Riccardo

Inquadramento

In ogni stato e grado del processo, il Giudice che ravvisi i presupposti per l'assoluzione per talune delle ipotesi di cui all'art. 530 c.p.p., ovvero rilevi una causa di estinzione del reato o il difetto di una condizione di procedibilità, lo dichiara con sentenza; nell'ipotesi di concorso di cause di proscioglimento, il Giudice pronuncia sentenza di assoluzione quando la prova è evidente.

Formula

ALL'ECC.MO TRIBUNALE DI IN COMPOSIZIONE....

RICHIESTA DI DECLARATORIA IMMEDIATA DI CAUSA DI NON PUNIBILITÀ

(EX art. 129 c.p.p.)

Il sottoscritto Avv....., nella propria qualità di difensore di fiducia del Sig....., imputato nel procedimento penale n..... /.... R.G.N.R. – n..... /.... R.G.

PREMESSO

che il reato ascritto a carico del Sig..... deve ritenersi estinto per i seguenti motivi:.... /che l'azione penale esercitata in danno del Sig..... deve ritenersi improcedibile per difetto di....;

CONSIDERATO

che tuttavia dagli atti processuali emerge in maniera positiva ed incontestabile, e dunque evidente, la sussistenza dei presupposti per il proscioglimento nel merito del Sig....., ed in particolare per i seguenti motivi:....;

CHIEDE

a Codesto Ecc.mo Collegio/alla S.V. Ill.ma:

– in via principale, ex art. 129, comma 2, c.p.p., di voler assolvere il Sig..... poiché vi è prova evidente che il fatto non sussiste/che il Sig..... non lo ha commesso/che il fatto non costituisce reato/che il fatto non è previsto dalla legge come reato;

– in subordine, nella denegata ipotesi in cui non ritenesse evidente la prova dell'innocenza del Sig....., di voler pronunciare, ex art. 129, comma 1, sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto/perché l'azione penale non doveva essere esercitata/proseguita.

Luogo e data....

Firma Avv.....

Commento

Presupposti applicativi

La disciplina racchiusa nell'art. 129 c.p.p. persegue un non sempre agevole bilanciamento tra le esigenze di economia processuale – relative ad un'immediata definizione del procedimento, quando il compimento di ulteriori attività si riveli inutile – ed il favor rei (favor innocentiae), che tutela invece l'interesse dell'imputato all'accertamento pieno della propria innocenza: entrambe le istanze rinvengono oggi, a seguito della riforma che ha interessato l'art. 111 Cost., piana ed effettiva copertura costituzionale, rispettivamente nel principio della ragionevole durata del processo e del diritto di difendersi provando (cfr. Fonti, L'immediata declaratoria di cause di non punibilità, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, vol. I, Soggetti ed atti, t. I, Gli atti, a cura di Dean, Milano, 2009, 92).

A norma dell'art. 129 c.p.p., comma 1, il Giudice, in ogni stato e grado del processo, il quale riconosce che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d'ufficio con sentenza.

Le cause di non punibilità che comportano l'immediata declaratoria di cui all'art. 129 c.p.p. possono essere suddivise in tre categorie (Fonti, 94 e ss.).

La prima categoria è quella delle cause di merito, cui vanno ricollegate le formule, più ampiamente liberatorie, “il fatto non sussiste” (difetto dell'elemento oggettivo del reato) e “l'imputato non lo ha commesso” (il fatto è penalmente rilevante ma non è attribuibile all'imputato); nella medesima categoria si ascrivono “il fatto non costituisce reato” (difetto dell'elemento soggettivo o sussistenza di una scriminante), e “il fatto non è previsto dalla legge come reato” (insussistenza di una fattispecie incriminatrice in cui inquadrare il fatto, ad esempio nelle ipotesi di abolitio criminis o declaratoria di illegittimità costituzionale).

Non è contemplato, tra le cause che legittimano il proscioglimento nel merito, l'errore sull'identità fisica dell'imputato, destinatario di un'apposita disciplina racchiusa dall'art. 68 c.p.p. (che comunque espressamente richiama l'art. 129 c.p.p.).

Non consentono, invece, l'immediata declaratoria di proscioglimento la non imputabilità e le altre cause di non punibilità in senso stretto (cfr. ad esempio l'art. 649 c.p.), le quali, presupponendo la sussistenza e la rilevanza penale del fatto, nonché l'attribuibilità dello stesso all'imputato, richiedono un accertamento pieno, secondo le normali cadenze del processo (cfr. Marzaduri, Sub art. 129, in Commento al nuovo codice di procedura penale, diretto da Chiavario, vol. II, Torino, 1991, 117; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2017, 182).

La seconda categoria è quella delle cause estintive del reato, tra cui vanno ricordate la morte dell'imputato (disciplinata espressamente dall'art. 69 c.p.p.), la prescrizione e l'amnistia, la cui sussistenza è dichiarata con la formula del “non doversi procedere”.

Infine, vi è la terza categoria, rappresentata dalle cause di non procedibilità, tra cui si annoverano il difetto (o la remissione) di querela, dell'istanza, dell'autorizzazione a procedere, della richiesta (cause di improcedibilità in senso stretto), ma alla quale si riconducono anche il già citato errore sull'identità fisica dell'imputato (art. 68 c.p.p.) e il ne bis in idem (art. 649 c.p.p.: cfr. Tonini, 182).

Segue. La regola di giudizio

Uno dei nodi centrali dell'istituto è la definizione della regola di giudizio ivi operante.

In un noto arresto a Sezioni Unite, la S.C. ha avuto modo di precisare che l'art. 129 c.p.p. non attribuisce al Giudice un “potere di giudizio” – inteso come “occasione atipica” di decidere la res iudicanda – ulteriore rispetto a quello che gli deriva dalle norme specifiche che disciplinano i singoli segmenti processuali (artt. 425,469,529,530,531 c.p.p.), bensì detta una regola di condotta o di giudizio, che si affianca a quelle proprie di ciascuna fase del processo, e alla quale il Giudice è tenuto ad attenersi nell'esercizio dei poteri decisori che gli competono in quanto Giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento: tale regola di condotta impone il dovere di immediata declaratoria d'ufficio, nella prospettiva di privilegiare l'exitus processus e il favor rei, di determinate situazioni che svuotano di contenuto o fanno venire meno la ragion d'essere dell'imputazione, e che il Giudice “riconosce” come già acquisite agli atti (Cass. S.U., n. 12283/2005).

Tale essendo la natura e la ratio della norma, prosegue la S.C., è evidente che la stessa si inserisce armonicamente nel sistema, senza entrare in conflitto con gli altri possibili epiloghi decisori ivi operanti, ma, affiancandoli e precisandoli, definisce meglio tempi e modalità della decisione del Giudice: ne consegue che la stessa andrà modellata ed adeguata, di volta in volta, ai caratteri e alle peculiarità delle fasi processuali in cui è chiamata ad operare.

In particolare, l'espressione “immediata declaratoria”, di cui alla rubrica dell'art. 129 c.p.p., non deve essere ricostruita in termini di percepibilità prima facie, bensì evidenzia la precedenza che il Giudice le deve accordare rispetto ad ulteriori provvedimenti decisionali adottabili, provvedendo a dichiararla “allo stato degli atti”, senza dar corso a nessuna ulteriore attività istruttoria.

Segue. La regola della prevalenza delle formule di proscioglimento più favorevoli

Come noto, il comma 2 dell'art. 129 c.p.p. introduce una gerarchia “temperata” tra le formule di proscioglimento: se il reato è estinto, il Giudice deve comunque pronunciare sentenza di assoluzione quando risulti evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato.

Recependo ormai consolidati arresti, le Sezioni Unite hanno chiarito che il canone dell'evidenza attiene più al concetto di “constatazione”, ovvero di percezione ictu oculi, piuttosto che a quello di “apprezzamento”, ed è quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (cfr. Cass. S.U., n. 28954/2017, in Cass. pen., 2017, 11, 3915, con nota di Rivello). Pertanto, in presenza di una causa di estinzione del reato, il Giudice è tenuto a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p., soltanto quando dagli atti emergano, in modo assolutamente incontestabile, circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale.

In altri termini, l'evidenza richiesta dall'art. 129, comma 2, c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva “che rende superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia”: ne consegue, dunque, che non potrà assumere rilievo la mera insufficienza o contraddittorietà della prova, la quale, invece, richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (così già Cass. S.U., n. 35490/2009, che nondimeno fa salve le ipotesi di declaratoria di causa estintiva del reato in grado di appello, allorché la valutazione del compendio probatorio sia imposta dalla presenza della parte civile e dunque dalla necessità di decidere sulle relative statuizioni).

Così come ricostruito dalla Suprema Corte, lo standard probatorio previsto dal comma 2 dell'art. 129 c.p.p. risulta particolarmente arduo da raggiungere: tuttavia, l'imputato può sempre rinunciare alle cause estintive dell'amnistia (cfr. Corte cost., n. 175/1991), e della prescrizione (art. 157, comma 7, c.p., come modificato dalla l. n. 251/2005; già prima della modifica, cfr. Corte cost., n. 275/1990).

Recentemente la S.C. ha stabilito che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), in quanto la prima pronuncia sottende un esito più favorevole per l'imputato. Mentre infatti la prescrizione comporta l'estinzione del reato, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità lascia intatto il fatto illecito nella sua esistenza storica e giuridica (così come diverse sono le conseguenze che derivano dalle due pronunce, cfr. Cass. VI, n. 11040/2016; v. anche Cass. II, n. 35022/2020 che ha ritenuto applicabile l'art. 131-bis come esteso a seguito di Corte cost., n. 156/2020 anche in Cassazione).

Sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pur maturata anteriormente, prevale invece quella per morte dell'imputato (Cass. S.U., n. 49783/2009).

Ambito operativo dell'immediata declaratoria di non punibilità

A differenza del codice di rito abrogato, che contemplava l'immediata declaratoria di non punibilità in ogni stato e grado del procedimento (art. 152 c.p.p. 1930), l'art. 129 c.p.p. fa riferimento al processo, escludendo la fase antecedente all'esercizio dell'azione penale.

D'altro canto, nel corso delle indagini preliminari, situazioni analoghe a quelle contemplate dall'art. 129 c.p.p. sono fronteggiate dagli artt. 408 e 411 c.p.p. relativamente alla richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero. In dottrina si ritiene (Marzaduri, op. ult. cit., 119) che il Pubblico Ministero, individuata una delle cause di non punibilità, sia tenuto a formulare immediatamente, anche alla luce di quanto dispone l'art. 356 c.p.p., la richiesta di archiviazione, a prescindere dalla possibilità che il prosieguo delle indagini possa condurre ad una pronuncia più favorevole.

Deve invece escludersi che il G.I.P., investito di un procedimento incidentale, possa fare ricorso all'istituto de quo (cfr. Catalano, L'abuso del processo, Milano, 2014, 201).

Non deroga alla proiezione rigorosamente processuale dell'art. 129 c.p.p., la circostanza che l'art. 447 c.p.p., che disciplina l'ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti nella fase delle indagini preliminari, richiami l'art. 444 c.p.p., il quale, a sua volta, invoca l'art. 129 c.p.p., imponendo al Giudice di verificare l'insussistenza di una situazione di immediata declaratoria di non punibilità prima di ratificare l'accordo: invero, anche in questa ipotesi, il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. ha luogo nel processo, atteso che la richiesta di c.d. patteggiamento deve considerarsi atto di esercizio dell'azione penale (cfr. Fonti, op. ult. cit., 101).

Segue. Riti speciali

Ancora in tema di patteggiamento, le Sezioni Unite hanno recentemente chiarito che la prescrizione del reato, maturata e non rilevata dal Giudice investito della richiesta di applicazione della pena, è un errore deducibile in Cassazione, atteso che la richiesta di patteggiamento, ovvero il consenso prestato alla proposta del Pubblico Ministero, non possono valere come rinuncia alla prescrizione, in quanto l'art. 157, comma 7, c.p., richiede la forma espressa, che non ammette equipollenti (cfr. Cass. S.U., n. 18953/2016).

In passato il Collegio Esteso aveva altresì chiarito che il Giudice richiesto di definizione del procedimento mediante sentenza di patteggiamento, dopo avere escluso, sulla base degli atti, che debba essere pronunciato proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. in relazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, può soltanto accogliere o rigettare l'accordo intervenuto. Se l'accordo concerne anche le circostanze attenuanti, le stesse valgono soltanto ai fini della determinazione della pena, e non per farne conseguire l'estinzione del reato per prescrizione, il che costituirebbe un'utilizzazione del patteggiamento per finalità incompatibili con il suo scopo e contenuto (cfr. Cass. S.U., n. 18/2000; in motivazione la S.C. ha chiarito che il controllo esercitato dal Giudice sulla corretta applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti non equivale a una concessione delle stesse, proprio perché manca un accertamento pieno e incondizionato in ordine alla loro sussistenza).

Nell'ambito del procedimento monitorio, il potere del G.P.I. di pronunciare de plano sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è riconosciuto, in sede di scrutinio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna, dall'art. 459 c.p.p., comma 3: trattasi di un'eccezione giustificata dalla particolarità del rito, che si caratterizza per la radicale assenza di contraddittorio (cfr. Cass. S.U., n. 12283/2005, cit.; v. anche Cass. III, n. 36240/2020).

Le SS.UU., pertanto, hanno qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il G.I.P., investito dell'opposizione ex art. 461 c.p.p., con contestuale richiesta di procedersi con rito abbreviato, aveva pronunziato sentenza ex art. 129 c.p.p. per insussistenza del fatto ascritto all'imputato, anziché esercitare i poteri propulsivi propri del rito, peraltro rigidamente scanditi: ciò in quanto, una volta emesso il decreto penale di condanna, il G.I.P. si spoglia di qualsiasi potere decisorio sul merito dell'azione, incorrendo, in caso contrario, anche in una violazione delle regole sull'incompatibilità (cfr. Cass. S.U., n. 21243/2010, in Cass. pen., 2010, 11, 3765, con nota di Scarcella).

In materia di sospensione del procedimento con messa alla prova (464-quater c.p.p.), si è affermato che la delibazione sull'inesistenza di cause di proscioglimento immediato ex art. 129 c.p.p. (nonché la verifica sull'idoneità del programma e la prognosi favorevole di non recidiva), non determina incompatibilità del Giudice nel giudizio che prosegua nei confronti di altri imputati, trattandosi di decisione adottata nella medesima fase che non implica una valutazione sul merito dell'accusa (cfr. Cass. S.U., n. 14750/2016).

Segue. Udienza preliminare e dibattimento

Nella fase che va dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio allo svolgimento dell'udienza preliminare, il G.U.P. non può pronunciare de plano sentenza ex art. 129 c.p.p. (cfr. Cass. S.U., n. 12283/2005, cit.): un provvedimento di tal guisa deve infatti ritenersi affetto da nullità di ordine generale, ai sensi dell'art. 178, lett. b) e c) c.p.p., in quanto incide negativamente tanto sulla partecipazione del P.M. al processo, quanto sul diritto di difesa dell'imputato: ne consegue che, ove rilevi la sussistenza di una condizione per cui è consentita l'immediata declaratoria di non punibilità, il Giudice dovrà dare impulso alla fase fissando l'udienza preliminare.

Nei medesimi arresti si è affermato che, in sede di udienza preliminare, la sussistenza di una causa di non punibilità che legittima la pronuncia ex art. 129 c.p.p. preclude l'esercizio dei poteri istruttori contemplati dagli artt. 421-bis e 422 c.p.p.

Si è precisato, inoltre, che ancorché emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la sentenza che definisce la fase dell'udienza preliminare è, a tutti gli effetti, anche per quanto riguarda le impugnazioni (appello e ricorso per Cassazione, nel nuovo assetto delineato dalla l. n. 103/2017, c.d. riforma Orlando), una sentenza di non luogo a procedere.

A seguito dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, l'art. 129 c.p.p. risulta inoperante per tutta la (sotto)fase degli atti preliminari al dibattimento, atteso che l'art. 469 c.p.p. limita i casi di proscioglimento predibattimentale alle ipotesi di improcedibilità dell'azione e di estinzione del reato, precludendo con ciò le ulteriori statuizioni nel merito contemplate dalla norma in rassegna.

Nel corso del dibattimento, l'art. 129 c.p.p. dispiega invece appieno la propria funzione anticipatoria (cfr. Marzaduri, op. ult. cit., 122): invero è in tale sede che, all'esito dell'assunzione delle prove richieste dal Pubblico Ministero, il Giudice, ritenuto che le stesse abbiano prodotto risultati talmente inconsistenti da escludere la necessità di proseguire oltre nell'istruzione, revocherà l'ordinanza ammissiva delle prove a favore dell'imputato e pronunzierà sentenza ex art. 129 c.p.p., fatto salvo (almeno in linea di principio) il diritto dell'imputato all'assunzione di ulteriori prove ove le stesse possano condurre ad una formula di proscioglimento più favorevole (cfr. ancora Marzaduri, op. ult. cit., ivi).

Segue. Appello e giudizio di Cassazione

Nel giudizio di appello, lo spazio per i provvedimenti anticipatori è esclusivamente quello del dibattimento: difatti, il combinato disposto degli artt. 598,599 e 601 c.p.p. non effettua alcun rinvio, esplicito o implicito, alla disciplina dell'art. 469 c.p.p., che consentirebbe di pronunciare l'eventuale proscioglimento in sede predibattimentale; né la pronuncia predibattimentale può essere emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., poiché l'obbligo del Giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio. Tuttavia, allorché la decisione venga assunta de plano, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione deve ritenersi prevalente sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza (cfr. Cass. S.U., n. 28954/2017, cit.).

La S.C. ha inoltre precisato che, seppur in presenza di una causa estintiva del reato, quando il Giudice di appello sia chiamato a valutare il compendio probatorio per decidere ai fini delle statuizioni risarcitorie o restitutorie, in presenza di una parte civile costituita, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva anche nell'ipotesi di insufficienza o contraddittorietà della prova (cfr. Cass. S.U., n. 35490/2009, cit.).

L'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p., operando in ogni stato e grado del processo, è pacificamente applicabile anche nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U., n. 28954/2017, cit.).

L'operatività della norma, tuttavia, presuppone un'impugnazione valida: escludendo che la disciplina dell'art. 129 c.p.p. possa rivestire “valenza prioritaria” rispetto a quella dell'inammissibilità, le Sezioni Unite hanno negato la possibilità di dichiarare, ai sensi degli artt. 129 e 609 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione (maturata in data anteriore alla sentenza emessa in grado di appello, ma non rilevata né eccepita in tale sede, né dedotta nell'atto di impugnazione), a fronte di un ricorso inammissibile (cfr. Cass. S.U., n. 12602/2015; in tal senso già Cass. S.U., n. 23428/2005).

In termini generali, cfr. Cass. S.U., 11 novembre 1994, in Cass. pen., 1995, 3296, con nota di Marandola), per cui “la mancanza, nell'atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall'art. 581 c.p.p., compreso quello della specificità dei motivi, rende l'atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio e a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità: in tali ipotesi si è in presenza, infatti, di una causa di inammissibilità originaria dell'impugnazione, la quale impedisce di rilevare e dichiarare, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., eventuali cause di non punibilità; nel caso in cui, viceversa, l'atto contenga tutti i requisiti di legge, esso è idoneo a produrre l'impulso necessario per originare il giudizio di impugnazione, con la conseguenza che le ulteriori cause di inammissibilità ricollegabili alla manifesta infondatezza dei motivi ovvero all'enunciazione di motivi non consentiti o non dedotti in appello sono da considerare sopravvenute e quindi non ostative all'operatività della disposizione dell'art. 129 c.p.p.”.

Per contro, nelle ipotesi di remissione di querela intervenuta dopo la proposizione dell'impugnazione, la S.C. ha stabilito che l'inammissibilità del ricorso non impedisce di pronunciare la sentenza ex art. 129 c.p.p.: cfr. Cass. S.U., n. 24246/2004. Anche se, dopo l'introduzione della procedibilità a querela per i reati di furto aggravato ai sensi del d.lgs. n. 150/2022 la Corte di Cassazione ha ritenuto non possibile accertare il difetto di querela di reati oggetto di procedimenti per i quali era stato pronunciato ricorso ritenuto inammissibile (Cass. IV, n. 4183/2023; Cass. IV, n. 4186/2023).

L'inammissibilità del ricorso, purché derivante dalla tardività dell'impugnazione, non preclude la rilevabilità dell'illegalità della pena, conseguente all'applicazione di pena superiore al limite legale o ad una declaratoria di illegittimità costituzionale (Cass. s.u., n. 38809/2022; v. però in senso contrario Cass. S.U., n. 47766/2015; in tal senso, già Cass. S.U., n. 33040/2015 che ritenevano che la pena illegale derivante da declatoria di illegittimità costituzionale fosse deducibile dinanzi al Giudice dell'esecuzione).

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