Richiesta di surrogazione degli atti (art. 112)InquadramentoQuando un atto del procedimento (non un mero documento di origine extraprocedimentale) sia stato distrutto, smarrito o sottratto è possibile, con determinate cautele, la sua sostituzione ad ogni effetto (cosiddetta “surroga”) con una copia autentica precedentemente rilasciatane a terzi. FormulaTRIBUNALE PENALE DI.... IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA (DOTT.....) IN COMPOSIZIONE COLLEGIALE.... SEZIONE ISTANZA DI SURROGAZIONE DI COPIA AUTENTICA ALL'ORIGINALE MANCANTE *** Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., difensore di fiducia/ufficio di........ 1....., nato a.... il....; 2....., nata a.... il....; indagato nel procedimento penale n..... /.... R.G.N.R., per il reato previsto e punito dall'art. (dagli artt.)...., per i reati previsti e puniti dagli artt. a).... c.p. b)...., l..... /.... c)...., d.P.R..... d)...., d.lgs..... PREMESSO che l'originale del.... [1] è andato distrutto (ovvero smarrito ovvero sottratto), per la seguente ragione: (esporre la causa della distruzione/smarrimento/sottrazione), come attestato da.... [2] ; che, tenuto conto di ciò, non è possibile recuperare tale atto; che di tale atto occorre fare uso, in particolare al fine di (indicare a quale utilizzo sarebbe destinato l'atto non più disponibile, ad esempio per essere prodotto in altro procedimento ovvero per la contestazione al dichiarante in dibattimento); che il sottoscritto difensore ha la disponibilità di una copia autentica di tale atto, rilasciatagli da.... in data....); (ovvero che.... [3] ha la disponibilità di una copia autentica di tale atto, rilasciatagli da.... in data....); CHIEDE di poter depositare la copia autentica del suddetto atto distrutto/smarrito/sottratto affinché, ai sensi dell'art. 112 c.p.p., acquisti valore di originale e sia depositato come per legge presso.... [4] ). Si allegano i seguenti documenti. 1.....; 2...... Luogo e data.... Firma.... [1]Indicare tutti gli estremi della sentenza (Giudice emittente, data della lettura del dispositivo, data del deposito della motivazione, numero di ruolo del procedimento, numero della sentenza) o dell'altro atto procedimentale (nomen iuris, autorità emittente, data e luogo di emissione, numero di ruolo del procedimento). [2]Indicare un atto del soggetto che aveva la ufficiale disponibilità dell'atto (ad esempio, segreteria della procura della Repubblica) che ne dichiari la distruzione/smarrimento/sottrazione. [3]Specificare il terzo soggetto che abbia la attuale disponibilità di una copia autentica dell'atto da surrogare, precisando, laddove possibile, donde provenga alla parte istante tale informazione. [4]Secondo l'art. 112 c.p.p., la copia “è posta nel luogo in cui l'originale dovrebbe trovarsi”. CommentoAtti e documenti Il procedimento penale distingue nettamente tra “atti” e “documenti”. La definizione tradizionale qualifica il documento come la rappresentazione di un fatto. Requisito del documento è tradizionalmente la forma scritta, pur potendosi prescindere dal tipo di materiale su cui è apposto il tratto grafico. L'evoluzione tecnologica ha però da tempo riconosciuto piena cittadinanza anche al documento digitale (già l'art. 3, l. n. 547/1993 aveva introdotto l'art. 491-bis c.p. che estende la penale rilevanza dei delitti di falso anche ai documenti informatici pubblici e privati). Sono annoverati dunque tra i documenti non soltanto i testi scritti, quale che sia il supporto fisico che li contenga, ma anche le fotografie, i filmati, le riprese audio e ogni altra registrazione, realizzata con un qualsiasi mezzo tecnologico, idonea a rappresentare meccanicamente la realtà esterna. La summa divisio delle categorie documentali distingue tra: – atti pubblici: documenti redatti, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire loro pubblica fede (art. 2699 c.c.), fidefacienti, fino a querela di falso, della provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.); – scritture private: documenti enunciativi (idonei alla prova di fatti e rapporti giuridici e comunque potenzialmente produttivi di effetti giuridicamente rilevanti) che non possano essere qualificati come atti pubblici e che, a fini di riconoscibilità della provenienza, siano sottoscritti dalle parti che li pongono in essere. Questa distinzione ha un enorme rilievo nel diritto penale sostanziale (oltre che in molte altre branche del diritto pubblico e privato), ma è stata ulteriormente sviluppata nell'ordinamento processuale penale. Tra gli atti pubblici, si distinguono infatti quegli atti formati da particolari categorie di pubblici ufficiali (il Giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, il personale amministrativo delle cancellerie e delle segreterie, i periti del tribunale e i consulenti tecnici della procura), nell'ambito di un procedimento penale e per fini istituzionali (in primis, la “documentazione”, secondo la terminologia degli artt. 134 ss. c.p.p., dell'attività, delle dichiarazioni e delle operazioni delle parti e degli altri soggetti del procedimento). Ai sensi del codice di rito, questi documenti sono qualificati come “atti”. Gli atti connotati da queste stesse caratteristiche, ma posti in essere da soggetti privati (in particolare, il difensore, il suo sostituto, l'investigatore privato autorizzato, il consulente tecnico delle parti private), pur essendo da un lato qualificabili come scritture private, rappresentano nondimeno ugualmente “atti” del processo. Tutti gli altri atti pubblici, scritture private, copie meccaniche, rappresentazioni di qualsivoglia categoria (in un'area concettuale e prasseologica più ampia della stessa nozione di scrittura privata), formati al di fuori del procedimento (ma non necessariamente prima del suo inizio), sono considerati “documenti” (cfr. Nappi, Guida al codice di procedura penale, Milano, 2010). È opportuno avere sempre ben presente questa distinzione, anche allorquando elementi probatori dalla apparente natura documentale (ad esempio, delle fotografie o delle videoriprese) siano stati realizzati dalla polizia giudiziaria o da suoi ausiliari nell'ambito di attività di indagine (ad esempio, durante un'ispezione o un pedinamento). Onde evitare erronee sovrapposizioni concettuali tra la prova documentale ex art. 234 c.p.p. e la prova atipica ex art. 189 c.p.p., non si devono considerare gli esiti documentali di simili attività come “documenti” in senso stretto. Alla luce della netta distinzione tra documenti (formati fuori del procedimento nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso) e atti del medesimo procedimento, non si può che concludere che quando il documento risulti materialmente formato nell'ambito del procedimento, esso non potrà che costituire documentazione dell'attività procedimentale e cioè essere un “atto” in senso stretto. La disciplina dei “documenti” resta così nettamente separata da quella degli “atti” (in particolare, degli atti di indagine) che ne hanno permesso l'acquisizione ovvero a cui sono allegati. Di conseguenza, ad esempio, mentre un'annotazione di servizio della polizia giudiziaria non potrà essere prodotta in giudizio, a meno che non presenti caratteri di irripetibilità, la piena spendibilità dei documenti allegati alla stessa annotazione non troveranno invece ostacoli procedurali (Cass. II, n. 6515/2015, in tema di videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza). In particolare, per quanto qui rileva, la disciplina della surrogazione di copie agli originali mancanti e della ricostituzione degli originali perduti dettata dagli artt. 112-113 c.p.p. ha per oggetto soltanto gli atti del procedimento. Lo statuto della prova documentale (quella cioè che attiene ai documenti, nel senso sopra illustrato) è viceversa regolata dall'art. 234 c.p.p., secondo cui è sempre “consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”. Quando l'originale di un documento è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia. Il documento, durante l'istruttoria dibattimentale, è sottoposto per il riconoscimento alle parti private o ai testimoni, quando occorra verificarne la provenienza (art. 239 c.p.p.). Anche il contenuto rappresentativo del documento, d'altra parte, può essere provato attraverso una testimonianza: la rappresentazione mediata aumenta il rischio di una cattiva percezione del suo significato, ma non costituisce causa di inutilizzabilità della prova (Cass. VI, n. 37367/2014). Peraltro, oltre agli atti irripetibili, i documenti sono gli unici altri esiti delle indagini preliminari che nella fase dibattimentale rivestono direttamente valore di piena prova. La surrogazione di copie agli originali mancanti Secondo l'art. 112, comma 1, c.p.p., salvo che la legge disponga altrimenti, quando l'originale di una sentenza o di un altro atto del procedimento, del quale occorre fare uso, è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, la copia autentica ha valore di originale ed è posta nel luogo in cui l'originale dovrebbe trovarsi. Oggetto della norma è dunque “una sentenza” ovvero qualunque altro “atto del procedimento” nei termini sopra illustrati (e quindi anche un atto del pubblico ministero o del difensore di una parte privata). Nel lessico penalistico, “distruggere” equivale a annientare la cosa nella sua entità fisica (incenerire il documento cartaceo o passarlo al tritacarte, frantumare il supporto che contiene le informazioni digitali, etc.) o nella sua funzione strumentale, mediante rottura (coprire con inchiostro o altra sostanza chimica il testo scritto, cancellare in modo irreversibile i dati del documento informatico, etc.). La cosa mobile smarrita è quella uscita dalla sfera di signoria del suo possessore, senza che tale potere di fatto possa concretamente essere ripristinato. La condotta di sottrazione implica invece un'azione da parte di terzi che procedono alla materiale apprensione della res e la allontanano dall'area di disponibilità del legittimo possessore/detentore (in maniera consapevole, dal momento che condotte meramente colpose appaiono più correttamente riconducibili alla nozione di smarrimento). In ogni caso, l'esito della distruzione/smarrimento/sottrazione del fascicolo deve essere la impossibilità di recuperare l'atto originale, quantomeno nei suoi elementi essenziali. La procedura di surroga presuppone che, prima della sua perdita, dell'atto originale sia stata tratta una copia autentica, ovvero una copia “con certificazione di conformità” da parte del pubblico ufficiale (artt. 267-268, d.P.R. n. 115/2002). L'attestazione deve essere apposta in calce alla copia e recare la dichiarazione di conformità, il numero di fogli di cui è composta la copia, l'uso a cui è destinata, l'applicabilità o meno dell'imposta di bollo, la data e il luogo del rilascio, il nome, il cognome e la qualifica del pubblico ufficiale certificatore, che deve apporre la propria firma per esteso. Quest'ultimo può essere esclusivamente il pubblico ufficiale che ha emesso il documento o presso il quale il documento è depositato o al quale il documento deve essere presentato, nonché un notaio, un segretario comunale o altro funzionario incaricato dal sindaco, il Giudice di pace, il cancelliere (per la precisione dal personale amministrativo con qualifica di assistente giudiziario, cancelliere, funzionario giudiziario e direttore amministrativo), il difensore, il presidente del consiglio dell'ordine forense o un consigliere delegato (art. 40 disp. att. c.p.p.). Quando l'atto mancante deve essere utilizzato nel procedimento (ad esempio, per produrlo al fine di documentare una data circostanza), la parte, pubblica o privata, può chiedere al Giudice che si proceda alla surroga. In ogni caso, il presidente della corte o del tribunale, ex art. 112, comma 2, c.p.p., anche di ufficio, può ordinare con decreto a chi detiene la copia di consegnarla alla cancelleria, previo rilascio in suo favore di un'altra copia autentica a titolo gratuito. La giurisprudenza di legittimità non reputa abnorme, ad esempio, il provvedimento con cui il Giudice dell'udienza preliminare dispone di ufficio la ricostituzione del fascicolo processuale, ordinando a chi detiene le copie di atti e documenti acquisiti, ma fortuitamente dispersi, di consegnarle alla cancelleria: si tratta invero dell'esplicazione di un potere finalizzato ad evitare la dispersione del compendio probatorio, e non, invece, ad una integrazione probatoria (Cass. II, n. 50406/2014, che ha ritenuto legittima l'ordinanza con cui il Giudice dell'udienza preliminare aveva ordinato ai difensori di depositare copia delle cartelle cliniche sequestrate nelle indagini preliminari, che erano state affidate in custodia alla polizia giudiziaria ed erano andate smarrite nel corso di un trasloco). Recentemente la Corte di Cassazione (Cass. II, n. 15821/2019) ha precisato che, in difetto di specifica previsione, non è nulla la sentenza deliberata in assenza di documenti che, acquisiti al fascicolo processuale e andati dispersi nel corso del procedimento, non siano stati adeguatamente ricostituiti da parte del Giudice. |