Istanza di sospensione per altra questione pregiudiziale (art. 479)InquadramentoIn deroga alla regola generale della cognizione incidentale del giudice penale su ogni questione che si rende necessaria ai fini della decisione, in presenza di controversie civili o amministrative, oggetto di un procedimento già in corso davanti al giudice competente, le parti possono chiedere al giudice – che può provvedervi anche d'ufficio – di sospendere il processo penale sino al passaggio in giudicato della sentenza civile o amministrativa. FormulaALL'ECC.MO TRIBUNALE DI ... in composizione ... ISTANZA DI SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO PER QUESTIONE PREGIUDIZIALE (ex art. 479 c.p.p.) Il sottoscritto Avv. ... , difensore del sig. ... , nato a ... , il ... , imputato nel procedimento nr. ... / ... R.g.n.r. – nr. ... / ... R.G., pendente dinanzi a Codesto Ecc.mo Collegio/alla S.V. Ill.ma premesso che è attualmente pendente dinanzi a (Indicare l'autorità giurisdizionale civile o amministrativa) di ... il procedimento nr. ... R.G. avente ad oggetto ...; considerato che la risoluzione della predetta questione appare indispensabile ai fini della decisione sulla responsabilità penale dell'imputato, sig. ... , per i seguenti motivi [1] : ... ...; che la controversia avente ad oggetto ... appare altresì di rilevante complessità, atteso che ... ...; che la legge civile non contempla limitazioni di prova in ordine in materia di ...; chiede a Codesto Ecc.mo Giudice/alla S.V. Ill.ma di voler disporre la sospensione del procedimento nr. ... / ... R.g.n.r. – nr. ... / ... R.G., in cui è imputato il sig. ... , sino a che non sia pronunciata sentenza irrevocabile nel procedimento nr. ... R.G. Luogo e data ... Firma Avv. ... 1. La parte che avanza la richiesta di sospensione non potrà limitarsi ad allegare l'esistenza di un procedimento civile o amministrativo pendente, ma dovrà esplicitare le ragioni che consentiranno al giudice di valutare compiutamente l'opportunità di disporre la sospensione, sia con riferimento alla connessione logica tra i procedimenti, sia per quanto riguarda il presupposto della complessità dell'accertamento della questione preliminare (cfr. Cass. V, n. 31074/2001). CommentoPresupposti per la sospensione del processo ex art. 479 c.p.p. La regola della cognitio incidenter tantum, sancita dall'art. 2 c.p.p., a mente del quale il giudice civile risolve ogni questione civile, amministrativa o penale da cui dipende la propria decisione, patisce talune eccezioni, che debbono tuttavia essere rigorosamente predeterminate (“salvo che sia diversamente stabilito”): ciò in quanto la sospensione del processo si configura come un mezzo eccezionale, cui il giudice deve fare ricorso solo quando la legge lo consenta (Cass. I, n. 38171/2006). Al di là dell'ipotesi di pregiudiziale costituzionale (art. 23, n. 87/1953), e di pregiudiziale comunitaria, la clausola di riserva di cui all'art. 2 c.p.p. si riempie di contenuto con riferimento alle questioni pregiudiziali sullo status e la cittadinanza (art. 3 c.p.p.), e le altre questioni pregiudiziali di cui all'art. 479 c.p.p. A differenza dell'abrogato codice di rito (art. 19), che contemplava la pregiudizialità obbligatoria del giudice extra penale per ogni questione concernente lo stato della persona, tanto nelle ipotesi di status familiae e status civitatis, quanto per ogni altra questione pregiudiziale in materia non penale, alla stregua dell'attuale disciplina la sospensione del processo in attesa del giudicato civile o amministrativo si configura come una mera facoltà del giudice, la quale peraltro risulta ancorata a precisi presupposti. Con particolare riferimento alle ipotesi di sospensione di cui all'art. 479 c.p.p., la questione deferita al giudice civile o amministrativo (che non deve concernere lo status o la cittadinanza, applicandosi in tal caso la diversa disciplina di cui all'art. 3 c.p.p.), deve anzitutto rivestire carattere pregiudiziale. A norma dell'art. 479 c.p.p., dalla risoluzione della controversia civile o amministrativa deve dipendere la decisione del giudice penale circa “l'esistenza del reato”: la questione potrà dunque concernere anche una condizione di punibilità, di procedibilità o una causa di estinzione del reato, mentre non potrà legittimamente comportare la sospensione del processo laddove vada ad incidere esclusivamente sulla qualificazione giuridica del fatto ovvero su elementi circostanziali (per tali rilievi, cfr. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, in Trattato di procedura penale, diretto da Ubertis-Voena, II, Milano, 2011, 59). Di talché, la nozione di pregiudizialità sottesa alla disciplina de qua appare più ristretta rispetto a quella contemplata dall'art. 3 c.p.p., a mente del quale dalla controversia sullo stato di famiglia o la cittadinanza deve dipendere la “decisione” tout court (cfr. Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003). La questione pregiudiziale deve inoltre risultare di particolare complessità: in tale prospettiva si coglie la “strada mediana” per cui ha optato il legislatore del 1988 (cfr. Giarda, Sub art. 479 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda-Spangher, Milano, 2010, 6232), quale punto di equilibrio tra le esigenze di celerità e speditezza del processo penale (successivamente rivitalizzate dalla costituzionalizzazione del principio di ragionevole durata), e la contrapposta “tentazione” di affidarsi indefettibilmente al giudice civile o amministrativo, che, occupandosi quotidianamente della materia su cui insiste la questione controversa, sembra assicurare “epiloghi decisori più affidabili” anche ai fini dell'accertamento del fatto-reato. Ai sensi dell'art. 479, comma 1, l'intervento del giudice civile o amministrativo non può però essere semplicemente potenziale, occorrendo sia già in corso un procedimento dinanzi al giudice competente per la risoluzione della questione controversa. Incombe dunque sulla parte che chiede la sospensione del processo non soltanto allegare specificamente l'esistenza della procedura in sede civile, ma anche indicare i fatti o le ragioni dalle quali emerge la serietà della questione sollevata, stante che, tra i presupposti positivi dell'istituto, è richiesta la complessità della controversia devoluta al giudice civile o amministrativo: sicché laddove tale onere rimanga inadempiuto, il giudice può legittimamente respingere la richiesta di sospensione (cfr. Cass. V, n. 31074/2001; in senso conforme, Cass. V, n. 8607/2011). La disposizione de qua, inoltre, precisa che la legge non deve prevedere limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa: trattasi di previsione che si rispecchia in quella di cui all'art. 193 c.p.p., e che invece risulta assente nell'art. 3 c.p.p., proprio perché, in materia di status e cittadinanza, vi è piena corrispondenza tra processo civile e processo penale in tema di limitazioni probatorie. La sospensione del processo è disposta con ordinanza motivata (a pena di nullità, secondo quanto dispone l'art. 125, comma 3 c.p.p.), ricorribile per Cassazione: l'art. 479, comma 2, prevede inoltre espressamente che il ricorso non esplica efficacia sospensiva dell'ordinanza, previsione che invece risulta mancante nell'art. 3 c.p.p., ma può ritenersi operante in via analogica. Quanto all'ambito applicativo della disciplina in rassegna, il tenore letterale dell'art. 479 c.p.p., nonché la sua collocazione sistematica, fanno indulgere per un'operatività dell'istituto limitata al dibattimento. Difatti, la giurisprudenza ha escluso che il potere di sospensione ex art. 479 c.p.p. possa essere esercitato nel corso delle indagini preliminari, ovvero prima dell'esercizio dell'azione penale (cfr. Cass. III, n. 3538/2015). La S.C. ha ritenuto nondimeno applicabile la disciplina de qua nel rito abbreviato (cfr. Cass. V, n. 13780/2002), essendo la sospensione del processo destinata ad operare non tanto con riferimento all'acquisizione probatoria, quanto al momento della decisione, nonché nell'udienza preliminare (cfr. Cass. V, n. 43981/2009), soprattutto alla luce della significativa trasfigurazione che la stessa ha subito ad opera della cd. “riforma Carotti.” La dottrina prevalente, inoltre, ritiene inapplicabile la sospensione prevista dagli artt. 3 e 479 c.p.p. in Cassazione, in quanto inconciliabile con la fisionomia del giudizio di legittimità (Baccari, loc. ult. cit., 36). Effetti sostanziali e processuali della sospensione. Pronunciata l'ordinanza ex art. 3 c.p.p., il processo può rimanere sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha definito la questione. Elemento di discrimine rispetto alla disciplina della sospensione del processo per le questioni pregiudiziali di status e cittadinanza è la previsione, contemplata dal comma 3 dell'art. 479 c.p.p., della facoltà per il giudice di revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza di sospensione quando, trascorso un anno, il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso: nel qual caso la questione controversa viene nuovamente attratta nella cognizione incidentale del giudice penale, a norma dell'art. 2 c.p.p. L'art. 479 c.p.p. nulla dispone in ordine alla possibilità di compiere, nelle more della sospensione, “gli atti urgenti”, analogamente a quanto previsto dall'art. 3, comma 3 c.p.p., e come già consentiva l'art. 19 dell'abrogato codice di rito. La dottrina maggioritaria, tuttavia, propende per la possibilità di interpretazione analogica della predetta disposizione (cfr. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, in Trattato di procedura penale, diretto da Ubertis-Voena, Milano, 2011, 68). A norma dell'art. 159, comma 1, n. 2 c.p., il deferimento ad altro giudice della questione pregiudiziale comporta la sospensione del corso della prescrizione “sino al giorno in cui viene decisa la questione”. Si noti, tuttavia, che un recente orientamento di legittimità ha escluso che la sospensione per questione pregiudiziale, disposta ex art. 479 c.p.p., comporti la sospensione del corso della prescrizione, non rientrando tra le ipotesi tassative contemplate dalla norma sostanziale, nemmeno con riferimento al deferimento della questione ad altro giudizio, di cui al n. 2 del comma 1 dell'art. 159 c.p., essendo tale previsione riferita esclusivamente alle pregiudiziali costituzionale e comunitaria (cfr. Cass. V, n. 48203/2017, che espressamente si richiama a Cass. V, n. 32815/2016; Cass. VI, n. 44261/2013). Quanto agli effetti che il decisum del giudice civile o amministrativo esplica nel procedimento penale, deve registrarsi un'ulteriore differenza rispetto a quanto previsto per le questioni pregiudiziali attinenti allo status familiae e alla cittadinanza. A norma dell'art. 3, comma 4 c.p.p., la sentenza civile o amministrativa irrevocabile, che ha risolto una delle suddette controversie, esplica efficacia di giudicato: un'analoga previsione non viene tuttavia riprodotta nel testo dell'art. 479 c.p.p. Una così marcata differenziazione di disciplina indulge a propendere per l'esclusione dell'efficacia vincolante del giudicato civile o amministrativo per tutte le questioni diverse dallo stato di famiglia e dalla cittadinanza. Tale soluzione che non appare irragionevole, considerate le peculiari esigenze di certezza imposte dall'ordinamento giuridico rispetto a tali materie, che renderebbero particolarmente esiziali le conseguenze di un eventuale conflitto: ne consegue che la sentenza deve essere valutata alla stregua dell'art. 238-bis c.p.p. (cfr. Giarda, loc. ult. cit., 6235). Casistica: la cd. pregiudiziale penale. Diversamente da quanto stabilito dal previgente codice di rito, che prevedeva il rinvio facoltativo del processo in attesa della definizione del procedimento penale presupposto (artt. 18 e 458 c.p.p.), il legislatore del 1988 non ha dettato alcuna specifica disposizione con riferimento alla cd. pregiudiziale penale. Con orientamento ormai pacifico, la S.C. ha confermato che la sospensione del processo penale ex art. 479 c.p.p. non è ammessa per questioni di natura diversa da quelle civili e amministrative, che rimangono dunque rimesse alla cognizione incidentale del giudice penale (cfr. Cass. V, n. 14972/1995; Cass. I, n. 20 gennaio 1998): le sentenze penali irrevocabili possono essere utilizzate ai fini della prova del fatto, ma debbono essere valutate a norma degli artt. 187 e 192 c.p.p. (art. 238-bis c.p.p.). In consonanza con tali arresti, in tema di reati contro l'amministrazione della giustizia, la Cassazione, ribadendo che la sospensione del processo è un mezzo eccezionale cui il giudice deve fare ricorso solo quando la legge lo consenta, ha dichiarato l'illegittimità dell'ordinanza con la quale il giudice, ordinata ex art. 207 c.p.p. la trasmissione alla procura degli atti relativi alle dichiarazioni dibattimentali di alcuni testimoni, contestualmente sospendeva il processo in attesa dell'esito del procedimento sulle ipotizzate false testimonianze (cfr. Cass. V, n. 14972/2005, che parla di provvedimento caratterizzato da “assoluta anomalia”). Parimenti, con riferimento alla calunnia, la S.C. ha ritenuto che non possa considerarsi “questione pregiudiziale” exartt. 3 e 479 c.p.p., con conseguente sospensione del corso della prescrizione, l'accertamento dell'innocenza del calunniato, rimanendo i due processi del tutto autonomi (cfr. Cass. VI, n. 44261/2013). Non ricorre, in tali casi, meccanismo analogo a quello previsto dall'art. 371-bis c.p.p. in materia di false informazioni al pubblico ministero, il cui secondo comma stabilisce che, ferma l'immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale rimane sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado, ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere. Segue. La cd. pregiudiziale fallimentare. Per pacifica opinione, rientra tra le questioni pregiudiziali di cui all'art. 479 c.p.p. l'accertamento dello status di fallito: ne consegue che la sentenza dichiarativa di fallimento risulta opponibile nel processo penale nei limiti di cui all'art. 238-bis c.p.p., essendo stata l'efficacia di giudicato riservata alle controversie attinenti allo stato di famiglia e alla cittadinanza. Tale scelta segna una cesura rispetto alla previgente disciplina: nella vigenza del codice di rito abrogato, infatti, la sentenza dichiarativa di fallimento esplicava “una rilevanza diretta ed inequivoca, in quanto si riteneva che costituisse l'epilogo di un processo civile in via obbligatoria devoluto dal giudice penale, in quanto riguardava lo stato delle persone” (cfr. Giarda, loc. ult. cit., 6236). Nei primi arresti successivi all'entrata in vigore del nuovo codice, la S.C. sostanzialmente confermava il previgente assetto, affermando che la nuova disciplina processual-penalistica in materia di questioni pregiudiziali non incideva sulla validità della tradizionale qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo dei reati di bancarotta: ciò implicava che rimanesse valido il principio per cui la dichiarazione di fallimento, una volta acquisito il carattere della irrevocabilità, veniva a costituire un dato definitivo e vincolante sul quale non potevano più sorgere questioni che non fossero legate alla produzione formale della prova della sua giuridica esistenza (cfr. Cass. V, n. 4 maggio 1993). Successive pronunce, tuttavia, hanno escluso che alla sentenza dichiarativa di fallimento, alla luce della nuova disciplina della pregiudizialità dettata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., possa riconoscersi l'efficacia vincolante del giudicato (Cass. V, n. 791/1998); coerentemente con tali arresti, la S.C. ha altresì chiarito che il giudice può revocare, anche d'ufficio, per effetto del decorso dell'anno, l'ordinanza di sospensione del dibattimento emessa in attesa della risoluzione della controversia civile riguardante la dichiarazione di fallimento, assumendosi direttamente l'onere di risolverla (anche alla luce dell'incontestabilità dell'assoggettabilità al fallimento dell'imputato, in virtù dei pacifici orientamenti della giurisprudenza civile sul punto: cfr. Cass. V, n. 8046/1998). Tale orientamento, condiviso anche da arresti più recenti (cfr. Cass. V, n. 15803/2007), veniva tuttavia sconfessata dalle Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sull'efficacia vincolante delle sentenze dichiarative di fallimento irrevocabili prima dell'entrata in vigore dei d.lgs. n. 5/2006 e n. 169/2007, che hanno modificato i requisiti di assoggettabilità a fallimento dell'imprenditore. In tale sede, le Sezioni Unite, soffermandosi anche sul problema della successione delle leggi penali nel tempo (art. 2, comma 4 c.p.), hanno affermato che, nella struttura dei reati di bancarotta, la sentenza dichiarativa di fallimento assume rilevanza nella propria natura di provvedimento giurisdizionale, indifferentemente qualificabile come elemento costitutivo o condizione di punibilità: ciò in quanto lo status di fallito non costituisce una questione pregiudiziale, bensì l'effetto diretto della dichiarazione giudiziale di fallimento, che rimane dunque insindacabile in sede penale, sia in base alla normativa vigente, sia alla stregua di quella sopravvenuta (Cass. S.U., n. 19601/2018; in senso conforme, Cass. V, n. 41255/2008). Dunque, allorché lo status di fallito sia sub judice, pur non replicando il nuovo codice di rito la pregiudizialità obbligatoria della disciplina previgente, è fatta salva la facoltà del giudice di sospendere il processo penale in attesa dell'esito del giudizio civile; in mancanza, laddove sia intervenuta sentenza irrevocabile in sede penale, il condannato potrà sempre chiederne la revisione ai sensi dell'art. 630, comma 1 lett. a). |