Istanza di ammissioneInquadramentoL'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è un atto complesso, che contiene sia la domanda di accesso al beneficio dell'assistenza legale gratuita, sia l'autocertificazione delle condizioni di legge per accedervi, sia l'impegno a comunicare eventuali variazioni rilevanti delle condizioni di reddito, eventualmente verificatesi nel corso del processo. L'istanza introduce un sub-procedimento incidentale avente natura giurisdizionale o para-giurisdizionale, non meramente amministrativa (in tal senso, T.A.R. Sicilia-Catania, n. 440/2009; Cons. St. n. 860/2006; Cass. S.U., n. 19289/2004; ord., Corte cost., n. 144/1999). È bene precisare che per le conseguenze anche penali delle inesattezze e/o delle omissioni nelle dichiarazioni contenute nell'istanza, quest'ultima va compilata con la massima attenzione e prudenza, preferibilmente con l'assistenza dell'Avvocato al quale il richiedente si è rivolto (o al quale è stato assegnato, se difensore d'ufficio) e in ogni caso documentando per quanto possibile i dati più importanti (nella prassi è opportuno che venga allegata la relativa documentazione anche dei dati oggetto di autocertificazione, di per sé teoricamente sufficiente, come ad esempio l'ultima dichiarazione dei redditi o lo stato di famiglia). Gli effetti dell'ammissione al gratuito patrocinio decorrono dalla data di presentazione della domanda, sicché è consigliabile presentarla al più presto. Ad ogni modo, è possibile far constare a verbale del primo atto a cui interviene il difensore apposita riserva di presentazione della domanda (art. 109, d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia), il che può tornare utile soprattutto nelle ipotesi di intervento urgente del difensore d'ufficio, che spesso costituisce la prima occasione di incontro fra l'assistito e il suo difensore. Se l'Avvocato d'ufficio non è iscritto all'elenco (art. 81, d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia) degli abilitati al patrocinio a spese dello Stato, e l'assistito si trova nelle condizioni reddituali per essere ammesso al beneficio, ciò costituisce giusta causa di esonero dall'incarico d'ufficio (art. 97, comma 5, c.p.p.) che l'Avvocato ha l'onere di – e l'interesse a – chiedere senza ritardo (art. 30, ultimo comma, disp. att. c.p.p.), fermo restando l'obbligo di prestare l'assistenza, specialmente nei casi d'urgenza, fintantochè non verrà sostituito. La domanda di ammissione in ambito penale si presenta presso l'ufficio del magistrato davanti al quale pende il processo. Il termine di 10 giorni (art. 96, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia) che il Giudice ha per decidere sull'istanza è meramente ordinatorio, ma in caso di grave ritardo la legge prevede una clausola di garanzia che evita il rischio di mancato compenso (l'art. 83, comma 2, ultima parte, d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia, laddove è previsto che il Giudice può provvedere alla liquidazione dei compensi spettanti anche per le fasi e i gradi del processo anteriori a quelli dei quali ha avuto cognizione, se il provvedimento di ammissione è intervenuto dopo la loro definizione). Se l'Avvocato, in attesa del provvedimento di ammissione e dopo la presentazione dell'istanza, è incorso in spese per atti indifferibili o urgenti (si pensi ad es. a copie urgenti di atti d'indagine), potrà chiederne il rimborso nella nota spese da presentare con l'istanza di liquidazione. FormulaALL'AUTORITÀ GIUDIZIARIA PROCEDENTE [1] ISTANZA DI AMMISSIONE AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO PER PROCEDIMENTI PENALI (ART. 74 E SS., D.P.R. N. 115/2002 - TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI IN MATERIA DI SPESE DI GIUSTIZIA) Il/La sottoscritto/a.... nato/a il.... /.... /...., a.... C.F..... cittadinanza.... residente a.... prov..... CAP.... indirizzo.... n....., Tel. (facoltativo)...., in qualità di: Persona sottoposta alle indagini Imputato Condannato Persona offesa Parte civile Minore straniero non accompagnato Orfano ex art. 76, comma 4-quater, d.P.R. n. 115/2002 come modif. dalla l. n. 4/2018 nel procedimento penale R.G..... /.... N.R.; R.G..... /.... G.d.P./Trib./....; R.G..... /.... G.I.P.; R.G..... /.... App.; R.G..... SIEP....; R.G..... SIUS....; R.G.....; avente ad oggetto i seguenti reati (artt. 91 e 76, comma 4-ter T.U.S.G.) [2] :..... FORMULA ISTANZA per essere ammesso/a al patrocinio a spese dello Stato, trovandosi nelle condizioni previste dalla legge. A tal fine DICHIARA ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. n. 445/2000 e sotto la propria responsabilità così come disciplinata dall'art. 76 del d.P.R. n. 445 cit., consapevole delle sanzioni penali previste per le dichiarazioni mendaci o incomplete dall'art. 95 T.U. Spese di Giustizia dato con d.P.R. n. 115/2002: di disporre di un reddito [3] annuo pari a Euro.... (Euro.... /....), di cui Euro.... (Euro.... /....), percepiti all'estero (solo per cittadini extra U.E.: allega certificazione consolare [4] o richiesta con raccomandata A/R); di essere disoccupato e di non percepire alcun reddito, neanche all'Estero; di convivere con i seguenti familiari [5] e che il reddito [6] annuo del relativo nucleo familiare, compreso il/la richiedente è pari a Euro.... (Euro.... /....), e quindi inferiore a Euro 11.493,82 [7] aumentato di Euro 1.032,91 per ogni familiare convivente; che gli interessi del/la richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui/lei convivente e quindi si tiene conto del solo reddito personale del/la richiedente;
DICHIARA inoltre, consapevole delle conseguenze penali derivanti dall'eventuale omissione della comunicazione (art. 95, d.P.R. n. 115/2002): di impegnarsi a comunicare al Giudice procedente, fino a che il procedimento non sia definito, entro 30 giorni dalla scadenza del termine di un anno dalla data di presentazione della domanda (o della comunicazione di variazione precedente), le eventuali variazioni di reddito rilevanti ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Allegati: 1) fotocopia documento d'identità del richiedente in corso di validità (anche ai fini dell'autocertificazione, a corredo della sottoscrizione, apposta a norma dell'art. 38, d.P.R. n. 445/2000); 2) copia del codice fiscale del richiedente e stato di famiglia; 3) eventuali altri allegati (es. iscrizione alle liste di collocamento per disoccupazione; dichiarazione dei redditi; certificato del Consolato a norma dell'art. 79, comma 2, d.P.R. 115/2002). DICHIARAZIONI PARTICOLARI [8] :.... Difensore prescelto (facoltativo): Avvocato.... del Foro di.... con studio sito in...., via.... n..... Tel..... Fax.... PEC..... Luogo e data.... Firma del/la richiedente.... Per autentica (facoltativa):.... Timbro e firma dell'Avvocato.... Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. [1]L'istanza va presentata alla Cancelleria del Giudice procedente personalmente dall'interessato o dal suo difensore oppure spedita con raccomandata. Non è possibile presentare l'istanza direttamente in udienza. [2]Se possibile, allegare fotocopia di atto da cui risulti l'imputazione (ad es. decreto di perquisizione; invito alla presentazione per interrogatorio; avviso conclusione indagini preliminari ecc.). [3]Il reddito da dichiarare è quello imponibile (cioè, al lordo delle imposte), ma si deve tener conto anche dei redditi esenti, dei redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta e dei redditi assoggettati a imposta sostitutiva. [4]Per i redditi prodotti all'Estero, lo straniero extracomunitario deve allegare certificazione del Consolato competente che attesti la veridicità di quanto dichiarato o almeno prova documentale di averla richiesta. [5]Tra i familiari conviventi va indicato anche l'eventuale convivente di fatto che pur non essendo coniugato o legato in unione civile col richiedente, ci coabiti stabilmente. [6]Il reddito da indicare va calcolato con gli stessi criteri indicati alla nota 3. [7]Il limite di reddito è soggetto a variazione periodica, a norma dell'art. 77, d.P.R. n. 115/2002. [8]Spazio da utilizzare per evidenziare particolarità del caso concreto (ad es. ragioni di ammissione in deroga al limite di reddito, quali quelle previste per le persone offese dai reati di cui all'art. 76, comma 4-ter, d.P.R. n. 115/2002 oppure il peggioramento delle condizioni reddituali rispetto a quelle risultanti dall'ultima dichiarazione dei redditi presentata, oppure le ragioni di conflitto d'interessi coi familiari conviventi oppure le ragioni di impossibilità di produrre il certificato consolare). CommentoL'Autorità Giudiziaria competente Un primo problema che va affrontato nell'applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato in materia penale è quello dell'individuazione dell'Autorità Giudiziaria competente alla decisione sull'istanza di ammissione. Allo stato dell'arte, la competenza dell'organo giurisdizionale può essere riassunta schematicamente come di seguito: - alla cancelleria del GIP se il procedimento è nella fase delle indagini preliminari; - alla cancelleria del giudice che procede, se il procedimento è nella fase successiva; - alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, se il procedimento è davanti alla Corte di Cassazione. Ebbene, va precisato che la formulazione dell'art. 93 T.U. Spese di Giustizia dato con d.P.R. n. 115/2002 – nel quale la normativa della l. n. 217/1990 è stata trasfusa – che fa riferimento all'“ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo” ha fatto sorgere dubbi su quale fosse l'A.G. competente durante la fase delle indagini preliminari. L'orientamento giurisprudenziale secondo il quale era una delle parti – il Pubblico Ministero – e non il Magistrato Giudicante è stato sonoramente e giustamente disatteso da Cass. S.U., n. 19290/2004, che ha individuato nel Giudice delle Indagini Preliminari l'A.G. competente in tale fase. Nessun problema giuridico deriva dalla possibilità che la Cancelleria G.I.P. non abbia aperto un fascicolo ed assegnato un numero di ruolo al procedimento, che ben può pendere in fase d'indagini preliminari senza aver richiesto l'intervento del G.I.P. Per i procedimenti di competenza del Giudice di Pace, l'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 274/2000 consente di individuare nel Giudice di Pace “coordinatore” l'A.G. competente a decidere dell'ammissione in fase di indagini preliminari. Nell'eventualità che la domanda di ammissione venga presentata durante le indagini preliminari in vista di procedimenti incidentali (ad es., di competenza del Tribunale del Riesame) la regola non cambia: resta competente il G.I.P. quale Giudice titolare della fase/grado del procedimento principale. Come stabilito dalla giurisprudenza, inoltre e a maggior conferma del criterio generale, la competenza a provvedere ai sensi dell'art. 168, d.P.R. n. 115/2002 sull'istanza di liquidazione delle spese di custodia dei beni sequestrati presentata dopo l'archiviazione del procedimento, spetta al Giudice per le indagini preliminari in qualità di Giudice dell'esecuzione. Infatti, dopo l'emissione del decreto di archiviazione, l'adozione di tutti i provvedimenti connessi alla sorte delle cose sequestrate (nel caso in cui il pubblico ministero non vi abbia provveduto nella fase delle indagini preliminari) e alla liquidazione dei compensi al custode spetta al Giudice, in virtù del principio stabilito dall'art. 263 c.p.p., che prevede una competenza limitata del pubblico ministero alla sola fase delle indagini preliminari (comma 4) e riserva, invece, al Giudice tale competenza, attribuendola espressamente al Giudice dell'esecuzione dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione (comma 6), e in virtù di quanto anche previsto dall'art. 168, d.P.R. n. 115/2002, che attribuisce la liquidazione delle indennità di custodia al “magistrato che procede”, che va necessariamente identificato nel Giudice dell'esecuzione, nel caso in cui il Giudice per le indagini preliminari abbia definito il procedimento accogliendo la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero (rileva, ai fini dell'individuazione nel Giudice per le indagini preliminari il “magistrato che procede”, non già la collocazione “fisica” del fascicolo archiviato – che, in ipotesi, può essere stato formalmente restituito al pubblico ministero dopo l'archiviazione – ma la materiale disponibilità del medesimo in ragione della funzione esercitata) (Cass. S.U., n. 4535/2019). Requisiti di reddito Uno dei problemi interpretativi più gravi e gravidi di conseguenze negative in termini di certezza e prevedibilità delle decisioni giudiziarie in materia di patrocinio a spese dello Stato è dato dalla nozione di “reddito” rilevante ai fini dell'ammissione. Il problema è duplice, perché deriva sia dalla formulazione della norma (art. 76, commi 1 e 3, T.U. Spese di Giustizia) sia dalle opposte interpretazioni che ne sono state date dalla giurisprudenza. La formulazione della norma non aiuta, perché se è chiarissima nell'individuare (al comma 1) il reddito “imponibile” I.R.Pe.F. per come «risultante dall'ultima dichiarazione», al comma 3 introduce una dirompente deroga al limpido criterio dettato dal comma 1, secondo la quale vanno computati nel reddito rilevante anche i redditi esenti, i redditi soggetti a ritenuta a titolo d'imposta (c.d. ritenuta “secca”, per distinguerla dalla ritenuta “d'acconto”) e i redditi soggetti ad imposta sostitutiva. Rientrano fra i redditi esenti, ad esempio, alcune borse di studio, o le provvidenze per invalidità civili da handicap di nascita (pensioni di invalidità civile, assegni di accompagnamento ecc.). Rientrano fra i redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ad esempio, gli interessi percepiti su conti correnti detenuti presso Banche o Uffici Postali, libretti o certificati di deposito. Rientrano fra i redditi soggetti a imposta sostitutiva i proventi da titoli di debito pubblico (BOT, CCT ecc.) o da vincite a lotterie, concorsi a premi, giochi, scommesse. Tutte queste categorie di redditi previste dal comma 3 in parola sono accomunate da una caratteristica che rende problematica la loro emersione e quantificazione: per definizione, non sono incluse nella dichiarazione annuale dei redditi da presentare a fini I.R.Pe.F. Anche se non è frequente che soggetti non abbienti che spesso sono emarginati, disoccupati, o in condizioni di disagio sociale possiedano patrimoni produttivi di tali redditi, ciò rappresenta una possibilità da non escludere a priori, e perciò bisogna sempre prestare attenzione a non sottovalutarne l'importanza: se infatti si omette di indicare il possesso di un reddito esente, si rischia la revoca dell'ammissione e persino la denuncia penale. Il sistema disegnato dal combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 76 cit., oltre che produrre le difficoltà pratiche sopra evidenziate, è foriero di conseguenze odiose, quando rende inammissibili al beneficio del patrocinio a spese dello Stato soggetti deboli che usufruiscono di trattamenti fiscali di favore pensati per agevolarli: può essere il caso, ad esempio, di indennità di accompagnamento da invalidità civile di nascita, di entità tale da superare di poco, magari cumulata ad altre piccole provvidenze comunali o di assistenza sociale, il limite di legge di Euro 11.746,68. Proprio per evitare simili odiose e paradossali conseguenze, la giurisprudenza (cfr. Cass. IV, n. 24842/2015; Cass. III, n. 31591/2002) in taluni casi si è rifiutata di computare nel limite rilevante di reddito tali introiti esenti che servono a soggetti disabili per vivere in condizioni «compatibili con la dignità umana» escludendone sostanzialmente la natura reddituale nonostante la normativa fiscale non permetta dubbi in proposito, qualificandoli espressamente come redditi esenti. In ipotesi siffatte sarà quindi opportuno, nella domanda di ammissione qui commentata, compilare l'apposito spazio “dichiarazioni particolari” per spiegare la ragione di richiesta di ammissione in deroga al limite di reddito. A dire il vero, non è solo il comma 3 a dare problemi interpretativi, perché persino il 1° ne riserva alcuni: è il caso del richiedente che non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi perché esente dall'obbligo (per tipologia o entità dei redditi posseduti), o di chi ha presentato l'ultima dichiarazione dei redditi anni prima della presentazione della domanda, a fronte della norma che fa riferimento all'ultima dichiarazione presentata (apparentemente, in qualsiasi anno ciò fosse accaduto). La giurisprudenza ha individuato nell'“ultima dichiarazione” quella per la quale è maturato, al momento di deposito dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l'obbligo di presentazione (Cass. IV, n. 43842/2017; Cass. IV, n. 7710/2010). In mancanza di dichiarazione dei redditi, quindi, si potrà semplicemente autocertificare il reddito posseduto, senza allegare mod. CUD 730 o UNI.CO. È comunque prudente, in tali casi, fornire prova documentale delle fonti di sostentamento del richiedente (ad es. fornendo le cedole di pagamento di pensione d'invalidità, la certificazione di erogazione di contributi di assistenza sociale, la documentazione dell'assegnazione di alloggio a canone agevolato di locazione, ecc.). Ma come si anticipava sopra, non è solo il tenore testuale della norma a produrre problemi interpretativi. La giurisprudenza ci ha messo del suo. Infatti, ci si imbatte nelle più varie ed opposte interpretazioni, che rendono teoricamente possibili esiti opposti a fronte di casi identici e sembrano affidare all'arbitrio più che alla discrezionalità dei giudici la decisione sull'ammissione. Si va dalle più restrittive, che nella nozione di reddito imponibile fanno rientrare persino cespiti patrimoniali (cfr. Cass. IV, n. 47340/2014, nonostante l'interpretazione storico-evolutiva dimostri l'infondatezza di un tale orientamento: è dal 2001 che beni immobili e mobili registrati non vanno più indicati nella domanda di ammissione. Contra, correttamente, Cass. IV, n. 41306/2007) o redditi esclusi (e non esenti) dalla base imponibile I.R.Pe.F. (ad es. Cass. n. 38486/2008, che considera rilevanti i proventi da vendita di beni immobili ereditati nonostante la normativa fiscale li escluda espressamente, non considerandoli redditi in senso proprio: art. 67, comma 1, lett. b) Testo Unico Imposte sui Redditi dato con d.P.R. n. 917/1986 e ss.mm.), a quelle che si attengono a una rigorosa nozione fiscale del reddito imponibile (ad es. Cass. V, n. 34935/2016; Cass. III, n. 16583/2011; Cass. IV, n. 28802/2011; Cass. IV, n. 46173/2008). Discorso a parte merita l'orientamento giurisprudenziale che tiene conto anche dei redditi illeciti: è senz'altro vero che i proventi da reato sono teoricamente imponibili fiscalmente (anche se è ovvio che non vengono inclusi nella dichiarazione dei redditi!), ma è altrettanto vero che i proventi da reato rilevanti ostativi all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell'imputato richiedente il beneficio non devono derivare dal reato per cui si procede nel giudizio nel quale il beneficio è richiesto, perché una tale interpretazione colliderebbe irrimediabilmente colla presunzione di non colpevolezza (Cass. IV, n. 1591/2013). Quindi, i redditi illeciti rilevanti e ostativi all'ammissione potranno essere solo quelli accertati sulla base di sentenze di condanna definitive per reati commessi a fini di lucro, che il Giudice procedente potrà desumere dal certificato del casellario giudiziale della parte (imputato, parte civile ecc.) richiedente l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, di recente, la Corte di Cassazione ha censurato la pronuncia in base alla quale il Tribunale, dopo aver premesso che i redditi da valutarsi ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio potessero e dovessero essere accertati ricorrendo agli ordinari mezzi di prova – comprese le presunzioni semplici di cui all'art. 2729 c.c. – tra cui il tenore di vita e qualsiasi altro fatto indicativo della percezione dei redditi, compresi i proventi che derivano da attività illecita, ha ritenuto che il ricorrente possa comunque essere qualificato come non vertente nelle condizioni richieste per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sul rilevo che lo stesso possa aver commesso ‘reiterati delitti', compresa la violazione degli obblighi che ha comportato al ripristino della custodia cautelare in carcere e che, in ragione del suo stato di tossicodipendenza, aveva dimostrato di poter disporre delle ingenti somme che occorrono per il consumo di stupefacenti. Così facendo, però, secondo gli Ermellini, il Tribunale ha del tutto omesso di dare effettivamente conto delle risultanze probatorie in ordine ai reati commessi, al pari dello stato di tossicodipendenza in cui la ricorrente versava. Per tale ragione, l'accertamento, in tal modo compiuto, del fatto impeditivo dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, risulta, in sostanza privo del necessario supporto argomentativo. Inoltre, per garantire ad un tempo facilità di redazione della domanda nonché certezza e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, è senz'altro preferibile adottare la nozione fiscale di “reddito imponibile”. In dottrina, concorda che la condizione di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia legata, infatti, a parametri reddituali e non patrimoniali, Colella, Il gratuito patrocinio, in Diritto penale dell'immigrazione. Aspetti sostanziali e processuali, a cura di S. Centonze, Torino, 2010, 455. Tale interpretazione è confortata inoltre dall'orientamento del Fisco stesso, che suggerisce di adottare a parametro di ammissibilità il reddito imponibile nel senso fiscale, suo proprio: Ris. Ag. Entrate n. 15/E d.d. 21 gennaio 2008. Considerato però lo stato di assoluta incertezza ed arbitrarietà delle decisioni giudiziarie sul punto, indotto dagli opposti orientamenti giurisprudenziali sopra commentati, de iure condendo sembra auspicabile una riforma che prenda a parametro non già il reddito dichiarato, ma la capacità economica calcolata con l'ISEE, che ha il duplice pregio di ancorare a un dato calcolabile e certo l'ammissione, e di tener conto anche della capacità patrimoniale del soggetto (che in effetti la nozione rigorosa di reddito imponibile porta a svalutare con effetti iniqui, di potenziale ammissione di soggetti abbienti che vivono di rendite non imponibili I.R.Pe.F.). Non senza evidenziare le difficoltà che una tale riforma comporterebbe soprattutto nel settore penale, dove sia l'urgenza degli adempimenti defensionali, sia le caratteristiche di molti assistiti (si pensi a imputati stranieri detenuti senza familiari sul territorio nazionale) renderebbero a dir poco arduo procurarsi un certificato ISEE. Sicché in ogni caso si dovrebbe prevedere una residuale possibilità di autocertificazione priva di documentazione fiscale a conforto. Ulteriormente, si è aperto il tema di quale configurazione dovesse avere la percezione del reddito di cittadinanza e se questo incidesse nella capacità reddituale ai fini dell'ammissibilità al gratuito patrocinio, a tal proposito, con Risposta n. 313/2021 l'Agenzia Entrate si specifica che il beneficio del reddito di cittadinanza rileva ai fini della determinazione dello stesso per l'ammissione al Patrocinio a spese dello Stato. Secondo la disposizione attualmente in vigore, in particolare, il comma 1 dell'art. 76 stabilisce che può essere ammesso al gratuito patrocinio «chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a Euro 11.493,82». Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che «il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante». Ai fini della determinazione dei limiti di reddito per poter accedere al beneficio, il comma 3 del medesimo articolo prevede, infine, che «si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva». Deve essere ricordato, a tale proposito, che con la risoluzione 21 gennaio 2008, n. 15/E, l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti circa la definizione di reddito imponibile contenuta nel citato art. 76 del d.P.R. n. 115/2002 in merito al gratuito patrocinio. Nel citato documento di prassi è stato chiarito che il reddito cui far riferimento al fine di determinare se sussistono le condizioni per l'accesso al gratuito patrocinio è il reddito imponibile ai fini dell'Irpef, così come definito dall'art. 3 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. n. 917/1986 (Tuir), integrato dagli altri redditi indicati dallo stesso art. 76 del d.P.R. n. 115/2002. La Corte di Cassazione ha affermato che “ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello stato, per la determinazione dei limiti di reddito rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione; ne consegue che rilevano anche i redditi da attività illecite ovvero i redditi per i quali l'imposizione fiscale è stata esclusa” (cfr. Cass. IV, sent. n. 36362/2010). Circa la determinazione del reddito per l'ammissione al gratuito patrocinio, ulteriori pronunce giurisprudenziali hanno precisato che “si deve tener conto, nel periodo di imposta in cui sono percepiti, di tutti i redditi, anche se non sottoposti a tassazione, perché il legislatore, al fine di stabilire se la persona possa o meno fruire del patrocinio a spese dello Stato, non ha inteso limitarsi a prendere in considerazione i redditi dichiarati o comunque da dichiararsi in un determinato periodo di imposta, ma ha voluto prendere in considerazione tutti i redditi (persino quelli derivanti da attività illecita) dalla persona effettivamente percepiti o posseduti, anche se esclusi dalla base imponibile” (cfr. Cass., ord. n. 24378/2019). Sulla base delle suesposte considerazioni, si concorda con la soluzione prospettata dall'Istante ovvero che il beneficio del reddito di cittadinanza rilevi ai fini della determinazione del reddito per l'ammissione al gratuito patrocinio e, conseguentemente, che non possa essere ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato il soggetto che per effetto dell'erogazione di tali somme superi il limite di reddito a tal fine previsto. Inoltre, con riguardo alle condizioni di reddito del richiedente, ulteriori previsioni normative aggiunte negli anni all'art. 76 d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia hanno introdotto restrizioni o estensioni alla possibilità di beneficiare dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dal reddito dichiarato. Ci si riferisce innanzitutto al comma 4-bis, introdotto nel 2008, che ha previsto una norma la cui ratio consiste nel restringere il novero degli ammissibili (imputati o persone offese che siano), sotto forma di presunzione di abbienza. La presunzione colpisce i pregiudicati per determinati reati associativi (associazione mafiosa, associazione a fini di contrabbando o di traffico di stupefacenti, ecc.), apparentemente senza limiti di tempo e senza possibilità di prova contraria. La Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di accoglimento n. 139/2010 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della previsione in parola proprio in quanto recante una presunzione assoluta, sicché oggi la norma deve interpretarsi nel senso che il richiedente ha facoltà di prova contraria. Non sfugge a nessuno quanto difficile sia fornire una prova negativa come quella “pretesa” da tale norma. Ad ogni buon conto potrà valere allo scopo qualsiasi documento che attesti la non abbienza del richiedente (attestato di perdurante disoccupazione, assegnazione casa a canone agevolato, percezione di sussidi di assistenza sociale, ecc.). Il d.lgs. n. 24/2019 ha aggiunto al catalogo dei condannati in via definitiva per i quali vale la presunzione di abbienza gli evasori fiscali (condannati cioè per i reati fiscali in materia di II.DD. ed I.V.A.). Naturalmente, anche per essi valgono gli stessi argomenti trattati sopra: natura relativa della presunzione; necessità di istanza (non si tratta di amissione ex lege), ecc. In ipotesi siffatte sarà quindi opportuno, nella domanda di ammissione qui commentata, compilare l'apposito spazio “dichiarazioni particolari” per fornire la prova contraria alla presunzione de qua. Vale la pena, sul punto, osservare che tra i reati per la cui condanna definitiva scatta la presunzione ve ne sono alcuni che non hanno niente a che vedere con la massima d'esperienza (che sembra sorreggere la presunzione legale suddetta) che vuole che gli affiliati ad associazioni a delinquere dedite a traffici lucrosi siano abbienti per definizione. Ci si riferisce in particolare alle ipotesi di spaccio di stupefacenti (art. 73, d.P.R. n. 309/1990 – T.U. Stupefacenti) aggravate dall'art. 80, comma 1, d.P.R. n. 309/1990: che senso ha presumere lo stato di abbienza in chi ha spacciato droga in cambio di sesso (lettera f) o ad acquirenti minorenni (lettera a)? Per quanto odiose, tali fattispecie sembrano tutt'altro che indicative di particolari finalità di lucro e quindi non corrisponde all'id quod plerumque accidit che alla consumazione di tali reati così aggravati consegua normalmente un elevato guadagno economico. Non a caso, con recente sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-bis del d.P.R. n. 115/2002, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui ricomprende anche la condanna per il reato di cui al comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990. Tale pronuncia prende in considerazione come i fatti di “piccolo spaccio” (quelli «di lieve entità») si caratterizzano per un'offensività contenuta per essere modesto il quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione (ex multis, Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 novembre 2018-24 gennaio 2019, n. 3616). Di qui, non è ragionevole presumere che la “redditività” dell'attività delittuosa sia stata tale da determinare il superamento da parte del reo dei limiti di reddito contemplati dall'art. 76 del d.P.R. n. 115/2002 per ottenere l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, senza che a diversa conclusione si possa pervenire in considerazione del fatto che la presunzione opera solo per le condanne aggravate ai sensi dell'art. 80 t.u. stupefacenti. Infatti, le circostanze aggravanti elencate dal comma 1 di tale disposizione – se si connotano, come quelle in rilievo nel giudizio a quo, per la spiccata riprovevolezza della condotta del soggetto agente – non sono ex se suscettibili di incidere sul profitto tratto dall'attività delittuosa. Il proprium della presunzione relativa in esame, che dal fatto noto consente di dedurre quello presupposto secondo l'id quod plerumque accidit, risulta dalla matrice comune del catalogo di reati introdotti nell'art. 76, comma 4-bis del d.P.R. n. 115/2002 dal richiamato art. 12-ter del d.l. n. 92/2008, come convertito. Si tratta di reati relativi alla criminalità organizzata, ossia dei reati di cui agli artt. 416-bis (Associazioni di tipo mafioso anche straniere) del codice penale, 291-quater (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) del testo unico di cui al d.P.R. n. 43/1973 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), 74, comma 1 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), t.u. stupefacenti, nonché dei reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. In questo contesto omogeneo di reati di criminalità organizzata il “piccolo spaccio” – quello del comma 5 dell'art. 73 citato – appare spurio e, quand'anche aggravato ai sensi dell'art. 80, è privo dell'idoneità ex se a far presumere un livello di reddito superiore alla (peraltro non esigua) soglia minima dell'art. 76, comma 1 del d.P.R. n. 115/2002 (id est un reddito IRPEF di circa mille euro al mese), in ragione dei proventi derivanti dall'attività criminosa. È anzi vero il contrario: si tratta spesso di manovalanza utilizzata dalla criminalità organizzata e proveniente dalle fasce marginali dei «non abbienti», ossia di quelli che sono sprovvisti dei «mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, comma 3, Cost.). Corte Costituzionale n. 223/2022. In senso opposto a quello del comma 4-bis – vale a dire, con la ratio di garantire assistenza legale gratuita alle (presunte) vittime di reati odiosi – il comma 4-ter dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia introdotto nel 2009 e già modificato due volte estende alle persone offese da determinati reati (stalking, reati sessuali, reati commessi in danno di minori o in ambito familiare) il beneficio dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, «anche in deroga ai limiti di reddito previsti». Infatti, secondo la più recente e costante giurisprudenza, su un piano prettamente di sistema e teorico, la persona offesa di uno dei reati di cui all'art. 76, comma 4-ter, d.P.R. n. 115/2002, può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti dalla medesima disposizione, sicché la relativa istanza deve limitarsi ad indicare i requisiti di cui alle lett. a) e b) dell'art. 79, comma 1, del citato decreto, non richiedendosi l'allegazione prevista alla lett. c) della norma. (In motivazione, la Corte ha precisato che, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2021, l'ammissione al beneficio della persona offesa a prescindere dalle sue condizioni reddituali è giustificata dalle finalità di incoraggiarla a sporgere denuncia e di offrirle un effettivo sostegno in ragione della natura del reato in suo danno). A ben vedere, comunque, va ribadito come sia sconcertante la discrezionalità lasciata ai giudici nell'ammissione delle persone offese da tali reati: sia perché apparentemente dà la facoltà – ma non l'obbligo automatico – di ammetterle, sia perché non è comunque previsto alcun limite di reddito oltre il quale tali persone offese si devono far carico da sole dell'assistenza legale, sia perché la disposizione in parola difetta di qualsivoglia norma procedimentale, nel senso che non è chiaro se si tratti di ammissione ex lege o sia comunque necessaria una domanda, documentata o almeno motivata, di ammissione in deroga. Difatti, puntualmente la giurisprudenza si è imbattuta in domande presentate senza nemmeno allegare documentazione reddituale o persino senza l'autocertificazione del reddito posseduto: e le ha ammesse (cfr. Cass. IV, n. 13497/2017; Cass. IV, n. 12191/2020). Per evitare conseguenze così dirompenti, è senz'altro consigliabile che la persona offesa da uno dei reati previsti dal suddetto comma 4-ter rediga l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato documentando il reddito posseduto e fornendo i motivi per cui chiede l'ammissione in deroga al limite di reddito (ad esempio, dimostrando di essere dovuta fuggire da casa a causa dei maltrattamenti subiti e di essersi assunta per intero l'onere di mantenimento di figli minori e dell'affitto di una nuova abitazione). Inoltre, le Sezioni Unite hanno ribadito il seguente principio di diritto: «la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 115/2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112, d.P.R. n. 115/2002» (Cass. S.U., n. 14273/2020). Da evidenziare, inoltre, che l'infelice collocazione sistematica dei commi 4-bis e 4-ter qui commentati, in seno all'art. 76, d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia – che disciplina le condizioni di ammissione in qualsiasi materia (anche amministrativa, civile, tributaria: correttamente, in tal senso Corbetta, op. cit., 293) – potrebbe consentire interpretazioni estensive delle rispettive previsioni, che sono invece state dettate per il settore penale, come attestano i lavori parlamentari. Nello stesso senso – di estendere a limitati effetti il regime del patrocinio a spese dello Stato a casi che prescindono dalle condizioni reddituali del beneficiato – va la recente riforma apportata alla “legittima difesa” dalla legge approvata il 28 marzo 2019, che al suo articolo 8 prevede la copertura erariale delle spese legali dell'imputato prosciolto con archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Questa volta, il Legislatore ha scelto la collocazione sistematica giusta per il nuovo art. 115-bis del T.U. Spese di Giustizia: essa infatti consente per certo di ritenere la nuova estensione un'ulteriore ipotesi di liquidazione surrogatoria statale, e non una vera e propria ammissione ex lege al patrocinio a spese dello Stato. Si trae conferma di ciò anche dal fatto che non è prevista alcuna preventiva istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La nuova previsione normativa peraltro comporta anche problemi pratici di non facile soluzione. Il primo è che evidentemente il meccanismo di liquidazione erariale può essere attivato dal difensore solo con un'istanza di liquidazione da presentare dopo che l'imputato suo assistito è stato prosciolto e non contestualmente al proscioglimento (che nel caso di archiviazione ben può avvenire fuori udienza, de plano). Il secondo, più grave problema, deriva dal divieto di percepire compensi o rimborsi da parte del cliente che gode del patrocinio a spese dello Stato, previsto dall'art. 85, T.U. Spese di Giustizia e sanzionato dall'art. 29 del Codice Deontologico Forense. Invero, si può escludere l'applicabilità delle suddette norme all'ipotesi prevista dall'art. 115-bis in commento, in quanto non si tratta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, come appena osservato sopra. Nondimeno, sorge un problema pratico molto grave se si considera che teoricamente il difensore ben potrebbe chiedere all'imputato – pendente il procedimento penale – acconti e rimborsi, ma alla fine se quest'ultimo dovesse essere prosciolto, l'art. 115-bis in commento impone all'Avvocato di chiedere al Giudice la liquidazione a carico dello Stato: il che comporterebbe da un lato una locupletazione del credito (l'Avvocato infatti potrebbe ricevere sia gli acconti dal cliente sia il pagamento da parte del Ministero della Giustizia), dall'altro il diritto dell'imputato/indagato a vedersi rimborsato degli acconti versati prima del proscioglimento. Infatti – a sommesso avviso di chi scrive – meglio sarebbe stato prevedere il rimborso diretto all'imputato/indagato prosciolto piuttosto che la liquidazione a favore dell'Avvocato: ciò avrebbe tra l'altro imposto la documentazione delle spese legali in cui è incorso il prosciolto, con la produzione delle fatture ricevute dall'Avvocato. Il che avrebbe avuto anche un effetto fiscale favorevole per lo Stato, perché il cliente avrebbe un interesse concreto alla regolare fatturazione da parte del suo Avvocato. Probabilmente, prudenza vorrebbe che se la condotta criminosa potesse consentire di presagire il proscioglimento dell'assistito per l'esimente della legittima difesa, l'Avvocato si astenesse dal chiedere compensi e rimborsi all'indagato/imputato. Attendere la fine del processo – e ben oltre – per vedersi remunerato non è certo un caso raro per gli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato. Ma pretendere che l'Avvocato anticipi tutte le possibili spese processuali per un cliente (abbiente) e persino quelle di trasferta che l'art. 115-bis in commento rende espressamente rimborsabili financo quando il difensore proviene da Distratto diverso, in deroga a quanto normalmente previsto dall'art. 82 T.U. Spese di Giustizia, – un vero unicum materia: veri ponti d'oro a questi imputati prosciolti per legittima difesa! – appare veramente troppo. De iure condendo, è auspicabile un'immediata modifica che renda più ragionevole e pratico l'intero meccanismo dell'art. 115-bis T.U. Spese di Giustizia, ammesso e non concesso che la “nuova” presunzione assoluta di legittima difesa resista alle più che probabili questioni di costituzionalità che dovrà subire. Ma la sciatteria redazionale del Legislatore ha raggiunto il culmine coi due commi 4-quater dell'art. 76, T.U. Spese di Giustizia. Sì, perché con due leggi succedutesi a breve distanza temporale sono stati introdotti due commi numerati entrambi 4-quater. Il primo, introdotto con l. n. 47/2017 intende favorire i minori non accompagnati coinvolti «a qualsiasi titolo, in un procedimento giurisdizionale» (quindi anche penale, settore nel quale l'art. 118 T.U. Spese di Giustizia già favoriva gli imputati minorenni a determinate condizioni e solo in caso di difesa d'ufficio), sebbene non sia del tutto chiaro se, quando detto comma fa riferimento al diritto ad essere informato sulla facoltà di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, con l'inciso «in base alla normativa vigente», intenda solo imporre un obbligo informativo ovvero introdurre un'ammissione in deroga ai requisiti di reddito e alla procedura ordinaria, analogamente a quanto accade nei casi di ammissione ex lege – o meglio, di liquidazione erariale surrogatoria – disciplinati dagli artt. 115,117 e 118 d.P.R. n. 115/2002 – T.U. Spese di Giustizia nel penale, o dall'art. 142T.U. Spese di Giustizia nel civile. Il secondo, introdotto con l. n. 4/2018 intende favorire i figli minorenni o non autosufficienti rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio commesso in danno dello stesso genitore dal coniuge o convivente. Si tratta di norma analoga al comma 4-ter sopra criticato, che ne condivide anche le criticità evidenziate, salvo che per un aspetto: la previsione espressa che si estende non solo al procedimento penale in cui il minore può costituirsi parte civile contro l'assassino del genitore, ma anche ai procedimenti civili derivanti dal reato, compresi quelli di esecuzione forzata. Il pregio non sta tanto in quel che la legge dice (perché già la collocazione sistematica in teoria consentiva di estendere la norma di favore anche alla materia civile) ma in quel che non dice: infatti, la nuova norma può essere utilizzata in via di interpretazione sistematica per confermare la tesi che il comma 4-ter – che non prevede tale estensione al civile – riguardi solamente il settore penale. Il Ministero della Giustizia-Dip. Affari di Giustizia-Dir. gen. Giustizia Civile ha ritenuto opportuno diramare una circolare C.M. 24 aprile 2018 n. 82928.U in cui chiarisce l'imbarazzante situazione nel senso che il nuovo comma 4-quater non ha tacitamente abrogato il comma 4-quater introdotto nel 2017. Sempre con riguardo alle condizioni reddituali alle quali si può accedere al beneficio, vale la pena segnalare quell'orientamento giurisprudenziale che appare ormai consolidato secondo il quale il documentato peggioramento delle condizioni reddituali del richiedente consente l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche in presenza di una recente dichiarazione dei redditi ostativa. In altre parole, se anche nell'anno precedente il richiedente possedeva un reddito superiore alla soglia di legge per l'ammissione al beneficio, può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato se fornisce prova rigorosa del peggioramento sopravvenuto (cfr. Cass. IV, n. 20053/2015; Cass. IV, n. 34456/2011). Infine, con riguardo all'obbligo di cumulo dei redditi del richiedente con quelli dei familiari conviventi (art. 76, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 - T.U. Spese di Giustizia), va segnalato il non condivisibile e restrittivo orientamento giurisprudenziale secondo cui il richiedente detenuto, anche se in detenzione di lunga durata, deve comunque tener conto dei redditi dei familiari anagraficamente conviventi per accedere al beneficio (Cass. IV, n. 49244/2016; Cass. IV, n. 17374/2006): il che è senz'altro ingiusto ogniqualvolta il detenuto sia in espiazione pena di lunga durata magari in carceri distanti dal luogo di residenza della famiglia, con la quale può non avere più quel legame stabile e quella comunanza di affetti che si presume fra familiari conviventi. Ulteriormente, la suprema corte ha stabilito che in tema di patrocinio a spese dello Stato, nell'ambito del reddito da valutare per godere del beneficio devono computarsi, ai sensi dell'art. 76, comma 1 del d.P.R. n. 115/2002, tutte le entrate risultanti dall'ultima dichiarazione antecedente l'istanza di ammissione, compresi i redditi derivanti dal riconoscimento di arretrati comunque inseriti nella stessa nonché, ai sensi degli artt. 76, comma 3 e 79, comma 1, lett. d) del medesimo d.P.R., i redditi non rientranti nella base imponibile e le variazioni avvenute dopo la presentazione della dichiarazione medesima, per tutta la durata del procedimento e sino alla sua definizione, restando del tutto irrilevante – in assenza di deroga espressa – l'eventuale natura previdenziale del rapporto da cui tali redditi conseguono (Cass. II, n. 40970/2021). Da ultimo, in tema di deroga ai limiti reddituali, è doveroso richiamare la casistica del gratuito patrocinio a spese dello Stato ex art. 10 della l. n. 206/2004 che è finalizzato ad assicurare alle vittime del terrorismo l'azione e la difesa in giudizio, a prescindere da qualsivoglia requisito reddituale, sicché allo stesso non è applicabile l'art. 91 T.U. spese di giustizia (che esclude il beneficio se il richiedente è assistito da più di un difensore), il quale risponde alla diversa ratio di apprestare la tutela minima garantita in giudizio anche a chi non possa permetterselo. (Principio affermato dalla S.C. in una fattispecie in cui i due difensori della parte, in una causa volta all'ottenimento dei benefici di cui alla l. n. 206/2004, avevano chiesto la liquidazione di un'unica parcella). Problematiche derivanti da difetti formali della domanda Spesso le istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato vengono rigettate non per ragioni di reddito, ma per carenze formali, facilmente superabili. Va ricordato, prioritariamente che la domanda deve essere presentata personalmente dall'interessato con allegata fotocopia di un documento di identità valido, oppure può essere presentata dal difensore che dovrà autenticare la firma di chi sottoscrive la domanda. Potrà anche essere inviata a mezzo raccomandata a.r. con allegata fotocopia di un documento di identità valido del richiedente. La domanda, sottoscritta dall'interessato, va presentata in carta semplice e deve indicare: - la richiesta di ammissione al patrocinio; - le generalità anagrafiche e codice fiscale del richiedente e dei componenti il suo nucleo familiare; - l'attestazione dei redditi percepiti l'anno precedente alla domanda (autocertificazione); - l'impegno a comunicare le eventuali variazioni di reddito rilevanti ai fini dell'ammissione al beneficio. Se il richiedente è detenuto la domanda può essere presentata al direttore dell'istituto carcerario che ne cura la trasmissione al magistrato che procede. Se il richiedente è agli arresti domiciliari o sottoposto a misura di sicurezza la domanda può essere presentata ad un ufficiale di polizia giudiziaria che ne cura la trasmissione al magistrato che procede. Se il richiedente è straniero (extracomunitario) la domanda deve essere accompagnata da una certificazione (per i redditi prodotti all'estero) dell'autorità consolare competente che attesti la verità di quanto dichiarato nella domanda. In caso di impossibilità, la certificazione può essere sostituita da autocertificazione. Se il richiedente è straniero ed è detenuto, internato per esecuzione di misura di sicurezza, in stato di arresto o di detenzione domiciliare, la certificazione consolare può essere prodotta entro venti giorni dalla data di presentazione dell'istanza, dal difensore o da un componente della famiglia dell'interessato (oppure può essere sostituita da autocertificazione). In tema di difetti formali, uno dei casi più frequenti, in passato, era la mancanza di fotocopia del documento d'identità del richiedente. Infatti, secondo una giurisprudenza isolata ma pericolosa (Cass. IV, n. 34914/2003) il potere di autenticazione della firma del richiedente da parte del difensore non si estende oltre l'attestazione della genuinità della firma apposta sulla domanda, e quindi non “copre” anche l'autocertificazione (persino quando essa è incorporata nell'istanza, e non autonomamente allegata come atto a corredo!), che deve essere autenticata secondo le forme del d.P.R. n. 445/2000. L'autenticazione del difensore, quindi, è facoltativa (art. 78, comma 2 T.U. Spese di Giustizia): del resto, l'istanza ben può essere presentata personalmente dal richiedente prima della nomina di un difensore fiduciario. Quel che non può mancare è la firma del richiedente e la copia di un suo documento d'identità. Parimenti superabile è la mancanza del codice fiscale del richiedente. Il problema si pone quando al richiedente non è attribuito un codice fiscale italiano (ad es. perché straniero non residente in Italia). In tali casi, sarà sufficiente indicare le generalità complete del richiedente, senz'altro (Corte cost. n. 144/2004), e quindi cognome, nome, luogo e data di nascita e domicilio all'Estero, secondo quanto previsto peraltro dalla normativa fiscale in materia (art. 6, comma 2, d.P.R. n. 605/1973). Un problema più serio si riscontra in punto di certificazione consolare di impossidenza di redditi all'Estero, che la legge prevede – sia pur non a pena di inammissibilità (Cass. IV, n. 21999/2009) – venga allegata alla domanda di ammissione da parte di stranieri extracomunitari (i cittadini U.E. sono invece equiparati agli italiani e per essi quindi è sufficiente l'autocertificazione). Infatti, capita spesso che le rappresentanze consolari straniere non rispondano affatto alla richiesta di rilascio di tale certificazione o rispondano che non hanno il potere di rilasciarla. È appena il caso di evidenziare che la mancata risposta del Consolato non può ripercuotersi negativamente sul richiedente, impedendogli di per sé sola l'accesso al beneficio, non solo e non tanto perché – come evidenziato sopra – la mancata allegazione del certificato non è sanzionata dall'inammissibilità della domanda, ma perché sarebbe «assolutamente al di fuori del nostro ordinamento attribuire al richiedente l'onere della prova dello specifico disservizio pubblico» del suo Consolato e far derivare conseguenze a lui sfavorevoli dalle carenze della pubblica amministrazione del suo Paese d'origine (Cass. IV, n. 3615/2008). Infatti, Patrocinio a spese dello Stato, illegittimo escludere la possibilità per lo straniero impossibilitato a presentare la certificazione consolare di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva. In tema di patrocinio a spese dello Stato, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 79, comma 2, d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, in caso di impossibilità a presentare la documentazione richiesta ai sensi dell'art. 79, comma 2, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione. La disposizione censurata fa gravare sull'istante il rischio del fatto del terzo (ossia l'autorità consolare), la cui eventuale inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre tempestivamente la corretta certificazione richiesta non possono gravare sul richiedente le conseguenze del ritardo o delle difficoltà nell'acquisire la documentazione in parola, ciò che la renderebbe costituzionalmente illegittima in quanto irragionevolmente discriminatoria. Inoltre, i tempi di attesa della risposta variano molto da Paese a Paese, e questo può avere conseguenze nefaste in procedimenti penali che possono essere anche rapidi. Fortunatamente, la legge prevede che in caso di impossibilità di produrre la certificazione consolare, il richiedente possa sostituirla – a pena di inammissibilità, questa volta – con un'autocertificazione. È quindi consigliabile – per non dover dipendere dai tempi del Consolato richiesto – allegare sin dall'inizio alla domanda sia prova della richiesta della certificazione (fotocopia della raccomandata A.R., o PEC, o fax con rapporto di trasmissione), sia un'autocertificazione di impossidenza di redditi all'Estero. Nel fac-simile qui commentato, si potrà compilare lo spazio dedicato alle “dichiarazioni particolari” per chiedere che in caso di impossibilità di produzione della certificazione consolare, valga l'autocertificazione sostitutiva, che nel modello qui proposto è già incorporata nell'autocertificazione ordinaria. Da ultimo, è bene precisare che, in caso di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il ricorso in opposizione, ex art. 99, d.P.R. n. 115/2002, deve essere notificato all'Ufficio Finanziario, in ragione del ruolo, rivestito per l'erario, di legittimato passivo nel relativo processo, a differenza di ciò che avviene nel procedimento di opposizione ex art. 170 del medesimo d.P.R. n. 115/2002 alle liquidazioni inerenti ad attività espletate nei giudizi civili e penali, del quale è parte necessaria il Ministero della Giustizia, in quanto titolare del rapporto di debito oggetto del medesimo procedimento (Cass. VI, n. 5806/2022). L'ambito di applicazione L'art. 91, comma 1, lett. a) T.U. Spese di Giustizia impediva l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell'indagato, imputato o condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione delle imposte sui redditi e dell'IVA. La norma è passata indenne al vaglio di legittimità costituzionale a cui è stata più volte sottoposta, sia con riferimento alla disparità di trattamento rispetto ad altri reati (anche fiscali: perché non anche il contrabbando?), sia con riguardo al principio di presunzione di non colpevolezza. Per gli indagati e imputati, la norma aveva sin dall'inizio originato sospetti d'incostituzionalità (esclusa peraltro da Corte cost., n. 94/2004), per violazione del principio di non colpevolezza. Va quindi salutata con favore la riforma apportata dal d.lgs. n. 24/2019 che ha abrogato il riferimento a indagati e imputati, facendo salva solo la presunzione per i condannati in via definitiva, che quindi non potranno giovarsi del beneficio negli eventuali procedimenti successivi alla condanna definitiva (si pensi a quelli di Sorveglianza, o ad incidenti d'esecuzione, ad esempio). Sotto quest'ultimo profilo, è utile sottolineare come tale norma sfugga alla censura di incompatibilità coll'art. 27, comma 2, Cost. solo se e in quanto la si interpreti nel senso che la preclusione non opera in relazione a procedimenti penali diversi da quello nel quale il richiedente è indagato o imputato o ha riportato condanna per reati fiscali (cfr. Corte cost., n. 94/2004). Sebbene la legge sia chiara nel suo tenore testuale (art. 75, comma 1, T.U. Spese di Giustizia) nell'estendere l'efficacia del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato «per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» sicché non si dubita, ad esempio, della validità anche per l'appello dell'ammissione avvenuta in primo grado, la giurisprudenza si dimostra restia a riconoscere appieno tale principio, in taluni casi negando in radice la possibilità di accedere al beneficio (ad es. nei casi di assistenza legale da fornire in ipotesi di testimoni assistiti ex art. 197-bis c.p.p. o esame di coimputati ex art. 210 c.p.p.: Cass. IV, n. 33139/2008; Cass. III, n. 26393/2002; in senso opposto, per l'ammissibilità: Cass. III, n. 7071/2002; ord., Trib. Roma 24 maggio 2005), in altri pretendendo comunque la rinnovazione dell'istanza di ammissione per procedimenti connessi ma diversi da quello “principale” per il quale l'ammissione era stata già richiesta e ottenuta (ad es. per il procedimento di Sorveglianza: cfr. Trib. sorv. Bari 2 gennaio 2008). Sicché è consigliabile in tali particolari casi presentare una nuova, autonoma domanda di ammissione, soprattutto quando il procedimento per il quale ci si intende giovare dell'ammissione si svolga ad anni di distanza dal provvedimento originario di ammissione al beneficio (tipiche ipotesi esemplificative: incidenti d'esecuzione, procedimenti di Sorveglianza, riparazione per ingiusta detenzione). Appare quindi opportuna la riforma apportata dal d.lgs. n. 24/2019 laddove estende espressamente l'ammissibilità al patrocinio a spese dello Stato ai procedimenti di Mandato d'Arresto Europeo (M.A.E.) sia attivi che passivi (in quest'ultimo caso, il difensore italiano funge da “domiciliatario” o meglio corrispondente locale del difensore straniero che assiste l'estradando nel Paese richiedente). Per evitare disparità di trattamento e per analogia, appare corretto ritenere estensibile il beneficio anche ai casi di estradizione ordinaria, adottabile con i Paesi non aderenti al M.A.E. L'elezione di domicilio Nei moduli utilizzati in varie parti d'Italia e in quelli redatti in proprio dai singoli avvocati capita spesso che – per facilitare le Cancellerie e garantire la rapida conoscibilità dei provvedimenti in materia di patrocinio a spese dello Stato – venga inclusa nella domanda l'elezione di domicilio presso il difensore incaricato. Quest'atto di buona volontà è stato mal ripagato: per giurisprudenza consolidata, l'elezione di domicilio fatta nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato vale anche per il procedimento penale a cui essa afferisce (cfr. ex multisCass. VI, n. 26868/2017). Ciò, persino se il richiedente abbia esplicitamente espresso la volontà di limitare gli effetti della domiciliazione ai soli fini del sub-procedimento incidentale del patrocinio a spese dello Stato, perché non sarebbe consentito “parcellizzare” gli effetti delle domiciliazioni effettuate nell'ambito di uno stesso procedimento (Cass. V, n. 29695/2016). A fronte di tali orientamenti, è evidentemente sconsigliabile la domiciliazione presso l'Avvocato del richiedente fatta nella domanda di ammissione al beneficio, salvo che fra il richiedente e il suo difensore non si sia convenuto fin dall'origine per la domiciliazione presso quest'ultimo ex art. 161, comma 1, c.p.p. |